Audi sportback… (strane storie estive V)

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In brutti periodi di droga…

Il mio istinto di sopravvivenza era in totale allarme. Avevo paura… una paura folle. Erano le due di notte ed ero a bordo di un Audi a3 sportback.
– Ti piace questa macchina Ciro?-
– Certo, è stupenda… ma rallenta! -
 Mi tenevo al bracciolo dello sportello. La velocità era alta; e se lo dicevo io, era alta davvero. Per fortuna il mio cuore teneva ancora, anche se batteva all’impazzata.
– E’ 2000 a benzina… e ha 170 cavalli… non la ferma nessuno!-
– Ci credo… la curva! Quella è una dannata curvaa! -
Onorio prese la curva a pelo a circa 180 chilometri l’ora. Fortunatamente a quest’ora in città non c’erano molte macchine ma quella velocità era folle anche avendo a disposizione entrambe le corsie. Follia pura.
Guardai Onorio.
Guidava con una mano sola, mentre con l’altra si tastava le tasche cercando qualcosa.
- Ciro, vedi se trovi un accendino… –
– Non dirmi che vorresti accenderti una sigaretta ora? –
– Certo…-
– Fammi guidare a me e tu fumi… – gli implorai fissando la strada.
– No, tranquillo, sto bene! –
– Comunque, qui l’accendino non c’è. La curvaaaa! Usa l’accendisigari e cristo rallenta! –
– E’ rotto! –
– Madò… non funziona niente in questa macchina! Secondo me, i miei 10000 euro li dovresti accettare per questo catorcio! –
– Chèè? Catorcio? Guarda qua! -
Onorio spinse l’acceleratore a tavoletta.  Restai incollato al sediolino per una decina di secondi e lì capii che dovevo starmene zitto. La strada non riuscivo più a vederla. Vedevo solo cose sfrecciare velocissime.
Onorio a guardarlo sembrava calmo e tranquillo. Come se tutto questo fosse normale routine per lui. O per dir meglio, quello non era ancora il suo limite, mentre il mio era già stato superato alla grande.
 Tum tum tum..
. Tum tum tum..
. Curva a destra, curva a sinistra… rotonda. La macchina sembrava pendere dal mio lato ma teneva bene la strada. A un certo punto Onorio iniziò a smanettare con lo stereo. Mise un pezzo di Ligabue per farmi contento. Poi abbassò la mano e girò al massimo la manopola dell’aria calda. Non capivo il perché (in pieno agosto). Il mio cuore batteva così forte che avevo un tremore che si diffondeva per tutto il corpo. Alzò la musica. Urlando contro il cielo. la più bella… e forse la più adatta. Non cantavo… non riuscivo a seguire le parole. La mia mente era uno scorrere continuo di pensieri, ansie e paure. Ogni incrocio, ogni rosso, ogni stop non rispettato, ogni sorpasso, ero lì con le unghie piantate nel sediolino.
 Veloce..
. Tum tum..
. Sempre di più..
. Tum tum..
. Un rettilineo. Sapevo che lì Onorio avrebbe dato il meglio di se. Lungo il bordo strada c’erano i pali dei lampioni che si susseguivano a oltranza, oltre a un basso muretto. Non c’era nessuna macchina. Niente, solo noi e la strada. Lunga e diritta sotto di noi. Onorio oltrepassò i 200, il suo contachilometri scintillante era stupendo. Avrei voluto avere anch’io una macchina così. Lo guardai. 
Lo guardai e stranamente mi fidavo di lui. Sbagliando…
 TUM TUM…TUM TUM…
 Onorio si avvicinò sempre di più al bordo della strada dalla mia parte. Sembrava una cosa calcolata al millimetro. Vedevo il bordo sempre più vicino, i lampioni sfrecciarmi accanto, uno dopo l’altro, in rapida successione… sempre più vicino… e…
– Oooooo atteen… -
SPAAAAAAKKKKKK

