Seicentoventi (IV)

Aci Pra foto

Tii Tiii Tiii

La sveglia suonò tentando di svegliare un cuore già sveglio.
I miei occhi fissavano il vuoto già da un po’. Guardai il mio Casio al polso e mi alzai all’istante. Mi cambiai mentre mangiavo qualcosa. Poi afferrai ogni documento utile e lo infilai nel borsello. Feci tutto di corsa, ma quando fui davanti alla porta d’ingresso, mi voltai indietro a guardare la stanza, sospirai pensando a ciò che stavo per combinare. Timidamente qualche senso di colpa si fece sentire. Poi subentrò l’istinto che, con una mazzata, uccise ogni cosa, e i miei occhi tornarono a scintillare.

Mezz’ora dopo ero in una parte imprecisata di Milano. Guardavo con ansia l’orologio. Alle dieci avevo l’appuntamento con Massimo. Dovevo portargli i soldi per la moto, che, al momento, non avevo. Attendevo la persona che doveva occuparsi di ciò.

–       Alla buon ora! – dissi.
–       Senti! Già è tanto che ti faccio questo piacere! Non ti lamentare! – sorrise.
–       Allora! Li hai portati? – dissi, sentendomi un tossico in crisi d’astinenza.
–       Certo! E’ tutto in questa busta! –
Afferrai la busta e scambiai un’occhiata seria. – Ci sono tutti? –
–       Sì, ci sono tutti… –

Trenta secondi dopo ero in metro. L’adrenalina saliva. Avevo un borsello pieno di soldi e documenti. Mi sentivo diverso dal normale, come se avessi avuto gli occhi di tutti puntati addosso. Dopo qualche fermata uscii e, a passo svelto, mi diressi verso casa. Il luogo dell’incontro era proprio lì.

Massimo non c’era ancora. La strada era piena di vita come tutte le mattine milanesi che si rispettino. Mi fermai davanti casa. La portinaia mi salutò con un sorriso. Avrei voluto prendere un caffè da Rocco, ma avevo paura ad allontanarmi e non incrociare Massimo.
Tutto questo per lei… quella fantastica Ducati Monster 620.
Sospirai e udii un rombo di marmitte provenire da lontano. Aguzzai lo sguardo e sorrisi.
Massimo arrivò, fermandosi davanti a me. Scese e, togliendosi il casco, mi mostro la sua folta chioma bianca. Subito il mio sguardo ricadde sulla moto e il mio cuore mi confermò che non era stato un colpo di fulmine di una sera, ma amore puro. Infatti, la voglia di averla crebbe ancora di più.
–       Ciao Ciro! –
–       Salve signor Massimo. –
Scambiammo i soliti convenevoli e andammo al PRA di Milano. Firmai un mucchio di fogli che non avevo mai visto in vita mia. Gli diedi la somma pattuita e lui le chiavi. Infine ci salutammo.

Tornai da solo a casa. La moto era ancora lì ad aspettarmi. In una mano avevo le chiavi e nell’altra l’atto di proprietà ma non avevo ancora realizzato che quella moto fosse mia. La vedevo come una ragazza sconosciuta di cui sapevo solo il nome. Mi sentivo in dovere di prendere confidenza con lei.

Scese la notte e Milano si addormento.
Tutti eccetto me. Andai da lei, giù al palazzo. Con una mano sfiorai il serbatoio. Toccai una manopola e poi la sella. “Pensa! Non le sono ancora montato su!”
In realtà avevo paura. Era la mia prima volta (tanto per fare una scontata similitudine)
La moto era sul cavalletto. Alzai una gamba e salii. Impugnai le manopole.
“Wow”
Respirai a pieni polmoni quella sensazione di libertà.
Girai la chiave e con ansia l’accesi.
Misi a folle e lasciai lentamente la frizione. La moto era ferma ma accesa. Produceva un rumore bellissimo.
Era fantastica.
Accarezzai il serbatoio.
“Faremo grandi cose insieme… ma prima… dovrò imparare a guidarti!”
 

 

 

 

 

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FINE

(continua…   Parte V)

Seicentoventi (III)

Libretto Ducati monster 620

3.

