Storia di una casa (#38)

Storia di una casa 38 copia

 2007/2008

– 38 –

Il citofono suonò.
L’ansia da poco messa da parte, tornò, ribelle, al proprio posto. Il forte suono del citofono, aveva rotto ogni silenzio casalingo, diffondendosi in tutte le stanze. Appoggiai la mia tazza di tè sul tavolo e andai a rispondere. “Spero sia lei…”
– Sì? –
– Salve, sono la ragazza che ha chiamato per l’annuncio… –
– Sì certo… sali pure… –
– Ehm… dove? –
– Ah… scusa… scala A, piano quinto! –
– Grazie –
Appesi il citofono e cominciai a guardarmi intorno come a voler cercare qualcosa fuori posto. Ma tutto era in ordine, eccetto la mia mente che era un groviglio di pensieri ansiosi:
la proprietaria che aspettava mie notizie; la mia ragazza che mi guardava male dalle foto; mio padre che non sapeva ancora niente della tragica situazione; e poi c’era lei… la ragazza che stava salendo in ascensore.
“Ah! La porta! Dove sono le chiavi?!”
Corsi in camera e afferrai al volo le chiavi sulla scrivania. Tornai nell’ingresso e aprii il portone in velocità. Mi fermai sull’uscio a osservare l’ascensore che stava per arrivare. Sapevo che dalla piccola finestrella sulla porta avrei potuto intravedere il volto della ragazza. Ero curioso. M’ero delineato in mente la possibile fisionomia della persona associata alla voce. “Chissà se anche questa volta, il mio istinto c’ha azzeccato”

L’ascensore lentamente arrivò. Allungai il collo per vedere meglio nella finestrella e scorgere la misteriosa ragazza. Vidi dei capelli e poi nulla più. La ragazza aprì la porta dell’ascensore e uscì di schiena per chiudere le porte interne. Poi mi vide e si girò. Sfoggiò un gran bel sorriso. Ci fu un attimo d’imbarazzo, almeno per me, poi mi porse la mano.
–       Ciao, io sono Floria –
–       Piacere, Ciro –
–       Questa è la casa dunque, posso entrare? –
–       Certo, vieni… –
Le feci strada nell’ingresso e chiusi il portone dietro di noi. Attesi qualche secondo che lei terminasse il suo ampio giro con lo sguardo. Aveva una bella espressione, non certo delusa, segno che la casa le stava piacendo. Ruppi il silenzio indicandole la porta della camera in affitto.
–       Carina! –
Le raccontai qualche dettaglio dello scorso anno. Vi aveva abitato un ragazzo che poi era andato via. Lei non sembrava interessata ai miei discorsi. Era entrata nella camera come se fosse stata già camera sua. Mentre le spiegavo i dettagli dell’annuncio, osservavo il suo fisico longilineo che si muoveva per la stanza. Passò accanto ai letti e ne tastò la morbidezza. Diede un occhio all’armadio e poi si sedette sul divano cigolante. Sembrava soddisfatta.
–       Ti mostro il resto della casa? –
–       Sì… comunque la camera mi piace parecchio! –
–       Mi fa piacere. Beh… le condizioni te le ho spiegate. So che è tanto affittare una doppia da sola… –
–       No, dovrei parlarne con una mia amica. Se le va bene, la prendiamo insieme. Prenderla da sola è una pazzia, costa troppo! –
Restai interdetto per qualche secondo poi tornai alla realtà. Quella ragazza continuava a mandare in tilt il mio cervello. L’ipotesi di due ragazze non mi aveva nemmeno sfiorato.
–       Bene! Fammi sapere il prima possibile. Io intanto ne parlo con la proprietaria. –

continua…

A Neverending Summer (III)