Mi abbassai dal lato di Onorio. I miei riflessi erano ancora vivi nonostante l’alcol trangugiato quella sera.
Mi alzai. Onorio continuava a correre come se niente fosse successo. Guardai fuori dal finestrino. Lo specchietto dell’Audi sportback era completamente disintegrato. Distrutto. Una cosa inguardabile. Era rimasta solo la povera freccia penzolante appesa a un filo. Avevo gli occhi sgranati. Lo specchietto aveva preso in pieno un lampione e non ne era rimasto più niente. Guardai il finestrino e ringraziai il cielo di averlo chiuso, altrimenti quello specchietto mi sarebbe schizzato in faccia.
– Ciro, ma ho per caso rotto lo specchietto? – disse Onorio, con la tranquillità di uno che chiede se ha vinto o no il Napoli la domenica precedente.
– Nooo… Non è che l’hai rotto… L’hai completamente polverizzato! Non c’è più niente! –
– Davvero Ci? –
– Rallenta un po’ e dai un’occhiata tu! –
– Aèè, sai quanto costa quello specchietto? –
– Spara! –
– 400 euro! –
– Azz, complimenti allora! Onorio, io te lo dico, pigliati sti 10000 euro per questa macchina! –
– No, ma che! Lunedì la porto ad aggiustare!-
– Tu si che stai bene! –

Finalmente arrivammo a destinazione. Ci fermammo un po’. Lo stereo e l’aria calda continuavano a girare.
Guardai Onorio con aria interrogativa e gli domandai:

– Onorio, spiegami una cosa… perché hai acceso l’aria calda? –
– Che ne so Cì… sto ubriaco! Spegnila pure! – disse sorridendo,
lasciandomi per un istante senza parole. Non perché guidasse ubriaco… capita spesso, ma questa cosa dell’aria calda a manetta il 21 di agosto, mi lasciò ammutolito.
Spensi l’aria. Guardai Onorio e gli dissi.
– Al ritorno guido io… –
– Non esiste proprio! Guido io! E ora sbrighiamoci! Che il tizio ci sta aspettando! –

Fidati… (strane storie estive IV)

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Foto: la mia mano timbrata all’Ariano FolkFestival.

4:00 am

Triiiiiiii…. Triiiiiii…

Un cellulare squillava nella notte. La sua vibrazione muoveva leggermente i fili d’erba attorno a sé. Una mano timidamente lo prese. Osservò il nome…

– Pronto Ciro? – disse la persona sconosciuta.

– Si sono io, ma tu chi sei? –

Poco prima…

Tum..

No… stavolta non era il mio cuore ma la testa di Enzo che batteva sul finestrino a ogni scossone dell’auto. Anche William dormiva profondamente. Aveva la testa buttata all’indietro dato che la punto di Luca non aveva i poggiatesta.
Ero in mezzo a questi due e davanti c’erano Andrea e Luca.
– No gira di qua Andrea… – diceva luca cercando di far da navigatore.
– Lo so, Lo so! Invece  di rompere organizza una sigaretta! – rispose Andrea indicando il sacchetto del drum.

Tum..
Tum..
Mentre Luca rollava il tabacco, Andrea si mise le mani in tasca alla ricerca di qualcosa.
– Dove cazzo ho messo il cellulare? –
Si muoveva pericolosamente mentre guidava. Eravamo in autostrada e una mossa sbagliata sarebbe stata fatale. Oltretutto eravamo un po’ alticci dopo la serata al concerto.
– Cazzo il cellulare! Non lo trovo!! – esclamò Andrea.
– Rilassati… starà qui da qualche parte nella macchina! – disse Luca con in bocca il filtro.
– Ora provo a chiamarti…- dissi.
Il telefono squillava, ma in ma macchina non si sentiva nessuna “strana” suoneria.
Anche Luca si era messo a cercarlo dopo essersi acceso la sigaretta.
– Niente Andrea… bussa, ma non lo troviamo! Provo a chiamare di nuovo… –
Tuuu..

Tuuu..
Click..
– Pronto Ciro? –
– Si sono io, ma tu chi sei? –
– Ho trovato questo cellulare nel prato… –
– Grande! – disse Andrea che stava ascoltando la conversazione tra me è lo sconosciuto.
– Senti… come possiamo riprendercelo? –
– Allora… io sto in campeggio qui ad Ariano… –
– Digli che torniamo indietro a prenderlo… – disse Andrea senza nemmeno farlo finire di parlare.

