Diario #1

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La penna dondolava nella mia mano mentre la mente ricercava la soluzione più ovvia per un problema statistico. – Eccolo! Maledetto segno! Sbaglio sempre le cose più banali! Non c’è niente da fare..-
Mi alzai un attimo per staccare dallo studio. Fuori il sole splendeva e la mia moto parcheggiata lì sotto ringhiava come un cane legato da troppo tempo.
Poi lo sguardo cadde sulla mia libreria. Tra i tanti libri accatastati e messi alla rinfusa per mancanza di spazio, mi capitò sottomano una vecchia agenda blu.
La presi e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Sfoglia le pagine; la maggior parte erano vuote; qualcuna, con qualche frase scarabocchiata a penna; qualche disegno… Poi, ruotandola verso il basso, cadde un piccolo foglietto. Era una pagina di un vecchio diario di liceo. Lessi:

bigliettino Carmelina

 

Quello fu l’ultimo giorno che passai in quella scuola. Carmelina, la mia compagna di banco, non lo sapeva.
Avevo scelto di trasferirmi in un’altra. Non vidi più Carmelina… o Luca… o Armando… o Michele…
E non ci volle molto a capire che… avevo appena compiuto l’errore più grande della mia vita.
Avevo lasciato una classe si problematica, ma con persone che mi volevano bene, per buttarmi in un mondo sconosciuto.
Ciò… mi devastò psicologicamente. Avevo perso tutto. Gli amici… i professori…
A quel tempo volevo cambiare vita…
E purtroppo c’ero perfettamente riuscito…

Frugai ancora nell’agenda. In una delle tasche laterali trovai una pagina di un blocco note. Sopra avevo riversato qualche riga:

 

“Coppie di banchetti disposti su tre file, riempivano la lunga aula della 4C del liceo scientifico di …. I raggi del sole che penetravano dalle 3 grandi finestre sulla sinistra, illuminavano le pareti di colore giallastro. Proprio sopra la cattedra era appeso un piccolo crocifisso, a testimonianza di quella fede che molti non avevano. Quella mattina fui il primo a entrare in quest’aula sconosciuta.
Non conoscevo nessuno…
Era la priva volta che entravo in quel liceo.
Tutto sembrava perfetto. Nessuna cartaccia per terra, nessun distributore sfondato, nessun graffito sul muro…
Tutto era perfetto… forse troppo!
[….]
La macchinetta del caffè iniziò a trafficare, facendo strani rumori. Dopo all’incirca 30 secondi, il caffè era pronto e fumante. Tornai nella mia classe ancora vuota, soffiando su quell’intruglio bollente. Mi affacciai alla finestra. Il paesaggio era ben diverso da quello del mio vecchio istituto. Non c’era più il fatiscente campo da calcetto, dove erano soliti radunarsi i ragazzi per la solita partitella extra-scolastica.
Di fronte a me avevo un’altra parte dell’istituto che non mi lasciava molta visuale del panorama. Un malinconico sorriso comparse sul mio volto, pensando alle ragazze del commerciale che passeggiavano indisturbate sotto la mia vecchia aula. Erano solite corteggiare i liceali con sguardi non poco maliziosi…

Un rumore sordo mi fece girare di scatto. Quello che doveva essere un bidello, aveva appena poggiato con poca cura il registro sulla cattedra.
– Tu sei quello nuovo? –
– Sì… –
– Sei capitato proprio nella sezione migliore! – disse ironica e se ne andò.

Poco dopo suonò la campanella.
E una folla di ragazzi entrò dalla porta principale…”

Era l’ottobre del 2004…

 

 

Frammenti di vita #85

trenta anni

Se c’è una cosa che odio… sono le fidanzate dei miei amici.
Vorrei sterminarle con il lanciafiamme…
Arrivano e rovinano amicizie decennali…
con le loro manie…
Una stava quasi per far fallire il compleanno dei trent’anni di un mio caro amico…
Giuro che al mio compleanno…
le uniche donne che ci saranno…
balleranno attorno a un palo!