Perché mi danno sempre del bravo ragazzo? E’ odioso…

Buio… luci intermittenti… persone.
Ragazzi e ragazze in ogni luogo ballavano, strusciandosi gli uni sugli altri. La procace deejay della serata, metteva su, pezzi ritmati dal gusto prettamente estivo.
Guardai tra le mie mani e ci trovai un cocktail.
Direi proprio che dovresti smetterla! Dissi alla mia mano. Purtroppo, non mi sentivo ancora sazio di alcol e continuavo a bere. Avevo quella strana e ossessiva sensazione che mi spingeva a continuare a prendere drinks. Chissà dove sono gli altri… pensai.
Una mano mi toccò la spalla. Era Gianni che mi sorrise. M’indicò un punto tra la folla che difficilmente misi a fuoco. C’era il piccoletto che avevamo portato con noi, che ballava con tre e ripeto 3, ragazze attorno a lui.
–       Ci sa fare il ragazzino! – dissi a Gianni.
–       Già! –
Il ragazzetto moro di certo non faceva complimenti. Elargiva toccate e contatti fisici a destra e manca. Le ragazze ridevano di tanta spontaneità. Vedendolo in quegli atteggiamenti, quasi lo invidiai pensando a tutti i ceffoni che mi sono preso per fare soltanto la metà delle cose che stava facendo lui. Afferrò una ragazza per il collo e cercò di baciarla. Lei rise e lo allontanò. Gianni ed Io decidemmo d’intervenire, per evitare future discussioni. Ci avvicinammo al gruppetto delle ragazze. Ci presentammo e subito ci scusammo per i comportamenti eccessivi del nostro compagno. Le ragazze però, non sembravano turbate, anzi, erano molto divertite per la strana serata. Scambiai due chiacchiere con tutte e mi meravigliai quando mi dissero che avevano passato tutte i trent’anni. Mi sentii stranamente piccolo nei miei 26, per la prima volta dopo molto tempo. Il ragazzetto intanto, si comportava peggio di una scimmia imbizzarrita. Ballava, toccava, strusciava. Non perdeva un colpo.
Poi… Arrivò la schiuma dal cielo e fu blackout.
Le luci si fecero più scure e l’aria diminuì in un colpo solo. In un attimo, la pista si riempì di corpi inzuppati che tentavano di danzare nel poco spazio disponibile.
Tra la schiuma, la forte musica e la poca aria, non so descrivere cosa mi reggesse in piedi. Smisi di ballare e cercai un varco verso l’uscita. Mi sedetti su un cubo per poi scoprire che era una cassa dalle forti vibrazioni che emanava al mio culo.
Mi guardai le gambe e i vestiti. Fradici. Tirai fuori dalla tasca il mio cellulare per controllarne lo stato. Zuppo anche lui. Nell’altra mano avevo stranamente un cocktail.
Ora tu dimmi come cavolo sei finito qui! Gli dissi.
Subito dopo il diverbio tra me e il mio cocktail, si sedette una ragazza di fianco a me.
La guardai… mi guardò.
–       Ciro… piacere… – le dissi.
–       Monica… – mi rispose.
–       Vuoi? – le chiesi porgendole il mio cocktail.
–       Sì, grazie! – mi sorrise.
Scambiamo due chiacchiere e mi disse che studiava Sociologia. Alche, inarcando un sopracciglio, le mostrai il mio volto interrogativo. Non ho mai saputo bene cosa studiasse un sociologo… quindi glielo domandai e lei gentilmente me lo spiegò. Anche se il luogo per certi discorsi era il meno adatto, fu una spiegazione impeccabile. Purtroppo però, colpa del troppo alcol di quella sera, continuerà a restare una facoltà misteriosa per me, fino a quando non incontrerò qualcun altro che studi sociologia…

Da sobrio!

Su navi e per mari… (la nouvelle de Paris VI)

