A volte le magie accadono… (parte 3)

Luciano prese posto tra le file della platea. Si sedette nel posto centrale con a fianco Maioli e gli altri.
Non gli staccai gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Ligabue era lì, in uno dei posti del cinema. Inciampavo ogni gradino mentre risalivo la scala. Dovevo raggiungere il mio posto. Il film sarebbe cominciato a breve. Ma quale film avrei visto se lui non se ne fosse andato? Ero distratto e assorto come un bambino che pensa al regalo di Natale in un negozio di giocattoli. Un bambino, mi sentii proprio un bambino. Scalai i miei ventiquattro anni in un colpo. Tornai all’inizio. Quando la mia corazza era ancora bella forte e niente riusciva a scalfirla. Quando la vita era Giorno per Giorno e non avevo pesanti ricordi in bagagliaio. Poi entrò lui, senza nemmeno bussare. Si mascherò con una semplice canzone; allettò il mio udito con la musica e penetrò il mio cuore con le parole. C’è stato un periodo che l’odiai per questo. Perché ogni canzone che ascoltavo… ogni strofa che sentivo, mi lasciava inerme, debole, pensieroso.
Alcune canzoni decisi di non ascoltarle mai più. Ma il tempo corresse gli errori e finii per cedere, come le mie lacrime.
Anni su anni. Vita su vita.
Storie, ragazze, amici.
Vizzi che non puoi smettere.
Pelle anima e ossa.
Cielo.
Sentivo dentro ogni cosa, e ogni cosa mi stava pulsando nelle vene.
Le luci del cinema si abbassarono e lo schermo scintillò. Francesca mi disse di sedermi e lentamente lo feci. Tornai per un attimo alla realtà. Ero lì, nel posto 7 della fila 13, con in mano un paio di occhialini 3D.
Avevo giubbotto e sciarpa ancora addosso. Non avevo fatto caso al caldo che faceva. Strinsi la mano di Francesca. Mi guardò. Cercava di capire la mia agitazione. Ero a pochi metri di distanza dal mio idolo.
Ci separavano solo pochi posti. Era nella mia stessa fila. Mi sporsi in avanti con il busto. Lo vedevo e per farlo dovevo distogliere lo sguardo dallo schermo. Il film stava iniziando.
Ero teso. Sullo schermo passavano le scene di migliaia di ragazzi che si preparavano a vedere il concerto. Volti sconosciuti. Semplici persone arrivate da tutta Italia per godere di un sogno. M’immedesimai in loro. Ricordai vaghe scene del passato. Ricordai le emozioni, ricordai i miei freschi diciott’anni. Ricordai gli amici, a quel tempo, più stretti che mai. Tutti i miei ricordi erano concentrati in canzoni. Le canzoni che aveva scritto quell’uomo seduto a qualche metro da me.
Partì Questa è la mia vita, una di quelle che amavo di più. Indossai gli occhialini per guardare qualche fotogramma, ma dopo un minuto li toglievo per tornare a osservare lui. Ligabue era immobile. Tutta la sala cantava e si sbracciava come se fossimo a un concerto. Lui invece era fermo a guardare. Sorrideva osservando gli spettatori estasiati. Il suo film stava dando l’effetto sperato. Stava generando emozioni.
Era quello il suo lavoro, e lo stava facendo bene.

