Fidati… (strane storie estive IV)

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Foto: la mia mano timbrata all’Ariano FolkFestival.

4:00 am

Triiiiiiii…. Triiiiiii…

Un cellulare squillava nella notte. La sua vibrazione muoveva leggermente i fili d’erba attorno a sé. Una mano timidamente lo prese. Osservò il nome…

– Pronto Ciro? – disse la persona sconosciuta.

– Si sono io, ma tu chi sei? –

Poco prima…

Tum..

No… stavolta non era il mio cuore ma la testa di Enzo che batteva sul finestrino a ogni scossone dell’auto. Anche William dormiva profondamente. Aveva la testa buttata all’indietro dato che la punto di Luca non aveva i poggiatesta.
Ero in mezzo a questi due e davanti c’erano Andrea e Luca.
– No gira di qua Andrea… – diceva luca cercando di far da navigatore.
– Lo so, Lo so! Invece  di rompere organizza una sigaretta! – rispose Andrea indicando il sacchetto del drum.

Tum..
Tum..
Mentre Luca rollava il tabacco, Andrea si mise le mani in tasca alla ricerca di qualcosa.
– Dove cazzo ho messo il cellulare? –
Si muoveva pericolosamente mentre guidava. Eravamo in autostrada e una mossa sbagliata sarebbe stata fatale. Oltretutto eravamo un po’ alticci dopo la serata al concerto.
– Cazzo il cellulare! Non lo trovo!! – esclamò Andrea.
– Rilassati… starà qui da qualche parte nella macchina! – disse Luca con in bocca il filtro.
– Ora provo a chiamarti…- dissi.
Il telefono squillava, ma in ma macchina non si sentiva nessuna “strana” suoneria.
Anche Luca si era messo a cercarlo dopo essersi acceso la sigaretta.
– Niente Andrea… bussa, ma non lo troviamo! Provo a chiamare di nuovo… –
Tuuu..

Tuuu..
Click..
– Pronto Ciro? –
– Si sono io, ma tu chi sei? –
– Ho trovato questo cellulare nel prato… –
– Grande! – disse Andrea che stava ascoltando la conversazione tra me è lo sconosciuto.
– Senti… come possiamo riprendercelo? –
– Allora… io sto in campeggio qui ad Ariano… –
– Digli che torniamo indietro a prenderlo… – disse Andrea senza nemmeno farlo finire di parlare.

– Ok… allora noi tra mezz’ora siamo di nuovo lì. Poi ti richiamo. – dissi allo sconosciuto.
– Cazzo! Mi sarà scivolato dalla tasca quando ci siamo stesi sul quel maledetto prato! –
– Già… ma ora come facciamo a tornare indietro? Siamo sull’autostrada! –
– Ora facciamo inversione da qualche parte!- disse Andrea.
-No! Sei un pazzo! – disse Enzo che, per l’occasione, si era svegliato.
– Tranquilli ragazzi! Fidatemi di me… –
Ero dubbioso… come tutto il resto della compagnia. A parte Willy che continuava a dormire.
– Ecco… ora mi giro! Fidatevi! Lo so! L’ho fatto già una volta!-
– Non lo fare Andrea! Ci faranno la multa! Oltre a, vabbè, tipo rischiare la vita… –
– No ma che sarà! Ci parlo io con il casellante!-
Mi trattenei dal fare commenti per non risultare sempre il solito rompiscatole. Un pochino però, mi fidavo di Andrea. Non so… ma stranamente lo reputavo una guida affidabile. Sarà stato l’alcol o forse perché accanto a lui c’era Luca, quindi anche un terrorista islamico mi sarebbe risultato affidabile.
Facemmo inversione in un punto aperto dell’autostrada. Avevamo percorso quasi metà del percorso verso casa e ora tornando indietro avremmo azzerato il tutto. Andrea continuava a dire di non preoccuparci, che si sistemava tutto lui.
Casello.
– Cazzo! C’è solo il coso automatico. – disse Andrea visibilmente preoccupato.
– Cazzo non si alza la sbarra! Non possiamo passare! –
– Spingi il bottone di aiuto! –
Andrea diede una botta sul grande bottone rosso. Dopo un po’ rispose un uomo di mezza età molto, ma molto, assonnato.
– Si? –
– Buona sera… senta… noi non riusciamo a uscire… abbiamo messo il biglietto ma la sbarra non si è alzata… –
– Ora controllo… – disse il signore dopo uno sbadiglio.
La megapalla era andata, ora bisognava aspettare.
– Ecco ragazzi. Ora vi stamperò uno scontrino. Prendetelo. –
La voce sembrava sicura. Lo scontrino usci e Andrea lo prese.
73 euro di multa per inversione in autostrada.
– Cristo! Richiamalo al volo! – disse Luca.

Click
– Sii? –
– Senta, abbiamo preso lo scontrino… ma dice che dobbiamo pagare 73 euro? –
– Ragazzi… voi avete fatto inversione sull’autostrada. E’ già tanto che vi è andata bene che non c’era una pattuglia. Domani andate a un Punto blu… e raccontategli che vi si è rotta la macchina o che avete avuto un problema… o che cazzo ne so! Forse non vi faranno pagare niente. –
– Ok… buonanotte… –
– Buonanotte! E basta con le cazzate stanotte! – Il tipo ci ammonì e attaccò bruscamente l’interfono. In macchina per qualche secondo regnò il silenzio. Oltrepassammo la sbarra che si era aperta e poi:
– L’avevo detto io! – disse Enzo – Sull’autostrada ste stronzate non si possono fare! –
– Dai ragà… non vi preoccupate… la pago io se si deve pagà. – rispose Andrea.
Io osservavo divertito i vari dibattiti che si stavano creando. La cosa bella era che non era la prima volta. In passato avevo già assistito a scene simili.
Perché erano fatti così… testardi fino al midollo. La prima regola che imparai in quel gruppo era che quando Luca diceva “Fidati” era l’ultima cosa da fare… ma da quel giorno la applicai anche ad Andrea.
Mezz’ora dopo arrivammo di nuovo al paesino, dove si era tenuto il concerto. Io e Luca scendemmo dalla macchina e cercammo questo tipo che aveva il cellulare di Andrea.
– Eccoli! – dissi puntando il dito nella direzione di un ragazzo che sembrava familiare.
Ci avvicinammo a passo svelto. Il ragazzo era lì con la sua ragazza… o quello che sembrava.
– Grazie ragazzi… ci avete salvato. – disse Luca.
– Figuratevi… noi eravamo lì sull’erba quando è squillato e l’ho preso… –
– Grazie ancora… buonanotte cumpà! –
– Buonanotte cumpà! –
Tornammo velocemente in macchina e dopo aver imprecato contro Andrea e avergli dato il cellulare partimmo a volo.
Sperando che la nottata non avesse in serbo altre sorprese…