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23:00

Poggiammo le buste della spesa sul tavolo. Spesa però, era un termine inappropriato a descrivere tre buste piene di bottiglie di vino rosso. Eravamo stati al Monoprix, un negozio di cosmetici che aveva un supermercato nel piano interrato. Mi ricordava tanto il Billa di via Torino.
– Cosa mangiamo? Ops… scusate… what we eat? – chiesi vedendo Rafael che mi fissava.
– We have: eggs, bacon and a lot of spaghetti! – disse Antonio.
– Carbonara! –
– Cucino io… – disse mio cugino.
Alberto aveva già in mano la prima bottiglia di vino.
– Da quale cominciamo? Dal migliore o dal peggiore? – chiese.
– Dalla migliore è ovvio! Perché quando sei ubriaco puoi bere anche il peggior vino esistente! –
– Ah… anche tu sei di questa scuola di pensiero? –
– Sempre! Fin dagli anni del liceo… –
Alberto, quindi, prese una bottiglia di Bordeaux e la stappò con frenesia. Versò maldestramente il vino nei bicchieri che avevo disposto sul tavolo. Alcune gocce caddero in giro.
– Pardon… – disse Alberto.
Facemmo il primo brindisi della serata e trangugiai il liquido amarognolo. Aveva un buon sapore. Cercavo di paragonarlo a qualche vino italiano ma non me ne veniva in mente nessuno. Intanto Alberto aveva già riempito di nuovo i bicchieri. Sempre maldestramente e sempre costringendomi a pulire con la carta le gocce cadute prima che Antonio se ne accorgesse.
– Alla Francia! –
– E alle Francesi! – dicemmo in coro.
Dalla cucina si spandeva un invitante profumo. Il mio stomaco brontolava peggio di un motore a secco. Ciro si stava dando da fare. Non era facile cucinare mezzo chilo di spaghetti in una pentola media. Ogni tanto saltavano in giro pezzi di uovo e pancetta. Probabilmente, complice della distrazione generale, era il vino che, per volere di Alberto, scorreva a fiumi. Rafael osservava con il suo bicchiere mezzo pieno in mano. Ogni tanto commentava in inglese qualcosa. L’alcol sembrava non toccarlo. Al contrario io, ero già mezzo fuori. Stavo apparecchiando la tavola e i miei movimenti, anche se molto coordinati, erano stranamente lenti.
– È pronto! – disse Ciro poggiando pericolosamente la pentola incandescente a tavola.
Facemmo i piatti e ovviamente, anche il tavolo assunse lo stesso aspetto della cucina. E si poteva mai iniziare a mangiare senza un brindisi?
– Buon appetito! –
Di fianco a me era seduto Rafael. Lo strano economista-avvocato e chissà quant’altro. M’incuriosiva questo ragazzone di trent’anni… e quando una persona m’incuriosisce, la barriera della timidezza si dissolve.
– Rafael… It’s the first time in France? –
– Yes… my next step is Berlin… and then i will go in Italy! –
– In Italy? Where? –
– Florence and Rome! –
– Very good Cities! –
Aberto si alzò in piedi brandendo l’inseparabile bottiglia di vino. Ci rifornì tutti e incitò quelli che avevano ancora del vino nel bicchiere a finire, per poi riempirlo di nuovo.
Contando le bottiglie vuote e dividendole per i presenti, il risultato dava più di una bottiglia a testa. Ero dannatamente fuori. La vista iniziava a sfocarsi nel contorno e quella piacevole sensazione di abbandono volteggiava nella mente.
– Rafael! My Friend! – brindai con lui.
– Do you know same italian’s words? – gli chiesi.
– No… I don’t. –
– Well… I teach you something. When you will go in Rome and you will see a very beautiful girl… you must say “Anvedi che sorca!” repeat… –
– An..vedi… che.. sorca! – Disse Rafael con qualche incertezza. Tutti scoppiammo a ridere e il brasiliano ripetette quella frase fino allo sfinimento, sfinendo anche noi a suon di risate.
Istruii Rafael a dovere con un buon vocabolario da perfetto scaricatore di porto. Per tutta la cena non chiusi un attimo bocca; e più parolacce mi venivano in mente, e più gliene insegnavo, nelle diverse forme e sfumature. Era più divertente che insegnare le parolacce ad un bambino.

