Calabria Coast to Coast 2016 #21

capture_2016-08-25-13-15-33.png.png

La macchina arranca tra le strette e buie strade calabresi…
Abbandoniamo la statale 106 per arrampicarci sulla montagnella che ospita il piccolo borgo di Cirò

20160808_205349.jpg

20160808_205942.jpg

20160808_211413.jpg

20160808_211532.jpg

20160808_211551.jpg

E questa è l’ultima tappa di questo strano viaggio estivo.
Non pensavo di poter visitare cosi tante mete in cosi poco tempo.
Ho voluto terminare qui il mio percorso, in questa città che si chiama come me (e aquistare un buon vino che si chiama come me!)

Finalmente sono riuscito a bermi un cirò a cirò!

Spero che il foto/video racconti vi sia piaciuto…

capture_2016-08-25-13-26-20.png.png

Arrivederci Cirò…
Arrivederci CALABRIA…

Il Quartiere Latino (la nouvelle de Paris IX)

La%2520nouvelle%2520de%2520Paris%2520IX

20:00

Il giro al Louvre era stato estenuante. Avevo i piedi in condizioni pietose. Mi buttai sul letto a peso morto. In casa, un vociare confuso di persone. I ragazzi discutevano, parlavano, raccontavano mescolando l’italiano con l’inglese affinché anche il nostro compagno brasiliano potesse capire. Chiusi gli occhi e cercai di recuperare le forze. I miei polpacci erano incandescenti, la schiena a pezzi e la mente in black-out.
Ad Aberto la stanchezza sembrava non toccare. Avevamo percorso chilometri ma lui era ancora fresco come una rosa sbocciata. Faceva progetti per la serata e cercava di coinvolgerci tutti. Antonio e Rafael lo stavano a sentire. Ciro aveva la testa sotto il cuscino a mo’ di struzzo e stava peggio di me. Sinceramente non mi andava di ballare anche quella sera. I piedi mi avrebbero dato buca.
Quando finalmente tutti fummo sistemati in un letto, piombò su di noi, come una leggera coperta, un sonno profondo.
Dormimmo in tutto un paio d’ore. Qualcuno si svegliò e ci svegliò tutti.
– Andiamo ragazzi! La notte è giovane! E soprattutto… siamo a Parigi! – urlò a gran voce Alberto.
Quel ragazzo, se ancora ragazzo si potesse chiamare a trent’anni, sembrava essere sempre pieno di energie e desideroso di assaporare ogni momento della vita, com’era desideroso di attaccarsi alle sottane di qualche giovane parigina. Anche se molto diversi, questo lato del carattere ci accomunava tanto. Anch’io voglio prendere la vita e farne brandelli di avventure. Anche a me piace viaggiare, osservare, raccontare… anch’io amo non fermarmi mai, anche se a volte, la ragione blocca la maggior parte delle pazzie.
Ci vestimmo tutti con indumenti già visti nelle serate precedenti. Non so come, ma Parigi mi faceva dimenticare che le mie bellissime scarpe nuove erano state devastate nella serata in discoteca. Rafael era sotto la doccia e cantava un motivetto portoghese. Vidi Ciro spruzzarsi un paio di gocce del suo Versace e me ne feci prestare un po’. Antonio girava per la stanza alla ricerca di una cintura per i suoi jeans. Infine Alberto, aveva sfoggiato il suo imbattibile pantalone rosa con cintura marrone, abbinato alla camicia bianca. Si avvicinò a noi e ci disse:
– Questo pantalone… quante ne ha acchiappate! –

Mezz’ora dopo uscimmo. Erano le undici in punto. Le strade parigine si colorarono di tenui luci arancioni che donavano a luogo un’intensa aura dorata. Ci dirigemmo verso il famoso Quartiere Latino. Un quartiere frequentato principalmente da studenti universitari e da turisti. Infatti, non molto distante c’è la Sorbona, la prestigiosa università di Parigi. Le sue vie pullulano di locali, dove mangiare, bere e fare bisboccia fino all’alba. Il quartiere costruito a posta per noi, in pratica.
Ci addentrammo per le sue vie, alcune molto strette da proibire il transito alle auto. Mi colpì subito il colore. Il colore delle cose, delle insegne, dei cibi, delle luci, di tutto! Dopo aver passato giorni e aver osservato palazzi e monumenti antichi così da abituare gli occhi alle tonalità settecentesche, ora, quel rosso, quel viola, quel blue, mi riportavano al futuro, ovvero il presente della nostra tipica società. Ciononostante, quella diversità del luogo, era perfettamente incastonata tra palazzi antichi e cattedrali gotiche da non rovinare l’ambiente cittadino.
C’erano insegne di ristoranti italiani, tedeschi, indiani, cinesi, giapponesi… C’era un vasto assortimento culinario. Noi, però, cercavamo qualcosa di tipico della zona ed entrammo in un ristorante francese.
Il maître ci indicò dove sederci e ci portò le liste. Ovviamente scritte in francese. I ragazzi pensarono subito al vino e ne fecero portare una bottiglia. Un Sauvignon blanc da 20 euro.
Non avevamo ancora ordinato che già la prima era andata. Ne ordinammo un’altra con immenso piacere del maître. Di quel menu non ci capivo un acca. Volevo scegliere qualcosa di commestibile e che si accostasse bene all’immensa quantità di vino che sicuramente avremmo bevuto. Lessi tutta la lista, poi sorrisi.
– Ecco cosa prenderò! Un’omelette! –

