Frammenti di vita #10

Italo Treno stazione-1241

In ritorno nella mia adorata Milano…
Anche quest’estate è finita…
Poteva andar meglio… o peggio.
Chi lo sa?
Sono ancora tutto intero però.
Gambe, ossa e fegato sono ancora al loro posto.
La mente no…
La mente muore quando non ho una storia da raccontare…
Ho voglia di scrivere…

Avrò tempo per farlo?

A Neverending Summer (III)

Perché mi danno sempre del bravo ragazzo? E’ odioso…

Buio… luci intermittenti… persone.
Ragazzi e ragazze in ogni luogo ballavano, strusciandosi gli uni sugli altri. La procace deejay della serata, metteva su, pezzi ritmati dal gusto prettamente estivo.
Guardai tra le mie mani e ci trovai un cocktail.
Direi proprio che dovresti smetterla! Dissi alla mia mano. Purtroppo, non mi sentivo ancora sazio di alcol e continuavo a bere. Avevo quella strana e ossessiva sensazione che mi spingeva a continuare a prendere drinks. Chissà dove sono gli altri… pensai.
Una mano mi toccò la spalla. Era Gianni che mi sorrise. M’indicò un punto tra la folla che difficilmente misi a fuoco. C’era il piccoletto che avevamo portato con noi, che ballava con tre e ripeto 3, ragazze attorno a lui.
–       Ci sa fare il ragazzino! – dissi a Gianni.
–       Già! –
Il ragazzetto moro di certo non faceva complimenti. Elargiva toccate e contatti fisici a destra e manca. Le ragazze ridevano di tanta spontaneità. Vedendolo in quegli atteggiamenti, quasi lo invidiai pensando a tutti i ceffoni che mi sono preso per fare soltanto la metà delle cose che stava facendo lui. Afferrò una ragazza per il collo e cercò di baciarla. Lei rise e lo allontanò. Gianni ed Io decidemmo d’intervenire, per evitare future discussioni. Ci avvicinammo al gruppetto delle ragazze. Ci presentammo e subito ci scusammo per i comportamenti eccessivi del nostro compagno. Le ragazze però, non sembravano turbate, anzi, erano molto divertite per la strana serata. Scambiai due chiacchiere con tutte e mi meravigliai quando mi dissero che avevano passato tutte i trent’anni. Mi sentii stranamente piccolo nei miei 26, per la prima volta dopo molto tempo. Il ragazzetto intanto, si comportava peggio di una scimmia imbizzarrita. Ballava, toccava, strusciava. Non perdeva un colpo.
Poi… Arrivò la schiuma dal cielo e fu blackout.
Le luci si fecero più scure e l’aria diminuì in un colpo solo. In un attimo, la pista si riempì di corpi inzuppati che tentavano di danzare nel poco spazio disponibile.
Tra la schiuma, la forte musica e la poca aria, non so descrivere cosa mi reggesse in piedi. Smisi di ballare e cercai un varco verso l’uscita. Mi sedetti su un cubo per poi scoprire che era una cassa dalle forti vibrazioni che emanava al mio culo.
Mi guardai le gambe e i vestiti. Fradici. Tirai fuori dalla tasca il mio cellulare per controllarne lo stato. Zuppo anche lui. Nell’altra mano avevo stranamente un cocktail.
Ora tu dimmi come cavolo sei finito qui! Gli dissi.
Subito dopo il diverbio tra me e il mio cocktail, si sedette una ragazza di fianco a me.
La guardai… mi guardò.
–       Ciro… piacere… – le dissi.
–       Monica… – mi rispose.
–       Vuoi? – le chiesi porgendole il mio cocktail.
–       Sì, grazie! – mi sorrise.
Scambiamo due chiacchiere e mi disse che studiava Sociologia. Alche, inarcando un sopracciglio, le mostrai il mio volto interrogativo. Non ho mai saputo bene cosa studiasse un sociologo… quindi glielo domandai e lei gentilmente me lo spiegò. Anche se il luogo per certi discorsi era il meno adatto, fu una spiegazione impeccabile. Purtroppo però, colpa del troppo alcol di quella sera, continuerà a restare una facoltà misteriosa per me, fino a quando non incontrerò qualcun altro che studi sociologia…

Da sobrio!

A volte le magie accadono… (parte 3)

Luciano prese posto tra le file della platea. Si sedette nel posto centrale con a fianco Maioli e gli altri.
Non gli staccai gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Ligabue era lì, in uno dei posti del cinema. Inciampavo ogni gradino mentre risalivo la scala. Dovevo raggiungere il mio posto. Il film sarebbe cominciato a breve. Ma quale film avrei visto se lui non se ne fosse andato? Ero distratto e assorto come un bambino che pensa al regalo di Natale in un negozio di giocattoli. Un bambino, mi sentii proprio un bambino. Scalai i miei ventiquattro anni in un colpo. Tornai all’inizio. Quando la mia corazza era ancora bella forte e niente riusciva a scalfirla. Quando la vita era Giorno per Giorno e non avevo pesanti ricordi in bagagliaio. Poi entrò lui, senza nemmeno bussare. Si mascherò con una semplice canzone; allettò il mio udito con la musica e penetrò il mio cuore con le parole. C’è stato un periodo che l’odiai per questo. Perché ogni canzone che ascoltavo… ogni strofa che sentivo, mi lasciava inerme, debole, pensieroso.
Alcune canzoni decisi di non ascoltarle mai più. Ma il tempo corresse gli errori e finii per cedere, come le mie lacrime.
Anni su anni. Vita su vita.
Storie, ragazze, amici.
Vizzi che non puoi smettere.
Pelle anima e ossa.
Cielo.
Sentivo dentro ogni cosa, e ogni cosa mi stava pulsando nelle vene.
Le luci del cinema si abbassarono e lo schermo scintillò. Francesca mi disse di sedermi e lentamente lo feci. Tornai per un attimo alla realtà. Ero lì, nel posto 7 della fila 13, con in mano un paio di occhialini 3D.
Avevo giubbotto e sciarpa ancora addosso. Non avevo fatto caso al caldo che faceva. Strinsi la mano di Francesca. Mi guardò. Cercava di capire la mia agitazione. Ero a pochi metri di distanza dal mio idolo.
Ci separavano solo pochi posti. Era nella mia stessa fila. Mi sporsi in avanti con il busto. Lo vedevo e per farlo dovevo distogliere lo sguardo dallo schermo. Il film stava iniziando.
Ero teso. Sullo schermo passavano le scene di migliaia di ragazzi che si preparavano a vedere il concerto. Volti sconosciuti. Semplici persone arrivate da tutta Italia per godere di un sogno. M’immedesimai in loro. Ricordai vaghe scene del passato. Ricordai le emozioni, ricordai i miei freschi diciott’anni. Ricordai gli amici, a quel tempo, più stretti che mai. Tutti i miei ricordi erano concentrati in canzoni. Le canzoni che aveva scritto quell’uomo seduto a qualche metro da me.
Partì Questa è la mia vita, una di quelle che amavo di più. Indossai gli occhialini per guardare qualche fotogramma, ma dopo un minuto li toglievo per tornare a osservare lui. Ligabue era immobile. Tutta la sala cantava e si sbracciava come se fossimo a un concerto. Lui invece era fermo a guardare. Sorrideva osservando gli spettatori estasiati. Il suo film stava dando l’effetto sperato. Stava generando emozioni.
Era quello il suo lavoro, e lo stava facendo bene.