Tornai in casa con un unico pensiero: ottenere quella moto!
Il problema era racimolare i soldi necessari in contanti per il giorno dopo.
Erano le 22 di un venerdì…

Mi fiondai sulla poltroncina e accesi il pc. Aprii tutti i siti delle banche in cui avevo un conto. Sapevo già che molti di loro erano praticamente vuoti, ma non si sa mai…
– Vuoto… Vuoto… Uh! 100€ fantastico! Vuoto… vuoto… –
Chiusi tutto demoralizzato. Il sogno si stava lentamente allontanando da me.
Guardai un grafico ancora attaccato al muro e ricordai che avevo da parte delle azioni in un conto investimento. Non erano molte, ma forse, spremendole come delle arance, poteva uscire qualcosa. Guardai il calendario che, attentamente mi ricordava che il giorno successivo era un sabato.
–       Merda… la borsa è chiusa di sabato! –
Avrei dovuto attendere Lunedì per sbloccare quei soldi. Ma lunedì sarebbe stato troppo tardi e quella moto sarebbe finita chissà dove. Non dovevo permetterlo. Certo… avrei potuto trovare altre moto… magari più belle. Ma quella lì, non so per quale strana ragione mi aveva colpito. Ero rimasto estasiato e affascinato da quel non so cosa di misterioso. Si vedeva che era una moto che aveva vissuto parecchio. Una vera dura che aveva visto più strade di me. Aveva vissuto chissà quante storie… e le storie, si sa, che mi piacciono un sacco.
“Cosa posso fare?” mi chiesi riguardando la foto che le avevo scattato.
Mi buttai sul letto distrutto. Il mio sogno, piano piano, sembrava dileguarsi sopra di me mentre il gin mi faceva compagnia.

mezzanotte

Aprii gli occhi di colpo. La testa mi girava da un po’. Guadai il cellulare distratto e uscii sul balcone a prendere un po’ d’aria. Era notte e in strada alcuni ragazzi facevano baccano visibilmente ubriachi. Sorrisi e subito dopo mi venne in mente un’idea.
Afferrai il cellulare e composi un numero. Mentre bussava, cercavo le parole giuste da dire.
–       Pronto Ciro! –
–       ****** dove cavolo sei?! C’è una musica assordante! –
–       Cosa? Ah sì! Sono a un concerto! –
–       Sì, chissenefrega… ascolta, mi serve un favore importante… anzi! Importantissimo! –
–       Vita o morte? –
–       Più o meno… mi servono 1800€… –
–       ahahhahhahhahahhaha –
–       Suuu non ridere! Sono serio! –
–       Mannaggia a te! A cosa ti servono! Anzi no! Non lo voglio sapere! –
–       Meglio! Altrimenti non me li daresti! –
–       E chi ti dice che te li do! –
–       Poche storie! Mi servono domattina… in contanti… prima delle dieci! –
–       Tu… non… stai… bene! –
–       Era un sì? –
–       Ahhhh…. Vai a dormire Ciro… ci vediamo domani… –

 

 continua…

Seicentoventi (II)

Quadro Ducati Monster 620 s2-2

2.

Cosa sto facendo?
Mi chiesi appena dopo aver spento il telefonino.
Guarda che questa è roba grossa! Non te la caverai mica con la solita ramanzina!
La mia coscienza continuava a tormentarmi così la annacquai con un paio di Gin lemon.
Purtroppo però, aveva ragione. Non avevo mai fatto, in vita mia, una cazzata più grossa di quella che stavo per fare.
Stavo… per… fare…
Giusto! Non ho ancora fatto niente! Ho solo chiamato un tizio e fissato un appuntamento! Mandai giù un altro Gin lemon mentre la notte avanzava e, con essa, anche l’ora dell’incontro.