– Ragazzi! Che ne dite di una spaghettata a casa di Luca? –

Ariano FolkFestival.. (strane storie estive III)

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Stavo per   svenire… fortuna che quei ragazzi m’hanno tirato su…

– Parcheggiamo lì… no aspetta… anche lì c’è posto. –
– Che palle queste salite… la macchina non ce la fa! –
– Ecco… parcheggiamoci qua. –
Eravamo arrivati ad Ariano Irpino. Sani e salvi direi. I 60 chilometri erano volati tra una battuta e l’altra, un pezzo di musica e un sorso di vino. Eravamo lì e ci toccava solo trovare il luogo del concerto. Imboccammo un vicoletto e seguimmo delle persone che camminavano avanti a noi. É sempre stata un’ottima tecnica quella di seguire le persone. Perché la gente sa sempre dove andare.
– Ragazzi aspettatemi! –
Luca zoppicava visibilmente. S’era fatto male al piede in uno dei concerti dei giorni passati.
– Tutto bene Luca? – gli chiesi mentre lo aiutavo con una spalla.
– Certo! Tanto ci ho messo un chilo di Lasonil e una fasciatura ben stretta. Sono a posto!-
– Se lo dici tu! Non lo sforzare troppo però, stasera. –
– Ma cheee! Io mi devo divertì! –
– Se la metti così, inizia a camminare da solo! –

Scendemmo diverse scale fino ad arrivare a un largo spiazzo. C’era un sacco di gente. Appena sentimmo la musica, impazzimmo e ci mettemmo a correre nella direzione del concerto. Proprio come dei pazzi scatenati, zompettavamo a destra e sinistra come cavallette evitando persone e cose, fino a raggiungere la folla che si era formata sotto il palco.

La musica aumentava di ritmo e vivacità. Lo Ska era la base di tutte le canzoni di quella sera. Guardai Luca e i ragazzi. Non volevo perderli di vista. Ci mettemmo in cerchio e prendemmo le nostre bottigliette piene di vino.
– Facciamo un brindisi alla serata! – disse Andrea sistemandosi il cappello nero sulla testa.
Accostammo le bottigliette e il vino andò giù in una lunga sorsata.
L’aspro sapore m’inondò il palato. Scese velocemente nello stomaco come se fosse acqua fresca e la testa cominciò a girare. Vedevo tutto sfocato.
Un’altra sorsata…
La musica aumentava…
Shantel – Disko Partizani.
Gli strani violini e le fisarmoniche m’entrarono in testa. Sorridevo. Mi sentivo leggero come l’aria e ondeggiavo insieme alla folla.
Un’altra sorsata…
Non vedevo più i miei amici, chissà dov’erano finiti. Forse erano intorno a me e non riuscivo a vederli. La musica aumentava. La gente spingeva. Ero circondato da ragazze mal vestite e ragazzi rasta che cercavano di ballare.
Un’altra sorsata…
E questa era l’ultima. Gettai la bottiglia, chiusi gli occhi e cominciai a ballare. Lentamente mi avvicinai al palco. Lì c’era molta più gente e soprattutto partirono gli spintoni. Il cosiddetto “pogo”. Iniziai a ballare in tondo saltando al ritmo di musica. Mi scontravo con gli altri e gli altri si scontravano con me. Spallate… gomitate… spintoni… non si contavano. A un certo punto notai un tizio con una maglietta nera che si faceva strada facilmente tra la folla. Era William che, data la sua stazza, non aveva problemi a neutralizzare le mosse degli altri. Mi faceva ridere a crepapelle perché ballava imitando un pollo, come a voler sfidare tutti gli altri intorno a se.
Mi fermai un attimo per cercare con lo sguardo anche gli altri ma arrivò uno spintone fortissimo alle spalle. Caddi a terra. Scossi la testa e mi ripresi dalla botta. Per qualche secondo vidi a rallentatore tutti gli altri intorno a me ballare. Scarpe e gambe che si accalcavano. Sperai che nessuno mi colpisse ancora. Poi dei ragazzi mi tirarono su. Mi sorrisero e gli feci segno che andava tutto bene. Mi diedero una pacca sulla spalla e tutti insieme ricominciammo a ballare, come se fossimo un gruppo di amici affiatato. Stupendo… Ma cominciava a mancarmi l’aria. Il pogo si faceva leggermente più violento. Ero quasi al centro della benevola rissa. Ballando, cercavo di uscire dalla cerchia. Respiravo a fatica e mi mantenevo il petto con una mano. Il mio cuore sembrava impazzito. Finalmente fui fuori. Ma spuntò Luca davanti a me:
– Vai va!! – mi prese e mi buttò di nuovo al centro di tutto.
Cavolo pensai, ma ormai ero lì… e ripresi a ballare come un indemoniato. Chissà da dove mi veniva tutta quella energia. Non sentivo la stanchezza. Il mio corpo era come anestetizzato. Ballavo e mi divertivo. Sentivo la testa girare e la gente che spingeva da ogni lato. Ballavo in tondo… saltavo. Era una sensazione strana che mi piaceva. Mi sentivo vivo… e niente mi faceva più paura. Ritrovai tutti i miei amici. Erano intorno a me che ballavano e si dimenavano…

e dovevo ringraziare loro per avermi convinto a esser lì quella sera…

Tutto a posto a ferragosto! (strane storie estive II)

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rischiammo  la vita diverse volte quella notte… (mai più guidare ubriachi!)