Mangiammo, bevemmo, chiacchierammo… Ognuno raccontava un pezzo di se. Li stavo ad ascoltare con piacere. Quella combriccola non era male. Il vino scorreva a fiumi e il cibo era ottimo. Il maître rimpiazzava le bottiglie vuote con quelle piene e ogni tanto si fermava a fare due chiacchiere sulle sue vacanze italiane. Eravamo entrati così in confidenza che fu quasi dispiaciuto nel mandarci via. L’ora era tarda e il ristorante doveva chiudere. Ci fermammo davanti all’entrata a bere l’ultimo bicchiere di vino e vedemmo uscire dal locale due ragazze. Alberto ovviamente partì all’attacco e attaccò bottone con una di loro. Si fermarono a fare quattro chiacchiere e a fumare una sigaretta. Parlavano inglese ma non erano inglesi, bensì di una delle sue ex- colonie: l’Australia.

E qui la memoria subisce un salto. Non ricordo il come e il perché finimmo in un altro locale. Mi ritrovai a parlare con una delle due, davanti a un bancone di un piccolo pub.
– Un Cuba Libre, and for you? – ordinai al barista.
– Un Mojito
Con la vista un po’ annebbiata mi accorsi che Alberto era lì vicino e tentava un approccio con l’amica. Del resto della compagnia non avevo notizie. Guardai negli occhi la mia giovane donzella. Si chiamava Kate e aveva all’incirca la mia età. Ancora non riesco a spiegarmi di come abbia fatto ad attraversare metà mondo per finire a bere un Mojito a Parigi. Mi disse che era il suo ultimo giorno in Francia e coincidenza lo era anche il mio. Il viaggio però non si sarebbe fermato lì, la sua prossima tappa sarebbe stata l’Italia e più precisamente Milano.
– Milano?! Really?! I came from Milano! – le dissi.
– Wow… I love Milano, fashion and shopping! –
La ragazza la sapeva lunga sulla vita mondana e stava per recarsi proprio nel suo cuore, nel centro di ogni attività modaiola e festaiola. Avevo già capito le sue intenzioni. Mi chiese di insegnarle qualche parola in italiano. Aveva fatto un corso di qualche mese in Australia e voleva far pratica nel Bel Paese. Per fortuna che la mia galanteria mi fece desistere dall’insegnarle le parolacce, anche se l’istinto voleva divertirsi un po’. Le corressi la pronuncia delle parole che conosceva già. Qualche volta sbagliava gli ausiliari; in alcune frasi ometteva il soggetto; e i plurali le erano sconosciuti. Nonostante tutto se la cavava egregiamente, e sempre meglio del mio abominevole inglese!
Parlammo a lungo. Non avevo idea di che ore erano e di dove fossimo. Però vedevo Alberto lì vicino e questo mi dava un po’ di sicurezza. Chissà se Alberto pensava lo stesso di me? Non era che entrambi contavamo sull’altro per tornare a casa? Per fortuna non fu così e vidi spuntare da dietro Antonio con una bionda. Non in carne e ossa, ma liquida e spumosa. Me la offrì e mi chiese come stesse andando.
– Tutto bene… – gli risposi.

Tornai a guardare la mia compagna di serata negli occhi. Aveva un qualcosa di nascosto. Qualcosa di segreto aleggiava in lei. Quel suo sorriso così semplice e al tempo stesso misterioso. Quel suo fare disinvolto, socievole, intrigante… ne facevano di lei una persona da scoprire, come una rosa chiusa in un bocciolo. A ogni mio passo lei non indietreggiava, mi fronteggiava, stava allo scherzo. Rideva, giocava, si avvicinava. Ogni tanto mi lanciava languide occhiate che io raccoglievo e rilanciavo.
Era un gioco per me. Un perfetto gioco di frasi fatte, battute ben affilate e parole intriganti.
Era un gioco… e chissà per quanto ancora… sarebbe durato…

 

 

Su navi e per mari… (la nouvelle de Paris VI)