Tiiiiiiii Tiiiiiii Tiiiiiiii
Una sveglia mi destò. Mi alzai assonnato dal letto. Mi ero addormentato e il pomeriggio era volato in un lampo. Erano le 9 e dovevo incontrare il tizio dell’annuncio.
Mi vestii alla meglio e scesi giù al palazzo.
Il tizio non era ancora arrivato
Mi sedetti sul gradino del portone a fissare le auto che passavano davanti a me. Ogni faro che vedevo cercavo di capire se fosse lui. Ero in ansia.
Dalla voce questo “Massimo” mi sembrava tutt’altro che giovane. Un uomo maturo e sicuramente, uno di quei classici milanesi perfezionisti.
Stranamente mi aveva preso molto sul serio nella mia chiamata. Lo dico perché io mi sarei mandato a cagare.
Mentre guardavo la strada con occhi sognanti, sentii un rombo di motori. Una moto frenò davanti casa e, con una rapida manovra, svoltò sul marciapiede, poco distante da me.
In tutta questa operazione mi ero perso tutti i dettagli. Nella mia mente c’era solo qualcosa di grigio e nero che si muoveva, una luce e un forte rumore.
Il motociclista era coperto da capo a piedi. Giubbotto di pelle, guanti, scarpe… tutto rigorosamente nero. Riuscii a intravedere solo gli occhi, quando si alzò la visiera…
–       Ciro? – mi domandò quell’uomo.
–       Sì, sono io… – risposi quasi meccanicamente.
Spense il motore girando la chiave e solo a quel punto mi accorsi della meraviglia che era sotto di lui a meno di un metro da me.
Guardai le ruote Pirelli diablo, i dischi freno brembo, il classico fanale rotondo, il telaio intrecciato a vista, il grosso serbatoio grigio e il carbonio… quanto cavolo di carbonio c’era su?
Massimo si tolse il casco e mi porse la mano. Ci vollero due o tre secondi per riprendermi.
Sistemò la moto sul cavalletto e iniziò a sciorinare tutti i pregi e i piccoli difetti della moto che stava vendendo. Io ero in trance… Il mio cuore batteva come quando inviti una ragazza al primo appuntamento. Mi abbassai a guardare le marmitte. Perfette, aveva montato quelle di una 692. Erano più belle e discrete di quelle originali. Controllai i dischi della frizione dal piccolo oblò. Controllai l’olio… il manubrio…
–       Gli specchietti non sono quelli originali… – disse.
–       Sì, vedo… – risposi senza nemmeno voltarmi verso di lui.
–       Ho montato i dischi di una 692… ho aggiunto il puntale… – e bla.. bla.. bla..
–       Sì… – rispondevo a monosillabi ormai, mentre restavo accovacciato accanto alla moto.
Non c’era più tempo da perdere ormai. Mi ero innamorato. La volevo!
Mi alzai di scatto e fissai Massimo negli occhi. Da bravo milanese non si fermava un attimo, continuava a descrivere particolari. Cercai d’interromperlo.
–       Ascolta Massimo. Mi racconterai un’altra volta dove hai comprato le viti per fissare il manubrio… Non voglio sapere più niente… La voglio! Dimmi cosa devo fare… –
Massimo fece un sospiro prima di parlare.
–       Ciro, domani a mezzogiorno devo consegnarla a un concessionario. Devo venderla perché ho già ordinato un’altra moto e, o consegno lei o consegno i soldi… sai come funziona… –
–       Già… ma io la prendo! Stanne certo! –
–       Sì… ma dobbiamo finalizzare tutto domani, compreso il pagamento. – precisò Massimo.
–       Certo… come scritto nell’annuncio? – dissi.
–       Sì, 1800€ –
–       Non ti preoccupare Massimo… domani mattina avrai i tuoi soldi! –
Massimo sorrise, indossò il casco, salì in moto e partì più veloce di com’era arrivato.
Lo seguii con lo sguardo fino a perderlo nel vuoto.
Tornai a sedermi sul gradino del portone. Incrociai le gambe e pensai…
– Dove cazzo li trovo tutti quei soldi in contanti entro domani? –

 

continua…

Seicentoventi (I)

Chiavi Ducati Monster 620

1.

 

La pallina rossa volteggiava nell’aria per poi finire nella mia mano. Girovagavo per la stanza pensieroso. Ero a Milano da pochi giorni e già sentivo il peso della solitudine sulle spalle. L’estate era finita, e, bene o male, qualche cosa di divertente s’era pur rimediato.
Mi sedetti a gambe incrociate per terra continuando a far rimbalzare la pallina sul pavimento.
Non mi sentivo soddisfatto. Avevo gli occhi spenti e l’anima che pulsava come una tenera fiammella al vento, invece di ardere di passione come il suo solito. Avevo una strana angoscia interiore che cercavo di debellare.
Voglia di vivere zero.
Voglia di pensare tantissima.
Guardai le pareti della mia stanza. L’avevo tassellata di fogli appiccicati con lo scotch. Grafici di borsa, tecniche d’investimento, notizie economiche importanti…
Il mondo della borsa mi ha sempre affascinato. E’ un mondo che studio da quando avevo diciotto anni. Cominciò come un gioco e poi cominciò a piacermi giocare con i soldi. Purtroppo in questa società devi rispettare le regole e le regole dicono che devi avere una laurea per far capire agli altri quello che già sai fare. Mi avvicinai a una parete. Era affisso un vecchio grafico dell’andamento del petrolio. Sorrisi nel vedere la quotazione del 2007 prima della crisi. Non ci voleva un genio per prevedere tutto il casino che abbiamo vissuto. Purtroppo nessuno guarda i grafici… sappiamo solo lamentarci!
Afferrai quel foglio e lo strappai dal muro. Strappai anche quello a fianco e l’altro ancora.
Maledetto tempo… ne avessi un po’ di più…
Quell’anno mi ero deciso ad abbandonare la borsa per dedicare più tempo ai miei esami universitari.
Tristezza…
Mi buttai sul letto, circondato dalla miriade di fogli che avevo strappato dai muri.
La mia vita doveva cambiare. Niente più mattinate a scannarci sui mercati. Si passava alla vita dello studente pendolare.
Tristezza…
All’università avevo già dato gli esami più belli, restavano solo quelli noiosi e rognosi prima della laurea. E dovevo darmi una mossa.