– Ok… allora noi tra mezz’ora siamo di nuovo lì. Poi ti richiamo. – dissi allo sconosciuto.
– Cazzo! Mi sarà scivolato dalla tasca quando ci siamo stesi sul quel maledetto prato! –
– Già… ma ora come facciamo a tornare indietro? Siamo sull’autostrada! –
– Ora facciamo inversione da qualche parte!- disse Andrea.
-No! Sei un pazzo! – disse Enzo che, per l’occasione, si era svegliato.
– Tranquilli ragazzi! Fidatemi di me… –
Ero dubbioso… come tutto il resto della compagnia. A parte Willy che continuava a dormire.
– Ecco… ora mi giro! Fidatevi! Lo so! L’ho fatto già una volta!-
– Non lo fare Andrea! Ci faranno la multa! Oltre a, vabbè, tipo rischiare la vita… –
– No ma che sarà! Ci parlo io con il casellante!-
Mi trattenei dal fare commenti per non risultare sempre il solito rompiscatole. Un pochino però, mi fidavo di Andrea. Non so… ma stranamente lo reputavo una guida affidabile. Sarà stato l’alcol o forse perché accanto a lui c’era Luca, quindi anche un terrorista islamico mi sarebbe risultato affidabile.
Facemmo inversione in un punto aperto dell’autostrada. Avevamo percorso quasi metà del percorso verso casa e ora tornando indietro avremmo azzerato il tutto. Andrea continuava a dire di non preoccuparci, che si sistemava tutto lui.
Casello.
– Cazzo! C’è solo il coso automatico. – disse Andrea visibilmente preoccupato.
– Cazzo non si alza la sbarra! Non possiamo passare! –
– Spingi il bottone di aiuto! –
Andrea diede una botta sul grande bottone rosso. Dopo un po’ rispose un uomo di mezza età molto, ma molto, assonnato.
– Si? –
– Buona sera… senta… noi non riusciamo a uscire… abbiamo messo il biglietto ma la sbarra non si è alzata… –
– Ora controllo… – disse il signore dopo uno sbadiglio.
La megapalla era andata, ora bisognava aspettare.
– Ecco ragazzi. Ora vi stamperò uno scontrino. Prendetelo. –
La voce sembrava sicura. Lo scontrino usci e Andrea lo prese.
73 euro di multa per inversione in autostrada.
– Cristo! Richiamalo al volo! – disse Luca.

Click
– Sii? –
– Senta, abbiamo preso lo scontrino… ma dice che dobbiamo pagare 73 euro? –
– Ragazzi… voi avete fatto inversione sull’autostrada. E’ già tanto che vi è andata bene che non c’era una pattuglia. Domani andate a un Punto blu… e raccontategli che vi si è rotta la macchina o che avete avuto un problema… o che cazzo ne so! Forse non vi faranno pagare niente. –
– Ok… buonanotte… –
– Buonanotte! E basta con le cazzate stanotte! – Il tipo ci ammonì e attaccò bruscamente l’interfono. In macchina per qualche secondo regnò il silenzio. Oltrepassammo la sbarra che si era aperta e poi:
– L’avevo detto io! – disse Enzo – Sull’autostrada ste stronzate non si possono fare! –
– Dai ragà… non vi preoccupate… la pago io se si deve pagà. – rispose Andrea.
Io osservavo divertito i vari dibattiti che si stavano creando. La cosa bella era che non era la prima volta. In passato avevo già assistito a scene simili.
Perché erano fatti così… testardi fino al midollo. La prima regola che imparai in quel gruppo era che quando Luca diceva “Fidati” era l’ultima cosa da fare… ma da quel giorno la applicai anche ad Andrea.
Mezz’ora dopo arrivammo di nuovo al paesino, dove si era tenuto il concerto. Io e Luca scendemmo dalla macchina e cercammo questo tipo che aveva il cellulare di Andrea.
– Eccoli! – dissi puntando il dito nella direzione di un ragazzo che sembrava familiare.
Ci avvicinammo a passo svelto. Il ragazzo era lì con la sua ragazza… o quello che sembrava.
– Grazie ragazzi… ci avete salvato. – disse Luca.
– Figuratevi… noi eravamo lì sull’erba quando è squillato e l’ho preso… –
– Grazie ancora… buonanotte cumpà! –
– Buonanotte cumpà! –
Tornammo velocemente in macchina e dopo aver imprecato contro Andrea e avergli dato il cellulare partimmo a volo.
Sperando che la nottata non avesse in serbo altre sorprese…

– Ragazzi! Che ne dite di una spaghettata a casa di Luca? –

Ariano FolkFestival.. (strane storie estive III)

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Stavo per   svenire… fortuna che quei ragazzi m’hanno tirato su…

– Parcheggiamo lì… no aspetta… anche lì c’è posto. –
– Che palle queste salite… la macchina non ce la fa! –
– Ecco… parcheggiamoci qua. –
Eravamo arrivati ad Ariano Irpino. Sani e salvi direi. I 60 chilometri erano volati tra una battuta e l’altra, un pezzo di musica e un sorso di vino. Eravamo lì e ci toccava solo trovare il luogo del concerto. Imboccammo un vicoletto e seguimmo delle persone che camminavano avanti a noi. É sempre stata un’ottima tecnica quella di seguire le persone. Perché la gente sa sempre dove andare.
– Ragazzi aspettatemi! –
Luca zoppicava visibilmente. S’era fatto male al piede in uno dei concerti dei giorni passati.
– Tutto bene Luca? – gli chiesi mentre lo aiutavo con una spalla.
– Certo! Tanto ci ho messo un chilo di Lasonil e una fasciatura ben stretta. Sono a posto!-
– Se lo dici tu! Non lo sforzare troppo però, stasera. –
– Ma cheee! Io mi devo divertì! –
– Se la metti così, inizia a camminare da solo! –

Scendemmo diverse scale fino ad arrivare a un largo spiazzo. C’era un sacco di gente. Appena sentimmo la musica, impazzimmo e ci mettemmo a correre nella direzione del concerto. Proprio come dei pazzi scatenati, zompettavamo a destra e sinistra come cavallette evitando persone e cose, fino a raggiungere la folla che si era formata sotto il palco.

La musica aumentava di ritmo e vivacità. Lo Ska era la base di tutte le canzoni di quella sera. Guardai Luca e i ragazzi. Non volevo perderli di vista. Ci mettemmo in cerchio e prendemmo le nostre bottigliette piene di vino.
– Facciamo un brindisi alla serata! – disse Andrea sistemandosi il cappello nero sulla testa.
Accostammo le bottigliette e il vino andò giù in una lunga sorsata.
L’aspro sapore m’inondò il palato. Scese velocemente nello stomaco come se fosse acqua fresca e la testa cominciò a girare. Vedevo tutto sfocato.
Un’altra sorsata…
La musica aumentava…
Shantel – Disko Partizani.
Gli strani violini e le fisarmoniche m’entrarono in testa. Sorridevo. Mi sentivo leggero come l’aria e ondeggiavo insieme alla folla.
Un’altra sorsata…
Non vedevo più i miei amici, chissà dov’erano finiti. Forse erano intorno a me e non riuscivo a vederli. La musica aumentava. La gente spingeva. Ero circondato da ragazze mal vestite e ragazzi rasta che cercavano di ballare.
Un’altra sorsata…
E questa era l’ultima. Gettai la bottiglia, chiusi gli occhi e cominciai a ballare. Lentamente mi avvicinai al palco. Lì c’era molta più gente e soprattutto partirono gli spintoni. Il cosiddetto “pogo”. Iniziai a ballare in tondo saltando al ritmo di musica. Mi scontravo con gli altri e gli altri si scontravano con me. Spallate… gomitate… spintoni… non si contavano. A un certo punto notai un tizio con una maglietta nera che si faceva strada facilmente tra la folla. Era William che, data la sua stazza, non aveva problemi a neutralizzare le mosse degli altri. Mi faceva ridere a crepapelle perché ballava imitando un pollo, come a voler sfidare tutti gli altri intorno a se.
Mi fermai un attimo per cercare con lo sguardo anche gli altri ma arrivò uno spintone fortissimo alle spalle. Caddi a terra. Scossi la testa e mi ripresi dalla botta. Per qualche secondo vidi a rallentatore tutti gli altri intorno a me ballare. Scarpe e gambe che si accalcavano. Sperai che nessuno mi colpisse ancora. Poi dei ragazzi mi tirarono su. Mi sorrisero e gli feci segno che andava tutto bene. Mi diedero una pacca sulla spalla e tutti insieme ricominciammo a ballare, come se fossimo un gruppo di amici affiatato. Stupendo… Ma cominciava a mancarmi l’aria. Il pogo si faceva leggermente più violento. Ero quasi al centro della benevola rissa. Ballando, cercavo di uscire dalla cerchia. Respiravo a fatica e mi mantenevo il petto con una mano. Il mio cuore sembrava impazzito. Finalmente fui fuori. Ma spuntò Luca davanti a me:
– Vai va!! – mi prese e mi buttò di nuovo al centro di tutto.
Cavolo pensai, ma ormai ero lì… e ripresi a ballare come un indemoniato. Chissà da dove mi veniva tutta quella energia. Non sentivo la stanchezza. Il mio corpo era come anestetizzato. Ballavo e mi divertivo. Sentivo la testa girare e la gente che spingeva da ogni lato. Ballavo in tondo… saltavo. Era una sensazione strana che mi piaceva. Mi sentivo vivo… e niente mi faceva più paura. Ritrovai tutti i miei amici. Erano intorno a me che ballavano e si dimenavano…

e dovevo ringraziare loro per avermi convinto a esser lì quella sera…

Tutto a posto a ferragosto! (strane storie estive II)

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rischiammo  la vita diverse volte quella notte… (mai più guidare ubriachi!)

Notte…

La vecchia punto correva lungo l’autostrada Napoli-Bari. Eravamo noi 5: Enzo, William ed io dietro, Andrea e Luca davanti. Ovviamente, anche se la punto era di Luca, la guidava Andrea. Poiché tutti concordavamo sul fatto che Luca non avrebbe dovuto guidare nemmeno una bici con le rotelle. Anche Andrea però stava perdendo punti-fiducia dopo quella volta che spaccò lo specchietto della macchina per accendersi una  sigaretta. Però, era sempre meglio uno specchietto che un frontale con un’altra auto.
La musica era alta e Luca giocava con le manopole per scegliere la canzone giusta. Aveva fatto un cd zeppo di canzoni anni ’80, che dava al nostro viaggio un tocco di ritorno al passato.
Il tragitto era ancora lungo, la notte incalzava e il genio di turno decise di ammazzare il tempo con un bel bicchiere di vino. Allora, secondo voi, sarebbe stato possibile versare del vino da un recipiente di 5 litri in un bicchiere di plastica a bordo di una macchina sparata a 130 chilometri orari?
Ovviamente, se non si ha il potere di bloccare il tempo, no.
– Lucaaaaaaa!! – gridò all’improvviso il nostra autista scatenato.
– Jaaa.. Andrea scusa! Non l’ho fatto a posta! –
– Mi hai buttato tutto il vino addosso! Sei proprio uno Stronzo! –
– Dai, ora metto a posto. Vogliamo fare una cosa? Ci fermiamo a una piazzola… e organizziamo un grande brindisi! –
– Siii!! Vai va! Eccone una… ora accosto! –
E così… alle undici e mezza di notte, 5 scapestrati erano fermi in una piazzola di sosta dell’autostrada Napoli-Bari. Le macchine e i camion sfrecciavano alla nostra sinistra e speravo che la situazione non si facesse più pericolosa di quanto sembrasse.
– Ragà. Facciamo una cosa, travasiamo il vino nelle bottigliette dell’acqua! Cosi possiamo berlo meglio in macchina! –
– Si ma come facciamo? –
– Ci penso io! – disse Enzo. – Facciamo il buco ad un bicchiere e lo usiamo come imbuto! –
– Si! Ottimo! Proviamo… –
Mi limitavo a osservare insieme a William l’assurda impresa. Dubitavo molto della riuscita. Scherzando dissi a William che andavo a chiedere un imbuto al punto SoS.
A parte la battuta volevo vedere come erano fatti quei cosi. Non mi ero mai fermato in autostrada ed ero sempre stato curioso di vedere da vicino quegli affari gialli con la scritta SoS.
Tornando dai ragazzi vidi che erano ancora intenti a travasare il vino. Erano in cerchio e mi avvicinai per guardare dall’alto. Andrea versava mentre Luca manteneva la bottiglietta. Del rivoluzionario bicchiere-imbuto nemmeno l’ombra.
– Vedo che il sistema del bicchiere ha funzionato! – ironizzai.
– E’ tutta colpa dell’aria! – disse Enzo.
– Si, hai ragione Enzo, è sempre colpa di quella fottuta aria! – dissi dandogli una pacca sulla spalla.
– Assafà! Ce l’abbiamo fatta! Ora ci facciamo un bicchiere di vino a testa e ce ne andiamo! –
E con i bicchieri in mano e il sorriso sulle labbra brindammo al concerto che aspettava solo noi per cominciare.
– Tutto in un sorso! – urlò Luca.
E via…
Salimmo in macchina al volo. Andrea mise la freccia e tornò in carreggiata.
Le facce dei ragazzi erano felici… e stranamente lo ero anche io. La vera felicità, purtroppo, è una cosa che raramente riesco a provare… e dovevo ringraziare quei  ragazzi lì… che a volte fermavano il flusso continuo dei miei pensieri ansiosi.
Guardavo dal finestrino i fari delle macchine. Non capivo se eravamo noi ad andare veloce o loro. Non m’importava… il vino stava facendo effetto.
Finalmente…

Il Vecchio Bisbetico (strane storie estive I)

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Il torrido caldo non tormentava solo noi ma anche il motore dalla vecchia Alfa 156 di Gianni. Ero seduto di fianco a lui, a parlare del più e del meno. Ero tornato da Milano il giorno prima in tarda serata e quella mattina mi venne a prendere per un caffè. All’appello del caffè delle 11 però, mancava Enzo. Purtroppo era in una fugace vacanza interculturale a Salerno. Beato lui.

Gianni era rimasto uguale a come l’avevo lasciato un mese prima. Stessa pettinatura, stessi occhiali, stessa borsa porta-tutto e stessa pancetta, oggetto delle mie continue prese in giro.

Adoro quando le cose restano uguali, quando ritorno dai miei lunghi periodi di assenza. Come la sua Alfa bianca o le case e i palazzi che sfrecciavano di fianco a noi. Il paesaggio casereccio era sempre lo stesso, fatta eccezione per un grosso cavalcavia distrutto, poco lontano da casa mia. Era un grande e grosso pezzo di storia, ormai finito in macerie. Non potevo più dire: “Abito dopo il ponte”, ma dovevo iniziare ad abituarmi al: “Abito dopo la rotonda”. Sempre che abbiano intenzione di costruirla! C’erano solo pietre frantumate e cartelli segnaletici provvisori. Chissà come sarà il paesaggio una volta finito. Anche se non credo che riuscirò a vederlo prima della fine dell’estate, quando ripartirò per Milano.

Tornando al racconto, dicevo, eravamo in macchina alla ricerca di un bar decente, dove prendere un buon caffè alla giusta quantità di denari. Ma trovare un caffè buono era già di per se un’impresa difficile, figuriamoci poterlo pagare poco. Quindi, optammo per la tradizione. Il solito bar di sempre:

Il Carmelo Café

Gianni mise la freccia alzando la levetta con il mignolo. Entrò nel grosso parcheggio. Osservammo per un istante le altre macchine parcheggiate e sprigionammo commenti sul lusso di alcuni modelli, e l’estrema povertà di altri. Come bersaglio delle nostre battute, avevamo preso di mira una piccola macchinetta. Uno strano mezzo a tre ruote. Un cubicolo verde, con l’alloggiamento passeggero per una sola persona. Strano… sporco… deteriorato. Ci voleva del coraggio per girare con quel coso.
– Secondo te quel trabiccolo ha il motore o i pedali? –
– Non so… ma io ci metterei un super motore e ci farei le gare! –
– Si già… sai che tenuta di strada che avrà con tre ruote?! –
Scendemmo e ci avvicinammo a piedi verso l’entrata del bar. Fuori c’era un grosso tendone sotto il quale erano disposti vari tavolini. Alcune persone erano sedute ma non conoscevamo nessuno.
– Che ci prendiamo? Caffè o crema di Caffè? –
– Bo… non so… vediamo… –
– Giovanotti! Dove andate? –
Una voce proveniente da destra interruppe il filo dei nostri discorsi. Gianni ed io ci girammo negli occhi per un istante. Una persona anziana, stempiata con due grandi occhi grigi ci stava osservando.
-Venite qua… avvicinatevi un momento. –
Un po’ titubanti ci avvicinammo alla sedia, dove sedeva il vecchio signore .
– Che fate da queste parti? – disse.
– Siamo venuti a prendere un caffè… – rispose Gianni
Alche, il vecchio ci squadrò da capo a piedi. La sua espressione fu un’incognita. Non sapevo se star lì o ignorarlo ed entrare dentro.
– Bei giovani che siete. Sapete… ai miei tempi le cose erano diverse! non come ora… ora hanno tutti paura! E scappano. Nessuno più ha il coraggio di dire le cose in faccia! –
– Avete ragione… – dissi incuriosito dalle sue parole.
– Ai miei tempi, le cose erano molto semplici e soprattutto, se ti dovevano sparare… lo faceva di fronte a te! Quelli si che erano veri uomini! Non come quelli di adesso che ti sparano alle spalle e poi scappano… –
Lo sguardo del vecchio si era fatto molto serio e nonostante tutto il nostro coraggio, un po’ di timore si cominciava a sentire tra me e Gianni.
E il vecchio continuò: -Vedete? – impugnò il suo bastone nero e con la punta si picchiò sulla scarpa sinistra. Al suono tonfo mi accorsi che qualcosa non andava. Il suo piede era strano. La scarpa era un po’ sformata. Più grossa dell’altra. Pensai che sotto il calzino ci fosse una grossa fasciatura. Il vecchio si guardò le gambe…
– Ormai queste sono la mia rovina! Il medico dice che posso riprendermi… con un altro po’ di fisioterapia e le cure giuste. Ma io non ci credo. Ormai, a settant’anni, cosa vuoi più sperare.-
La sua faccia afflitta e la strana storia contribuirono ad accrescere la pena dentro di noi per quel povero cristo. Tutto a un tratto però, il suo volto si alzò nella nostra direzione e con fare energico ci rivolse una domanda:
– Sapete cosa fa grande un uomo?-
– I soldi? – disse Gianni
Il vecchio scosse la testa e si batté il pugno sul petto.
– L’anima! Quella non potranno mai strappartela via. Un grande uomo si vede dalla sua anima…-
-Avete ragione… –
– Io sono qui seduto per colpa di uomini senz’anima! Questa è la vita! Cosa vuoi farci. Sapete… il problema sta nel midollo! Una volta colpito quello… non si può far niente. Per fortuna un po’ me la son cavata. Una fortuna nella sfortuna. Sono rimasto semi-paralizzato. Ovvero, qualcosa sento. Non sapete quanta gente c’è, che si ucciderebbe per sentire qualcosa! Io almeno se faccio così col bastone… toc… toc… qualcosa, non molto, riesco a sentirla… –
Gianni ed io, stranamente eravamo sempre più incantati dalle parole del vecchio e, ammutoliti, ascoltavamo il suo lungo monologo sulla sua vita. Mentre le sue dure parole scorrevano gli dedicai una lunga osservata. Aveva un lungo calzone nero un po’ consumato e sporco, da cui facevano capolino le due scarpe nere di diverse dimensioni, ovviamente molto consumate. Non aveva solo il bastone nero con sé. Alla sua destra ce n’era un altro, diverso, proprio come quelli che si vedono negli ospedali. Intuii che doveva usarli entrambi per potersi muovere. Dalla cintola in su, era vestito con un piccolo gilet nero sbottonato e sotto una canottiera color carne. Un po’ squallido direi… ma dopotutto cosa potevo pretendere da un tipo così?
– Ragazzi, sapete cosa dovete fare? –
Gianni ed io scuotemmo la testa.
– Dovete godervi la vita finché potete! Sempre! Prima che venga qualcuno e vi spari alle spalle! E soprattutto, non dovete farvi fottere! Sapete cosa può fottervi? –
Ovviamente la risposta non la conoscevamo.
Le femmine! Quelle sono tutte stronze e puttane! Non vi fidate mai! Se una femmina riesce a rubarvi l’anima… è finita! Non ci sta più niente da fare! Sarete in mano sua! E soffrirete sempre… sempre! Questa è la cosa più brutta che possa succedervi… Ci siamo intesi bene?? – disse accigliando un occhio verso di noi, quasi come farebbe un padre con il proprio figlio.
Non saprei dire, forse in cuor suo voleva insegnarci qualcosa. Forse voleva che il racconto della sua vita e i suoi sacrifici non fossero stati vani. Quindi, raccontando in giro i propri errori ai passanti, poteva fare del bene. Soprattutto a due giovani irresponsabili come noi. Confesso che un po’ mi fece riflettere. Voglio davvero ridurmi anch’io così? Sicuramente continuando il mio rischioso stile di vita qualche ammaccatura la prenderò. Il più tardi possibile, si spera.
Però, di una cosa sono certo: Anch’io, nel bene o nel male, su una sedia o su una tastiera, continuerò a raccontare le mie storie. Proprio come questo strano vecchio seduto all’ingresso del Carmelo caffè…

– Ecco… ora potete andarvi a prendere il vostro caffè… – ci disse.
Entrammo lentamente e Gianni avvicinandosi al mio orecchio, disse:
– Dì quello che vuoi… ma qua non ci veniamo più! –

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