Notte…

La vecchia punto correva lungo l’autostrada Napoli-Bari. Eravamo noi 5: Enzo, William ed io dietro, Andrea e Luca davanti. Ovviamente, anche se la punto era di Luca, la guidava Andrea. Poiché tutti concordavamo sul fatto che Luca non avrebbe dovuto guidare nemmeno una bici con le rotelle. Anche Andrea però stava perdendo punti-fiducia dopo quella volta che spaccò lo specchietto della macchina per accendersi una  sigaretta. Però, era sempre meglio uno specchietto che un frontale con un’altra auto.
La musica era alta e Luca giocava con le manopole per scegliere la canzone giusta. Aveva fatto un cd zeppo di canzoni anni ’80, che dava al nostro viaggio un tocco di ritorno al passato.
Il tragitto era ancora lungo, la notte incalzava e il genio di turno decise di ammazzare il tempo con un bel bicchiere di vino. Allora, secondo voi, sarebbe stato possibile versare del vino da un recipiente di 5 litri in un bicchiere di plastica a bordo di una macchina sparata a 130 chilometri orari?
Ovviamente, se non si ha il potere di bloccare il tempo, no.
– Lucaaaaaaa!! – gridò all’improvviso il nostra autista scatenato.
– Jaaa.. Andrea scusa! Non l’ho fatto a posta! –
– Mi hai buttato tutto il vino addosso! Sei proprio uno Stronzo! –
– Dai, ora metto a posto. Vogliamo fare una cosa? Ci fermiamo a una piazzola… e organizziamo un grande brindisi! –
– Siii!! Vai va! Eccone una… ora accosto! –
E così… alle undici e mezza di notte, 5 scapestrati erano fermi in una piazzola di sosta dell’autostrada Napoli-Bari. Le macchine e i camion sfrecciavano alla nostra sinistra e speravo che la situazione non si facesse più pericolosa di quanto sembrasse.
– Ragà. Facciamo una cosa, travasiamo il vino nelle bottigliette dell’acqua! Cosi possiamo berlo meglio in macchina! –
– Si ma come facciamo? –
– Ci penso io! – disse Enzo. – Facciamo il buco ad un bicchiere e lo usiamo come imbuto! –
– Si! Ottimo! Proviamo… –
Mi limitavo a osservare insieme a William l’assurda impresa. Dubitavo molto della riuscita. Scherzando dissi a William che andavo a chiedere un imbuto al punto SoS.
A parte la battuta volevo vedere come erano fatti quei cosi. Non mi ero mai fermato in autostrada ed ero sempre stato curioso di vedere da vicino quegli affari gialli con la scritta SoS.
Tornando dai ragazzi vidi che erano ancora intenti a travasare il vino. Erano in cerchio e mi avvicinai per guardare dall’alto. Andrea versava mentre Luca manteneva la bottiglietta. Del rivoluzionario bicchiere-imbuto nemmeno l’ombra.
– Vedo che il sistema del bicchiere ha funzionato! – ironizzai.
– E’ tutta colpa dell’aria! – disse Enzo.
– Si, hai ragione Enzo, è sempre colpa di quella fottuta aria! – dissi dandogli una pacca sulla spalla.
– Assafà! Ce l’abbiamo fatta! Ora ci facciamo un bicchiere di vino a testa e ce ne andiamo! –
E con i bicchieri in mano e il sorriso sulle labbra brindammo al concerto che aspettava solo noi per cominciare.
– Tutto in un sorso! – urlò Luca.
E via…
Salimmo in macchina al volo. Andrea mise la freccia e tornò in carreggiata.
Le facce dei ragazzi erano felici… e stranamente lo ero anche io. La vera felicità, purtroppo, è una cosa che raramente riesco a provare… e dovevo ringraziare quei  ragazzi lì… che a volte fermavano il flusso continuo dei miei pensieri ansiosi.
Guardavo dal finestrino i fari delle macchine. Non capivo se eravamo noi ad andare veloce o loro. Non m’importava… il vino stava facendo effetto.
Finalmente…

Cuore Parte V

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E solo Dio sa quanto può far male..

Quando il cuore batte per conto suo. Quando se ne frega della vita e lascia stare i pensieri. Non posso far nulla per contrastarlo. Sono giorni difficili. Sono stanco e incapace di resistere. E’ una guerra già persa, quella con me stesso. Mi conosco troppo bene da saper di essere più forte.. anche quando dall’altra parte della barricata ci sono io.

E tutto è cambiato, non è più come prima..

La scenografia della mia terra è cambiata. La mia casa non sembra quasi più la stessa. Fatico anche a riconoscerla. E non perché sia ubriaco.

Eccola li… ma non mi fermo.

Voglio fare un altro giro. Un’altra folle corsa su questa strada.

E chi lo sa.. magari potrebbe essere l’ultima.

Tutti questi cambiamenti mi fanno pensare..

E se fossi cambiato anche io?

Se non ci fosse più quel Ciro di sempre che mi seguiva nelle imprese assurde.

Forse l’altra sera è stato solo un assaggio di pazzia, dettata da qualche regola ignota. Chissà a cosa pensavo mentre iniziavo quella corsa clandestina con Luca come mio avversario:

Gianni ed Enzo erano con me e si  coprivano gli occhi mentre saltavo qualche semaforo o mi affiancavo a Luca in una strada a doppio senso.

Lo riconosco. Con il suo sguardo beffardo e la sua mentalità sconosciuta, Luca.. è più pazzo di me. Ma a me manca poco. Un solo soffio e diventerò peggio di lui. Basta solo che il mio cuore batta un altro colpo fuori posto e il gioco sarà completo. Il mio quadro ben disegnato verrà macchiato e reso irriconoscibile. Così potrò buttar via la mia fredda razionalità per dar posto alla calda follia.

-No Ciro no!- Urlò Gianni..

Stavo per imboccare uno svincolo contro mano. Volevo superare Luca il prima possibile. Per fortuna non veniva nessuno. Questa notte poteva essere l’ultima per un bel po’ di persone.

.. e lo superai.. ma la soddisfazione non era abbastanza.

La corsa continuò..

Mai mettere due cuori irrequieti al comando di due macchine. Si sa già che poi va a finire così.

Ed ora come ora.. non riesco più ad affrontare i miei sensi di colpa. Sono tutti li a guardarmi e ridere di me. Devo scrollarmeli di dosso il prima possibile. Non posso continuare a far finta di niente e a mentire alla gente con un triste sorriso. E’ dura a volte non poter raccontare. Non poter dire di essere così fragile sotto questa corazza strafottente.

Cosa vuoi.. O mio cuore?

Invoco la tua calma..

Voglio la mia sicurezza.

Non voglio patire..

È così facile mettere a posto la mente e la coscienza non pensando.

Ma con te non ci riesco.

Cos’è?.. Che cos’hai?

Sono domande a cui so che non mi darai risposte..

Trattengo il respiro..

I tuoi battiti si fanno più intensi. Li sento e contandoli cerco di capire come sia fatto questo piccolo organo malinconico.

Tum tum..

Tum tum..

Sembra aver smesso.. Respiro..

E seduto su questa comoda poltrona batto le mie ultime parole di questa notte.. prima di affondare i miei occhi nella calda e tranquilla Combray.. dove Proust si dilettava a descrivere il suo piccolo mondo…

Alla prossima.. Lo spero..

 

Quel che succede a Rimini.. resta a Rimini! (Ricordi di Rimini 2004)

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Eravamo ubriachi, eravamo ciucchi e soprattutto eravamo in due. Io e Luca e le nostre corrispettive consorti di serata. Non avevo la più pallida idea di dove fossero finiti gli altri e sinceramente a quest’ora, non me ne fregava gran che. Eravamo di ritorno da una bellissima serata al Carnaby. Le Svizzere si erano molto divertite e anche noi insieme a loro. Avevamo ballato tutta la serata.. e tra strusciamenti e ammiccamenti vari, il gioco ormai era fatto. Le pedine erano in tavola.. e avevamo conquistato le due regine. Gli altri pedoni dei nostri amici se n’erano andati.. chissà dove.