Incrociai le dita. Pregai. Volevo quel qualcosa che prima mi era sfuggito. Volevo lui. Non mi bastava averlo sfiorato. Volevo di più, e quella era l’occasione giusta. Forse l’unica per me. Guardavo il film ma stranamente ero impaziente che finisse. In quel momento non m’importava. Il film poteva aspettare. Pensavo a come avvicinarlo, e pensavo, con dispiacere, alla probabilità che non ci fossi riuscito.
Il solito pessimista.
Sperai, sperai, sperai. E le luci si accesero. Il film era finito.
Mi guardai intorno. Infilai alla svelta il giubbotto di pelle. Francesca mi guardò e capì. Sgomitai tra la folla. M’infilai in ogni buco. Passai avanti a tutti. Lo vedevo. Ero vicino. Sentii il cuore battere forte. Le braccia mi tremavano. Ligabue stava uscendo dalla fila nella mia direzione. Nella direzione di molti. Si faceva sempre più vicino. Le mani dei ragazzi non volevano lasciarlo andare. Si appigliavano ai vestiti, al collo, alle braccia. Li capivo. Anche loro volevano toccarlo. Luciano era a un palmo da me. La sua mano destra era stretta da un altro ragazzo. Tesi il mio braccio allo spasmo.
Gridai “Ligaaa”. Lo guardai negli occhi per un istante. Quell’attimo fu immenso. Ligabue lasciò la mano del ragazzo e con un rapido movimento gliel’afferrai. Senza pensarci, senza permessi, senza chiedere. Un contatto. Avevo la sua mano nella mia. Nella testa mi scoppiò una supernova. Non guardavo più la sua faccia ma la mia mano, insieme alla sua.
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Furono i secondi che passarono. Poi lentamente lo lasciai andare. Le sue dita scivolarono via dalle mie e incontrarono quelle di un’altra persona. Il cuore mi batteva come un tamburo e le gambe sembravano fatte di pan di spagna. Ero fermo. La folla lo seguiva nella sua dipartita. Tutti si allontanavano da me. E quando non ci fu più nessuno, scorsi Francesca dall’altra parte della sala.
Le sorrisi… e lo fece anche lei.

A volte le magie accadono… (parte 2)

– … per andare a vederlo da un’altra parte! –

Melzo è una piccola cittadina nella sconfinata periferia di Milano. Ha una manciata di abitanti in un gruppo di case, una ferrovia che la spacca in due e una vecchia storia medioevale.
Faceva freddo anche lì e il sole lentamente se ne stava andando, oscurando tutto. Il pullman ci lasciò in strada. Apparentemente quel posto aveva qualcosa di familiare, ma tralasciai i miei pensieri.
– Siamo arrivati! – disse lei.
Eravamo di fronte un modesto palazzetto. Aveva la forma di una cupola o quasi. Su un lato, una grossa insegna multicolore: Arcadia.
Era un cinema. Un posto così semplice dove tenere coppiette vanno a passare qualche ora spensierata. Non avrei mai pensato che quello fosse stato il luogo dove si sarebbe avverato un mio desiderio.
Ci avvicinammo. La mia curiosità cresceva allo stesso ritmo della mia impazienza. Mi fermai un attimo davanti alla vetrina che racchiudeva un poster. “Ligabue – Campovolo – il Film 3d”
Quel giorno, non avevo programmato di vedere quel film, ma lei mi ci trascinò con tutte le sue forze.
E’ delizioso avere qualcuno che riesce a penetrare la tua corazza, guardarti dentro, e scavare nei tuoi desideri più intimi. Oltretutto Francesca non ammirava Ligabue come me. Non aveva motivo di essere lì, se non per me. Eppure aveva fatto di tutto per portamici, per recuperare due biglietti introvabili, per permettermi di vederlo e regalarmi un sogno.
Ancora non credevo a quello che stava per succedere.
Eravamo in un corridoio. Il cinema si stava riempendo pian piano. In mano avevo i nostri due biglietti. Posti 7 e 8. C’erano capitati i nostri numeri fortunati. Che bizzarra coincidenza.
Adoro le coincidenze ma al loro succedersi il mio istinto va in allarme… e non riesco mai a capire se in bene o in male.
– Che hai? – mi chiese, osservando il mio volto che appariva triste.
– Niente… sono agitato… teso… emozionato… incredulo… non so che dire… –
Sorrise e mi strinse la mano. Cercò di comprendere il mio silenzio. Avevo un mondo all’interno che si stava scontrando con un altro. Due forze contrastanti, una fatta di ricordi, e una di presente. Sentivo gli stessi sentimenti di dieci anni fa. Quando ascoltai per la prima volta una canzone di Ligabue sul mio pc. Era Certe notti. Me ne innamorai subito. E da lì, la rapida ascesa: il primo cd… la prima maglietta… il primo concerto. Fu proprio Campovolo nel 2005. Il 10 settembre del 2005. Lo amavo talmente tanto che mi ci fiondai senza se e senza ma, col mio giubbotto di pelle e la mia monospalla, qualche amico fidato, una botta di vita e un viaggio di 10 ore.

Aspettavo seduto in quel corridoio. Sentivo l’ansia crescere, quella violenta che ti scava dentro, quella che prende il respiro, quella che aspetta la gioia, che forse arriverà. Guardai di nuovo i miei biglietti e con loro le mie gambe in un pantalone grigio.
– Sto sognando? – le chiesi.
– No… scemo… andiamo… mettiamoci in fila che tra poco si entra in sala! –

Sala Energia

Dall’esterno non sembrava che questo palazzetto potesse contenere una sala così grande. La platea da sola era uno spettacolo. Una specie di anfiteatro con poltroncine blu, rivolte tutte verso lo tesso punto.
Al centro di un’enorme parete, un immenso schermo. Il più grande che abbiamo mai visto in vita mia. Spettacolare. Rimasi affascinato a guardare quella scena, per gustarmi i dettagli, mentre la sala si riempiva. Francesca prendeva i posti e poggiava le cose.
– Se vuoi ci mettiamo lì, in piedi in fondo alla scala. Saremo più vicini. –
Alla parola “vicino” il mio cuore ebbe un sussulto. Mi ero quasi dimenticato che non era un sogno, era tutto vero quello che stava per succedere. Scesi lentamente ogni gradino. Mi appiattii alla parete. Altri ragazzi ebbero la stessa idea e per una volta nella vita, invidiai quelli che erano seduti in prima fila. Fissavo il centro del palco. Illuminato da un’unica luce. Quasi come se Dio stesse per scendere in scena.
La sala era piena. Un vociare scomposto di sottofondo fatto di anime che si scambiavano esperienze e opinioni, contrastava col mio silenzio. L’ansia si fece più forte. La mente non aspettava altro. Il cuore pompava ritmi sconosciuti. Gli occhi non sapevano più dove guardare.
Improvvisamente, le porte si aprirono. Dal fondo comparve un gruppetto di uomini capitanati da Claudio Maioli, il manager e amico stretto di Ligabue. Scesero lungo la scala. La stessa scala al cui termine c’ero io. I ragazzi si scansarono educatamente. Maioli guardava i gradini per non inciampare nella penombra. Una ragazza gli toccò un piede e si scusò.
– Niente… non si vede un cazzo qui! – Rispose Maioli.
Sorrisi mentre mi passò accanto. Il suo solito caratteraccio. Pensai.
Si disposero al centro sotto la luce. Dietro di loro, il maxischermo ancora bianco.
Con le orecchie li sentivo parlare, ma il mio cervello non memorizzò niente delle loro parole. La mia mente era impegnata a capire da dove sarebbe entrato Lui… da dove sarebbe sceso… e se fosse passato davanti a me.
Grida confuse. Maioli dice al microfono “Entra Luciano!” e dopo qualche secondo Luciano entrò. Alzai la testa, sgranai gli occhi ma non riuscivo a vederlo. Una massa di ragazzi e ragazze gli fu addosso. Era lontano da me. Stava scendendo lentamente dalla scala a destra. I fans non lo lasciavano andare. La maschera intervenne e calmò la folla. Lo vidi. Era a 10 metri da me. Lo spazio di una strada in pratica. Come se Ligabue fosse dall’altro lato del marciapiede… ed io volevo tanto attraversarla quella strada.
Era sotto la luce. I suoi capelli si tinsero di chiaro.
– Ben arrivati! – disse, e la folla esplose.
– … ho voluto presentare il mio film qui, all’Arcadia di Melzo, nella sala Energia. Perché qui c’è uno dei più grandi schemi 3d italiani e spero che il film si veda bene! –
Ligabue parlava al microfono. Presentava il film. Lo fissavo così intontito e la mente era un guazzabuglio di parole, di sue parole. A ogni sillaba che pronunciava, cercavo di avvicinarmi lentamente insieme ad altri colleghi.
I piedi mi tremavano e la Maschera già ci guardava in malo modo. Gettai la mia educazione in qualche angolo recondito del corpo e feci finta di non vedere i rimproveri velati.
Luciano ringraziò il pubblico e lasciò il microfono. Tutti i ragazzi, come girasoli attirati dalla luce, gli furono vicino. Crearono uno scudo tra lui e l’aria. Non lo vedevo più e la mia coscienza strinò la mia esitazione.
“Che fai lì, corri! Vai da Lui!”
In un attimo gli fui vicino. A meno di un metro. Vedevo la sua faccia grazie alla mia altezza, ma lo scudo di persone non mi permetteva di avvicinarmi. Stava risalendo le scale centrali. Si allontanava. Tesi un braccio. Ero a dieci centimetri. Il mio indice cercava di sfiorarlo. Non ci riuscivo. La folla era troppa. Pregai di avere le braccia più lunghe in quel momento. Salii sulle punte dei piedi. I muscoli erano tesi allo spasmo. Chiusi gli occhi. Dovevo riuscirci, dovevo riuscire a toccarlo almeno per un istante. Volevo un briciolo di sogno. Volevo sentire sotto le mie dita un pizzico di quel cantante. Non potevo lasciarlo andare. Me ne sarei pentito per una vita intera. Era lì… a un palmo da me.
Saltai sulle mie punte…
Gli sfiorai la spalla…
Se ne andò…
Incredulo e pensoso, restai imbambolato per alcuni minuti al centro del palco. Sotto la stessa luce che lo aveva inondato, ora illuminava me.
Trattenevo le lacrime mentre mi allontanavo. Cercavo di avere un aspetto normale. Di lì a poco sarebbe iniziato il film e lì ancora altre emozioni. A bordo scala lo guardai andar via lentamente. Quel cantate che mi aveva cresciuto. Stranamente non vidi le porte aprirsi. Ligabue stava temporeggiando a circa metà della sala. Parlava con Maioli. Cercai di capire cosa stesse facendo e quando mi fu chiaro, restai a bocca aperta dall’incredibile sorpresa.

“No… non posso crederci… non puoi far questo!”

Una scatola d’amore.. parte (I)

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Un bacio a mezzanotte. Un semplice bacio segnava la fine del sogno. Le nostre anime dovevano prendere vie diverse. Ti salutavo.. e tu mi guardavi dal finestrino. Il tuo sguardo voleva stringermi ancora. Le tue labbra volevano ancora le mie. Ma la mezzanotte era scoccata.. e la mia piccola cenerentola doveva tornare alla sua dimora. La favola però non era finita. Ma solo temporaneamente sospesa. Rimandata al prossimo giorno.. rimandata alla prossima fuga.

Mentre camminavo verso casa pensavo..

Pensavo al tuo volto mentre trovavi la scatolina d’oro. L’avresti osservata con delicatezza, rigirata nella mano, capovolta e poi, curiosa, l’avresti aperta senza batter ciglio. Ed ero sicuro del tuo sorriso nel vedere quel piccolo cuore di vetro rosso. Quanti stratagemmi ho costruito per cercare di metterti in borsa quella scatolina! Chissà se te ne sei accorta lì sul treno, mentre eravamo abbracciati a parlare di noi.

Chissà…

Posso solo immaginare il tuo sorriso, il tuo sguardo perso nel paesaggio scuro mentre torni a casa. Con i tuoi genitori che ti chiedono di raccontare e tu non rispondi.. pensi..

Proprio come me..

 

Un giorno prima..

 

Erano le sei e mezzo di sabato sera. E come tutte le normali coppie.. si litigava. Questa volta però aveva cominciato lei. Io relativamente non ne avevo colpa. Ero indifferente al pc. La lasciavo parlare. Detesto litigare. Chissà cosa ci trovino di piacevole le donne..

-Tu! Sei uno stronzo!-

A volte la mia ragazza era molto fantasiosa nell’elargire complimenti. Sorridevo. Tutto ciò mi sembrava irreale. Proprio come una fiction scadente della rai. Lei però sembrava seria. Ma io continuavo a non capire. Era stressata.. non ne poteva più e scaricava su di me tutto ciò che aveva accumulato durante la settimana.

-Non ti sei fatto sentire per giorni! Io non riesco a vivere così!-

Era vero. La mia vita in quel periodo stava cambiando quasi radicalmente. Impegni su impegni costringevano la mia mente a lavorare ogni minuto e quando avevo un attimo libero lo dedicavo allo svago. Per non parlare di un mio difetto che sempre mi accompagnerà. Questo si presenta ogni volta che mi dedico a qualcosa. Mi immedesimo talmente tanto che mi estraneo dal mondo. E il tempo passa.. e quasi non me ne accorgo.

Ci voleva qualcosa..

Qualcosa per rimediare alla situazione che si stava creando. La mia ragazza era seduta in un angolo. I suoi occhi erano tristi. Non volevo vederla così. Dovevo riuscire a strapparle un sorriso.

Guardai l’orologio.

18:40

Poi guardai lei e le dissi

-Ti va di vedere il Ponte vecchio?-

Lei alzò lo sguardo.. come quando ad un bambino dici che gli comprerai il giocattolo più bello.

-Smettila di scherzare! Non è il momento per le tue battute idiote!-

Sorrisi.

Sorrisi perché ero serio.

Quella sera.. saremo stati a Firenze.

Forse ci sentono lassù…

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E un biglietto giaceva sotto il mio cuscino…
 
L’avevo da poco accompagnata al piano terra del mio palazzo… e da lì se ne sarebbe andata a casa.
– Mi dispiace ogni volta andarmene… – fu la sua frase di chiusura. Perché non voleva mai tornare a casa. Non voleva mai tornare da se stessa. “Purtroppo… si viene e si va… in questa commedia… che c’è chi la spiega… e c’è chi vive e va…” Un ultimo bacio… prima della notte che ci avrebbe fatto rincontrare nei sogni. E la macchina andava… lontano da me… lontano da noi… Lontano da questa sera… Lontano da ciò che avevamo sognato… Lontano da luci e suoni di questa notte, di questa vita…
 
Sogni di rock ‘n roll
 
– I biglietti li hai presi? –
– Certo… sono qui! –
– Ok… andiamo! –
 
Quella sera era una serata speciale. E lo si capiva dalla luce che brillava nei miei occhi. Ero emozionato. Era da un bel po’ che non capitava… e per un dolce destino dal sapore di fragola, quel momento doveva ripetersi, perché certi momenti ritornano, con un po’ di ritardo, ma son lì. Dovevo rivederlo, anche se io non avevo fatto niente per farlo… Anche se io ero rimasto lì a guardare…  
– Grazie per i biglietti bambolina… – le dissi mentre la guardavo negli occhi.
Lei continuava a camminare. Mi sorrise e mi strinse più forte la mano. Prendemmo la metro. Direzione San Siro. Di lì a poco, si sarebbe esibito quel cantante che avevo impresso nell’anima. Quel cantate che vestiva la mia pelle come un vestito su misura. Quel cantate di cui mi fido, che non mi tradirà mai… che raccontava la mia vita attraverso la sua… regalandomi un sogno da custodire ogni volta che ne avevo bisogno.
Ci sedemmo.
La metro non era molto affollata. C’era un po’ di gente sparsa in giro, ed intravidi negli occhi di qualcuno la mia stessa meta. Perché quell’odore era inconfondibile… quella passione si sentiva a pelo. Quelle canzoni le potevi vedere solo negli occhi di sa… di chi sa capire… di chi sa intendere… di chi sa ascoltare.
“Chissà cosa lo rende speciale?”  pensai, e subito dopo sorrisi. Perché a quella domanda  potevo dare molte risposte. Perché quegli occhi neri, i capelli mossi e quella voce roca messi insieme alle sue parole, davano un qualcosa di unico. Un qualcosa che solo certe persone potevano capire. Che una canzone non è solo musica e testo… ma è vita… la tua vita o di qualcun altro, ma pur sempre vita. Feci respiro profondo e guardai la fermata a cui eravamo arrivati. C’eravamo quasi. Di fianco a me la mia dolce compagna. Chissà se attendeva anche lei con impazienza.  I suoi occhi erano vaghi, ogni tanto incrociavano i miei. Le passai una mano intorno al collo e l’avvicinai a me. Come per farle sentire il battito del mio cuore. Quel piccolo organo che non smetteva mai di funzionare. Anche se a volte sembrava un po’ arrugginito e faticava ad amare. Per fortuna che avevo lei accanto che mi capiva… e capiva il mio cuore un po’ malandato, che aveva troppa paura di crescere.
Arrivammo…
Iniziava il cammino fino allo stadio. Non sapevo molto bene dove si trovasse. Ma la solita regola dei concerti valeva anche lì. “Seguire la folla”, perché la folla in fondo, sa sempre dove andare.
E c’incamminammo seguendo quella lunga scia di persone che mi ricordava vagamente il Campo volo… ma lì era un’altra storia. Li sapevo dove andare e non lo feci perché aspettavo sotto uno stand l’arrivo di qualcuno… mentre guardavo la folla… mentre scrivevo un’altra storia, mentre guardavo il Campo Volo da lontano…
 
Ora da lontano guardavo il San Siro. Era stupendo… era grandioso come colui che ci avrebbe cantato all’interno bussando con forza alle nostre menti per farci capire che, oltre a noi, c’era anche lui…
Cercammo il nostro ingresso. Camminavamo tra bottiglie di birra e cartacce. Si vedeva che da lì, di gente ne era passata prima di noi. Faceva caldissimo. Cercai in cielo qualche nuvola ma non ne trovai. Mi rassegnai. Per fortuna che tra un po’ sarebbe scesa la notte e con lei, tutti i problemi sarebbero spariti.
– Vieni… è di qua! –
Entrammo attraverso il nostro varco. Dopo qualche minuto per trovare i posti, ci sedemmo comodamente tra le persone già presenti. Lo stadio si stava riempiendo  piano piano ed era già a buon punto. Guardai il palco e qualcosa non mi tornava. Ai due lati c’erano delle pale eoliche e in basso dei finti pannelli solari. Mentre dietro s’intravedevano delle fittizie centrali per il biogas.
Alchè pensai: – È?-
Ligabue ne trovava sempre qualcuna in più per stupire. Oppure per mandare un suo messaggio, un messaggio che condivideva a pieno. Aveva molto a cuore questo pianeta… e sapeva che nel nostro piccolo, ognuno di noi, qualcosa la poteva cambiare. Perché tanti piccoli tasselli formano un grande puzzle… Ma se manca qualcuno, la figura può risultare sbiadita come il nostro mondo che ogni tanto fa i capricci. E noi, pur sapendolo, non facciamo niente. Restiamo nella nostra piccola indifferenza mentre le cose vanno come non devono andare. Doveva essere questo il motivo di quella scenografia, o forse no. Sicuramente, Ligabue, voleva che ognuno di noi capisse l’importanza del mondo in cui viviamo.
E partì il concerto. Così, con quella canzone con cui ogni notte tornavo a casa. Che mi “viziava” lo stereo in fase “ripetizione”. Che mi cullava prima di andare a dormire. Perché quelle notti… quelle Certe notti, avevano il loro sapore unico. Il sapore di una macchina, di un pieno di diesel e di libertà.
E si passò al Centro del mondo. Mi sarei aspettato, come un bel po’ di persone, che avesse iniziato con quella canzone. Ma invece non l’ha fatto…  perché ad essere scontati non ci si diverte. Come quelle parole: un viaggio potente nel cuore del tempo… andata e ritorno… Guardai la mia bambolina e l’abbracciai, perché quella canzone era diventata un po’ nostra. Quelle parole piano piano c’erano entrate dentro ed avevano smosso un bel po’ di cose.
E canzone dopo canzone mi salirono i brividi a fior di pelle. E per poco, a stento trattenni le lacrime. Perché dentro avevo un miscuglio di carne ed ossa che stava ribollendo. E guardavo la folla, perché anche quella m’affascinava. Vedere tutte quelle persone lì, che si muovevano, che saltavano insieme a me, che indicavano il cielo ogni volta che ce n’era bisogno… e che ascoltavano, silenziosi come solo uno stadio può esserlo, le parole di quel piccolo uomo visto da quassù. E la sua chitarra viaggiava.
– Voglio salutare un mio grande amico… – disse Ligabue
Subito dopo partirono quelle parole che aveva preso in prestito da “Guccini”.
 
 
“Ho ancora la forza…
di stare a raccontare…”
 
 
E ricordai…
Quando quelle parole furono “mie”. Quando quella canzone l’ascoltavo mentre faticavo a tornare al mondo sempre vivo. E nonostante tutto, ero sempre riuscito a scamparla… con qualche ossa rotta e qualche bernoccolo qua e là.  Sempre e comunque su questa strada… guardando negli occhi quegli amici che a quel tempo mi dicevano: “ci vediam più tardi” perché non ero ancora uno di loro. Ed ogni tanto la mia forza svaniva, quando mischiavo le parole con due pacchetti al giorno… buttando la mia vita in qualcosa di peggiore..
E fortuna che ora ero lì…
ed avevo ancora la forza di stare a raccontare le mie storie di sempre…
Quel cantante mi ha accompagnato in tutti i momenti della vita… belli e brutti… Sempre cosciente del fatto che la vita ogni tanto deve esser presa per la coda…
Come se non bastasse la lunga scia di ricordi, la scaletta girò su ho messo via. L’unica canzone che sapeva come prendere i miei momenti più bui… sapeva dov’erano… e conosceva i perché.
Il pubblico prese in mano gli accendini e il San Siro si riempì di piccole luci che davano un effetto straordinario a quelle parole.
 