La cena finì e per fortuna del mio fegato, anche il vino. Era passata la mezzanotte quando, brilli, profumati e ben vestiti, uscimmo di casa. Cercavamo un posto dove andare a ballare e il Queen era perfetto. Era una discoteca non lontana da casa, posizionata lungo gli Champs. Il buttafuori nero ci fece passare senza troppi problemi e una volta dentro ci fiondammo in pista.
Andai a prendere un cocktail e persi di vista i ragazzi. Afferrai il mio Cubalibre e vagai alla ricerca di una faccia amica. Trovai Rafael che ballava in modo molto scoordinato e scattava foto a raffica con la sua compatta.
– Hi Friend! –
Mi sfoggiò un gran sorriso e lo presi a braccetto. Ci conoscevamo solo da un giorno ma a vederci, sembravamo due vecchi amici.
– Rafael, go di qua… –
La mente non capiva più e la lingua s’inceppava nelle parole. Parlavo un misto di italiano, inglese e francese, colorato di gesti esplicativi. Rafael, stranamente, mi capiva lo stesso. Salimmo delle scale che portavano ad un altro piano. C’era una sala fumatori dove la musica assordante stentava ad arrivare. Le orecchie ebbero un po’ di pace. Facemmo il giro della sala come due predatori che cercano la preda. Due ragazze stavano fumando ad un tavolino alto. Ci guardavano. Spinsi Rafael sotto il mio braccio in quella direzione.
– Hi girls! –
Le due ragazze si guardarono tra loro sorprese.
– Hello boys… – rispose una.
Rafael iniziò a presentarsi.
– My name is Rafael son de Brasil!
– My name is Chloé and she is Elise. –
Dai loro nomi capii che erano francesi e quando toccò a me parlare sfoggiai le mie nozioni.
– Je m’appelle Ciro… enchanté… –
Le ragazze sorrisero. Forse il mio francese non era male. Il problema era che le mie frasi si contavano sulle dita di una mano!
– Parle vous englais? –
– No… – mi risposero deluse.
Ma i più delusi eravamo noi. Comunicai la notizia a Rafael e con molta educazione, tagliammo la corda!
Rafael era molto simpatico. Scherzava, rideva, faceva battute. Adocchiava le ragazze e ballava qualsiasi canzone. Mi trovavo a mio agio con lui. Mi faceva da spalla ed io spalleggiavo lui quando ci provavamo con qualsiasi esponente del gentil sesso presente nella sala. Che figuracce a volte…
Girando e rigirando trovammo il resto del gruppo. Stavano ballando nei pressi di una specie di cubo alto. Una paio di ragazzi e ragazze ballavano lassù. E perché non dovevo esserci anche io con loro? Così da poter raccontare ai miei nipotini, di quando il nonno s’è reso ridicolo a Parigi?
Salii e cominciai a ballare con una tipa. Lei sembrava starci… un po’ meno il suo ragazzo. Scesi alla svelta. Tornai a ballare con gli amici. La musica era alta e gli effetti dell’alcol non accennavano a calare. Sentii delle note da lontano appena sussurrate. Erano note familiari. Una musica che sapeva di casa. Ci girammo tutti in direzione del Dj. Poi ci guardammo in faccia avendo inteso la canzone che stava cominciando. E abbracciandoci tutti come un quartetto stonato, iniziammo a cantare…
– Con teee… partirooo… –

 

 

 

Quel che succede a Rimini.. resta a Rimini! (Ricordi di Rimini 2004)

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Eravamo ubriachi, eravamo ciucchi e soprattutto eravamo in due. Io e Luca e le nostre corrispettive consorti di serata. Non avevo la più pallida idea di dove fossero finiti gli altri e sinceramente a quest’ora, non me ne fregava gran che. Eravamo di ritorno da una bellissima serata al Carnaby. Le Svizzere si erano molto divertite e anche noi insieme a loro. Avevamo ballato tutta la serata.. e tra strusciamenti e ammiccamenti vari, il gioco ormai era fatto. Le pedine erano in tavola.. e avevamo conquistato le due regine. Gli altri pedoni dei nostri amici se n’erano andati.. chissà dove.

Eravamo sulla strada parallela al lungomare.. la famosa strada piena di negozi e locali.

 

-Luca.. sai dove stiamo andando?- dissi da dietro abbracciato alla mia lei.

-Certo.. certo.. fidati di me.- rispose dando un altro bacio alla biondina.