La%2520nouvelle%2520de%2520paris%2520VI

23:00

Poggiammo le buste della spesa sul tavolo. Spesa però, era un termine inappropriato a descrivere tre buste piene di bottiglie di vino rosso. Eravamo stati al Monoprix, un negozio di cosmetici che aveva un supermercato nel piano interrato. Mi ricordava tanto il Billa di via Torino.
– Cosa mangiamo? Ops… scusate… what we eat? – chiesi vedendo Rafael che mi fissava.
– We have: eggs, bacon and a lot of spaghetti! – disse Antonio.
– Carbonara! –
– Cucino io… – disse mio cugino.
Alberto aveva già in mano la prima bottiglia di vino.
– Da quale cominciamo? Dal migliore o dal peggiore? – chiese.
– Dalla migliore è ovvio! Perché quando sei ubriaco puoi bere anche il peggior vino esistente! –
– Ah… anche tu sei di questa scuola di pensiero? –
– Sempre! Fin dagli anni del liceo… –
Alberto, quindi, prese una bottiglia di Bordeaux e la stappò con frenesia. Versò maldestramente il vino nei bicchieri che avevo disposto sul tavolo. Alcune gocce caddero in giro.
– Pardon… – disse Alberto.
Facemmo il primo brindisi della serata e trangugiai il liquido amarognolo. Aveva un buon sapore. Cercavo di paragonarlo a qualche vino italiano ma non me ne veniva in mente nessuno. Intanto Alberto aveva già riempito di nuovo i bicchieri. Sempre maldestramente e sempre costringendomi a pulire con la carta le gocce cadute prima che Antonio se ne accorgesse.
– Alla Francia! –
– E alle Francesi! – dicemmo in coro.
Dalla cucina si spandeva un invitante profumo. Il mio stomaco brontolava peggio di un motore a secco. Ciro si stava dando da fare. Non era facile cucinare mezzo chilo di spaghetti in una pentola media. Ogni tanto saltavano in giro pezzi di uovo e pancetta. Probabilmente, complice della distrazione generale, era il vino che, per volere di Alberto, scorreva a fiumi. Rafael osservava con il suo bicchiere mezzo pieno in mano. Ogni tanto commentava in inglese qualcosa. L’alcol sembrava non toccarlo. Al contrario io, ero già mezzo fuori. Stavo apparecchiando la tavola e i miei movimenti, anche se molto coordinati, erano stranamente lenti.
– È pronto! – disse Ciro poggiando pericolosamente la pentola incandescente a tavola.
Facemmo i piatti e ovviamente, anche il tavolo assunse lo stesso aspetto della cucina. E si poteva mai iniziare a mangiare senza un brindisi?
– Buon appetito! –
Di fianco a me era seduto Rafael. Lo strano economista-avvocato e chissà quant’altro. M’incuriosiva questo ragazzone di trent’anni… e quando una persona m’incuriosisce, la barriera della timidezza si dissolve.
– Rafael… It’s the first time in France? –
– Yes… my next step is Berlin… and then i will go in Italy! –
– In Italy? Where? –
– Florence and Rome! –
– Very good Cities! –
Aberto si alzò in piedi brandendo l’inseparabile bottiglia di vino. Ci rifornì tutti e incitò quelli che avevano ancora del vino nel bicchiere a finire, per poi riempirlo di nuovo.
Contando le bottiglie vuote e dividendole per i presenti, il risultato dava più di una bottiglia a testa. Ero dannatamente fuori. La vista iniziava a sfocarsi nel contorno e quella piacevole sensazione di abbandono volteggiava nella mente.
– Rafael! My Friend! – brindai con lui.
– Do you know same italian’s words? – gli chiesi.
– No… I don’t. –
– Well… I teach you something. When you will go in Rome and you will see a very beautiful girl… you must say “Anvedi che sorca!” repeat… –
– An..vedi… che.. sorca! – Disse Rafael con qualche incertezza. Tutti scoppiammo a ridere e il brasiliano ripetette quella frase fino allo sfinimento, sfinendo anche noi a suon di risate.
Istruii Rafael a dovere con un buon vocabolario da perfetto scaricatore di porto. Per tutta la cena non chiusi un attimo bocca; e più parolacce mi venivano in mente, e più gliene insegnavo, nelle diverse forme e sfumature. Era più divertente che insegnare le parolacce ad un bambino.