Mentre ragionavo sulla mia vita, squillò il cellulare.
Un messaggio.
Mi rigirai nel letto scricchiolando tra i fogli. Allungai una mano per raggiungere il comodino. Afferrai il Blackberry e lessi l’email che m’era arrivata. Era una di quelle email pubblicitarie di annunci. Scorsi la lunga lista di annunci milanesi senza troppa attenzione per poi spegnere e ributtare il cellulare sul comodino.
Rituffai la testa tra i cuscini. Lasciai una mano penzolante a picchiettare il comodino. Respiravo lentamente fino a quando, all’improvviso, ebbi un lampo nella mente. Il cuore iniziò a battere, la fiamma dell’anima si riprese e alzai di scatto la testa per fissare il cellulare. Con un rapido gesto lo afferrai e mi misi a sedere sul letto. Riaprii l’ultima email e la lessi più attentamente. Tra gli annunci ce n’era uno che m’interessava parecchio. Lo lessi.
Cavolo! E’ fantastica! Devo averla!
Alla fine dell’annuncio c’era scritto che scadeva quel giorno. Guardai l’orologio:
19:36
“Chiamalo!” Mi urlò l’istinto.
“Ma ti sei ammattito?” Urlò la mia coscienza.
Così presi da parte istinto e coscienza e gli dissi: mettetevi d’accordo ragazzi!
Dopo una breve colluttazione vinse l’istinto.
Composi il numero frettoloso.
–  Pronto Massimo? –
–  Sì, mi dica… –
–  Ho letto il suo annuncio e… –
[…]

–  Bene… sembra tutto a posto! – gli dissi.
–  Solo che, come hai letto, domani non sarà più disponibile. Quindi, posso fartela vedere solo stasera, se per te non è un problema. – continuò il tipo dell’annuncio.
–  Nessun problema Massimo! Ci vediamo stasera sotto casa mia! –

 

 

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (IX)

Corsi e Ricorsi storici 9 Nino Bixio

(Foto personale)

e

Epilogo Parte due

Nino Bixio fu un personaggio chiave per il Risorgimento italiano. Strinse rapporti con Mazzini, partecipò ai moti carbonari, fu al fianco di Garibaldi, partecipò….
Ah… ormai sapete già tutto.
Guardai di nuovo l’insegna marmorea della strada. Ero alla solita fermata del 23. Sfatto, scapigliato, disordinato. Mi sistemai la sacca con l’insalata pronta da condire sulla spalla. Avevo i muscoli indolenziti. Tutte le corse che avevo fatto quel giorno mi avevano sfinito.
Per un attimo ripensai a tutto e magicamente sorrisi.
Annalisa, a suo modo, aveva stravolto ogni mio pensiero. Come c’era riuscita? Dov’era finito il Ciro che s’incazzava a ogni minimo imprevisto? Scomparso, defunto! Era riuscita a disegnare strane linee colorate nel mio mondo monocromatico in bianco e nero. Sprigionava purezza da ogni poro ma ogni vota che tentavo di entrare nella sua mente, era come aprire una cassaforte.  Sicuramente, sbaglio a voler ridurre il suo carattere a un modello preconfezionato. Dovrei far diventare essa stessa uno dei miei modelli di personalità cui ricondurre vagamente altre persone. Al mondo ce ne saranno poche di persone come lei. Aver la voglia di vivere ogni giorno nelle vene non è per niente facile. Forse dovrei imparare da lei a trattare ogni giorno come se fosse un giorno speciale…

Il tram stava arrivando. Guardai in direzione della casa di Annalisa, come a volerla inconsciamente salutare. Tolsi la sacca che mi aveva dato e la osservai.
Quante me ne hai fatte passare? pensai mentre osservavo il contenuto.
Di fianco a me c’era un cestino.
So che mi odierai per questo, ma tanto non lo verrai mai a sapere!
Presi la sacca con l’insalata pronta da condire e la lasciai andare all’interno del cestino.
Senti un tonfo secco e salii sul 23.

  .

.