Eravamo sulla strada parallela al lungomare.. la famosa strada piena di negozi e locali.

 

-Luca.. sai dove stiamo andando?- dissi da dietro abbracciato alla mia lei.

-Certo.. certo.. fidati di me.- rispose dando un altro bacio alla biondina.

 

Lo seguivo.. e mi fidavo di lui. Per me le strade erano tutte uguali.. e se non ci fosse stato lui non avrei saputo dove puntare il naso. Anche perché, come dicevo.. eravamo ubriachi. Un dettaglio da non trascurare nella notte di Rimini. E brilli come noi.. erano anche le nostre due Girls.

Ci fermammo per una piccola sosta su una panchina. Ne approfittammo per pomiciare un po’ con le ragazze. Io con la mia lei.. e Luca con la biondina. Sembrava strano. Non mi ero mai trovato in una situazione di così tanta complicità con un mio amico. Era bello, non solo il momento, anche sapere che dopo ne avremo potuto ridere e scherzare insieme quando saremo tornati alle nostre vite giù al sud.

Feci qualche foto. Luca non voleva.. ma non riusciva a dirmi di no.

-Ciro.. queste foto non le deve vedere nessuno! Capito? Deve restare tra me e te? Per sempre!-

 -Ok Luca.. quel che è successo sta sera.. resta a Rimini.. promesso.-

 

Sarebbe bello raccontare come in seguito trasgredii alla mia prima promessa seria che feci ad un amico. Ancora mi odia per questo.. e ancora me ne pento. Ma è tutt’altra storia. Ora siamo a Rimini e c’ho che ho da pentirmi, deve ancora accadere. Quanto amo i ricordi.

 

Raggiungemmo il nostro albergo. Erano le 4 passate e trovammo il nostro Motociclista mancato sul divano a guardare un film. Appena entrammo lui tornò alla sua postazione.

-Ragazzi..-

-Buona sera.. o buon giorno.. decida lei..- dissi.

-Senti.. noi vorremmo portare le ragazze in camera.. si può?-

-Bè.. servirebbero i documenti..-

Io e Luca ci guardammo.. poi guardammo le ragazze e gli chiedemmo se avevano le carte d’identità appresso. Loro ci dissero di no..

-Ragazzi mi spiace.. ma non posso farvi salire in camera..-

-Dannazione.. e ora come si fa?.-

Pensammo a qualche soluzione. Ma data l’ora.. e l’alcol.. le nostre meningi non sfornavano niente.

-Bè.. in alternativa ci sarebbe il tetto..-

-Il tetto?..-

-Si.. potete salire sul tetto..-

-Grande!-

 

L’ascensore scricchiolante ci portò fino in cima all’hotel Carolina. Era fantastico. Da quassù la vista era migliore di quella del balconcino della nostra stanza. Intorno c’erano cavi.. sbocchi dell’aria condizionata.. comignoli.. robaccia da buttare. Era un po’ uno di quei tetti che si vedono nei film americani. E questa infatti.. mi sembrava proprio la scena di un film.

Respiravo aria.. e con la testa sognavo. Avevo gli occhi chiusi ma m’immaginavo tutto. Le sue labbra erano morbide sopra le mie. E nonostante le nostre diversità culturali, ciò che più contava era sempre uguale. Ci capivamo nei movimenti, negli spostamenti della testa.. le braccia che s’intrecciavano.. i piedi accavallati.. e la mia lingua che danzava con la sua al ritmo di un lento walzer antico.

 

Aprii per un secondo gli occhi.. era già mattina. L’alba all’orizzonte era bellissima.. e solo a Rimini l’alba è sul mare e il tramonto sulle case. 

E sulle case c’eravamo noi.. e il sole dall’altra parte.. in lontananza.. sperduto e rossastro. Luca e la biondina lo stavano ammirando da un po’. Si voltò.. e vedendo che avevo interrotto le mie effusioni, mi disse che dovevamo andarcene. Di li a poco sarebbe partito il treno del ritorno a casa.

Guardai la mia lei.. e la salutai come se il giorno dopo ci saremmo rivisti ancora. Ma sapevo che non sarebbe stato così. Sapevo.

Ciò che non sapevo a diciassette anni era dire addio. Quella parola non la conoscevo ancora. Ero ancora troppo ingenuo da dubitare la pesantezza del passato che non tornerà mai più.

 

Io e Luca scendemmo in camera. I ragazzi erano già dentro.. e davanti alla porta ci demmo l’ultima complice occhiata.

 

Ciò che succede a Rimini.. deve restare a Rimini..

 

La sala fumatori (Livigno 2010 parte III)

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Ero fermo a questa fermata del bus di questa sconosciuta cittadina montana. Il freddo cominciava davvero a sentirsi. Dopotutto, ero a quasi 2000 metri d’altezza. Mi abbottonai meglio il giubbotto e presi dalla tasca il mio cellulare.

Prima che potessi chiamare, mi chiamò Luca.

– We Ciro! Sei arrivato o no? –

– Certo che sono arrivato! Venite a prendermi! –

– Ok… dicci dove sei! –

– Non lo so… –

– Daiii, dimmi cosa vedi intorno a te… –

– Beh… una strada… neve… altra neve… –

– Non fare lo scemo! Dimmi il nome di una via… di un bar… di qualcosa… –

– Non so, Luca… qua non vedo nessun nome… ah ecco, sono di fronte al negozio di Ralph Lauren… –

 

Dopo un po’ un furgoncino grigio sbucò da una strada laterale. Alla guida notai mio padre, a fianco mia madre e mio zio. Finalmente mi ricongiungevo con il gruppo dopo questo viaggio in solitaria. Il furgoncino si fermò. Luca mi aprì il grande portellone laterale. Salii velocemente a bordo mentre tutti mi salutavano. I miei fratelli mi fecero spazio dietro. Mia madre si girò per vedermi.

– Che hai fatto? – esclamò vedendo il mio aspetto.

– Niente, mamma… mi sono tagliato i capelli con la macchinetta. –

– Ma guarda questo. – disse, rassegnata.

Mio padre cercava, con qualche sforzo, di manovrare quel gigante trabiccolo, imprecando quando non entrava qualche marcia.

 Luca ed Enzo si voltarono verso di me.