La cena finì e per fortuna del mio fegato, anche il vino. Era passata la mezzanotte quando, brilli, profumati e ben vestiti, uscimmo di casa. Cercavamo un posto dove andare a ballare e il Queen era perfetto. Era una discoteca non lontana da casa, posizionata lungo gli Champs. Il buttafuori nero ci fece passare senza troppi problemi e una volta dentro ci fiondammo in pista.
Andai a prendere un cocktail e persi di vista i ragazzi. Afferrai il mio Cubalibre e vagai alla ricerca di una faccia amica. Trovai Rafael che ballava in modo molto scoordinato e scattava foto a raffica con la sua compatta.
– Hi Friend! –
Mi sfoggiò un gran sorriso e lo presi a braccetto. Ci conoscevamo solo da un giorno ma a vederci, sembravamo due vecchi amici.
– Rafael, go di qua… –
La mente non capiva più e la lingua s’inceppava nelle parole. Parlavo un misto di italiano, inglese e francese, colorato di gesti esplicativi. Rafael, stranamente, mi capiva lo stesso. Salimmo delle scale che portavano ad un altro piano. C’era una sala fumatori dove la musica assordante stentava ad arrivare. Le orecchie ebbero un po’ di pace. Facemmo il giro della sala come due predatori che cercano la preda. Due ragazze stavano fumando ad un tavolino alto. Ci guardavano. Spinsi Rafael sotto il mio braccio in quella direzione.
– Hi girls! –
Le due ragazze si guardarono tra loro sorprese.
– Hello boys… – rispose una.
Rafael iniziò a presentarsi.
– My name is Rafael son de Brasil!
– My name is Chloé and she is Elise. –
Dai loro nomi capii che erano francesi e quando toccò a me parlare sfoggiai le mie nozioni.
– Je m’appelle Ciro… enchanté… –
Le ragazze sorrisero. Forse il mio francese non era male. Il problema era che le mie frasi si contavano sulle dita di una mano!
– Parle vous englais? –
– No… – mi risposero deluse.
Ma i più delusi eravamo noi. Comunicai la notizia a Rafael e con molta educazione, tagliammo la corda!
Rafael era molto simpatico. Scherzava, rideva, faceva battute. Adocchiava le ragazze e ballava qualsiasi canzone. Mi trovavo a mio agio con lui. Mi faceva da spalla ed io spalleggiavo lui quando ci provavamo con qualsiasi esponente del gentil sesso presente nella sala. Che figuracce a volte…
Girando e rigirando trovammo il resto del gruppo. Stavano ballando nei pressi di una specie di cubo alto. Una paio di ragazzi e ragazze ballavano lassù. E perché non dovevo esserci anche io con loro? Così da poter raccontare ai miei nipotini, di quando il nonno s’è reso ridicolo a Parigi?
Salii e cominciai a ballare con una tipa. Lei sembrava starci… un po’ meno il suo ragazzo. Scesi alla svelta. Tornai a ballare con gli amici. La musica era alta e gli effetti dell’alcol non accennavano a calare. Sentii delle note da lontano appena sussurrate. Erano note familiari. Una musica che sapeva di casa. Ci girammo tutti in direzione del Dj. Poi ci guardammo in faccia avendo inteso la canzone che stava cominciando. E abbracciandoci tutti come un quartetto stonato, iniziammo a cantare…
– Con teee… partirooo… –

 

 

 

Una coppia d’inglesi a Parigi! (la nouvelle de Paris V)

la%2520nouvelle%2520de%2520paris%2520V

“Siamo arrivati! Ora prendiamo la metro… dove scendiamo?“ disse una voce al telefono.
George V… devi prendere la linea 1! –