 

Lo seguivo.. e mi fidavo di lui. Per me le strade erano tutte uguali.. e se non ci fosse stato lui non avrei saputo dove puntare il naso. Anche perché, come dicevo.. eravamo ubriachi. Un dettaglio da non trascurare nella notte di Rimini. E brilli come noi.. erano anche le nostre due Girls.

Ci fermammo per una piccola sosta su una panchina. Ne approfittammo per pomiciare un po’ con le ragazze. Io con la mia lei.. e Luca con la biondina. Sembrava strano. Non mi ero mai trovato in una situazione di così tanta complicità con un mio amico. Era bello, non solo il momento, anche sapere che dopo ne avremo potuto ridere e scherzare insieme quando saremo tornati alle nostre vite giù al sud.

Feci qualche foto. Luca non voleva.. ma non riusciva a dirmi di no.

-Ciro.. queste foto non le deve vedere nessuno! Capito? Deve restare tra me e te? Per sempre!-

 -Ok Luca.. quel che è successo sta sera.. resta a Rimini.. promesso.-

 

Sarebbe bello raccontare come in seguito trasgredii alla mia prima promessa seria che feci ad un amico. Ancora mi odia per questo.. e ancora me ne pento. Ma è tutt’altra storia. Ora siamo a Rimini e c’ho che ho da pentirmi, deve ancora accadere. Quanto amo i ricordi.

 

Raggiungemmo il nostro albergo. Erano le 4 passate e trovammo il nostro Motociclista mancato sul divano a guardare un film. Appena entrammo lui tornò alla sua postazione.

-Ragazzi..-

-Buona sera.. o buon giorno.. decida lei..- dissi.

-Senti.. noi vorremmo portare le ragazze in camera.. si può?-

-Bè.. servirebbero i documenti..-

Io e Luca ci guardammo.. poi guardammo le ragazze e gli chiedemmo se avevano le carte d’identità appresso. Loro ci dissero di no..

-Ragazzi mi spiace.. ma non posso farvi salire in camera..-

-Dannazione.. e ora come si fa?.-

Pensammo a qualche soluzione. Ma data l’ora.. e l’alcol.. le nostre meningi non sfornavano niente.

-Bè.. in alternativa ci sarebbe il tetto..-

-Il tetto?..-

-Si.. potete salire sul tetto..-

-Grande!-

 

L’ascensore scricchiolante ci portò fino in cima all’hotel Carolina. Era fantastico. Da quassù la vista era migliore di quella del balconcino della nostra stanza. Intorno c’erano cavi.. sbocchi dell’aria condizionata.. comignoli.. robaccia da buttare. Era un po’ uno di quei tetti che si vedono nei film americani. E questa infatti.. mi sembrava proprio la scena di un film.

Respiravo aria.. e con la testa sognavo. Avevo gli occhi chiusi ma m’immaginavo tutto. Le sue labbra erano morbide sopra le mie. E nonostante le nostre diversità culturali, ciò che più contava era sempre uguale. Ci capivamo nei movimenti, negli spostamenti della testa.. le braccia che s’intrecciavano.. i piedi accavallati.. e la mia lingua che danzava con la sua al ritmo di un lento walzer antico.

 

Aprii per un secondo gli occhi.. era già mattina. L’alba all’orizzonte era bellissima.. e solo a Rimini l’alba è sul mare e il tramonto sulle case. 

E sulle case c’eravamo noi.. e il sole dall’altra parte.. in lontananza.. sperduto e rossastro. Luca e la biondina lo stavano ammirando da un po’. Si voltò.. e vedendo che avevo interrotto le mie effusioni, mi disse che dovevamo andarcene. Di li a poco sarebbe partito il treno del ritorno a casa.

Guardai la mia lei.. e la salutai come se il giorno dopo ci saremmo rivisti ancora. Ma sapevo che non sarebbe stato così. Sapevo.

Ciò che non sapevo a diciassette anni era dire addio. Quella parola non la conoscevo ancora. Ero ancora troppo ingenuo da dubitare la pesantezza del passato che non tornerà mai più.