Incrociai le dita. Pregai. Volevo quel qualcosa che prima mi era sfuggito. Volevo lui. Non mi bastava averlo sfiorato. Volevo di più, e quella era l’occasione giusta. Forse l’unica per me. Guardavo il film ma stranamente ero impaziente che finisse. In quel momento non m’importava. Il film poteva aspettare. Pensavo a come avvicinarlo, e pensavo, con dispiacere, alla probabilità che non ci fossi riuscito.
Il solito pessimista.
Sperai, sperai, sperai. E le luci si accesero. Il film era finito.
Mi guardai intorno. Infilai alla svelta il giubbotto di pelle. Francesca mi guardò e capì. Sgomitai tra la folla. M’infilai in ogni buco. Passai avanti a tutti. Lo vedevo. Ero vicino. Sentii il cuore battere forte. Le braccia mi tremavano. Ligabue stava uscendo dalla fila nella mia direzione. Nella direzione di molti. Si faceva sempre più vicino. Le mani dei ragazzi non volevano lasciarlo andare. Si appigliavano ai vestiti, al collo, alle braccia. Li capivo. Anche loro volevano toccarlo. Luciano era a un palmo da me. La sua mano destra era stretta da un altro ragazzo. Tesi il mio braccio allo spasmo.
Gridai “Ligaaa”. Lo guardai negli occhi per un istante. Quell’attimo fu immenso. Ligabue lasciò la mano del ragazzo e con un rapido movimento gliel’afferrai. Senza pensarci, senza permessi, senza chiedere. Un contatto. Avevo la sua mano nella mia. Nella testa mi scoppiò una supernova. Non guardavo più la sua faccia ma la mia mano, insieme alla sua.
1
2
3
4
Furono i secondi che passarono. Poi lentamente lo lasciai andare. Le sue dita scivolarono via dalle mie e incontrarono quelle di un’altra persona. Il cuore mi batteva come un tamburo e le gambe sembravano fatte di pan di spagna. Ero fermo. La folla lo seguiva nella sua dipartita. Tutti si allontanavano da me. E quando non ci fu più nessuno, scorsi Francesca dall’altra parte della sala.
Le sorrisi… e lo fece anche lei.

A volte le magie accadono… (parte 2)

– … per andare a vederlo da un’altra parte! –

Melzo è una piccola cittadina nella sconfinata periferia di Milano. Ha una manciata di abitanti in un gruppo di case, una ferrovia che la spacca in due e una vecchia storia medioevale.
Faceva freddo anche lì e il sole lentamente se ne stava andando, oscurando tutto. Il pullman ci lasciò in strada. Apparentemente quel posto aveva qualcosa di familiare, ma tralasciai i miei pensieri.
– Siamo arrivati! – disse lei.
Eravamo di fronte un modesto palazzetto. Aveva la forma di una cupola o quasi. Su un lato, una grossa insegna multicolore: Arcadia.
Era un cinema. Un posto così semplice dove tenere coppiette vanno a passare qualche ora spensierata. Non avrei mai pensato che quello fosse stato il luogo dove si sarebbe avverato un mio desiderio.
Ci avvicinammo. La mia curiosità cresceva allo stesso ritmo della mia impazienza. Mi fermai un attimo davanti alla vetrina che racchiudeva un poster. “Ligabue – Campovolo – il Film 3d”
Quel giorno, non avevo programmato di vedere quel film, ma lei mi ci trascinò con tutte le sue forze.
E’ delizioso avere qualcuno che riesce a penetrare la tua corazza, guardarti dentro, e scavare nei tuoi desideri più intimi. Oltretutto Francesca non ammirava Ligabue come me. Non aveva motivo di essere lì, se non per me. Eppure aveva fatto di tutto per portamici, per recuperare due biglietti introvabili, per permettermi di vederlo e regalarmi un sogno.
Ancora non credevo a quello che stava per succedere.
Eravamo in un corridoio. Il cinema si stava riempendo pian piano. In mano avevo i nostri due biglietti. Posti 7 e 8. C’erano capitati i nostri numeri fortunati. Che bizzarra coincidenza.
Adoro le coincidenze ma al loro succedersi il mio istinto va in allarme… e non riesco mai a capire se in bene o in male.
– Che hai? – mi chiese, osservando il mio volto che appariva triste.
– Niente… sono agitato… teso… emozionato… incredulo… non so che dire… –
Sorrise e mi strinse la mano. Cercò di comprendere il mio silenzio. Avevo un mondo all’interno che si stava scontrando con un altro. Due forze contrastanti, una fatta di ricordi, e una di presente. Sentivo gli stessi sentimenti di dieci anni fa. Quando ascoltai per la prima volta una canzone di Ligabue sul mio pc. Era Certe notti. Me ne innamorai subito. E da lì, la rapida ascesa: il primo cd… la prima maglietta… il primo concerto. Fu proprio Campovolo nel 2005. Il 10 settembre del 2005. Lo amavo talmente tanto che mi ci fiondai senza se e senza ma, col mio giubbotto di pelle e la mia monospalla, qualche amico fidato, una botta di vita e un viaggio di 10 ore.