La notte era scesa pesante in quel di Parigi. Tutto sommato la volta celeste restava uguale a quella italiana. Non riuscivo a vedere le stelle, tanto era forte il caos luminoso della città; e non so quanto le stelle avrebbero potuto reggere il confronto con una simile bellezza artificiale.
Percorremmo a ritroso gli Champs-Élysées. Tornammo verso casa dopo il pomeriggio passato ad ammirare monumenti e cattedrali. Mi sentivo come a una gita scolastica, ma senza guida né professori. Tutto ciò che osservavo lo andavo a ricercare nella mia mente, in quei vaghi ricordi di ore passate su libri d’arte e storia. Sarebbe stato più semplice… Sarebbe stato più facile… Sarebbe stato più bello studiare così. Per esempio, ripassare la fisica osservando il Pendolo di Foucault nel Pantheon… ricordarsi del moto oscillatorio, della gravità e di quel matto di Galileo che non aveva nient’altro da fare; oppure ricordarsi della rivoluzione, passando davanti alla Bastiglia, l’imponente antico carcere parigino; e l’arte barocca dell’Hôtel des Invalides… con la sua scintillante cupola dorata e la tomba di Napoleone al suo interno. Sublime.
Erano passate le dieci e attendavamo questi due ragazzi davanti all’uscita della metro 1. Ero leggermente infastidito da quell’inaspettata aggregazione al gruppo. Ciro era mio cugino e Antonio lo conoscevo abbastanza bene, dopo averlo ospitato una volta a Milano. Ma quest’altri due non sapevo proprio chi fossero. Mai visti e mai sentiti. Erano due amici di Antonio, conosciuti a Cambridge qualche mese prima.
– Vedrai Ciro… Alberto è un tipo talmente logorroico… – e fece un gesto scocciato con la mano.
Devo ammettere che adoro le persone che parlano sempre… rendono il mio silenzio meno imbarazzante. Purtroppo però, una cosa che devo assolutamente perfezionare del mio carattere, sono questi ambìti “rapporti sociali” che le persone comuni intrattengono con tale facilità da farmi vergognare della mia difficoltà. Ho studiato un po’ di psicologia, letto libri di comunicazione e conosciuto una variegata specie di caratteri personali per potermi confrontare e capire dov’era il mio errore. Niente… tutto vano! Sono così… e nessuno mi cambierà mai!
Fatto sta, che in quel momento proprio non mi andava di conoscere gente nuova. Un po’ come quando tua madre ti serve una minestra e tu devi mangiarla per forza… e conti fino a tre prima di ingoiare il primo boccone. Contai fino a tre anche quella volta e mi sentii pronto. Dopotutto erano solo ragazzi: un “ciao”, un “come va?”, normale routine per sciogliere il ghiaccio. Semplice no?
– Arrivare ai trenta, nel bene o nel male, con questo stile di vita, mi farebbe comunque piacere… – risposi.
– Eh già! Ah… dimenticavo… parlano inglese! –
Feci una faccia stupita e guardai mio cugino che, come me, non navigava in buone acque con le lingue.
– Inglese?! Dovremo parlare per tutto il tempo in inglese?! –
– Hey guys! –
Dalla metro uscirono due ragazzotti, uno aveva un trolley blu e l’altro uno zaino nero in spalla. Era vero… più che trentenni sembravano ragazzini! E come si vestivano!
– Hi Antonio! –
Antonio salutò i suoi amici e poi si passò alle presentazioni. Ciro partì per primo, poi toccò a me.
– Hello friend! –
– Hi, my name is Ciro! –
– My name is Rafael. You two have the same name? –
– Yes… he is my cousin… –
– Oh yaa… –
Mi presentai anche ad Alberto e l’interrogazione d’inglese per il momento era finita. Feci un respiro profondo. “Immagino che discorsi a cena…” pensai mentre camminavamo in non so quale direzione. Alberto aveva preso sottobraccio Antonio e conversava con lui tranquillamente raccontando di fatti, storie e soprattutto di donne. Ciro cercava di far amicizia con questo Rafael mentre io ascoltavo camminando a fianco.
– I come from Brasil… I’m a lawyer… –
“Un avvocato?” pensai.
– …and i have also a degree in economy… –
“Un avvocato e un economista! 2 Lauree! E veste come un quindicenne che si veste male… non ci posso credere!”
– …we met Antonio in Cambridge… i went there to study english… –
Ora che sapevo che veniva dal Brasile, feci più caso al suo fortissimo accento brasiliano. I suoi tratti somatici forti e i lineamenti del viso bollavano istantaneamente la sua provenienza straniera.
– And now, what do we do? – chiese Rafael.
– And now… wine! A lot of wine! Do you have some wine? – chiese Alberto ad Antonio.
– Yes! Three bottles… –
– No… three bottles are few… we must buy other wine! –
A mano a mano, traducevo le frasi con un po’ di difficoltà, e quando arrivai al punto che volevano comprare altro vino, feci un sorriso sollevato. Mi stavano più simpatici. Avevano pronunciato la parola chiave comune a tutte le lingue… l’alcool! E Ora li osservavo sotto un’altra luce.
Quei ragazzi, in fondo, non erano poi così male…

 

 

Ariano FolkFestival.. (strane storie estive III)

ariano%2520folk%2520festival

Stavo per   svenire… fortuna che quei ragazzi m’hanno tirato su…

– Parcheggiamo lì… no aspetta… anche lì c’è posto. –
– Che palle queste salite… la macchina non ce la fa! –
– Ecco… parcheggiamoci qua. –
Eravamo arrivati ad Ariano Irpino. Sani e salvi direi. I 60 chilometri erano volati tra una battuta e l’altra, un pezzo di musica e un sorso di vino. Eravamo lì e ci toccava solo trovare il luogo del concerto. Imboccammo un vicoletto e seguimmo delle persone che camminavano avanti a noi. É sempre stata un’ottima tecnica quella di seguire le persone. Perché la gente sa sempre dove andare.
– Ragazzi aspettatemi! –
Luca zoppicava visibilmente. S’era fatto male al piede in uno dei concerti dei giorni passati.
– Tutto bene Luca? – gli chiesi mentre lo aiutavo con una spalla.
– Certo! Tanto ci ho messo un chilo di Lasonil e una fasciatura ben stretta. Sono a posto!-
– Se lo dici tu! Non lo sforzare troppo però, stasera. –
– Ma cheee! Io mi devo divertì! –
– Se la metti così, inizia a camminare da solo! –

Scendemmo diverse scale fino ad arrivare a un largo spiazzo. C’era un sacco di gente. Appena sentimmo la musica, impazzimmo e ci mettemmo a correre nella direzione del concerto. Proprio come dei pazzi scatenati, zompettavamo a destra e sinistra come cavallette evitando persone e cose, fino a raggiungere la folla che si era formata sotto il palco.