– Tutto a posto Ci? –

– Sì sì… alla grande… –

– Ehhh, beato te… noi ci siamo fatti una notte insonne su ‘sto coso. –

All’appello mancava mio cugino Ciro. Mi girai intorno. Allungai il collo per vedere nei posti davanti e lo vidi tutto aggrovigliato tra coperte e cuscini che cercava di riposare. Doveva esser stato duro, questo viaggio di 10 ore.

Dopo poco arrivammo a “casa”. I ragazzi si sgranchirono le gambe mentre mio padre apriva il portellone posteriore per prendere i bagagli. A mano a mano salimmo tutte le valigie su in camera.

La casa era carina. Aveva un lungo corridoio centrale con ai due estremi una cucina e un bagno. Nel mezzo c’erano le porte che davano alle varie camere da letto.

Entrai nella prima camera e dissi:

– Mia! –

Ciro mi guardò ed entrò anche lui. Gli altri si sistemarono nelle camere restanti. Non mi dispiaceva dividere la stanza con mio cugino. Luca ed Enzo li conoscevo bene ormai. Abbiamo fatto tante di quelle cazzate insieme che ormai potremmo definirci anche fratelli. Invece Ciro, pur essendo mio cugino carnale e non “derivato” come Enzo e Luca, lo conoscevo ben poco. Lui aveva un’altra compagnia di amici e rare volte ci eravamo incrociati in quel di Montesarchio. Quando eravamo piccoli e mio nonno era ancora in vita ci vedevamo più spesso. La domenica sera si cenava tutti a casa mia. Il vecchio nonno Ciro era sempre a capotavola. Era grazie a lui che io e Ciro portavamo lo stesso nome.

– Ciro… tu dove ti vuoi mettere? –

– È uguale. Ma che sono ‘ste coperte? –

– Boh… dove sono le lenzuola?.. –

– Che mostro! Sono piumoni foderati. Praticamente non servono le lenzuola. Qua stanno proprio avanti… –

 

Ciro andò di là a divulgare l’eclatante scoperta che aveva fatto. Rimasi solo nella camera, tra le valigie sparse distrattamente. Mi avvicinai alla finestra. Il freddo vetro si appannava sotto i colpi del mio respiro. Fuori il paesaggio era incantevole. Sembrava finto. Come se fosse stampato su una di quelle cartoline da 30 centesimi. Sembrava così irreale… così magico. Non volevo lasciare tutto ciò. Ero appena arrivato e già pensavo a quando me ne sarei andato. Era come se la mia mente avesse già vissuto tutto. Come se avesse già visto quella soffice neve. E in un attimo ero già avanti… come se la valigia chiusa sul pavimento indicasse una partenza e non un arrivo. Lo so… dovevo ancora vivere quella vacanza e già pensavo alla sua fine. Solo perché… non avrei mai voluto andar via di lì…

Dannata malinconia…

 

Dalla porta irruppero Ciro, Luca ed Enzo ciarlando di qualche cazzata incomprensibile.

Ciro si buttò sul letto e infilò la testa sotto il cuscino dalla stanchezza. Luca mi scostò dalla finestra e la aprì. Tirò fuori dalla tasca il pacchetto di Camel Light.

– Ce la fumiamo? –

 

E da li in poi…

… la mia stanza diventò la sala fumatori dell’appartamento livignese.

 

 

Una storia disonesta.. (TorreSuda ’09) (I)

Erano le sette del mattino e mi trovavo davanti casa di Luca. Bussavo al citofono nell’attesa che qualcuno mi aprisse. Speravo che Luca si fosse alzato presto quella mattina. Non avevo voglia dei soliti ritardi e delle continue lamentele. Intanto mi godevo involontariamente la dolce aria del mattino. Limpida e fresca… totalmente diversa da quella che ero costretto a sentire a Milano. Respiravo a pieni polmoni e iniziavo a sentire anche un po’ freddo. Un ossimoro per il caldo agosto.
M’ero dimenticato cosa volesse dire svegliarsi così presto. In estate, le parole svegliarsi e presto scomparivano dalla mia mente. Vengono rimandate a settembre, come uno studente che non ha studiato.
E quel giorno ero lì a rispolverare quelle parole, davanti a un cancello, appena dopo l’alba. Finalmente arrivò Luca. Vestito come il giorno prima. Chissà se aveva dormito o no. Mi aprì il cancello e mi fece entrare senza fare troppo casino. Stava finendo di preparare le cose da portare. E mentre rovistava sulla scrivania perennemente in disordine gli chiesi:
– Allora? Preparato tutto? – chiesi.
– Si certo… controllo le ultime cose..  – rispose Luca distrattamente.
– Ho detto.. pre-pa-ra-to tutto? – dissi rimarcando la frase.
– Certo Ciro! Senza la benzina non si parte! –
– Ok… dov’è? –
– E’ in quella busta insieme alle cose da mangiare… –
– Bene… la mia busta è fuori insieme al borsone. Cerchiamo di sistemarle nella macchina prima che arrivi qualcuno a dar fastidio. –
Lasciato Luca alle sue ultime cose, uscii dalla porta d’ingresso e puntuale come un orologio svizzero mi ritrovai davanti il padre di Luca.
– Buongiorno… – dissi educatamente, mascherando un po’ di timore.
– Siamo in partenza? –
– Si… –
Involontariamente cercavo di evitare il suo sguardo. Come se avessi qualcosa da nascondere. Il che, in fondo poteva pur esser vero, ma di solito la mia coscienza se ne infischiava abbastanza.
Restai davanti alla macchina ad osservare i miei bagagli. Fremevo nell’attesa di metterli nel bagagliaio. Temevo che qualcuno potesse guardare in qualche busta e consigliarmi di non portare qualcosa dall’apparenza inutile.
Intanto rispondevo alle domande del padre di Luca cercando di non essere troppo sovrappensiero.
Dove andate… che strada fate… com’è la casa… chi deve venire… chiamate quando arrivate…
Delle sue domande quasi non ne potevo più. Così inventai una scusa e tornai dentro da Luca.
– …Dov’è il mio marsupio blu! – disse Luca disperato.
– Luca… datti una mossa! Tuo padre è lì fuori a rompere i coglioni! Se si mette a frugare nei bagagli è la fine! –
– Tienilo a bada! –
– E’ una parola… continua a fare domande! Dammi le chiavi della macchina. Che sistemo la roba. –
Sistemai il mio borsone nella macchina alla meglio. Nel frattempo arrivò Luca.
Il padre ci guardava poco distante.
– Luca mi raccomando… dovete andare piano… le ruote sono lisce. –
– Non ti preoccupare… andremo sugli ottanta all’ora. –
Non so perché ma quell’affermazione non mi convinceva molto. Dovevamo fare molta strada e se avessimo tenuto quella velocità non saremo mai arrivati. Sicuramente lo sapeva anche Luca e quella era una chiara menzogna per mitigare l’apprensione del padre.
Certamente, un po’ di timore di finire contro il guardrail in una curva un po’ troppo stretta, cominciava a salirmi. Luca non era di certo un ottimo guidatore. Ma tenni i miei pensieri per me perché finalmente salimmo in macchina.
Passammo a prendere Armando e c’incontrammo con l’altra macchina in cui c’erano Gabriele, Enzo, Francesca e Martina. Il viaggio poteva cominciare e con esso la nostra vacanza.
L’aria fresca mattutina stava svanendo. Il sole stava facendo il suo dovere. E dato che la macchina non aveva l’aria condizionata, i finestrini erano costantemente abbassati. Mi voltai dietro a vedere Armando. Era immerso nelle valigie.
– Armaaaa! tutto a posto? – disse Luca.
– Bene… se si potesse cambià musica. –
– Non ti preoccupà che verso le 10 e mezza inizia il festino anni ottanta. –
– Non vedo l’ora! –
Bob Dylan e la sua armonica, però, non erano male. Ci dava quel tocco di tranquillità che alla mattina, quando la mente è ancora per metà addormentata, serviva. Ci rilassava. Luca però di tranquillità ne aveva fin troppo.  Guidava la macchina come uno che stava giocando alla playstation. Ossia… senza molta cura per ciò che faceva.  Tanto nei videogiochi male che va si ricomincia.

