Stavo per svenire… fortuna che quei ragazzi m’hanno tirato su…
– Parcheggiamo lì… no aspetta… anche lì c’è posto. –
– Che palle queste salite… la macchina non ce la fa! –
– Ecco… parcheggiamoci qua. –
Eravamo arrivati ad Ariano Irpino. Sani e salvi direi. I 60 chilometri erano volati tra una battuta e l’altra, un pezzo di musica e un sorso di vino. Eravamo lì e ci toccava solo trovare il luogo del concerto. Imboccammo un vicoletto e seguimmo delle persone che camminavano avanti a noi. É sempre stata un’ottima tecnica quella di seguire le persone. Perché la gente sa sempre dove andare.
– Ragazzi aspettatemi! –
Luca zoppicava visibilmente. S’era fatto male al piede in uno dei concerti dei giorni passati.
– Tutto bene Luca? – gli chiesi mentre lo aiutavo con una spalla.
– Certo! Tanto ci ho messo un chilo di Lasonil e una fasciatura ben stretta. Sono a posto!-
– Se lo dici tu! Non lo sforzare troppo però, stasera. –
– Ma cheee! Io mi devo divertì! –
– Se la metti così, inizia a camminare da solo! –
Scendemmo diverse scale fino ad arrivare a un largo spiazzo. C’era un sacco di gente. Appena sentimmo la musica, impazzimmo e ci mettemmo a correre nella direzione del concerto. Proprio come dei pazzi scatenati, zompettavamo a destra e sinistra come cavallette evitando persone e cose, fino a raggiungere la folla che si era formata sotto il palco.
La musica aumentava di ritmo e vivacità. Lo Ska era la base di tutte le canzoni di quella sera. Guardai Luca e i ragazzi. Non volevo perderli di vista. Ci mettemmo in cerchio e prendemmo le nostre bottigliette piene di vino.
– Facciamo un brindisi alla serata! – disse Andrea sistemandosi il cappello nero sulla testa.
Accostammo le bottigliette e il vino andò giù in una lunga sorsata.
L’aspro sapore m’inondò il palato. Scese velocemente nello stomaco come se fosse acqua fresca e la testa cominciò a girare. Vedevo tutto sfocato.
Un’altra sorsata…
La musica aumentava…
Shantel – Disko Partizani.
Gli strani violini e le fisarmoniche m’entrarono in testa. Sorridevo. Mi sentivo leggero come l’aria e ondeggiavo insieme alla folla.
Un’altra sorsata…
Non vedevo più i miei amici, chissà dov’erano finiti. Forse erano intorno a me e non riuscivo a vederli. La musica aumentava. La gente spingeva. Ero circondato da ragazze mal vestite e ragazzi rasta che cercavano di ballare.
Un’altra sorsata…
E questa era l’ultima. Gettai la bottiglia, chiusi gli occhi e cominciai a ballare. Lentamente mi avvicinai al palco. Lì c’era molta più gente e soprattutto partirono gli spintoni. Il cosiddetto “pogo”. Iniziai a ballare in tondo saltando al ritmo di musica. Mi scontravo con gli altri e gli altri si scontravano con me. Spallate… gomitate… spintoni… non si contavano. A un certo punto notai un tizio con una maglietta nera che si faceva strada facilmente tra la folla. Era William che, data la sua stazza, non aveva problemi a neutralizzare le mosse degli altri. Mi faceva ridere a crepapelle perché ballava imitando un pollo, come a voler sfidare tutti gli altri intorno a se.
Mi fermai un attimo per cercare con lo sguardo anche gli altri ma arrivò uno spintone fortissimo alle spalle. Caddi a terra. Scossi la testa e mi ripresi dalla botta. Per qualche secondo vidi a rallentatore tutti gli altri intorno a me ballare. Scarpe e gambe che si accalcavano. Sperai che nessuno mi colpisse ancora. Poi dei ragazzi mi tirarono su. Mi sorrisero e gli feci segno che andava tutto bene. Mi diedero una pacca sulla spalla e tutti insieme ricominciammo a ballare, come se fossimo un gruppo di amici affiatato. Stupendo… Ma cominciava a mancarmi l’aria. Il pogo si faceva leggermente più violento. Ero quasi al centro della benevola rissa. Ballando, cercavo di uscire dalla cerchia. Respiravo a fatica e mi mantenevo il petto con una mano. Il mio cuore sembrava impazzito. Finalmente fui fuori. Ma spuntò Luca davanti a me:
– Vai va!! – mi prese e mi buttò di nuovo al centro di tutto.
Cavolo pensai, ma ormai ero lì… e ripresi a ballare come un indemoniato. Chissà da dove mi veniva tutta quella energia. Non sentivo la stanchezza. Il mio corpo era come anestetizzato. Ballavo e mi divertivo. Sentivo la testa girare e la gente che spingeva da ogni lato. Ballavo in tondo… saltavo. Era una sensazione strana che mi piaceva. Mi sentivo vivo… e niente mi faceva più paura. Ritrovai tutti i miei amici. Erano intorno a me che ballavano e si dimenavano…
e dovevo ringraziare loro per avermi convinto a esser lì quella sera…
16
Apr
Anche perché… forse qualcosa poteva cambiare…
10 e mezza… mattina
Il sole era già alto nel cielo e la sua luce si diffondeva in tutta la stanza. La mia gentile madre si era presa l’accortezza di aprire le tapparelle prima di uscire per farmi svegliare. Dovrei ringraziarla qualche volta.
Mi alzai.
Era il giorno di pasqua e non c’era un’anima viva in tutta la casa. Wow… un silenzio mai udito: niente fratelli che si litigavano i vestiti, niente mamme che urlavano “È tardi!” e niente padri che ti svegliavano dandoti una pacca sulla fronte…
“Dio hai esaudito il mio desiderio… grazie” pensai mentre cercavo di infilare l’altra gamba nei miei jeans.
Capitava molto raramente che non ci fosse nessuno in casa e nella mia testa formicolavano pensieri di “mega party a sorpresa”.
“Se solo non fosse Pasqua!” pensai.
Ma riflettendoci, se non fosse stata Pasqua, avrei avuto nella casa la solita routine giornaliera.
Infatti quella mattina, la mia famiglia s’era alzata di buon ora per andare a casa dei nonni a Benevento. Lì, ogni anno e ogni pasqua, facevamo il solito pranzo di famiglia. Scusate, ho dimenticato di mettere l’aggettivo “noioso”. Perché l’idea di passare una giornata in compagnia dei miei parenti e dei miei cuginetti dispettosi non era delle più eccitanti. Meno male che c’era qualche zio che alzava un po’ la media con il suo sarcasmo d’altri tempi.
Spuuut!
Sputai nel lavandino il collutorio dopo aver finito di lavare i denti. Mi guardai allo specchio e dissi a me stesso: “in fin dei conti… oggi fai meno schifo del solito… naaa… è che non ho acceso la luce!”
Scesi e entrai nel mio “studio”, anche se questa parola è una delle meno adatte a descriverlo.
Giubbotto di pelle…
Telefonino…
Portafoglio…
Anello…
Ipod mini…
Uscii fuori. “Credo di aver preso tutto… Cazzo! Le chiavi di casa!!
Non per discolparmi ma le avevo dimenticate perché di solito non le usavo mai. Non chiudevo mai la porta di casa. Era sempre la mia attenta mammina a farlo.
Presi le chiavi e m’infilai in macchina. Attaccai il mio Ipod allo stereo e misi la casualità su qualche canzone di Ligabue. Iniziai a canticchiare qualcosa mentre guidavo verso Benevento.
In un quarto d’ora arrivai.
– No Ciro, mettila là la macchina… – mi disse mio nonno appena varcai il suo cancello.
– Ok nonno, va bene qui? –
– Si si… lasciala lì –
Scesi, entrai in cucina e feci il giro di auguri a tutti i parenti.
– Finalmente sei arrivato! – disse mia mamma appena mi vide.
– Mamma… mi sono svegliato subito dopo di voi… ma c’era un traffico incredibile che mi ha fatto fare tardi! – e tutti si misero a ridere sapendo che a pasqua, di norma, non c’è un anima viva in strada
– Che casino! Nonna… quando si mangia? –
-Né… Ciro, sei venuto qua solo per mangiare? – disse mia nonna facendo la finta arrabbiata incrociando le braccia sul petto.
– No, nonna, ma per chi mi hai preso! Non solo per mangiare, soprattutto per i regali! – dissi sorridendo maliziosamente alle zie.
Mio zio era intento a leggere il giornale. Vi giuro… che in vita mia non l’ho mai visto senza. Diceva tutte le volte che gli piaceva essere informato.
– We Cirùùù! – disse appena mi vide, – A 17 anni già tieni la patente? Con che l’hai presa, con i punti del latte? –
– Zio, sei rimasto un po’ indietro… la patente l’ho presa quando tu avevi ancora i capelli! –
– Ciro, quando zio aveva i capelli tu non ancora eri nato! – disse la zia che stava sciacquando l’insalata.
La cucina era un via vai di persone. C’era mia nonna, mia mamma e due zie che stavano preparando il pranzo per tutti. Il nonno invece, aiutato da mio cugino, stava sistemando la tavola e le sedie nel grande salone. Osservavo divertito quelle donne intente a cucinare.
La nonna era il capocuoco della situazione. Era lei a dirigere i lavori e a dare ordini su cosa fare.
– Ermì! basta con il sugo! Ne hai messo troppo! –
– Mà, lascia fare a me! Che viene buono! – disse mia madre.
– No, nonna non glielo permettere! Altrimenti dobbiamo buttare tutto e mangiarci pasta in bianco! – intervenni conoscendo le doti culinarie di mia madre.
– Dai che tua mamma sa cucinare! – la difese mia zia.
– Si, zia, il sabato sera, quando non gliene tiene e compriamo le pizze! –
– Come sei cattivo! La tratti sempre male a tua mamma! –
– No, zia! L’ho trattata fin troppo bene, certe volte quando porta le pizze a casa fa anche schiacciare il cartone! –
– Ciro smettila! – intervenne mia mamma irritata mentre girava la pasta.
Sorrisi e mi misi a sedere mettendo da parte il veleno per mia madre.
Finalmente ci mettemmo a tavola.
Avevo da una parte mio nonno e dall’altra mio zio. In fondo alla tavola c’erano tutti i cuginetti che stavano iniziando a litigarsi la bottiglia di Coca Cola.
S’iniziò quindi a mangiare e a chiacchierare cadendo sempre nei soliti discorsi. Guarda caso la scuola.
– Allora Ciro, dove te ne vai l’anno prossimo? –
– Beh, zio, sono ancora indeciso… ma credo sicuramente che me ne andrò via da questo posto… mi piacerebbe andare a studiare a Roma… o meglio a Milano. –
– Speriamo che vada tutto bene… e che riesci a prenderti questo pezzo di carta! –
– Zio… non serve nemmeno sperare! – risposi sicuro di me.
Dopo che tutti finirono il primo piatto la nonna servì il secondo e mio nonno, che aveva già avuto la sua porzione, disse:
– Marì… vedi che Ciro ne vuole ancora! – disse nonostante non avessi pronunciato parola e il mio piatto fosse ancora pieno. Quindi guardai in faccia mio nonno e capii dal suo occhiolino che il bis non era diretto a me ma a lui.
Sorrisi pensando alla nonna che cercava sempre di mantenere il nonno entro certi limiti a tavola.
– No no, non mi freghi ‘sta volta! – disse mia nonna che aveva capito tutto.
Sorrisi a mio nonno e continuai a mangiare.
Intanto il telegiornale alla tv spiegava l’esito delle ultime elezioni. Come al solito, zio seguiva attentamente le notizie cercando di far tacere tutti e alzando il volume della tv.
– Ciro… hai visto che roba? – disse zio riferendosi al minimo scarto di voti tra destra e sinistra.
– Per un paio di voti… al governo salirà quel deficiente che non si cambia un paio di occhiali da ottant’anni! –
– Zio, fosse solo questo… ho visto un’intervista in cui una giornalista gli chiedeva quanto pagasse di Ici sulla sua casa e lui non lo sapeva! –
– Chissà che villa tiene sto mangia soldi a tradimento… fa tanto il comunista ma sotto sotto ha più soldi di Berlusconi! –
– Ciruu… tu per chi hai votato? –
-Beh zio… lo sai che il voto è segreto! Comunque ti dico solo che ho cercato di evitare che l’Italia venisse governata da un gruppo incoerente di partiti che non riescono nemmeno a mettersi d’accordo tra di loro! –
Mio zio sorrise capendo almeno da quale parte fossi politicamente.
– Che schifo queste elezioni! Per 25 mila voti avremo 5 anni di confusione al governo! Non riusciranno a combinare niente! –
– 5 anni Zio? Secondo me tra un anno, un anno e mezzo andremo di nuovo a votare! Lo scarto è minimo e l’unione, per quanto possa chiamarsi così non è unita… prendi per esempio Bertinotti… e ho detto tutto… –
Continuammo a discutere di politica per una buona mezz’ora fino a quando non arrivò il dolce e il pranzo finì .
La tavola era sparecchiata e lo zio stava sfogliando un giornale di macchine mentre gli altri parlavano del più e del meno.
– Ciro, quale macchina ti vuoi comprare? –
– Non saprei… ma una bella Audi sarebbe l’ideale… –
– L’ideale per correre! Già con la Punto chissà come corri! – disse guardandomi con uno sguardo di rimprovero.
– Non sempre… – dissi sapendo che se avessi detto di si lui si sarebbe arrabbiato mentre se avessi detto di no, non ci avrebbe creduto, quindi quella risposta mi sembrava la più azzeccata.
Mio zio conosceva bene la mia macchina. Un tempo era sua. Poi la vendette a mio padre un paio di anni fa. Quindi sapeva bene fino a che limite poteva arrivare, ma non sapeva, che da quando era finita nelle mie mani, quali strane imprese ha dovuto affrontare. Già quando mio padre la portò dal gommista un po’ di tempo fa, quest’ultimo gli disse: – Ma che ci fate con sta macchina, le corse di rally?! Non ho mai visto delle gomme così usurate! – E poi il meccanico quando mi cambiò i braccetti: – Se questa macchina continuava a camminare in questo stato se ne sarebbe partita una ruota alla prima curva! – E poi il carrozziere quando mi aggiustò il paraurti: – Come cavolo hai fatto a sfondare il fendinebbia? Hai investito qualcuno? –
Per non parlare dell’elettrauto e di quello che mi ha sostituito il radiatore…
Ma queste sono tutt’altre storie… per fortuna passate… e chissà quante, ne verranno ancora…
Alla prossima..
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17 anni fa URL breve 4 commenti
My life
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