 
“Ho messo via un po’ di consigli
dicono è più facile
li ho messi via perché a sbagliare
sono bravissimo da me.”
 
E Ligabue dimostrò di saperci fare. Dimostrò che bastavano pochi arpeggi… un microfono ed una voce, per far stare bene un bel po’ di persone. Tra cui me…  ed aveva anche ragione quando poco dopo disse che: c’han concesso solo una vita… soddisfatti o no… qua non rimborsano mai…
Era solo, in mezzo a quel palco che si stagliava tra quelle mani che lo indicavano. che lo volevano toccare… volevano sapere come faceva…
“Come si fa a far sognare?” me lo chiedevo anche io… mentre una lacrima faticava a scendere.
 
Non è tempo per noi…
E forse non lo sarà mai…”
 
E quando finì la canzone, Ligabue prese in mano un specchio rotondo. E come un “riflettore umano di luci” portò la sua linfa ad ogni spettatore. Illuminò ogni posto di quel “piccolo” stadio. Ad uno ad uno, ogni ragazzo o ragazza fu illuminato da quel bagliore di luce. Ed io non fui da meno. Perché anche se non mi conosceva, non si scordava mai di me. Anche se ero confuso tra le gente, mi ha visto e mi ha illuminato. Mi stupì anche questo. Mi stupì come Ligabue, a suo modo, ha voluto rendere partecipe ognuno di noi… ogni mano alzata… ogni “testa sognante”.
E seguendo la scia dei sogni, perché non continuare con piccola stella senza cielo? Che questa volta era condita dall’apparizione di una coraggiosa ballerina appesa su di un filo che si arrampicava e creava acrobazie in cielo… proprio lassù… dove brillava la nostra piccola stella. Lo stadio iniziò a cantare. Perché quelle parole le conoscevano tutti. Quelle parole lo avevano reso famoso. Quella canzone non mancherà mai ad un  suo concerto. 
Come non mancherà mai: Urlando contro il cielo.
E si ballò. Lo stadio era in delirio. Le urla quasi coprivano la canzone. Le persone saltavano nei loro piccoli posti andando a tempo di una canzone che ha cent’anni almeno… Una canzone che cacciava fuori tutto quello che eri…
 
“Come vedi sono qua:
monta su, non ci avranno
finché questo cuore non creperà
di ruggine, di botte o di età.”
 
 La batteria andava. Il rullante e la gran cassa si facevano sentire, mentre la gente “correva” assieme alle parole di urlando contro il cielo… sperando che forse qualcuno lassù ci avrebbe sentito, senza riderne di noi… guardando ed aspettando, da una posizione distaccata, che i sogni degli altri si avverassero.
E ancora… ancora…
Ligabue aveva voglia di farmi perdere la voce quella sera. Ma io non mollavo… le cantavo tutte a squarciagola, per farmi sentire un po’ più degli altri. E saltavo anch’io… e ogni tanto lo indicavo con il dito, come per far capire da chi provenivano i battiti del mio cuore.
 
E scese la notte. Le persone si sedettero ognuno al proprio posto. Tutti guardavano il palco con la speranza accesa che Ligabue ritornasse. Perché non poteva andarsene così… non lui. Ci voleva quel tocco finale. Quella piccola magia prima di andare a dormire.
E come poca gente sapeva fare… ci diede la buona notte a suo modo. Non solo a noi presenti, un po’ a tutti… vivi o morti, di questo piccolo paese.
Buonanotte all’Italia…
 
E lì sì, che le lacrime scesero. Mi stavo cullando su quelle parole alla ricerca di quel ricordo mai sbiadito di mio nonno. Uno che doveva ancora insegnarmi molte cose ma se n’era andato via troppo presto per poterlo fare. Regalai la mia buonanotte anche a lui. Che sicuramente l’avrà ascoltata. Perché lassù non sfugge mai niente. Nemmeno la mia lacrima scesa e subito nascosta. Chiusi gli occhi per un istante… la musica mi coinvolse… mi prese tutto… ed alla fine… nell’ultimo giro di note, scoppiarono fuochi d’artificio digitali che estasiarono la folla… mentre Ligabue spariva lentamente da quella porta da cui era entrato… in grande stile…
come solo pochi sono in grado di fare…
 
 
 

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