– Ma guarda questi davanti se si muovono! Stanno andando pianissimo! Non ci riesco ad andare così piano… dammi il cellulare! – disse Luca, inveendo contro la macchina dei nostri amici davanti a noi.
Presi il cellulare e lo passai a Luca che, con violenza, lo prese e cercò il numero di Gabriele.
– Dammi qua! Ora li chiamo e gli dico che devono andare più veloce! –
Ma, proprio mentre Luca trafficava col cellulare distogliendo pericolosamente gli occhi dalla guida, sgranai gli occhi terrorizzato. Vidi dal suo finestrino un poliziotto in moto che aveva osservato tutta la scena. Avevo il cuore in gola.
– Luca… – dissi sottovoce.
– Aspetta… non trovo il numero! –
– LUCAA. – urlai.
– Che c’è! –
Luca guardò fuori e vide il poliziotto che proseguiva in moto a fianco a noi. Mi passò lentamente il cellulare e si mise a guidare come un guidatore qualunque. Mani alle dieci e dieci, occhi sulla strada… Osservavamo il poliziotto e ci accorgemmo che non era solo. Dietro di noi ce n’era un altro. Anch’egli in moto. Stava succedendo qualcosa. Avevo il cuore a tremila. Lo sentivo distintamente. Cercavo di non pensarci e di rimanere razionale. Attendevamo le mosse dei poliziotti come in una partita a scacchi in cui l’avversario ti mette in difficoltà. Eravamo in trappola. Se così si può definire. Avevamo un poliziotto dietro e uno davanti. Si stavano parlando con la radio. Chissà cosa si dicevano. Noi eravamo in silenzio. Luca aveva spento anche la radio. In ballo non c’era solo la solita multa ed io e Luca lo sapevamo bene. Armando invece non sospettava di niente e per questo se ne restava dietro tranquillamente tra valigie e buste varie. Quegli attimi sembravano infiniti.
Improvvisamente l’altro poliziotto si affiancò. Sbirciò dentro anche lui e diede un colpo di clacson. Quel rumore risuonò dentro di me come un colpo di pistola. Ormai avevo perso le speranze. Ma il poliziotto invece di fermarci accelerò e scomparve via con il suo collega.
Tirammo un sospiro di sollievo. Luca tornò nella sua posizione originale e accese la radio e la sigaretta. Cercai di far rallentare il mio cuore…
Il telefono squillò…
Risposi. Erano i nostri amici che avevano visto tutto dall’altra macchina.

– …Vi siete cagati sotto eh?! –
– Gabriele Vaffanculo! –

Monotonia… leggero tocco di libertà…

Monotonia Leggero Tocco di Libertà

Vita vita vita…

Sugli stessi passi mi trascinavo da giorni. Sulle stesse lunghe vie. Nella stessa grande città. Quella vita sembrava un gioco di specchi. Uno straordinario spettacolo d’illusioni che si ripetevano ogni giorno. Era difficile ammetterlo. Ma la vita in solitaria mi stava ustionando. “L’hai scelto tu”… mi dicevano… “ed ora vai… fino in fondo…”. Tre anni. Era quasi una prigionia. Io prigioniero delle mie scelte che dentro di me urlava di uscire. Era il Ciro delle bravate… delle notti bianche… e dal tasso alcolico sempre in salita. E lo reprimevo dentro. Perché avevo scelto la vita da bravo ragazzo. Avevo scelto di essere così: calmo, tranquillo e preciso. Ed ero prigioniero di quello stato… di quelle quattro mura e del suo interno. Prigioniero di libri incompresi e di appunti fugaci… di ore in metro e ore in uni… ore di semi libertà che come un prigioniero mi guadagnavo in settimana. Avevo la mente che scoppiava e la voglia di vivere nel sangue. Tremavo al solo pensiero della mia macchina che correva senza di me sulle strade… sulle mie strade. In quel posto che non aveva ancora perso il nome di “casa”. 

Ho messo via un bel po’ di cose diceva qualcuno. E chi conosce almeno un briciolo di me… sa per certo quanto io riesca a metter via le “cose”.

Dannati ricordi.. continuano a tornare… nonostante anche le mie recenti amnesie. Come si fa? Come si fa a dimenticare tutto?

Forse non era questa la strada… forse la strada era continuare a creare ricordi… in modo che gli altri non abbiano il tempo di ritornare. Già…

 

Aeroporto di Malpensa..

 

– Correte!! Su! Siamo in ritardo!! –

Il sole entrava dalle grandissime vetrate alla mia sinistra. I miei passi erano gli unici a sentirsi in quell’enorme edificio. Il mio zainetto traballava mentre correvo a perdifiato.

Guardai in alto il grande orologio digitale.

9.23

– Cazzo cazzo… siamo in ritardo!! –

Mi girai indietro e vidi che avevo distanziato di parecchio Luca e mio cugino Ciro. Li guardai per un istante come per dirgli “Dannazione muovetevi!” ma non sembravano aver inteso.

Continuavo a correre.

Alla mia sinistra scorrevano le insegne dei vari imbarchi…

D-09

D-10

Ci siamo quasi. D-12 eccolo. Ci sono. Arrivai al banco stremato. L’hostess e un tizio pelato mi guardarono allibiti.  – Dobbiamo imbarcarci… – dissi con un briciolo di fiato.