Aspettavo seduto in quel corridoio. Sentivo l’ansia crescere, quella violenta che ti scava dentro, quella che prende il respiro, quella che aspetta la gioia, che forse arriverà. Guardai di nuovo i miei biglietti e con loro le mie gambe in un pantalone grigio.
– Sto sognando? – le chiesi.
– No… scemo… andiamo… mettiamoci in fila che tra poco si entra in sala! –

Sala Energia

Dall’esterno non sembrava che questo palazzetto potesse contenere una sala così grande. La platea da sola era uno spettacolo. Una specie di anfiteatro con poltroncine blu, rivolte tutte verso lo tesso punto.
Al centro di un’enorme parete, un immenso schermo. Il più grande che abbiamo mai visto in vita mia. Spettacolare. Rimasi affascinato a guardare quella scena, per gustarmi i dettagli, mentre la sala si riempiva. Francesca prendeva i posti e poggiava le cose.
– Se vuoi ci mettiamo lì, in piedi in fondo alla scala. Saremo più vicini. –
Alla parola “vicino” il mio cuore ebbe un sussulto. Mi ero quasi dimenticato che non era un sogno, era tutto vero quello che stava per succedere. Scesi lentamente ogni gradino. Mi appiattii alla parete. Altri ragazzi ebbero la stessa idea e per una volta nella vita, invidiai quelli che erano seduti in prima fila. Fissavo il centro del palco. Illuminato da un’unica luce. Quasi come se Dio stesse per scendere in scena.
La sala era piena. Un vociare scomposto di sottofondo fatto di anime che si scambiavano esperienze e opinioni, contrastava col mio silenzio. L’ansia si fece più forte. La mente non aspettava altro. Il cuore pompava ritmi sconosciuti. Gli occhi non sapevano più dove guardare.
Improvvisamente, le porte si aprirono. Dal fondo comparve un gruppetto di uomini capitanati da Claudio Maioli, il manager e amico stretto di Ligabue. Scesero lungo la scala. La stessa scala al cui termine c’ero io. I ragazzi si scansarono educatamente. Maioli guardava i gradini per non inciampare nella penombra. Una ragazza gli toccò un piede e si scusò.
– Niente… non si vede un cazzo qui! – Rispose Maioli.
Sorrisi mentre mi passò accanto. Il suo solito caratteraccio. Pensai.
Si disposero al centro sotto la luce. Dietro di loro, il maxischermo ancora bianco.
Con le orecchie li sentivo parlare, ma il mio cervello non memorizzò niente delle loro parole. La mia mente era impegnata a capire da dove sarebbe entrato Lui… da dove sarebbe sceso… e se fosse passato davanti a me.
Grida confuse. Maioli dice al microfono “Entra Luciano!” e dopo qualche secondo Luciano entrò. Alzai la testa, sgranai gli occhi ma non riuscivo a vederlo. Una massa di ragazzi e ragazze gli fu addosso. Era lontano da me. Stava scendendo lentamente dalla scala a destra. I fans non lo lasciavano andare. La maschera intervenne e calmò la folla. Lo vidi. Era a 10 metri da me. Lo spazio di una strada in pratica. Come se Ligabue fosse dall’altro lato del marciapiede… ed io volevo tanto attraversarla quella strada.
Era sotto la luce. I suoi capelli si tinsero di chiaro.
– Ben arrivati! – disse, e la folla esplose.
– … ho voluto presentare il mio film qui, all’Arcadia di Melzo, nella sala Energia. Perché qui c’è uno dei più grandi schemi 3d italiani e spero che il film si veda bene! –
Ligabue parlava al microfono. Presentava il film. Lo fissavo così intontito e la mente era un guazzabuglio di parole, di sue parole. A ogni sillaba che pronunciava, cercavo di avvicinarmi lentamente insieme ad altri colleghi.
I piedi mi tremavano e la Maschera già ci guardava in malo modo. Gettai la mia educazione in qualche angolo recondito del corpo e feci finta di non vedere i rimproveri velati.
Luciano ringraziò il pubblico e lasciò il microfono. Tutti i ragazzi, come girasoli attirati dalla luce, gli furono vicino. Crearono uno scudo tra lui e l’aria. Non lo vedevo più e la mia coscienza strinò la mia esitazione.
“Che fai lì, corri! Vai da Lui!”
In un attimo gli fui vicino. A meno di un metro. Vedevo la sua faccia grazie alla mia altezza, ma lo scudo di persone non mi permetteva di avvicinarmi. Stava risalendo le scale centrali. Si allontanava. Tesi un braccio. Ero a dieci centimetri. Il mio indice cercava di sfiorarlo. Non ci riuscivo. La folla era troppa. Pregai di avere le braccia più lunghe in quel momento. Salii sulle punte dei piedi. I muscoli erano tesi allo spasmo. Chiusi gli occhi. Dovevo riuscirci, dovevo riuscire a toccarlo almeno per un istante. Volevo un briciolo di sogno. Volevo sentire sotto le mie dita un pizzico di quel cantante. Non potevo lasciarlo andare. Me ne sarei pentito per una vita intera. Era lì… a un palmo da me.
Saltai sulle mie punte…
Gli sfiorai la spalla…
Se ne andò…
Incredulo e pensoso, restai imbambolato per alcuni minuti al centro del palco. Sotto la stessa luce che lo aveva inondato, ora illuminava me.
Trattenevo le lacrime mentre mi allontanavo. Cercavo di avere un aspetto normale. Di lì a poco sarebbe iniziato il film e lì ancora altre emozioni. A bordo scala lo guardai andar via lentamente. Quel cantate che mi aveva cresciuto. Stranamente non vidi le porte aprirsi. Ligabue stava temporeggiando a circa metà della sala. Parlava con Maioli. Cercai di capire cosa stesse facendo e quando mi fu chiaro, restai a bocca aperta dall’incredibile sorpresa.