La musica aumentava di ritmo e vivacità. Lo Ska era la base di tutte le canzoni di quella sera. Guardai Luca e i ragazzi. Non volevo perderli di vista. Ci mettemmo in cerchio e prendemmo le nostre bottigliette piene di vino.
– Facciamo un brindisi alla serata! – disse Andrea sistemandosi il cappello nero sulla testa.
Accostammo le bottigliette e il vino andò giù in una lunga sorsata.
L’aspro sapore m’inondò il palato. Scese velocemente nello stomaco come se fosse acqua fresca e la testa cominciò a girare. Vedevo tutto sfocato.
Un’altra sorsata…
La musica aumentava…
Shantel – Disko Partizani.
Gli strani violini e le fisarmoniche m’entrarono in testa. Sorridevo. Mi sentivo leggero come l’aria e ondeggiavo insieme alla folla.
Un’altra sorsata…
Non vedevo più i miei amici, chissà dov’erano finiti. Forse erano intorno a me e non riuscivo a vederli. La musica aumentava. La gente spingeva. Ero circondato da ragazze mal vestite e ragazzi rasta che cercavano di ballare.
Un’altra sorsata…
E questa era l’ultima. Gettai la bottiglia, chiusi gli occhi e cominciai a ballare. Lentamente mi avvicinai al palco. Lì c’era molta più gente e soprattutto partirono gli spintoni. Il cosiddetto “pogo”. Iniziai a ballare in tondo saltando al ritmo di musica. Mi scontravo con gli altri e gli altri si scontravano con me. Spallate… gomitate… spintoni… non si contavano. A un certo punto notai un tizio con una maglietta nera che si faceva strada facilmente tra la folla. Era William che, data la sua stazza, non aveva problemi a neutralizzare le mosse degli altri. Mi faceva ridere a crepapelle perché ballava imitando un pollo, come a voler sfidare tutti gli altri intorno a se.
Mi fermai un attimo per cercare con lo sguardo anche gli altri ma arrivò uno spintone fortissimo alle spalle. Caddi a terra. Scossi la testa e mi ripresi dalla botta. Per qualche secondo vidi a rallentatore tutti gli altri intorno a me ballare. Scarpe e gambe che si accalcavano. Sperai che nessuno mi colpisse ancora. Poi dei ragazzi mi tirarono su. Mi sorrisero e gli feci segno che andava tutto bene. Mi diedero una pacca sulla spalla e tutti insieme ricominciammo a ballare, come se fossimo un gruppo di amici affiatato. Stupendo… Ma cominciava a mancarmi l’aria. Il pogo si faceva leggermente più violento. Ero quasi al centro della benevola rissa. Ballando, cercavo di uscire dalla cerchia. Respiravo a fatica e mi mantenevo il petto con una mano. Il mio cuore sembrava impazzito. Finalmente fui fuori. Ma spuntò Luca davanti a me:
– Vai va!! – mi prese e mi buttò di nuovo al centro di tutto.
Cavolo pensai, ma ormai ero lì… e ripresi a ballare come un indemoniato. Chissà da dove mi veniva tutta quella energia. Non sentivo la stanchezza. Il mio corpo era come anestetizzato. Ballavo e mi divertivo. Sentivo la testa girare e la gente che spingeva da ogni lato. Ballavo in tondo… saltavo. Era una sensazione strana che mi piaceva. Mi sentivo vivo… e niente mi faceva più paura. Ritrovai tutti i miei amici. Erano intorno a me che ballavano e si dimenavano…

e dovevo ringraziare loro per avermi convinto a esser lì quella sera…

Tutto a posto a ferragosto! (strane storie estive II)

Ariano%2520Folk%2520festival%25202

rischiammo  la vita diverse volte quella notte… (mai più guidare ubriachi!)