 

Io e Luca scendemmo in camera. I ragazzi erano già dentro.. e davanti alla porta ci demmo l’ultima complice occhiata.

 

Ciò che succede a Rimini.. deve restare a Rimini..

 

Cocktail.. (Ricordi di Rimini 2004)

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Ero affacciato al balcone e guardavo fuori appoggiato alla ringhiera con il mio bel cocktail in mano. Qualcosa non andava dentro di me. I miei occhi erano stanchi, desolati e un po’ incazzati. No.. il passato qui non doveva venire e fare il suo porco comodo. Non dovevo permettere ai miei ricordi di riaffiorare.. non qui.. non ora..

E il mio cuore batteva. Sentiva.. Calpestava ogni mio rifiuto.. e crudelmente mi rovinava ogni momento bello. Questa magica serata era partita un po’ così. Tra foglietti attaccati al muro e nuvole in certe stanze.. tra musiche da ballo e cocktail mal mischiati. Questa Rimini iniziava a prendere forma sotto i miei occhi. E lo strano mostro che stava diventando cominciava a combattere con il mio stupendo passato. Gridando di vivere.. perché la vita è questa qui. E non ce ne saranno altre belle o migliori. Comunque vada.. e comunque sia.. questa è la mia vita..

 

-Ciro che fai?.. Perché non entri?-

-Perché non venite voi qui fuori?..-

-Che è successo..- disse Mario avvicinandosi prima degli altri.

-Guarda giù..-

 

Pochi piani più in basso c’era un tizio in boxer che correva per la strada alla ricerca di qualcosa. Lo guardavamo come se stessimo guardando un film che ci piaceva tanto. A tratti ci sembrava quasi un’illusione. Un frutto perverso della nostra comune immaginazione che ci voleva tutti come lui.. ubriachi.. nudi.. in posti strani.

 

-Ehi tu!-

Il ragazzo biondino si girò verso di noi dopo aver raccolto un oggetto da terra.

Ci guardava sorpreso.. e sembrava non capire. Infatti era tedesco.

Mettemmo insieme un gruzzolo di gesti e parole inglesi per fargli capire di salire da noi nella camera 30. Lui ci fece un OK con la mano e venne da noi. Vestito.

 

-Hi guys!-

-Hi.. what’s your name?-

-Voevo..

-Voe.. che?

-Voevo..-

-Volvo? No quella è una macchina..-

-Vo.. e.. vo..-

-Mi dispiace.. ma non imparerò mai il tuo nome..- gli dissi..

-Voevo.. do you smoke?-

-Yes yes..-

-Smoke this..-

-oh.. very good..-

 

Dal sorriso del biondino si capiva che la roba nostrana piaceva molto anche all’estero. Sorseggiò anche qualche nostro rum.. gin.. vodka.. Il ragazzo insomma si era ambientato bene tra di noi. Anche se solo la metà di noi riusciva a dire bene il suo nome.

E mentre noi eravamo alle prese con lo strano tipo, l’intraprendente Pasquale era sul balcone che socializzava con delle ragazze dell’albergo di fronte.

 

-Ragazze! Venite da noi! Qui ci si diverte!-

 

Le ragazze ridevano tra di loro. Non capivano.. erano straniere anche loro. Accorgendoci della situazione che avveniva sul balcone, ci accostammo un po’ tutti alla ringhiera. Il folto gruppetto di ragazze parlava e ci indicava. Parlavamo in inglese cercando di farci capire.. fino a quando non intervenne il sorprendente Voevo che, intuendo che erano tedesche, blaterò qualcosa nella sua nordica lingua. Insomma.. le ragazze ci stavano. Vennero tutte nella nostra camera.

Ora.. gli ingredienti della serata c’erano tutti. Cosa poteva mancare? C’era la musica e vari diversivi, c’era l’alcol in vari miscugli, c’era un tipo strano che c’incuriosiva e ci faceva divertire.. e c’erano le donne.. L’immancabile elemento finale.

Guardavo la scena e ridevo. Guardavo la scena e vedevo il quadro completo. Bastava solo mescolare e agitare..

 

Rimini.. è un bel cocktail di vita.

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