– Troppo tardi ragazzi… –

– No no… dobbiamo imbarcarci! – ripetei come se non mi avesse capito.

– Non si può più! Vede quell’aereo lì fuori… Il pilota sta già rollando… –

– Cazzo… –

In quel momento arrivarono anche i miei compagni. Videro la mia faccia e capirono all’istante.

– Ed ora che si fa? –

– Bè… ragazzi potete andare in biglietteria e vedere se vi cambiano il volo… – disse il tizio pelato.

Ci guardammo.

– Si… dai… torniamo indietro… –

– Che sfiga… vabbè… una volta nella vita bisogna perdere l’aereo… – disse Luca.

– Sai che bello se questo aereo cade e noi ci salviamo! –

– Già… come in Final Destination… –

– Metti che cade quello che prenderemo ora e quello no… – dissi io.

(Grattata scaramantica generale)

– Fermi fermi… guardiamo su questo schermo quando ci sarà il prossimo. Dunque.. Bari… Roma… Napoli… Ecco. 14.30. –

– Cavolo… così tardi… che facciamo fino a quell’ora? –

(Fruscio di vento stile deserto)

– Ok! Iniziamo col tornare in biglietteria. –

 

L’operazione in apparenza sembrava facile. In fondo dovevamo solo tornare sui nostri passi. Ma di ostacoli ne trovammo parecchi. Scale mobili a senso unico, tornelli, lunghi corridoi… quell’aeroporto sembrava costruito in modo che non si potesse più tornare indietro. Come se la perdita di un aereo fosse una cosa non concepita. Continuavamo a camminare. Lentamente questa volta. Dalla grande vetrata vedevo un aereo che stava partendo. Magari era il nostro… e fantasticavo sull’immenso spazio della pista d’atterraggio. Non sapevo perché ma m’incuriosiva. Era un gigantesco luogo… e tutto in confronto sembrava più piccolo. La prima volta che presi l’aereo non potetti ammirare tutto ciò. Perché arrivai a Milano che era notte fonda… e l’oscurità copriva il panorama. Ora invece la luce era ovunque e potevo ammirare quest’immensa realtà… fatta di aerei mastodontici, enormi sale d’aspetto, lucine intermittenti… e la torre controllo lontana…

Guardai avanti… i miei compagni di viaggio mi avevano distanziato. O forse ero io che avevo rallentato il passo. Eccoli lì… alla fine di quella fugace avventura durata 5 giorni. Tra litigi, battibecchi… e storie assurde…

Come quella sera che andammo a Cius… e che dopo tre giri di bionde invitammo la giovane cameriera ad alloggiare nel nostro albergo al parco della vittoria. Oppure quando nel ritorno a casa suonammo i campanelli di tutta Milano… come giovani adolescenti non contenti della loro età. Per non parlare delle passeggiate sui navigli alle tre di notte… quando ormai non c’era più nessuno… e tornare a casa era sempre un’impresa. Ma alla fine si ritornava sempre lì… dall’alto del mio balcone a fumare la solita sigaretta guardando la strada… e passare le notti insonne perché Luca, russava da Dio.

Ed ora li vedevo lì… che discutevano di non so quale discorso assurdo. E non sapevo cosa avrei fatto se loro non  fossero esistiti…

Non so cosa farei se loro, ogni tanto, non spazzassero via…

…quest’aria di malinconica monotonia…

 

Alla prossima ragazzi..

 

..Amnesia..

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Amnesia…
“Nel linguaggio medico, l’amnesia è una patologia carat-terizzata dalla parziale o totale perdita di eventi passati, è un disturbo collegato alla memoria.”
La stanza era fredda… immobile. Apparentemente vuota, fatta eccezione da quel ritmico respiro proveniente dal letto. Il sole faticava ad entrare attraverso i vetri appannati della porta del balcone. Le mensole… l’armadio… l’appendiabiti… Tutto sembrava nel giusto ordine mentre nell’aria regnava una sorta di foschia apparente. Quel tetro alone regalava allo spettatore più attento la sensazione di stranezza. Perché qualcosa non andava… anche se sembrava tutto normale…