Notte…

La vecchia punto correva lungo l’autostrada Napoli-Bari. Eravamo noi 5: Enzo, William ed io dietro, Andrea e Luca davanti. Ovviamente, anche se la punto era di Luca, la guidava Andrea. Poiché tutti concordavamo sul fatto che Luca non avrebbe dovuto guidare nemmeno una bici con le rotelle. Anche Andrea però stava perdendo punti-fiducia dopo quella volta che spaccò lo specchietto della macchina per accendersi una  sigaretta. Però, era sempre meglio uno specchietto che un frontale con un’altra auto.
La musica era alta e Luca giocava con le manopole per scegliere la canzone giusta. Aveva fatto un cd zeppo di canzoni anni ’80, che dava al nostro viaggio un tocco di ritorno al passato.
Il tragitto era ancora lungo, la notte incalzava e il genio di turno decise di ammazzare il tempo con un bel bicchiere di vino. Allora, secondo voi, sarebbe stato possibile versare del vino da un recipiente di 5 litri in un bicchiere di plastica a bordo di una macchina sparata a 130 chilometri orari?
Ovviamente, se non si ha il potere di bloccare il tempo, no.
– Lucaaaaaaa!! – gridò all’improvviso il nostra autista scatenato.
– Jaaa.. Andrea scusa! Non l’ho fatto a posta! –
– Mi hai buttato tutto il vino addosso! Sei proprio uno Stronzo! –
– Dai, ora metto a posto. Vogliamo fare una cosa? Ci fermiamo a una piazzola… e organizziamo un grande brindisi! –
– Siii!! Vai va! Eccone una… ora accosto! –
E così… alle undici e mezza di notte, 5 scapestrati erano fermi in una piazzola di sosta dell’autostrada Napoli-Bari. Le macchine e i camion sfrecciavano alla nostra sinistra e speravo che la situazione non si facesse più pericolosa di quanto sembrasse.
– Ragà. Facciamo una cosa, travasiamo il vino nelle bottigliette dell’acqua! Cosi possiamo berlo meglio in macchina! –
– Si ma come facciamo? –
– Ci penso io! – disse Enzo. – Facciamo il buco ad un bicchiere e lo usiamo come imbuto! –
– Si! Ottimo! Proviamo… –
Mi limitavo a osservare insieme a William l’assurda impresa. Dubitavo molto della riuscita. Scherzando dissi a William che andavo a chiedere un imbuto al punto SoS.
A parte la battuta volevo vedere come erano fatti quei cosi. Non mi ero mai fermato in autostrada ed ero sempre stato curioso di vedere da vicino quegli affari gialli con la scritta SoS.
Tornando dai ragazzi vidi che erano ancora intenti a travasare il vino. Erano in cerchio e mi avvicinai per guardare dall’alto. Andrea versava mentre Luca manteneva la bottiglietta. Del rivoluzionario bicchiere-imbuto nemmeno l’ombra.
– Vedo che il sistema del bicchiere ha funzionato! – ironizzai.
– E’ tutta colpa dell’aria! – disse Enzo.
– Si, hai ragione Enzo, è sempre colpa di quella fottuta aria! – dissi dandogli una pacca sulla spalla.
– Assafà! Ce l’abbiamo fatta! Ora ci facciamo un bicchiere di vino a testa e ce ne andiamo! –
E con i bicchieri in mano e il sorriso sulle labbra brindammo al concerto che aspettava solo noi per cominciare.
– Tutto in un sorso! – urlò Luca.
E via…
Salimmo in macchina al volo. Andrea mise la freccia e tornò in carreggiata.
Le facce dei ragazzi erano felici… e stranamente lo ero anche io. La vera felicità, purtroppo, è una cosa che raramente riesco a provare… e dovevo ringraziare quei  ragazzi lì… che a volte fermavano il flusso continuo dei miei pensieri ansiosi.
Guardavo dal finestrino i fari delle macchine. Non capivo se eravamo noi ad andare veloce o loro. Non m’importava… il vino stava facendo effetto.
Finalmente…

Uno strano scivolo… (Livigno 2010 parte V)

Livigno%252C%2520lo%2520strano%2520scivolo

Appena varcata la soglia del Miky’s pub, sembrava quasi d’entrare in un altro mondo. Fuori tutto tranquillo e regolare. Il silenzio regnava ed era rotto solo dal rumore dei nostri passi. Dentro invece si sentiva la musica, le persone che parlavano, il tintinnio di bicchieri e bottiglie. Sembrava proprio di aver oltrepassato lo stargate ed essere entrati in una nuova dimensione.

All’ingresso c’era una giovane ragazza addetta al guardaroba, cosa che non avevo mai visto in un pub old style. Mi bloccai…

– E questo a che cazzo serve?! –

Poco di fianco alla ragazza c’era uno scivolo in legno che portava al piano di sotto, da dove proveniva la musica. Rimasi per un po’ ad osservarlo fantasticando sulle mille cose che avrei potuto farci. Di fianco al bizzarro scivolo c’erano le scale. Le scendemmo e venimmo inondati da musica dance ad alto volume. Guardai tutta la sala e pensai che finalmente avevano inventato ciò che volevo: una discoteca… in un pub.

Perché sì… entrambi i locali hanno i loro pregi ma anche i loro piccoli difetti.

In discoteca, se entri… devi per forza ballare. Non c’è mai un fottuto posto dove sedersi e godersi il proprio drink. Drink che deve essere per forza un cocktail, perché se prendi una birra ti guardano storto e pensano che tu sia un ubriacone. Nonostante ciò, mi piace ballare… sentire la musica dance o house che ti pompa nelle orecchie solleticandoti la mente e dandoti piccole scariche di adrenalina.

Nel pub, invece… ti siedi con davanti la tua bella birra doppio malto e gli amici intorno. Scheggi un po’ il tavolo col coltellino, racconti un po’ di stronzate a chi vuol sentire. Ma la musica che c’è non è mai quella giusta… o non sempre. Una volta sono entrato in un pub dove la canzone migliore era di Laura Pausini. Il pub che prendo sempre come riferimento è lo Sloppy’s Joe di Dante. E’ uno dei migliori, a mio avviso. Forse solo perché ci ho passato i migliori anni della mia vita. Ed anche lui ha la pecca di tutti i pub. La musica e soprattutto, sono almeno 5 anni che sui suoi schermi gira ancora a ripetizione senza voce quel cavolo di film di Sin City e non c’è bisogno di dirvi che lo conosco a memoria.