“No… non posso crederci… non puoi far questo!”

A volte le magie accadono… (parte 1)

Duomo, fermata Duomo.

Le porte della metro si spalancarono e la solita fiumana di persone si diresse verso le uscite. C’ero anch’io tra quella folla, ed ero in ritardo. Salii i gradini velocemente. Il sole splendeva come non mai, su questa fredda città. I miei occhi si abituarono con difficoltà alla luce e La cercai con lo sguardo tra la gente. Doveva essere proprio lì, sotto la nostra statua. Un luogo d’importanti incontri in passato. Mi trovò lei e si avvicinò.
– Sei sempre in ritardo! – mi disse imbronciando il muso.
– La metro, la gente, sai com’è… – mi discolpai.
Le sorrisi, la strinsi e la baciai.
– Dove andiamo? – mi chiese con occhi dolci.
– Facciamoci un giro, guardiamo la città, tanto è ancora presto per vederlo… –

Il Natale a Milano inizia prima. In tutte le altre case, in tutte le altre città, tradizionalmente, l’albero si prepara l’otto dicembre. Qui invece no, qui l’albero è già pronto. Qui, il sette dicembre, è già Natale.
La città sembra quasi una casa, così caldamente addobbata, e la piazza è quasi un salotto, con un albero, decine d’invitati e migliaia di lucine.
Camminavamo per le strade, battibeccandoci a ogni incrocio. Lei, che prendeva la mia attenta precisione e la deformava a suo piacimento; ed io che non sapevo mai come dirle di no.
Quella mattinata eravamo lì per un motivo. Precisamente un mio motivo: quella faccia che mi guardava ogni giorno e ogni notte da decine di posters, sarebbe stata lì, in piazza Duomo.
Ligabue.
Colsi quella news come un chiaro invito. Quell’uomo mi stava dando un segnale. L’avevo trascurato un po’ non andando al concerto di Campovolo; e lui era venuto da me, in questa città. Finalmente avrei potuto vederlo da non troppo lontano e avvicinarmi quel pizzico in più che ai concerti non ero mai riuscito.
Oltretutto, per ironia della sorte, quel cantante sognatore, si sarebbe affacciato proprio dalla stessa terrazza dove m’innamorai di lei, la terrazza dell’Arengario.
Glielo dissi e lei si precipitò da me abbandonando ogni dovere.
Quante cose faceva e avrebbe fatto per me, quella ragazza?
Innumerevoli.

Eravamo fermi lì, a un incrocio di una via sconosciuta. Un viale trafficato a più corsie. Un semaforo scintillava di rosso. Le macchine correvano e i tram scricchiolavano tra i binari. Lei voleva attraversare, ma le tenevo la mano per impedirglielo. Mi guardò un secondo… e conoscevo quello sguardo.
– Perché non siamo insieme? – mi chiese di colpo.
– Perché stiamo così bene non stando insieme che lo stare non avrebbe senso… –
– Ma se fossimo insieme lo sarebbe di più… –
– Davvero? –
– Ahhhh… sta zitto stupido! Andiamo! –
Mi trascinò in mezzo alla strada. Tra macchine, tram e taxi… una follia.
-Vieni! Muoviti! –
– Francesca!! – le urlai con un finto rimprovero.
Arrivammo dall’altra parte, sani e salvi.
– Visto? Era facile no? –
Non le risposi ma il mio sguardo diceva tutto, come il suo di prima.

Un giorno mi stuferò di dire che Milano non smetterà mai di sorprenderti. Spero che quel giorno però, sia ben lontano. Tra le tante vetrine e i mille negozi di quella strada ancora ignota, scorgemmo un’insolita insegna stampata in bianco su un vetro trasparente.
Bakery
– Ecco dove faremo colazione! – disse lei, raggiante di gioia.
Sorrisi… un po’ perché pensavo a come si potesse far colazione in una panetteria; un po’ perché adoravo quando mi trascinava in posti nuovi.
Entrammo. Il posto era fantastico. Mattonelle bianche rivestivano i muri e un tocco di verde ogni tanto colorava l’ambiente. Le luci, con la forma di sfere bianche, pendevano dal soffitto. I tavolini in legno e le sedie erano disposti in fila su un lato. Davanti a me, un grande bancone con scritte in inglese.
Ci sedemmo e ci portarono i menù. Francesca era deliziata dal posto e anche a me piaceva molto.
Un cameriere nero venne a prenderci le ordinazioni.
– Per me dei Pancake e un caffè… –
– Sciroppo d’acero? E il caffè italiano o americano? –
– Sì, Pancake e sciroppo d’acero, e il caffè ovviamente americano! –
Mi s’illuminarono gli occhi a sentire tutto ciò. Sembrava quasi di essere in uno dei tanti Starbucks americani, dove puoi ordinare tutte le loro prelibatezze. Adoro il loro stile di vita, adoro far una colazione “salata” ogni tanto, con uova e pancetta. Adoro i pancake con lo sciroppo d’acero e adoro il caffè americano…
Arrivò il cameriere e ci servì i piatti. I miei pancake avevano un aspetto invitante. Ci versai sopra lo sciroppo dalla piccola brocca. Presi coltello e forchetta e mangiai un boccone. Paradiso. In bocca avevo un’orgia di piacere. Le papille gustative erano deliziate dal contrasto amaro dolce. Buoni, buonissimi, i migliori mai mangiati in vita mia. Perfetto, un solo boccone aveva saziato il mio desiderio, ma ad ogni altro se ne generava uno nuovo. Guardai Francesca estasiato e il suo telefono squillò.
– Pronto… Si… Ok… bene! Ora glielo dico! Grazie mille! – disse a un interlocutore sconosciuto.
Click
Francesca mi guardò e sorrise. Aveva quell’espressione che anticipa la felicità.
– Cosa c’è? – le chiesi…
– Forse un tuo desiderio si potrebbe avverare… – mi disse giocando con le parole.
– Quale dei tanti… – chiesi speranzoso.
– Uno in particolare… però… c’è un però… –
– Immaginavo… dimmi… –
– Dovresti rinunciare a vedere Ligabue in piazza Duomo….. –

Io ci sarò…

Max%2520Pezzali

– Concerto di Max Pezzali ad Avellino! Ci andiamo? –
– Davvero? Fantastico! –
– Chiedilo anche a Lei… magari viene… –
– Ok… ci provo… –

Ero sul letto, a casa dei miei genitori. Mi rilassavo mentre giravano in testa spicchi di ricordi. Roteavo tra le mani il cellulare, con quel contatto di rubrica che aspettava di essere cliccato. Un tempo non mi sarei fatto tanti problemi. Un tempo l’avrei chiamata e non sarebbero servite nemmeno tante domande per ottenere un semplice si. E ora invece…

Tuuuu tuuuuu
– Pronto! –
– Ciao Mariè come stai? –
– Un bel casino! Ma tutto bene! Mi sono fatta male al piede in vacanza… e sono dovuta stare in casa un paio di giorni… Però il mare era bello… ci siamo divertite… poi… –
– Marièèèè! Ferma un attimo! Stop! Ti ho chiamata per chiederti una cosa… –
– Dimmi! –
– Concerto di Max Pezzali… –
– Cavolo… –
– Vieni? –
– Ciro… lo sai che non posso… lo sai che non è più come una volta… –

E come mai… ma chi sarai… per farmi stare qui… qui seduto in una stanza… pregando per un si…
Un tempo eravamo amici… amici inseparabili. Io, te, Robertino e quel manipolo di ragazze tue compagne di classe. Ci divertivamo… quelli sì che erano tempi felici…

Un pomeriggio ’05 di una torrida estate.

– Allora l’hai baciata? –
– No! Ho detto di no! –
– Dai Robertì! Diccelo! – disse Mariella con la sua voce squillante. La sua curiosità stava accelerando e anche la mia. Eravamo seduti all’ombra di un pino sulla grande panchina in pietra a forma di L. Era un pomeriggio di quelli caldi. In un’estate in cui potevamo ancora permetterci di vestirci come capita, perché quando sfiori i diciotto, non badi tanto alle apparenze. E quindi sfoggiavamo pantaloni a pinocchietto e Nike colorate noi maschi; e svolazzavano gonnelline e magliette floreali tra le ragazze.
– Ragazzi noi andiamo… – dissero le altre.
Robertino, Mariella ed io le salutammo allargandoci sulla panchina semivuota.
– Allora? Diccelo! – insistetti.
– Ok… va bene! Ci siamo baciati… –
– Lo sapevo! – urlò Mariella. – Ora vogliamo i dettagli! – disse mentre annuivo col capo.
– Ma i dettagli di cosa! Sai com’è Pina! Fa sempre la difficile! Ci siamo baciati a stampo! –
Io e Mariella ridemmo e cominciammo a prenderlo in giro come due ragazzini:
– Roberto si è baciato con Pina… Roberto si è baciato con Pina! –
Quella era la normalità di quei giorni. Risate… pettegolezzi… storie… all’ombra di un pino su una fredda panchina. Non tutti però erano invitati. Quando il club si restringeva e rimanevamo solo noi tre, i particolari si facevano più intimi e le confessioni più dettagliate.
Quelli per me, erano gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due, gli anni di che belli erano i film, gli anni di qualsiasi cosa fai, gli anni del tranquillo… siam qui noi.
Erano gli anni della mia adolescenza un po’ annacquata e allungata un altro po’, per dar sfogo al mio essere eterno bambino sognatore. Ero a mio agio con loro. Potevo finalmente essere me stesso con qualcuno, invece di fingere sempre una sicurezza mai avuta e un carattere forte. Potevo raccontare… e al tempo stesso ascoltare storie ricche di sentimenti. Potevo essere spensierato e sconnettere un po’ il cervello lasciando correre l’istinto che spesso governa le menti degli adolescenti.

Rumore di sportelli che sbattono. – Io davanti! – disse Mariella. Roberto dietro ed io alla guida. Accesi il motore della vecchia punto. E gira e rigira eravamo sempre lì… a percorrere all’infinito quelle quattro strade del nostro paesino.
“Eccoti sai ti stavo proprio aspettando
ero qui… ti aspettavo da tanto tempo
tanto che… stavo per andarmene
e invece ho fatto bene”

Click
– Marièèè perché hai cambiato?! –
– Questa non mi piace! –
Click Click Click
– Smettilaaaa!! – dissi fermandole la mano che armeggiava con il mio stereo.
“Se solo avessi le parole
te lo direi…
anche se mi farebbe male eeee oooo”

Cantavamo in coro a finestrini abbassati e motore al minimo.

“Se lo potessi immaginare
dipingerei…
il sogno di poterti amare!
Se io sapessi come fare…
ti scriverei…
Una canzone d’amore!”

Cantavamo con le nostre voci acerbe e squillanti. Negli anni d’oro delle nostre vite… Quando la fortuna ci ascoltava e spesso girava dalla nostra. Quando qualsiasi cosa accadeva… loro, erano sempre lì.

Ore Otto, 2011 sempre in una torrida estate

I miei fari fendevano il buio sulla stessa strada di 6 anni fa. Il paesaggio non era cambiato, ma io si. La mia vecchia punto era diventata un’Audi, vecchiotta anche lei; i piedi avevano abbandonato le orribili Nike lasciano il posto alle Carrera; anelli e braccialetti erano diminuiti… e lo stereo… ancora vergine degli 883. Mi fermai davanti casa di Roberto. Gli feci uno squillo e le lo vidi arrivare con la sua buffa andatura. Aprì lo sportello tutto sorridente e mi salutò:
– Ciao Cì! Da quanto tempo! –
– Già… ma siamo sempre qui… –
– Come va la vita a Milano? –
– Si sta bene… vuoi venire anche tu? –
– Beh… magari ci faccio un pensiero dopo la laurea! –
Roberto si girò istintivamente a guardare i sedili posteriori vuoti, poi sputò fuori la domanda tanto attesa.
– Gliel’hai chiesto? –
– Si… – dissi guardando la strada con occhi furibondi.
– …e che ti ha detto? –
– Ho chiuso con lei Robbè! Non voglio mai più sentirla! –
– Che cazzo dici? –
– Si! Basta! Mi sono rotto le scatole dei suoi No! Di questa amicizia a “pezzi” e a volte nascosta… –
– Lo sai il perché si comporta così… –
– Certo che lo so il perché! Cristo! Solo perché qualche mese siamo stati insieme, mannaggia a me! E quindi, tecnicamente, siamo ex! E ovviamente al suo ragazzo non va giù! Non l’avessi mai fatto… –
– Dai! Ora non dire così! –
– No… ti giuro… questa è l’ultima goccia… le ho detto addio. Se non si può essere dei normali amici come un tempo, che senso ha? –

Tutto per colpa di quello stupido amore…
che unisce…
e poi distrugge…
lasciando terra bruciata dietro di sé…

Tutto a posto a ferragosto! (strane storie estive II)

Ariano%2520Folk%2520festival%25202

rischiammo  la vita diverse volte quella notte… (mai più guidare ubriachi!)

Notte…

La vecchia punto correva lungo l’autostrada Napoli-Bari. Eravamo noi 5: Enzo, William ed io dietro, Andrea e Luca davanti. Ovviamente, anche se la punto era di Luca, la guidava Andrea. Poiché tutti concordavamo sul fatto che Luca non avrebbe dovuto guidare nemmeno una bici con le rotelle. Anche Andrea però stava perdendo punti-fiducia dopo quella volta che spaccò lo specchietto della macchina per accendersi una  sigaretta. Però, era sempre meglio uno specchietto che un frontale con un’altra auto.
La musica era alta e Luca giocava con le manopole per scegliere la canzone giusta. Aveva fatto un cd zeppo di canzoni anni ’80, che dava al nostro viaggio un tocco di ritorno al passato.
Il tragitto era ancora lungo, la notte incalzava e il genio di turno decise di ammazzare il tempo con un bel bicchiere di vino. Allora, secondo voi, sarebbe stato possibile versare del vino da un recipiente di 5 litri in un bicchiere di plastica a bordo di una macchina sparata a 130 chilometri orari?
Ovviamente, se non si ha il potere di bloccare il tempo, no.
– Lucaaaaaaa!! – gridò all’improvviso il nostra autista scatenato.
– Jaaa.. Andrea scusa! Non l’ho fatto a posta! –
– Mi hai buttato tutto il vino addosso! Sei proprio uno Stronzo! –
– Dai, ora metto a posto. Vogliamo fare una cosa? Ci fermiamo a una piazzola… e organizziamo un grande brindisi! –
– Siii!! Vai va! Eccone una… ora accosto! –
E così… alle undici e mezza di notte, 5 scapestrati erano fermi in una piazzola di sosta dell’autostrada Napoli-Bari. Le macchine e i camion sfrecciavano alla nostra sinistra e speravo che la situazione non si facesse più pericolosa di quanto sembrasse.
– Ragà. Facciamo una cosa, travasiamo il vino nelle bottigliette dell’acqua! Cosi possiamo berlo meglio in macchina! –
– Si ma come facciamo? –
– Ci penso io! – disse Enzo. – Facciamo il buco ad un bicchiere e lo usiamo come imbuto! –
– Si! Ottimo! Proviamo… –
Mi limitavo a osservare insieme a William l’assurda impresa. Dubitavo molto della riuscita. Scherzando dissi a William che andavo a chiedere un imbuto al punto SoS.
A parte la battuta volevo vedere come erano fatti quei cosi. Non mi ero mai fermato in autostrada ed ero sempre stato curioso di vedere da vicino quegli affari gialli con la scritta SoS.
Tornando dai ragazzi vidi che erano ancora intenti a travasare il vino. Erano in cerchio e mi avvicinai per guardare dall’alto. Andrea versava mentre Luca manteneva la bottiglietta. Del rivoluzionario bicchiere-imbuto nemmeno l’ombra.
– Vedo che il sistema del bicchiere ha funzionato! – ironizzai.
– E’ tutta colpa dell’aria! – disse Enzo.
– Si, hai ragione Enzo, è sempre colpa di quella fottuta aria! – dissi dandogli una pacca sulla spalla.
– Assafà! Ce l’abbiamo fatta! Ora ci facciamo un bicchiere di vino a testa e ce ne andiamo! –
E con i bicchieri in mano e il sorriso sulle labbra brindammo al concerto che aspettava solo noi per cominciare.
– Tutto in un sorso! – urlò Luca.
E via…
Salimmo in macchina al volo. Andrea mise la freccia e tornò in carreggiata.
Le facce dei ragazzi erano felici… e stranamente lo ero anche io. La vera felicità, purtroppo, è una cosa che raramente riesco a provare… e dovevo ringraziare quei  ragazzi lì… che a volte fermavano il flusso continuo dei miei pensieri ansiosi.
Guardavo dal finestrino i fari delle macchine. Non capivo se eravamo noi ad andare veloce o loro. Non m’importava… il vino stava facendo effetto.
Finalmente…

Cocktail.. (Ricordi di Rimini 2004)

Ricordi%2520di%2520Rimini%252C%2520che%2520vita

 

Ero affacciato al balcone e guardavo fuori appoggiato alla ringhiera con il mio bel cocktail in mano. Qualcosa non andava dentro di me. I miei occhi erano stanchi, desolati e un po’ incazzati. No.. il passato qui non doveva venire e fare il suo porco comodo. Non dovevo permettere ai miei ricordi di riaffiorare.. non qui.. non ora..

E il mio cuore batteva. Sentiva.. Calpestava ogni mio rifiuto.. e crudelmente mi rovinava ogni momento bello. Questa magica serata era partita un po’ così. Tra foglietti attaccati al muro e nuvole in certe stanze.. tra musiche da ballo e cocktail mal mischiati. Questa Rimini iniziava a prendere forma sotto i miei occhi. E lo strano mostro che stava diventando cominciava a combattere con il mio stupendo passato. Gridando di vivere.. perché la vita è questa qui. E non ce ne saranno altre belle o migliori. Comunque vada.. e comunque sia.. questa è la mia vita..

 

-Ciro che fai?.. Perché non entri?-

-Perché non venite voi qui fuori?..-

-Che è successo..- disse Mario avvicinandosi prima degli altri.

-Guarda giù..-

 

Pochi piani più in basso c’era un tizio in boxer che correva per la strada alla ricerca di qualcosa. Lo guardavamo come se stessimo guardando un film che ci piaceva tanto. A tratti ci sembrava quasi un’illusione. Un frutto perverso della nostra comune immaginazione che ci voleva tutti come lui.. ubriachi.. nudi.. in posti strani.

 

-Ehi tu!-

Il ragazzo biondino si girò verso di noi dopo aver raccolto un oggetto da terra.

Ci guardava sorpreso.. e sembrava non capire. Infatti era tedesco.

Mettemmo insieme un gruzzolo di gesti e parole inglesi per fargli capire di salire da noi nella camera 30. Lui ci fece un OK con la mano e venne da noi. Vestito.

 

-Hi guys!-

-Hi.. what’s your name?-

-Voevo..

-Voe.. che?

-Voevo..-

-Volvo? No quella è una macchina..-

-Vo.. e.. vo..-

-Mi dispiace.. ma non imparerò mai il tuo nome..- gli dissi..

-Voevo.. do you smoke?-

-Yes yes..-

-Smoke this..-

-oh.. very good..-

 

Dal sorriso del biondino si capiva che la roba nostrana piaceva molto anche all’estero. Sorseggiò anche qualche nostro rum.. gin.. vodka.. Il ragazzo insomma si era ambientato bene tra di noi. Anche se solo la metà di noi riusciva a dire bene il suo nome.

E mentre noi eravamo alle prese con lo strano tipo, l’intraprendente Pasquale era sul balcone che socializzava con delle ragazze dell’albergo di fronte.

 

-Ragazze! Venite da noi! Qui ci si diverte!-

 

Le ragazze ridevano tra di loro. Non capivano.. erano straniere anche loro. Accorgendoci della situazione che avveniva sul balcone, ci accostammo un po’ tutti alla ringhiera. Il folto gruppetto di ragazze parlava e ci indicava. Parlavamo in inglese cercando di farci capire.. fino a quando non intervenne il sorprendente Voevo che, intuendo che erano tedesche, blaterò qualcosa nella sua nordica lingua. Insomma.. le ragazze ci stavano. Vennero tutte nella nostra camera.

Ora.. gli ingredienti della serata c’erano tutti. Cosa poteva mancare? C’era la musica e vari diversivi, c’era l’alcol in vari miscugli, c’era un tipo strano che c’incuriosiva e ci faceva divertire.. e c’erano le donne.. L’immancabile elemento finale.

Guardavo la scena e ridevo. Guardavo la scena e vedevo il quadro completo. Bastava solo mescolare e agitare..

 

Rimini.. è un bel cocktail di vita.

Uno strano scivolo… (Livigno 2010 parte V)

Livigno%252C%2520lo%2520strano%2520scivolo

Appena varcata la soglia del Miky’s pub, sembrava quasi d’entrare in un altro mondo. Fuori tutto tranquillo e regolare. Il silenzio regnava ed era rotto solo dal rumore dei nostri passi. Dentro invece si sentiva la musica, le persone che parlavano, il tintinnio di bicchieri e bottiglie. Sembrava proprio di aver oltrepassato lo stargate ed essere entrati in una nuova dimensione.

All’ingresso c’era una giovane ragazza addetta al guardaroba, cosa che non avevo mai visto in un pub old style. Mi bloccai…

– E questo a che cazzo serve?! –

Poco di fianco alla ragazza c’era uno scivolo in legno che portava al piano di sotto, da dove proveniva la musica. Rimasi per un po’ ad osservarlo fantasticando sulle mille cose che avrei potuto farci. Di fianco al bizzarro scivolo c’erano le scale. Le scendemmo e venimmo inondati da musica dance ad alto volume. Guardai tutta la sala e pensai che finalmente avevano inventato ciò che volevo: una discoteca… in un pub.

Perché sì… entrambi i locali hanno i loro pregi ma anche i loro piccoli difetti.

In discoteca, se entri… devi per forza ballare. Non c’è mai un fottuto posto dove sedersi e godersi il proprio drink. Drink che deve essere per forza un cocktail, perché se prendi una birra ti guardano storto e pensano che tu sia un ubriacone. Nonostante ciò, mi piace ballare… sentire la musica dance o house che ti pompa nelle orecchie solleticandoti la mente e dandoti piccole scariche di adrenalina.

Nel pub, invece… ti siedi con davanti la tua bella birra doppio malto e gli amici intorno. Scheggi un po’ il tavolo col coltellino, racconti un po’ di stronzate a chi vuol sentire. Ma la musica che c’è non è mai quella giusta… o non sempre. Una volta sono entrato in un pub dove la canzone migliore era di Laura Pausini. Il pub che prendo sempre come riferimento è lo Sloppy’s Joe di Dante. E’ uno dei migliori, a mio avviso. Forse solo perché ci ho passato i migliori anni della mia vita. Ed anche lui ha la pecca di tutti i pub. La musica e soprattutto, sono almeno 5 anni che sui suoi schermi gira ancora a ripetizione senza voce quel cavolo di film di Sin City e non c’è bisogno di dirvi che lo conosco a memoria.

 

Il Miky’s pub, quindi… era un po’ tutt’e due. Sulla destra c’era il lungo bancone in legno dove il barista serviva i cocktails. Quasi in fondo alla sala c’era una postazione deejay rialzata con annesso ragazzo con cuffia e capelli strani. Sulla sinistra invece c’erano i tavolini, di quelli alti con gli sgabelli sempre in legno. Qui un po’ tutto era in legno… e io amo il legno. Al centro del locale c’era uno spazio non molto grande, dove la gente ballava.

Ci sedemmo in fondo. Enzo, Ciro, Luca ed io.

Tutti intorno allo stesso tavolo, a guardare la sala piena di gente.

– Non è male questo posto… –

– Già… ordiniamo qualcosa… –

– Una bella bottiglia di vino bianco… e quattro bicchieri… – proposi io.

– Chi inizia? …Ok ok… ho capito… vado io… – dissi.

 

Andai al bancone. Feci segno al barista di venire da me.

– Che vini bianchi hai? – Gli urlai.

Lui ne elencò alcuni, ma io non capii niente a causa della musica troppo alta e gli dissi:

– Fai tu! –

Poco dopo tornai al tavolo con la bottiglia stappata e quattro bicchieri a calice alto.

Poco dopo ancora… la bottiglia era vuota.

 

– Guarda quelle tre sedute lì…-

Mi voltai nella direzione indicata da Ciro e vidi tre ragazze sedute a un tavolino. Una mora, una castana e una bionda. Mancava la rossa e il quadro era completo… pensai sorridendo.

– Vanno a vino anche loro… – disse Luca, osservando i loro bicchieri.

– Quella con i capelli corti è la più bella… –

– Naa… meglio quella con gli shorts… –

– Perché la bionda la vogliamo buttare via? –

– Perché non vai da loro e chiedi se vogliono sedersi qua con noi? La prossima bottiglia la offro io… –

– Tu comincia a offrire… al resto ci penso io… – risposi

 

Naturalmente, essendo quello più vicino al bancone in linea d’aria, dovetti alzarmi io. Il barista mi vide e gli chiesi di stapparmi una nuova bottiglia. Lui al volo la prese, stappò con classe e me la diede.

Dopo mezzanotte la musica cambiò. Si fece più aggressiva e ballabile. Guardavo la sala un po’ annebbiato dall’alcol. I ragazzi erano andati nella sala fumatori e rimasi solo a fare la guardia alla bottiglia vuota di vino bianco.

A un certo punto il deejay cambiò canzone. Una di quelle belle che mi piacciono molto… ma che adesso… proprio non ricordo.

Questa devo proprio ballarla, pensai

E mi buttai in pista tra la gente che si dimenava al ritmo di musica. Iniziai a muovermi cercando di ballare decentemente in quello spazio ridotto. Intorno a me c’erano ragazzi e ragazze di ogni tipo. Dai volti  si riconoscevano tedeschi… polacchi… svizzeri. C’erano anche le tre ragazze sedute a quel tavolo. Ballavano vicino a me. E ogni tanto mi adocchiavano. Mentre ballavo, mi voltai in direzione del mio tavolo. Vidi i miei tre amici tutti li seduti che mi osservavano. Sentivo i loro occhi addosso e sapevo già cosa stavano dicendo su di me.

So cosa ci vuole.. pensai.

Mi appoggiai al bancone con un gomito. Il barista mi vide e iniziò già a prendere una bottiglia di vino. Praticamente non gli dissi niente. Lui già sapeva.

– Thanks… – gli risposi e tornai al tavolo.

 

Purtroppo quella bottiglia fu l’inizio della fine. Un attimo dopo averla vuotata, il mio cervello praticamente galleggiava nell’alcol. E subito dopo, una scena incontrollabile si prestava agli occhi di tutti i presenti nella sala. Io su una specie di palchetto che facevo volteggiare la mia maglietta al ritmo di musica. Il barista corse da me e cercò di farmi scendere, urlandomi di rimettere la maglietta. Per fortuna non si incazzò.

Tornai al tavolo e mi detti una calmata.

Vidi Enzo e Luca che parlottavano con una ragazza inglese.  Quest’ultima sorrideva mentre mi guardava. Enzo le aveva detto qualcosa. Lei mi disse – Ok, ok… – e mi fece un gesto di approvazione con la mano. Non capii niente. Ero un po’ stanco, ma l’alcol mi teneva sveglio. Entrai nel gruppetto che si era formato con l’inglese. Cercavo di biascicare qualche parola che lei, con mio stupore, comprese. Enzo era quello che se la cavava meglio. Forse anche perché era più sobrio di me. Dopo un po’ mi limitai a osservare, cercando di calmare un po’ i battiti del mio cuore. Avevo un bicchiere vuoto in mano e ci giocavo.

Dopotutto, questa serata non è andata poi così male, pensai mentre guardavo

lo strano scivolo dall’altra parte della sala… 

 

Blog su WordPress.com.