.
Corsi e Ricorsi Storici:

Qualche anno prima Annalisa ed io eravamo seduti sul sedile posteriore della macchina di mio padre. Lui era alla guida e di fianco c’era il padre di Annalisa.
I due sono stati grandissimi amici da giovani e ne avevano fatte di cotte e di crude.
Raccontarono della mitica 500 e di tutte le storie che ci giravano intorno. Delle ragazze… delle gite al mare… dei viaggi e di tutte le marachelle che avevano combinato.
I due sessantenni ridevano felici di un passato memorabile.
Annalisa ed io li ascoltammo divertiti.
Ci guardammo e sottovoce Annalisa mi disse:
“Non sapevo che i nostri genitori fossero così amici… E’ divertente pensare che lo siamo anche noi… come se si chiudesse il cerchio.
Proprio come se fossero Corsi e Ricorsi Storici!”

Fine

Corsi e Ricorsi Storici (VIII)

Corsi e Ricorsi storici 8 Nino Bixio

(Foto personale)

 

Fu così che mi ritrovai a correre di nuovo, lungo la mia amatissima Nino Bixio. Stanco e sfatto, con un’insopportabile borsa di troppo: la busta di stoffa contenente l’irrinunciabile insalata pronta da condire di Annalisa. Quella ragazza alla fine c’era riuscita a farmela portare a presso. La prossima volta però, non mi frega!
In mano avevo i due cellulari che Lia mi aveva chiesto di consegnare a scuola. I miei “no” alla fine avevano ceduto di fronte alle loro dolci insistenze. Annalisa e Lia avevano un treno da prendere. Il treno che avevamo prenotato qualche ora prima. Forse Lia non sapeva ancora che doveva farsi tutto il viaggio in piedi perché quella pazza di Anna aveva preso i biglietti senza il posto assegnato. Non dissi niente a riguardo, lasciando a Lia il gusto della sorpresa. Dopo averle salutate, presi i cellulari ricevendo qualche vaga indicazione sul luogo, la scuola, i ragazzi e le azioni da compiere. Poi corsi via da loro… “L’orario scolastico” era quasi ultimato e non volevo di certo trovarmi in mezzo ad una baraonda di ragazzi chiassosi.
Ma… rimettendo insieme tutte le informazioni che Lia mi aveva dato frettolosamente, capii che c’erano molti buchi vuoti nel piano. Non conoscevo niente eccetto l’indirizzo della scuola dove dovevo andare. Aule, corridoi, nomi dei ragazzi, i bidelli… Mille domande sbucavano da ogni dove nella mia testa iperprogrammatica, mentre, svoltando a destra, lasciavo Bixio per un’altra strada. Vidi il palazzo della scuola da lontano. Attraversai la strada e mi diressi all’ingresso. Non so, ma avevo la pelle d’oca a entrare in una scuola. Non ero più abituato. Sentivo sulle spalle il peso dei ricordi, come se fosse una pesantissima cartella piena di libri. Ricordai il Ciro adolescente di molti anni prima. Ricordai i piccoli problemi di ogni giorno che rapportati a quelli di adesso sembravano sassolini. Ricordavo tutto, ma non la felicità. Era presente allora?
Ricordo:
 
Quella volta che, ad occhi spenti e verso il basso…
Pioveva…
Sulle spalle una cartella pesantissima…
e nelle orecchie le cuffiette di un walkman grigio.
Aspettavo mia madre che venisse a prendermi.
Solo.
La pioggia mi aveva inzuppato tutto.
Lasciavo scendere le gocce insieme alle mie lacrime.
Dicevano che l’adolescenza doveva essere la stagione dei primi amori e della spensieratezza.
Tutte balle…
Soffrivo col cuore a pezzi
Nel mio piccolo giubbino di jeans ormai di una tonalità più scura.
Quel giorno una ragazza mi aveva lasciato.
Non seppi nemmeno bene il perché…
Ma guardai per la prima volta la mia scuola, odiandola.
Odiavo quel posto per avermi portato così tanto dolore.
E volevo fuggir via.
 
Una macchina si fermò.
Scese una donna.
“Ti avevo detto di portarti l’ombrello!”
Non risposi…
perché l’ombrello era nella mia pesantissima cartella.
Quel giorno… io volevo la pioggia.
 
Guardai il cielo nuvoloso. Anche quel giorno si apprestava a piovere. Misi la mano sulla maniglia della porta d’ingresso della scuola media di Porta Venezia. Feci un respiro e tirai la maniglia verso il basso.
Non si apre!
Provai più e più volte ma niente. La porta era chiusa. Mi allontanai leggermente.
Come avrei fatto ad entrare? Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Notai poco distante una ulteriore porta d’ingresso. Mi avvicinai a quella ma era chiusa anche lei.
Cavolo!
Cercai qualche pulsante o citofono nei paraggi, non sapendo nemmeno cosa dire per entrare.
Improvvisamente qualcuno uscì da quella porta. Mi avvicinai e appena quella che doveva essere una professoressa fu uscita, mi avvicinai e afferrai la maniglia prima che la porta si chiudesse. Fatta! Ero dentro. Guardai a destra: corridoio. Guardai avanti: corridoio. Guardai a sinistra: corridoio. Dove cavolo vado?! Cercai di ricordare la sezione che mi aveva detto Lia. Doveva essere la E o la D. Detesto la mia memoria corta! Seguii le indicazioni per entrambe e arrivai al secondo piano. Nei corridoi non c’era nessuno eccetto una bidella anzianotta che puliva il pavimento. Mi fissava ed io fissavo lei. Mi avvicinai timoroso.
–       Salve, io dovrei consegnare questi cellulari a due studenti da parte della professoressa Lia ****** –
–       Ah, sì! La signorina *******? So che è dovuta uscire per un’urgenza. Non è niente di grave vero? – mi disse la bidella preoccupata.
–       Beh… si spera che non sia nulla di grave… – dissi restando nel vago.
–       Guardi, i ragazzi sono in quell’aula lì ora glieli chiamo. –
–       No, ascolti, li tenga lei e glieli consegni alla fine della lezione. Così io vado. –
–       Va bene e mi saluti la signorina ********. –

Appena fuori dalla scuola tirai un sospiro di sollievo.
Forse ora posso davvero tornare a casa.

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (VII)

Passante Porta Venezia

(Foto personale)

Annalisa è un’insegnante di scuola media e svolge questa nobile professione in una scuola del milanese, insieme alla sua amica Lia. Non domandatemi come faccia una come lei a insegnare geografia o italiano a dei poveri studenti annoiati; so solo, (e ne sono certo) che quei preadolescenti passino il tempo a odiarla e amarla allo stesso modo. Del resto, anch’io l’avrei fatto.
Quell’anno, l’insegnante vintage/indy, s’era accaparrata le ferie per l’ambitissimo ponte dell’immacolata. Cosa che non era stato possibile per la sua collega.
Quindi, Lia, in quel momento, era bloccata a lavoro.
Guardavo Anna, mentre camminavamo nel sottopasso della stazione di Porta Venezia. Cercavo di capire a cosa pensasse quella mente incomprensibile. Di solito non ci voleva tanto. Si trattava di capire di cosa stessero discutendo gli unici due neuroni che aveva.
–  Anna… che facciamo? – le chiesi.
Anna si fermò. Si guardò intorno. Cacciò il telefono dalla borsa e compose un numero.
Iniziò a squillare. Me lo porse…
–  Tieni… sto chiamando la segreteria della scuola. Inventati qualcosa per far uscire Lia. –
–  Anna! Ma sei seria? Anna no! Cazz… Pronto è la scuola media *******? Salve. Avrei bisogno di parlare con la signorina Lia ****** è una emergenza. Grazie. –
“Attenda un attimo”
–  Anna ma sei pazza! – dissi sottovoce alla mia amica, gesticolando come un babbuino.
–  Shhh che ti sentono! – rispose
“Pronto chi è? Che è successo?”
Al telefono si sentì una voce femminile. Era Lia. Anna prese il telefono e lo portò al suo orecchio.
–  We, Lia. Ciao. Tranquilla non è successo niente! – rise.
–  Non ancora… forse un omicidio tra poco! – aggiunsi
–  Senti, ti ho preso il biglietto per scendere. Partiamo tra un’ora. –
“Tu cosa? Anna io sono a scuola!”
–  Su esci! Inventati qualcosa! Dai! Ti aspettiamo all’uscita del passante di Porta Venezia, tra un quarto d’ora! –
click
Annalisa ripose il telefono in borsa con estrema calma e mi guardò.
–  Secondo te ce la farà? – mi chiese dubbiosa.
Non risposi. Le presi una ciocca di capelli e iniziai a tirarla.

Poco dopo ci raggiunse Lia. La scuola non era lontana da dove ci trovavamo. La vidi arrivare tutta concitata. Affannata. Chissà cosa si era inventata per uscire. Non volevo saperlo. Non volevo altre grane quel giorno. Volevo tornarmene a casa e cercare di recuperare qualche ora di sonno in un comodo letto. Ero distrutto. Avevo un aspetto orribile. Annalisa aspettava di fianco a me. Guardavamo Lia raggiungerci. Notai però, qualcosa di strano nel volto di Lia. Qualcosa che mi diceva che quella giornata non sarebbe finita lì.

–       Ciao ragazzi! – ci salutò Lia.
–       Ciao tesoro! – rispose Annalisa con un bacio.
La salutai anch’io. Mi sentivo un tappo tra di loro nonostante il mio metro e ottanta. Entrambe erano alte e slanciate. Lia, dopo aver scambiato i soliti convenevoli con Annalisa, abbassò lo sguardo infilando la mano nella borsa.
–       Anna, sono uscita da scuola con una scusa orribile che nemmeno ti spiego! Ma… – disse Lia.
–       Ma?! – dissi in sincrono con Anna.
–       Beh… mi ero dimenticata che, nell’ora precedente, avevo sequestrato due cellulari ai miei alunni… e… non posso portarli con me! E non posso nemmeno tornare a scuola! Come facciamo? –
–       Neanche io posso tornare a scuola! Ho inventato una scusa peggiore della tua per uscire! – rispose Anna.
A quel punto, prevedendo già come sarebbe andata a finire la cosa, feci un paio di passi indietro, come chi cerca di fuggire da un animale pericoloso senza farsi sentire.
Le ragazze, dopo essersi guardate negli occhi per un paio di secondi, si ricordarono della mia presenza e si voltarono all’unisono verso di me.
Spaventato come se la mia finta fuga fosse stata scoperta, alzai le mani in segno di resa dicendo:
– No, Ragazze! Non ci pensate nemmeno! Io non ci vado in quella scuola! –

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (VI)

Passante Porta Venezia 2

(Foto personale)

Di solito, non bazzico mai nella zona nord di Milano. Soprattutto nella stazione di Porta Garibaldi alle 11 della mattina. In quel momento, in realtà, sarei dovuto essere a seguire una noiosissima lezione di strategia di marketing aziendale. Che, per uno che vuole specializzarsi in finanza, è solo uno sbattimento in più da dover sbrigare.
Invece ero lì, a seguire una pazza squinternata nei suoi giri incoscienti.
–  Secondo te lo troviamo un biglietto? – mi chiese Annalisa speranzosa.
–  Sì certo! Chi vuoi che parta da Milano per il ponte dell’immacolata… solo, mmm… TUTTA MILANO? – risposi ironico.

Dopo aver percorso un lungo ed elegante corridoio, arrivammo alla biglietteria della stazione.
Una signora anzianotta dal volto simpatico, ci chiese cosa volessimo.
–  Un biglietto per Napoli, sul primo treno disponibile! – disse la mia amica.
L’espressione della signora bigliettaia mutò. Tirò un bel sospiro e iniziò a digitare i tasti della sua consumatissima tastiera. Assunse espressioni via via più deluse nel costatare che non c’era speranza di partire per quel giorno.
–  Niente… mi spiace… –
–  Nemmeno un posticino piccolo? – la pregò Anna.
–  No, zero. Tutto pieno! Oggi e domani. –
–  Ma io devo partire! –
Anna continuò a pregare la povera bigliettaia incolpevole finché intervenni io.
–  Senta… non si può fare un posto in piedi? Senza il posto riservato? –
–  Sì ma… un viaggio così lungo in piedi… –
–  Non si preoccupi… alla mia amica fa bene stare in piedi! Così si ricorda di prenotare MOLTO prima, la prossima volta. –
Anna mi sorrise. Sapeva che le mie critiche erano solo per il suo bene.
–  Sì… in piedi c’è disponibilità. –
–  Ottimo! Faccia due biglietti allora! – esclamò Annalisa.
Sorpreso, afferrai Anna per un braccio.
–  Che fai? Per chi è l’altro biglietto? – chiesi.
–  Per Lia, scende con me! –
–  Mmm ok… ovviamente presumo che Lia lo sappia. –
–  Eh no… dopo glielo diciamo. –
–  aaaahhh Anna! –
Mi passai una mano sulla fronte mentre la mia amica finiva di pagare i biglietti. Era impacciata tra mille borse e borsettine. Cercai di aiutarla in qualche modo, mantenendole qualcosa.
–  Ecco bravo. Mantieni quella che è tua. –
–  Cosa? –
–  Sì, ci ho messo dentro una busta d’insalata pronta da condire… –
–  Anna… dimmi, perché? Cosa ti ho fatto di male?! Spiegamelo! –
–  Susu! Quante storie! Porta a casa e mangiala! –
–  Aaaahhh –

Più tardi, in metro, ero seduto tra un indiano dal dubbio gusto nel vestirsi e la mia terribile amica. Osservai il suo trafficare con il cellulare. Stava spedendo sms a raffica. Chissà a chi.
–  Lia lavora… non può partire! – disse delusa.
–  Vedi? Non puoi far le cose avventate e sperare che ti vadano bene! Ora chi te lo ripaga quel biglietto? –
–  Ovviamente lei! Perché partirà con me! –
–  Sì e ora mi spieghi come farai a tirarla fuori dal lavoro?  –
–  Ah non lo so ancora… ma tu mi darai sicuramente una mano, vero? –
–  Aaaaahhh! Come devo fare con te! – dissi, scuotendo la testa mentre l’indiano accanto a me se la rideva sotto i baffi.

 

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (V)

Corsi e Ricorsi storici 5 Camille

(Foto personale)

Una parete sfocata si presentò ai miei occhi ancora spenti dal sonno. Misi a fuoco lentamente e notai Annalisa aggirarsi per la stanza.

–  Buongiorno! – mi disse mentre piegava un pantalone per poi riporlo in valigia.
–  Buongiorno… – accennai strofinandomi un occhio.
–  Vuoi la colazione? –
–  Cosa hai? –
–  Vieni in cucina con me… – disse uscendo dalla stanza.
Mi avvicinai al bordo del letto per scendere. Ero ancora intontito dal sonno e avevo dimenticato che quellaragazzadisastrata dormiva su un maledetto futon. Così, sbattei i piedi per terra credendo che il pavimento fosse qualche centimetro più in basso. Ahia!
Entrai in cucina zoppicante. Anna era intenta a piazzare cose commestibili sulla tavola che, però, avevano una dubbia provenienza.
– Anna, che sono queste robe? – chiesi, prendendo un barattolo dal tavolo per osservarlo.
–  Quello è farro! Lì ci sono i cereali con la frutta secca. Lì le noci… vuoi del Ginseng? –
–  Eh? Che hai detto? In che parte del mondo mi sono risvegliato? Dov’è il caffè? –
–  A me non piace il caffè! – rispose.
Mi sedetti spazientito. Guardai tutta quella strana roba davanti a me e sorrisi sotto i baffi.
Ma come fa a mangiar sta roba? Pensai.
Fortuna volle che intravidi, nel suo ricchissimo scaffale, una confezione verde con su impressa la foto di un tipo di merendine che amavo.
–  Le Camille!? Hai le Camille! – dissi eccitato.
–  Sì, ne vuoi una? –
–  Ovviamente! –
Presi l’intero pacco e ne mangiai un po’. La mia fame sembrava insaziabile. Annalisa mi guardava e sorrideva. Mi disse che ne avrebbe comprate a tonnellate data la mia fame e i miei gusti.
Intanto si mise a riordinare il suo frigo.
–  Ciro lo sai che starò via per un po’… –
–  Quindi? –
–  Devi portarti via un po’ di roba da mangiare… altrimenti la devo buttare. –
–  Scordatelo. –
–  Dai. –
–  No! –

Tornai in camera da letto dopo la scorpacciata di Camille. Mi rivestii con i vestiti sgualciti della sera prima. Mi stiracchiai facendo scricchiolare spalle e schiena. Annalisa era ancora in cucina a combinare chissà cosa. La stanza era perfettamente illuminata dalla luce del sole. Mi guardai intorno. Libreria, armadio e scrivania straboccavano di cianfrusaglie curiose. Notai un piccolo carillon su di un ripiano. Amo i carillon. Mi avvicinai e girai la piccola manovella. Produsse una stupenda melodia. Mentre suonavo, mi cadde l’occhio su un giradischi in vinile. Era ben tenuto e la collezione di dischi più in basso mi faceva pensare che veniva usato spesso. Non sia mai che quella ragazza si adegui a questi tempi! Su un altro ripiano della libreria, vidi una vecchia macchinetta fotografica. Questa è un Lomo! La presi in mano e fissando nel mirino iniziai a scattare foto a vuoto per la stanza.
Il futon, Clak
Il carillon, Clak
Il giradischi, Clak
Annalisa, Clak
– Ti stai divertendo? – mi chiese fissando il mirino della Lomo.
– Abbastanza… –
– Dai usciamo. Dobbiamo andare in stazione a cercare un paio di biglietti del treno! – disse.
Posai la vecchia Lomo sul ripiano. Anna era già davanti alla porta d’ingresso.
Portai una mano alla fronte pensando all’impossibilità di trovare due biglietti per il treno del ponte dell’immacolata.
Che Dio ce la mandi buona!

continua…

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