 

Il Miky’s pub, quindi… era un po’ tutt’e due. Sulla destra c’era il lungo bancone in legno dove il barista serviva i cocktails. Quasi in fondo alla sala c’era una postazione deejay rialzata con annesso ragazzo con cuffia e capelli strani. Sulla sinistra invece c’erano i tavolini, di quelli alti con gli sgabelli sempre in legno. Qui un po’ tutto era in legno… e io amo il legno. Al centro del locale c’era uno spazio non molto grande, dove la gente ballava.

Ci sedemmo in fondo. Enzo, Ciro, Luca ed io.

Tutti intorno allo stesso tavolo, a guardare la sala piena di gente.

– Non è male questo posto… –

– Già… ordiniamo qualcosa… –

– Una bella bottiglia di vino bianco… e quattro bicchieri… – proposi io.

– Chi inizia? …Ok ok… ho capito… vado io… – dissi.

 

Andai al bancone. Feci segno al barista di venire da me.

– Che vini bianchi hai? – Gli urlai.

Lui ne elencò alcuni, ma io non capii niente a causa della musica troppo alta e gli dissi:

– Fai tu! –

Poco dopo tornai al tavolo con la bottiglia stappata e quattro bicchieri a calice alto.

Poco dopo ancora… la bottiglia era vuota.

 

– Guarda quelle tre sedute lì…-

Mi voltai nella direzione indicata da Ciro e vidi tre ragazze sedute a un tavolino. Una mora, una castana e una bionda. Mancava la rossa e il quadro era completo… pensai sorridendo.

– Vanno a vino anche loro… – disse Luca, osservando i loro bicchieri.

– Quella con i capelli corti è la più bella… –

– Naa… meglio quella con gli shorts… –

– Perché la bionda la vogliamo buttare via? –

– Perché non vai da loro e chiedi se vogliono sedersi qua con noi? La prossima bottiglia la offro io… –

– Tu comincia a offrire… al resto ci penso io… – risposi

 

Naturalmente, essendo quello più vicino al bancone in linea d’aria, dovetti alzarmi io. Il barista mi vide e gli chiesi di stapparmi una nuova bottiglia. Lui al volo la prese, stappò con classe e me la diede.

Dopo mezzanotte la musica cambiò. Si fece più aggressiva e ballabile. Guardavo la sala un po’ annebbiato dall’alcol. I ragazzi erano andati nella sala fumatori e rimasi solo a fare la guardia alla bottiglia vuota di vino bianco.

A un certo punto il deejay cambiò canzone. Una di quelle belle che mi piacciono molto… ma che adesso… proprio non ricordo.

Questa devo proprio ballarla, pensai

E mi buttai in pista tra la gente che si dimenava al ritmo di musica. Iniziai a muovermi cercando di ballare decentemente in quello spazio ridotto. Intorno a me c’erano ragazzi e ragazze di ogni tipo. Dai volti  si riconoscevano tedeschi… polacchi… svizzeri. C’erano anche le tre ragazze sedute a quel tavolo. Ballavano vicino a me. E ogni tanto mi adocchiavano. Mentre ballavo, mi voltai in direzione del mio tavolo. Vidi i miei tre amici tutti li seduti che mi osservavano. Sentivo i loro occhi addosso e sapevo già cosa stavano dicendo su di me.

So cosa ci vuole.. pensai.

Mi appoggiai al bancone con un gomito. Il barista mi vide e iniziò già a prendere una bottiglia di vino. Praticamente non gli dissi niente. Lui già sapeva.

– Thanks… – gli risposi e tornai al tavolo.

 

Purtroppo quella bottiglia fu l’inizio della fine. Un attimo dopo averla vuotata, il mio cervello praticamente galleggiava nell’alcol. E subito dopo, una scena incontrollabile si prestava agli occhi di tutti i presenti nella sala. Io su una specie di palchetto che facevo volteggiare la mia maglietta al ritmo di musica. Il barista corse da me e cercò di farmi scendere, urlandomi di rimettere la maglietta. Per fortuna non si incazzò.

Tornai al tavolo e mi detti una calmata.

Vidi Enzo e Luca che parlottavano con una ragazza inglese.  Quest’ultima sorrideva mentre mi guardava. Enzo le aveva detto qualcosa. Lei mi disse – Ok, ok… – e mi fece un gesto di approvazione con la mano. Non capii niente. Ero un po’ stanco, ma l’alcol mi teneva sveglio. Entrai nel gruppetto che si era formato con l’inglese. Cercavo di biascicare qualche parola che lei, con mio stupore, comprese. Enzo era quello che se la cavava meglio. Forse anche perché era più sobrio di me. Dopo un po’ mi limitai a osservare, cercando di calmare un po’ i battiti del mio cuore. Avevo un bicchiere vuoto in mano e ci giocavo.

Dopotutto, questa serata non è andata poi così male, pensai mentre guardavo

lo strano scivolo dall’altra parte della sala… 

 

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: