Corsi e Ricorsi Storici (IV)

Tram 23

(Foto personale)

Il 23 lo considero il più bel tram di Milano. Lo amo così tanto che non si contano più le volte in cui feci da capolinea a capolinea senza uno scopo preciso. E’ un tram della fine degli anni ‘20 rimasto esteticamente e costruttivamente come allora. L’interno è interamente rivestito in legno come d’uso all’epoca. Niente tecnologismi moderni come quelli dei nuovi serpentoni. Vero e proprio acciaio sferragliante in un’elegante carrozza decorata. Mi emoziono sempre a starci su. Quando chiudevo gli occhi o restringevo il campo alla sola visione dell’interno del tram, sembrava che un secolo di storia non fosse mai passato. Tutto quel legno… le plafoniere dei lampadari decorate… i vecchi avvisi vetusti… e lo stesso cigolare, rumoreggiare, scintillare d’un tempo…
Annalisa era seduta accanto a me sulla panca in legno scuro. Il 23 scricchiolava nelle curve. Le ruote stridevano sui binari d’acciaio e il rumore penetrava da alcuni finestrini aperti.
Eravamo riusciti a prendere l’ultimo tram della notte. Pur sapendo che io odio prendere l’ultimo tram della notte.
L’una era passata da un pezzo e Milano s’era colorata d’arancio con le luci dei lampioni. Annalisa mi raccontava del suo flirt momentaneo, lamentandosi della stronzaggine di certi uomini. Non le davo torto, ma nemmeno ragione. Anche le donne hanno le loro colpe a volte. Lei intanto continuava a raccontare. Ogni tanto però, le elargivo qualche pizzicotto gratuito nel fianco, quando mi diceva di essere caduta in defiance, come spiegazione della sua momentanea “disponibilità” verso M. Le spiegai, (senza mezzi termini che qui userò per non essere volgare) che concedersi a un ragazzo fidanzato era, come dire, da:
–  Zoccola! –
–  Cirooo! Ma come ti permetti! – urlò.
Mi diede un leggero schiaffo sulla guancia.
–  Non è come pensi… in fondo è un ragazzo che mi piace. Vorrei che… –
–  Vorresti cosa?! Tu speri troppo! Quello viene qua a Milano per, come dire, haicapito, e poi se ne va! Senza nemmeno farsi sentire! –
–  Già… come devo fare. Non riesco proprio a dirgli di no… –
–  Aaahhh… –
Il 23 si fermò alla nostra fermata. Casa di Annalisa non era molto lontana. Percorremmo un piccolo tratto di strada a piedi. La zona dove abitava era fantastica. Perfetta per il suo stile da ragazza vintage. Palazzi antichi, mattoni rossi, merlature e balconi caratteristici. Ogni palazzo aveva un suo disegno particolare. Una sua storia…
–  Eccoci qua. –
Annalisa aprì il portone d’ingresso. Era la prima volta che mettevo piede in casa sua.
–  Togliti le scarpe. – mi disse.
–  Cosa? –
–  Hai capito! Qua ci sono le ciabatte per la casa… –
Dovevo aspettarmelo da una ragazza maniaca della pulizia. Indossai a malincuore quelle ciabatte di una misura più piccola e mi avvicinai alla stanza di Annalisa, dando un’occhiata in giro.
La casa era di vecchia costruzione. Pareti alte e finestroni me ne davano la conferma. La cucina era piccola ma accogliente. Girai a sinistra ed entrai nella camera di Annalisa.
–  Prendi Ciro, questo è il tuo pigiama! –
–  Verde? Detesto il verde! –
–  E questi sono i pantaloncini… –
–  Mmm femminili! Mi faranno un bel culo… –
–  Scemo! –
Mi cambiai in bagno e ritornai in stanza, sentendomi leggermente a disagio in quei vestiti.
–  Ecco fatto! – esclamai, – Dove dormo? –
–  Qui! – disse Annalisa indicando un futon.
–  Cosa? Io non vedo letti… quello non è un letto… voglio un letto! –
–  Su, non ti lamentare che è comodissimo! – rispose Annalisa.
Scossi la testa e mi stesi a fianco a lei. Tastai la morbidezza di quella sottospecie di letto con una mano e guardai con aria di rimprovero la mia amica.
–  Domani mi devo svegliare presto perché devo partire. – disse Annalisa, aggiustandosi le coperte.
–  A che ora hai il treno? – domandai con tranquillità.
–  Non ho fatto ancorai il biglietto… – rispose guardandomi con timore.
–  ANNAAAA – gridai mentre lei si copriva le orecchie.
–  Ma sì! Domani troveremo sicuramente qualcosa in stazione! –
–  Troveremo? Io non corro per mezza Milano per la tua irresponsabilità! – le dissi.
–  Dai Cì… Dobbiamo convincere anche Lia a venire. Non vuole partire domani perché lavora.-
–  Aaaaahhhh –

Qualche ora dopo, nel cuore della notte, aprii gli occhi.
Annalisa era lì che dormiva tranquilla di fianco a me.
Il suo volto era rilassato e il respiro lento e costante.
 
Come fai? pensai.
Come fai scrollarti tutte le ansie di dosso in un baleno.
Tutti i pensieri…
Tutti i problemi della vita…
Come fai? Sono anni che ci provo…
T’invidio amica mia…
Invidio quella tua spensieratezza e quella tua aurea sempre raggiante, anche nei momenti più bui. Non lo sai perché non te l’ho mai detto…
Ti urlo contro, ti critico, ti prendo in giro…
Ma vorrei avere almeno un pizzico della tua incoscienza a volte…
Vorrei non pensare e vivere la vita giorno per giorno come fai tu…
Invece, i miei giorni sono programmati fino al 2015…
So sempre cosa fare e penso sempre al piano B.
Sono fatto così… non riesco a cambiare…
Per questo penso che qualcuno lassù mi abbia mandato te a stravolgere tutti i miei piani…
Per rendere la mia vita più curiosa di essere vissuta.
Non lo saprai mai… ma adoro le tue pazzie…
 
Sei la sorella maggiore che non ho mai avuto.

Buonanotte Scema…

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (III)

Corsi e Ricorsi storici 3

(Foto personale)

Tirava un leggero venticello che mi solleticava la guancia, s’insinuava tra i capelli e raffreddava la vista di quell’unica stella nel cielo milanese. Il balconcino era stretto e lungo e dovevo inarcarmi molto per raggiungere il parapetto con i gomiti. Dall’interno della casa proveniva musica indy di chiaro stampo americano. Sorrisi e alzai gli occhi al cielo sapendo che l’unica persona che poteva aver messo su quel genere musicale era Annalisa. Il piccolo appartamento di Lia era pieno zeppo di persone quella sera. Aimè non conoscevo nessuno, eccezione fatta per le donne della casa: Annalisa, Eleonora e Lia. Mi girai verso la porta-finestra del balconcino e buttai l’occhio all’interno. I ragazzi sembravano simpatici, ma tutti più grandi di me. Mi sentivo in difficoltà a entrare nell’anima della festicciola. Annalisa, cercandomi con lo sguardo, mi trovò attraverso i vetri della portafinestra. Alzò una mano e fece il gesto di entrare seguito da un “entra” mimato con le labbra. Al mio cenno di diniego non si dette per vinta e uscì fuori. Mi abbracciò e mi diede un bacio sulla guancia. Ho sempre apprezzato il suo lato affettivo nei confronti degli amici più cari. E’ una delle caratteristiche più belle e particolari che avesse quella ragazza.
– Entra Cì, ci stiamo divertendo… –
– Sì, ora vengo… –
– No, entra! –
Mi prese sottobraccio e mi trascinò di forza. Mi fece sedere tra due suoi amici e, con una scusa, si dileguò lasciandomi in completo imbarazzo.
– Ciro! Cosa combini in quel di Milano? – chiese uno dei ragazzi per rompere il ghiaccio.
– Beh… studio economia… – risposi timidamente.
– Economia… bella materia. Avrei voluto studiarla anch’io anni fa… poi ho ripiegato sulla psicologia. – rispose sorridente. Continuò, poi, rivolgendosi all’altro ragazzo seduto a fianco:
– E tu Vittorio, ne capisci qualcosa di economia? –
– Si certo! Per questo faccio il geometra! –
Ridemmo tutti.
Per un istante rivolsi uno sguardo ad Annalisa, che lo colse al volo. Come quando un bambino impara ad andare in bicicletta e si gira a guardare il padre. Lei sa che non sono molto ferrato per le relazioni sociali. Soprattutto con i maschi. Non so mai da dove cominciare.
I ragazzi mi diedero parecchi spunti su cui intraprendere una lunga conversazione. Non sono bravo nelle relazione ma nella conversazione sì. Di qualsiasi argomento si tratti. In tutti questi anni, la mia fervida curiosità mi ha fatto appassionare a innumerevoli cose. A volte ho persino paura ad avvicinarmi a qualcosa che magari mi ci fisso su e addio vita!
E parlavo e parlavo. Praticamente da solo. Quei trentenni mi fissavano pendendo dalle mie labbra.
– E quindi… com’è questa storia della borsa? –
– Emanuele, scusami, ma ho bisogno di un bicchiere d’acqua! Sto parlando da un’ora! –
Mi allontanai dalla combriccola di ragazzi. Andai verso il tavolo imbandito di leccornie da aperitivo. Facevo finta di vedere cosa potessi prendere, in realtà non volevo niente. Aspettavo che Annalisa si avvicinasse mentre riempiva il suo piatto di plastica. Volevo che mi parlasse.
– Allora? Come ti sembrano i miei amici? – mi chiese appena fu accanto alla mia spalla.
– Simpatici… socievoli… – dissi.
Annalisa si prese un’altra porzione di riso, condito da improbabili sottaceti e, nel mentre, mi disse: – Dopo ti devo raccontare di M. –
– Ancora lui!? Anna… – dissi sorpreso.
– Eh sì! Che ci posso fare! Ci son ricascata! –
– Anna… hai quasi trent’anni, ma in amore ti comporti come una quindicenne! –
– Dai… non dire così! Senti, domani devo partire… vuoi venire a dormire da me, dopo la festa? Cosi ne parliamo… –
– Anna… non ho un cambio, sono semi distrutto e chissà dove mi farai dormire! –
– Quindi? – chiese, come se non mi avesse ascoltato.
– Ahhh… quindi ok! – dissi tranquillo e rassegnato, conoscendo il suo innato disprezzo verso i no.

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (II)

Corsi e ricorsi storici 2

(Foto personale)

Inizio:

“12 minuti, bene!”
Ero disteso sul piumone bordeaux che fasciava il letto da testa a coda. Un cuscino rosso mi teneva la testa leggermente inclinata per osservare meglio il libretto di Sudoku. Con una matita dalla grana pesante incasellavo numeri cercando di non sbagliare. Un orologio sul comodino teneva il tempo dell’esercizio. Era da un po’ di tempo che non m’appagava più la semplice risoluzione, la sfida del momento era finire nel minor tempo possibile.
Incasellare numeri in croci e quadri in rapida successione, per quanto posso essere difficile comprenderlo, risultava rilassante per le mie meningi. Sgombravo, per qualche minuto, la mente dallo stressante e ansioso studio dell’economia. La matita scorreva veloce. Alternava numeri grossi e sicuri, come se fossero fieri di occupare una casella di proprietà; a numeri piccoli e incerti, spesso in coppia, che litigavano ardentemente per il proprio posto. Avevo quasi ultimato il mio Sudoku. Diedi un’occhiata all’orologio. “10minuti, posso farcela”
Ma proprio mentre stavo per incastrare il penultimo numero, il cellulare vibrò, avvertendomi della presenza di un messaggio. La curiosità crebbe. Feci di tutto per riportare la mia concentrazione sul libretto ma i miei occhi scattavano a destra e sinistra percorrendo l’orologio, il cellulare per poi ritornare al Sudoku.
“Chi era?”
“11 minuti”
“Devo finire!”
“8 o 9?”
“E se è importante?”
“12 minuti!”
“il 7 c’è già!”
“13 minuti!”
“Cavolo! Non ce l’ho fatta!”

Mi alzai rapidamente dal letto e raggiunsi il tavolo in legno chiaro dove il mio cellulare era appoggiato. Mentre componevo il pin dello sblocco, sperai vivamente che non fosse il solito messaggio pubblicitario della palestra che m’invitava ad iscrivermi per non toppare la prossima prova costume. In caso affermativo avrei di certo spento il telefono per sempre! (Detto da uno che ha un principio di attacco di panico al solo riavvio)
Fortunatamente, non era la palestra ma un incomprensibile messaggio di un altrettanto incomprensibile amica.
Annalisa:
Ciro! Stasera aperitivo da Lia! Ore 9!
Porta qualcosa! Ciao!
Gironzolai per la stanza con aria dubbiosa. Era tipico di Anna uscirsene con questi messaggi improvvisi. Erano come palloncini pieni d’acqua che si schiantavano contro il muro della mia mente iperprogrammmatica. Mi sedetti sul letto a riflettere.
“Sono le 8, l’aperitivo è alle 9. Dovrei farmi una doccia, vestirmi, inventarmi qualcosa da portare e andare a… dove? Dove caspita abita Lia?”
Trafugai come una casalinga isterica ogni cassetto della mia memoria alla ricerca di quel benedetto indirizzo. Riuscii a trovare solo una via e una fermata della metro 1. Non potevo affidarmi a un vago ricordo, così composi il numero di Annalisa per chiederle le informazioni che mi servivano.
Purtroppo, il secondo difetto di quell’eccentrica ragazza, (secondo solo in questa trattazione) era l’ossessiva fobia di diventare cellulare-dipendente, quindi, onde evitar ciò, abbandonava spesso il telefono in posti remoti della casa, dimenticandosene del tutto.
Dopo circa venti chiamate a vuoto, decisi di desistere. Non avrebbe risposo… o almeno non in tempo. Optai per la doccia. Mi vestii e afferrai una bottiglia di Baileys, conservata in ripostiglio per le grandi occasioni. Nel tragitto dal portone di casa al portone d’ingresso del palazzo, provai a chiamare ancora Annalisa, senza però riuscire a sentire la sua voce nasale.

Con la metropolitana arrivai a una fermata della metro rossa che ricordavo esser quella più vicina alla casa di Lia. Mi guardai intorno cercando di ricordare che forma avesse il palazzo della mia amica. Non ne ricavai niente, quando a un tratto, scorsi tra i passanti il volto noto dell’ex coinquilina di Annalisa. Eleonora. Mi avvicinai a lei che subito mi sorrise riconoscendomi.

– Ciao Ele! Non dirmi che ti ha invitato quella sciagurata di Annalisa?! –
– Proprio così! –
– E dimmi… a te l’ha detto dov’è questa festa? –
– Bo… il palazzo dovrebbe essere questo. –
– Mmm… bene! –

continua…

19 marzo

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Cocktail.. (Ricordi di Rimini 2004)

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Ero affacciato al balcone e guardavo fuori appoggiato alla ringhiera con il mio bel cocktail in mano. Qualcosa non andava dentro di me. I miei occhi erano stanchi, desolati e un po’ incazzati. No.. il passato qui non doveva venire e fare il suo porco comodo. Non dovevo permettere ai miei ricordi di riaffiorare.. non qui.. non ora..

E il mio cuore batteva. Sentiva.. Calpestava ogni mio rifiuto.. e crudelmente mi rovinava ogni momento bello. Questa magica serata era partita un po’ così. Tra foglietti attaccati al muro e nuvole in certe stanze.. tra musiche da ballo e cocktail mal mischiati. Questa Rimini iniziava a prendere forma sotto i miei occhi. E lo strano mostro che stava diventando cominciava a combattere con il mio stupendo passato. Gridando di vivere.. perché la vita è questa qui. E non ce ne saranno altre belle o migliori. Comunque vada.. e comunque sia.. questa è la mia vita..

 

-Ciro che fai?.. Perché non entri?-

-Perché non venite voi qui fuori?..-

-Che è successo..- disse Mario avvicinandosi prima degli altri.

-Guarda giù..-

 

Pochi piani più in basso c’era un tizio in boxer che correva per la strada alla ricerca di qualcosa. Lo guardavamo come se stessimo guardando un film che ci piaceva tanto. A tratti ci sembrava quasi un’illusione. Un frutto perverso della nostra comune immaginazione che ci voleva tutti come lui.. ubriachi.. nudi.. in posti strani.

 

-Ehi tu!-

Il ragazzo biondino si girò verso di noi dopo aver raccolto un oggetto da terra.

Ci guardava sorpreso.. e sembrava non capire. Infatti era tedesco.

Mettemmo insieme un gruzzolo di gesti e parole inglesi per fargli capire di salire da noi nella camera 30. Lui ci fece un OK con la mano e venne da noi. Vestito.

 

-Hi guys!-

-Hi.. what’s your name?-

-Voevo..

-Voe.. che?

-Voevo..-

-Volvo? No quella è una macchina..-

-Vo.. e.. vo..-

-Mi dispiace.. ma non imparerò mai il tuo nome..- gli dissi..

-Voevo.. do you smoke?-

-Yes yes..-

-Smoke this..-

-oh.. very good..-

 

Dal sorriso del biondino si capiva che la roba nostrana piaceva molto anche all’estero. Sorseggiò anche qualche nostro rum.. gin.. vodka.. Il ragazzo insomma si era ambientato bene tra di noi. Anche se solo la metà di noi riusciva a dire bene il suo nome.

E mentre noi eravamo alle prese con lo strano tipo, l’intraprendente Pasquale era sul balcone che socializzava con delle ragazze dell’albergo di fronte.

 

-Ragazze! Venite da noi! Qui ci si diverte!-

 

Le ragazze ridevano tra di loro. Non capivano.. erano straniere anche loro. Accorgendoci della situazione che avveniva sul balcone, ci accostammo un po’ tutti alla ringhiera. Il folto gruppetto di ragazze parlava e ci indicava. Parlavamo in inglese cercando di farci capire.. fino a quando non intervenne il sorprendente Voevo che, intuendo che erano tedesche, blaterò qualcosa nella sua nordica lingua. Insomma.. le ragazze ci stavano. Vennero tutte nella nostra camera.

Ora.. gli ingredienti della serata c’erano tutti. Cosa poteva mancare? C’era la musica e vari diversivi, c’era l’alcol in vari miscugli, c’era un tipo strano che c’incuriosiva e ci faceva divertire.. e c’erano le donne.. L’immancabile elemento finale.

Guardavo la scena e ridevo. Guardavo la scena e vedevo il quadro completo. Bastava solo mescolare e agitare..

 

Rimini.. è un bel cocktail di vita.

Camera 30… (Ricordi di Rimini 2004)

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Appena misi il piede giù dal treno, mi guardai intorno. Non mi sentivo ancora a Rimini. Sarà perché l’ambiente della stazione di per se ti da l’idea di essere distaccata dal mondo che circonda. Sarà per i treni.. e per l’atmosfera malinconica che danno le persone che stanno per partire.. per andar via di li perché la loro vacanza è finita.. mentre la nostra non era nemmeno ancora iniziata. Volevo chiudere gli occhi e oltrepassare questo momento in silenzio per pregustarmi la sorpresa finale.

La porta d’entrata era aperta e inondata di una gran luce. Uscimmo e ci fermammo sul piazzale. Una ventata di profumo di salsedine inebriò il mio olfatto ed estasiò la mia mente. C’erano turisti e persone in ogni dove.. ragazze in bikini che passeggiavano liberamente in mezzo alla strada.. e le macchine.. i taxi.. i pullman.. gli alberghi.. le pensioni.. i ristoranti.. e più in la il mare.. oltre all’infinito.

Si.. ora ero a Rimini..

 

-Ragazzi.. spero che non vi siate dimenticati niente sul treno!-

-No.. tranquillo.. piuttosto dove dobbiamo andare?-

-Aspetta frena.. dobbiamo decidere chi porta la distilleria..-

 

La distilleria era come avevo soprannominato un grosso zaino nero seven. Di quelli che andavano di moda al momento perché avevano le cerniere laterali per allargarsi e portare più roba. Ora.. immaginatelo pieno allo stremo di bottiglie di super alcolici. Calcolatene la pesantezza.. e soprattutto l’ingente rumore che lo sfregamento delle bottiglie poteva causare. Molto imbarazzante per un minorenne che cerca di rassicurare i suoi genitori con buoni propositi sulla vacanza. Per fortuna eravamo sfuggiti al “controllo valigie” e i nostri genitori c’avevano salutati con non troppe raccomandazioni.

 

-Ciro.. ecco a te!-

-No ragazzi no.. dai.. è troppo pesante!-

-Su! Non fare storie..-

 

Mario intanto tornò dal baracchino dei biglietti. Aveva comprato cinque biglietti urbani.

-Prendete..- disse mentre ce li dava uno alla volta.

-Non trattateli male perché questi devono bastarci per un’intera vacanza!-

E fu li che imparai cosa significasse il termine pluritimbrare.

 

Dopo qualche peripezia, tra ruote rotte di trolley e movimenti bruschi sull’autobus che non potevo permettermi con il carico speciale, arrivammo all’hotel Carolina. Una pensioncina a due stelle, dato che noi, dal lusso ne stavamo ben alla larga. All’ingresso venimmo accolti dal portiere. Ecco.. ora vi immaginerete il tipico portiere in giacca e cravatta con dietro le caselle delle chiavi e davanti uno schermo di un pc. Ora, se per caso sostituissimo la figura classica di portiere con un uomo sulla cinquantina con i capelli lunghi e il pizzetto, il piercing al sopracciglio e vari orecchini, incorniciato in un giubbotto di pelle e calzoni aderenti che ne facevano dubitare la sua mascolinità, dietro un grosso stemma con scritto harley Davidson e una grossa tavola da surf e davanti un bel mucchio di carte disordinate, ecco il nostro portiere.

 

Dopo aver sbrigato le formalità tipiche degli alberghi salimmo in camera accompagnati da una anziana cameriera in sovrappeso. La camera era mediocre e decisamente onesta per il prezzo che avevamo pagato. C’era un balconcino che dava all’esterno. Fuori, con un po’ d’immaginazione, si riusciva a vedere il mare. Oltre i palazzi naturalmente.

Le valigie ormai erano disfatte. La distilleria svuotata e messa in bella mostra. Le casse davano il sottofondo giusto.

Il casino.. stava per iniziare.

Un passato non meno lontano…

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E mi risveglio ancora una volta da uno strano sogno. Un sogno inconfondibile. Con quel profumo familiare di passato. Il mio passato. Storie ormai andate che riaffiorano alla mente nel momento più fragile. Nei sogni. Pensavo ormai di aver tagliato un po’ di pellicola dal mio film. Di aver censurato ai miei occhi alcune scene indimenticabili. Alcuni ricordi ormai andati. Ma Mariella era ancora lì… e mi teneva la mano come il primo giorno. Come quella volta che aveva freddo su quella panchina. Ed io la strinsi scaldando non solo lei ma anche il suo cuore. Quella volta fu speciale. Anche se, tra noi, non c’era ancora niente. Perché per me il destino aveva la sua puntualità da rispettare. E lottavo. Lottavo con il mio cuore per non cadere ancora. Perché un’altra storia voleva dire per me ancora guai. Guai con gli altri ma soprattutto con me stesso. Perché ne ero uscito un po’ scoraggiato l’ultima volta. E il rumore del mio cuore che cadeva nel vuoto, ronzava ancora nella mia testa. In questi anni, ogni storia mi ha portato via qualcosa, e ogni volta mi ripetevo “non fai più male”. Ma quel male restava impresso in me come un marchio a fuoco sulla pelle. Incancellabile come un destino già scritto. Non volevo caderci ancora. Maledetto amore.
 
 
 
…Incominciando dalla fine…
 
 
 
Scorrevano tra le mie mani le dolci note di piccola stella senza cielo, condite da qualche nota in più o qualche tasto sbagliato. Era da un po’ che non prendevo in mano quella vecchia chitarra. Ormai mutilata a vita di due corde che Enzo non si sognava di cambiare. E a me poco importava, perché le poche corde che restavano bastavano a suonare la mia canzone. Enzo era in bagno e io m’intrattenevo così nella sua cameretta. Ogni cosa era nel suo disordinato posto. Esattamente come qualche anno fa. Quando presi quella chitarra in mano per la prima volta e suonai quelle note stonate che vagamente ricordavano una canzone. Le cose erano un po’ cambiate da allora. Avevamo le macchine al posto dei motorini. La sera facevamo tardi e nessuno ci rompeva le scatole al telefono. I bar diventarono pub e i luoghi isolati dove ci ritrovavamo diventarono piazzette. Ma la canzone che suonavo era rimasta la stessa. Le stesse dolci note che infastidivano Enzo quando lo svegliavo la mattina. Quanti ricordi erano impressi dentro quelle quattro note.
La serata doveva ancora iniziare. E di ricordi da scoprire ce n’erano tanti altri.
Enzo uscì dal bagno con i denti lavati e una faccia soddisfatta.
– Che facciamo… andiamo? –
– Ok… Ho la macchina parcheggiata al solito posto. Vicino alla chiesa. Sai com’è… non voglio beccare un’altra multa per aver parcheggiato davanti al tuo portone… perché “qualcuno” non si decideva a scendere! –
Scendemmo. Piovigginava leggermente. Il tempo adatto al morale che avevo. Un po’ giù di corda per quel sogno che avevo fatto ieri notte. E quel sogno, coincidenza delle coincidenze, coincideva con questa serata. Andammo da Mario. C’era il compleanno di una delle sorelle più piccole e gentilmente la madre aveva invitato anche noi. Gli amici che ormai erano diventati coinquilini di quell’appartamento. Ci aprì Mario. Gianni era appena arrivato e ci aspettava dietro di lui nell’ingresso. Un rapido saluto alla festeggiata e ci fiondammo al buffet.
Patatine e pizza a volontà. Il paradiso dei golosi era sopra un tavolo. Ma non appena misi la mano per afferrare uno di quei stuzzichini. Scorsi dietro un angolo lei. Stava parlando con un’amica mentre io la fissavo. A un certo punto l’amica mi indicò facendola voltare. Gioco di sguardi e di silenzi. Di frasi dette e stradette in un istante mentre il tempo si fermava perdendosi in quegli occhi. Stupendi. Un taglio intrigante e profondo come pochi. Nascosto dalla purezza dell’età appena sbocciata. Mariella continuava a fissarmi. Abbassai per primo lo sguardo come per nascondermi da qualcosa e continuai a servirmi da mangiare. Avevo perso la prima battaglia, ma lei non sapeva nemmeno di star giocando. Magari se ne fregava di me, chi poteva saperlo. Era passato molto tempo dall’ultima volta che avevamo litigato. Sempre e solo attraverso quel maledetto messenger. Dove un tasto o una parola non riusciva mai a far comprendere l’intonazione che portava con se. E nascevano incomprensioni, malintesi, litigi per un nonnulla, spesso ricadendo nella realtà. Dove magari con una parola si risolveva tutto… con una frase detta nel modo giusto… o anche solo con uno sguardo come questo… tra due persone che avevano condiviso una storia. Una bella storia. Anche se breve.
Non ci vedevamo da un po’. Ma soprattutto non ci sentivamo. Non ricordo nemmeno perché avevamo litigato l’ultima volta. Sicuramente me ne sarò uscito con il mio solito orgoglio maschilista e avevo chiuso la conversazione in modo sbagliato. O forse volevo proprio così. Perché magari chiudere con il passato era la cosa migliore da fare. Ormai c’eravamo lasciati da un pezzo ed ognuno si era creato una nuova vita. E a me naturalmente dava fastidio la sua. Perché magari, in fondo in fondo, un pezzo di cuore era ancora in mano sua. E lo stava calpestando allegramente. O Forse no. Magari lo conservava da qualche parte, ben protetto dai pensieri indiscreti… ma raggiungibile con un semplice sguardo, dalla persona giusta ovviamente.
– Com’è la pizza Ciro? –
– Buona Mario. Son certe invitate che mi stanno andando di traverso. –
– Ho visto… Bè.. io te l’avevo detto che probabilmente sarebbe venuta. –
– Già… –
In un certo senso il gusto di rivederla mi attirava. Ma dovetti lottare con me stesso per convincermi ad essere lì quella sera. Forse un po’ speravo che non sarebbe venuta. Così da passare una serata tranquilla senza troppi pensieri. Ma lei era lì. Ed era a pochi metri da me. Mi rifugiai nella cucina che era adibita a sala bevande. La festa aveva preso una strana piega. Si erano formate due fazioni. Una con i miei amici in cui l’età media era 20 anni e l’altra comprendeva il gruppo di sedicenni tra cui c’era anche l’invitata. Io e lei eravamo separati da questa situazione. Un po’ come Romeo e Giulietta e le loro famiglie veronesi. Divisi da un qualcosa d’immaginario. Venivo trascinato dai ragazzi a destra e sinistra a raccontare un po’ di storie milanesi. Mentre lei, dall’altra parte del salotto, sembrava non annoiarsi e soprattutto non essere turbata dalla mia presenza. Parlava tranquillamente con le sue amiche. Come l’avevo sempre vista, allegra e spensierata. Con il sorriso sempre stampato sulle labbra e la solita gioia di vivere che la caratterizzava. Era quello che mi piaceva in lei. Che mi permise di amarla. Che fece stare bene il mio cuore un po’ malandato. Un po’ parcheggiato in una via isolata mentre la vita scorreva a 300 all’ora a fianco a me. Mi sentivo bene lì. Seduto in dispare, mentre la mente viaggiava su strade perdute. Perché credevo che non sarebbe mai risuccesso. Che non sarebbe mai riapparso quel dolore piacevole del battito profondo del cuore. Ma lei passava da quelle parti. Tra quel gruppo di amici troppo orgogliosi per azzardare in nuove conoscenze. Entrò di botto nella mia vita. Come un tuono che rompeva il silenzioso scroscio della pioggia…
– Ciao Ciro! – Era Giovanna che s’era affiancata a me vicino al buffet. Era una delle migliori amiche di Mariella. Certamente anche lei voleva sapere come stavo, dato che da tempo non ci vedevamo.
– Ciao… – Rimasi quasi indifferente a quel saluto continuando a scegliere il pezzo di pizza migliore.
– Come stai? –
– Bene. – risposi.
– Hai visto chi c’è?-
– No. Chi c’è? –
– Mariella! Dai non continuare a evitarla. –
– Io non la evito! È lei che evita me. –
– Si… certo… –
E mentre me ne stavo andando, si avvicinò Mariella. Quasi come per chiedere a Giovanna cosa le avessi detto. Era curiosa, lo era sempre stato. Moriva a volte, quando in passato non le dicevo qualcosa. Nel gruppo era sempre stata quella che sapeva tutto di tutti. E spesso anche odiata per questo. Le persone si confidavano con lei perché aveva la particolarità di non assorbire i problemi degli altri, ma lasciarli scorrere. Magari con qualche frase di conforto o qualche abbraccio su una panchina un po’ troppo isolata. Purtroppo a volte si ritrovava a sapere cose che non avrebbe dovuto sapere. E scoppiavano battibecchi, da cui lei ne usciva sempre indenne.
La vedevo parlare con Giovanna. Cercavo di capire cosa si stessero dicendo. In fondo anche io sono sempre stato curioso. Ma la mia curiosità non fu soddisfatta.
– Ciro! Ma quand’è che torni a Milano? – mi chiese uno dei miei amici.
– La settimana prossima… –
– Ah… allora c’è ancora tempo per prendersi una bella birra da Dante! –
– Certo! Ma solo se offri tu! –
Mi voltai. Non c’era più. Era tornata a sedersi a fianco alle sue amiche. Come se nulla fosse successo. Come se nulla fosse accaduto. Anche tra di noi. E questa cosa mi faceva impazzire. O meglio incazzare. Non ero nessuno io? Tutti i ricordi passati insieme dove erano finiti? Non chiedevo tanto, ma almeno un pizzico d’interessamento.
Voleva la guerra.
Allora andai diretto nel territorio nemico. Tra persone che non conoscevo. Presi una sedia e mi sedetti a fianco a Giovanna. Poco più in la c’era Mariella che parlava con un’altra amica. Mi notò.
– Ciro allora che mi racconti? – chiese Gio.
– Niente di che. –
– A Milano come va la vita? –
– Procede bene… –
Parlavo con lei ma ogni tanto osservavo le mosse di quella ragazza dai capelli nero corvino. Ogni tanto mi osservava anche lei, mentre ero distratto da altre cose. Forse non si trovava a suo agio. Lo intuivo da come parlava con gli altri, da come voltava lo sguardo, da come gesticolava con il cellulare. Era nervosa. Impaziente. Quasi frenetica, anzi no, questo, lo era sempre stata.
Intuii. Se ne stava andando. La festa non era di suo gradimento. O forse le persone. O forse io. Si alzò. Prese il giubbotto, salutò la festeggiata, scambiò qualche altra parola con le amiche e chiuse la porta alle sue spalle. Così in un attimo scomparse dai miei occhi lasciando nel mio cuore un pizzico d’amore bruciato.
 
 
 

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