Aprii gli occhi.
Ero nel mio letto.
Respiravo… o almeno ricordavo come si facesse.
Misi a fuoco e sbiancai nel vedere il soffitto della mia camera. La confusione cresceva nella mia testa e combatteva con il dolore lancinante che mi martellava la parte alta della testa. Assunsi una espressione dolorante e nel voltarmi scoprii che anche il collo aveva qualche problema. Ma a parte quei dolori, non riuscivo ancora a capire come mai mi trovassi lì. Ricordavo che ero ad una festa… ricordavo che mi stavo divertendo… e non ricordo più niente…
Iniziai a fare a cazzotti con la mente scavando a fondo nei ricordi. Niente. Vuoto totale.
Mi girai nel letto ma qualcosa mi tirava. Era il colletto della camicia abbottonato e troppo stretto. Sollevai le coperte e scoprii di essere completamente vestito. Jeans nero… Cintura… camicia nera a righe… e un calzino solo.
“Ahia la testa!” e riaffondai sul cuscino. Le domande si affollavano e le risposte si facevano complicate.
Perché ero vestito mentre il mio pigiama faceva bella mostra di se su un ripiano dell’armadio?  E soprattutto, perché avevo un calzino solo?!
Richiusi gli occhi. Un po’ per il dolore e un po’ perché credevo o almeno speravo, che si trattasse di un sogno mal riuscito.  Mi riaddormentai pensando che forse un po’ di riposo avrebbe sistemato le cose. Cercai di calmarmi. Forse in fondo non era successo niente. Probabilmente mi sarebbe tornata la memoria dopo qualche minuto… forse due… tre… quattro…
– La macchina!! – ricordavo di essere uscito con la macchina la sera prima e la parte in cui la riponevo nel garage mi era del tutto assente.
Mi alzai di botto e scoprii che anche la spalla mi doleva. Mi diressi verso il bagno. Abbattuto, stordito. Quasi mentalmente assente. Mi affrettai ad andare alla finestra che dava sul cortile. Sul vialetto c’era la Ford Focus con mio padre e mio nonno intenti a fare chissà cosa. Non riuscivo a vedere bene. Andai allo specchio. “Almeno la mia faccia è rimasta quella di sempre” pensai, e cercai di ristabilirmi un po’ sciacquandomi il volto. Ma non servì a niente. Uscii dal bagno e percorsi il corridoio con una mano che strusciava contro il muro, come i ciechi che cercano di orientarsi in una casa che non è la propria. Vidi le scale. Mi sembravano altissime… silenziose… quasi innocue. Feci il primo passo come colui che si appresta ad entrare in un mare di acqua gelata. I sensi ormai sembravano tutti ingannarmi. La vista si annebbiava ondulando le cose, creando facili squilibri. L’udito manteneva perennemente quell’irritante sibilo dovuto forse alla musica troppo alta della sera precedente. Continuai a scendere quelle scale reggendomi alla ringhiera. Un po’ come faceva mia nonna quando doveva salire al piano superiore. Arrivai giù. Al primo piano c’era la cucina dove mia mamma aveva sicuramente preparato il pranzo. Solo che  non riuscivo a sentire nessun profumo dato che anche l’olfatto era andato a farsi fottere. Guardai il grande orologio che faceva capolino all’entrata nella cucina. Erano le 2:30. Un po’ troppo tardi per mangiare. Mia mamma mi sbucò da dietro portando una pentola con due mani. – Finalmente ti sei svegliato! – mi disse… con un tono di leggero rimprovero.
Non risposi. Non sapevo cosa dire. Mi limitai a seguirla con lo sguardo nelle sue faccende.
All’improvviso mio padre entrò nella cucina. Dal viso e da come aveva sbattuto la porta sembrava abbastanza adirato. – Che cavolo avete fatto ieri sera?!? Chi è che ha ridotto così la Ford?? –
Il cuore mi batteva… cercavo una risposta… invano. – Perché? Che è successo? – dissi.
– La macchina è sudicia… cenere ovunque… e qualcuno ci ha vomitato dentro! Chi è stato?? –
Spalancai gli occhi alle parole di mio padre. Terrorizzato al pensiero che avesse rovistato dappertutto. Dovevo correre fuori. Nella macchina c’erano cose che mio padre non doveva nemmeno immaginare. Tra cui, un ignaro e innocuo “pacchetto di fazzoletti”. Così cercai di divincolarmi dalle domande con risposte vaghe del tipo “abbiamo un po’ esagerato ieri sera”, “Enzo è stato male e non è riuscito a trattenersi…” anche se non ne avevo la più pallida idea. Scesi nel cortile e andai verso la macchina. Mio nonno era ancora lì con in mano un tappetino. Lo salutai e gli feci gli auguri. Aspettai un suo momento di distrazione per intrufolarmi in uno sportello. Guardai in giro cercando di metterci la massima attenzione. All’apparenza quel pacchetto sembrava scomparso. Cercai nel portaoggetti… sotto i sedili… tra i pedali. Niente… Il cuore mi si riempì di terrore. “Se l’ha trovato mio padre sono casini grossi”. Niente… non c’era. Dovevo smettere la mia ricerca perché stavo dando troppo nell’occhio. Mi alzai con un viso sbiancato e rientrai in cucina. Continuavo a pensare a mio padre che stava progettando  la scenata da farmi… che all’improvviso avrebbe detto “vieni qui che dobbiamo parlare” con quel volto serio con cui solo poche volte l’ho visto.
“Dannazione non ci voleva!”
Se andava come sospettavo… ero nei guai. E per di più, la testa continuava a girarmi. I segnali del cervello sembravano correre a tratti lungo il mio corpo. Mi serviva un po’ di riposo… o forse qualche altra cosa. Tornai in camera da letto evitando il più possibile i miei genitori. Mi ributtai nel letto e appena chiusi gli occhi… Strane costellazione si facevano beffe della mia vista. Tutto girava e nel mezzo, nel preciso centro di tutto, c’ero io. Il mio corpo, me stesso. Mi guardavo dal di fuori come uno specchio irreale. Sogno e realtà si fondevano creando mistiche illusioni. “Vieni da me… Vieni da me…” mi sussurrava il mio alter ego dall’altra parte dello specchio. Non rispondevo… avevo  il respiro affannato. Eppure non avevo fatto sforzi… non avevo mosso nessuno dei miei muscoli. Mi sedetti per terra… ed appoggiai una mano allo specchio. Dall’altra parte, l’immagine di me stesso, rideva di me e l’eco della sua risata rimbombava in ogni dove… Resistevo… Resistevo mentre la testa compieva strani viaggi e tutto continuava a girare…
Sentii delle voci. Colpi battuti su una porta in legno…
toc  toc…
toc toc…
e poi di nuovo le voci… ridevano… Dicevano qualcosa in sottovoce. Nominavano il mio nome…
Ciro?
Ciro!

Sembravano le voci dei miei amici che mi chiamavano. Erano entrati nella mia stanza e cercavano di svegliarmi. Mi scuotevano… Ciro!
– Cazzo questo non si sveglia! –
Aprii gli occhi…
Vidi i volti di Enzo e Luca che mi guardavano in silenzio.
– E se non si riprende? – chiese Enzo a Luca.
– Secondo me è rimasto scemo… –

– Ehi… che volete? Idioti! – risposi con un po’ d’incertezza.
– Ciro, tutto a posto? – mi chiese Luca, un po’ preoccupato.
– Si, tutto a posto… – dissi strascicando le parole.
– La testa non ti fa male? – disse Enzo ridendo.
– Si un po’ si… –
– Solo un po’!? –
– Si… solo un po’… –
– No, perché ieri hai preso tante di quelle testate… –
– Ieri? Ragazzi io non ricordo niente… –
Enzo e Luca si guardarono in faccia e iniziarono a ridere.
– Quindi non ricordi proprio niente? –
– Niente… vuoto totale. –
– Nemmeno quando sei saltato sulla tua macchina e hai iniziato a pulire il vetro con la tua giacca? –
Sgranai gli occhi, la mia giacca!.
– Non è possibile dai ragazzi non prendetemi in giro… –
– Certo che è possibile… guarda! –
Luca prese la giacca nera che era disordinatamente appoggiata sulla sedia e me la mostrò. Sporchissima, sudicia e tre lunghi squarci la percorrevano sulla schiena.
– Porc… – dissi. La mia giacca da 250 euro era ridotta uno straccio. Era praticamente da buttare… anzi da bruciare. Non capivo più niente. Che cosa era successo? Che cosa avevo fatto? mi chiedevo continuando a fissare la giacca.
– Cavolo se la vede mia mamma mi uccide! Dannazione! Devo nasconderla… almeno per il momento. –
– Dai ora alzati che usciamo. – disse Luca.
– Ok… forse è meglio… –
Mi alzai dal letto.. Mi guardai i piedi. Anche loro mi guardarono i piedi.
– Ragazzi, mi sapete dire perché diavolo ho un calzino solo? –
E risero di gusto… come se avessi fatto la più splendida delle battute.

– Vieni che fra poco ti racconteremo tutte
le disavventure che ci hai fatto passare ieri notte… –

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