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Pensieri Random #4

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Ci sono momenti in cui ho bisogno di scrivere…

era da tanto che non scrivevo qualcosa…

quindi…

mi tufferò in qualche ricordo, per svagare la mente e distrarla dai pensieri…

la prossima storia parlerà di come ho conosciuto Andrea..

A domani… ore 10:00

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Frammenti di vita #29

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Metodi Statistici.
Probabilita’… variabili casuali…
Tutto molto interessante, ma altrettanto difficile.
“Non ci capisco un cazzo!” disse un ragazzo seduto a fianco a me.
“Mah.. la lezione di oggi non é difficile…” risposi senza guardarlo.
“Effettivamente si.. però io non ho fatto il liceo. Quindi alcune cose non le so. Mi sai dire cos’é questo simbolo?”
Guardai dove puntava il suo indice e constatai che, il ragazzo sconosciuto aveva delle fragilissime basi di matematica.
“E’ il simbolo d’integrale.. una S allungata..”
“Wow… quest’esame sara’ impossibile..” disse sconsolato.
“Beh.. ognuno ha le sue rogne.. io ho dato 8 volte ragioneria.. pur conoscendo il simbolo d’integrale.. che non c’entra un cazzo ovviamente..”
“Cazzo 8 volte!”
“Eh gia’…”
(Attimo di pausa)
“Informatica?” gli chiesi a bruciapelo.
“Devo darla ancora…”
“Che ne dici se la prepariamo insieme?” gli proposi.
Lui ci penso’ un attimo. Poi disse di botto. “Perché no!”
Sorrisi. “Mi chiamo Ciro..”
“Alessandro”

Frammenti di vita #26

volontariato

Ebbene sì…
Per un paio d’ore ho messo da parte il cinismo, la ragione… e tutte le menate sull’economia.
Ho lasciato libero spazio al “ciro buono”, dopo che il “ciro cattivo” era stato battuto dalle insistenze di un’amica speciale.
Con Annalisa è così…
Si va per fare colazione a casa sua…
e si finisce a fare volontariato in giro per Milano…
“Finirai mai di sorprendermi?”
Spero di no…
L’unica certezza è che continuerò a trattarti male.
Perché sono stronzo…
Ma anche buono… se m’impegno!

Seicentoventi (II)

Quadro Ducati Monster 620 s2-2

2.

Cosa sto facendo?
Mi chiesi appena dopo aver spento il telefonino.
Guarda che questa è roba grossa! Non te la caverai mica con la solita ramanzina!
La mia coscienza continuava a tormentarmi così la annacquai con un paio di Gin lemon.
Purtroppo però, aveva ragione. Non avevo mai fatto, in vita mia, una cazzata più grossa di quella che stavo per fare.
Stavo… per… fare…
Giusto! Non ho ancora fatto niente! Ho solo chiamato un tizio e fissato un appuntamento! Mandai giù un altro Gin lemon mentre la notte avanzava e, con essa, anche l’ora dell’incontro.

Tiiiiiiii Tiiiiiii Tiiiiiiii
Una sveglia mi destò. Mi alzai assonnato dal letto. Mi ero addormentato e il pomeriggio era volato in un lampo. Erano le 9 e dovevo incontrare il tizio dell’annuncio.
Mi vestii alla meglio e scesi giù al palazzo.
Il tizio non era ancora arrivato
Mi sedetti sul gradino del portone a fissare le auto che passavano davanti a me. Ogni faro che vedevo cercavo di capire se fosse lui. Ero in ansia.
Dalla voce questo “Massimo” mi sembrava tutt’altro che giovane. Un uomo maturo e sicuramente, uno di quei classici milanesi perfezionisti.
Stranamente mi aveva preso molto sul serio nella mia chiamata. Lo dico perché io mi sarei mandato a cagare.
Mentre guardavo la strada con occhi sognanti, sentii un rombo di motori. Una moto frenò davanti casa e, con una rapida manovra, svoltò sul marciapiede, poco distante da me.
In tutta questa operazione mi ero perso tutti i dettagli. Nella mia mente c’era solo qualcosa di grigio e nero che si muoveva, una luce e un forte rumore.
Il motociclista era coperto da capo a piedi. Giubbotto di pelle, guanti, scarpe… tutto rigorosamente nero. Riuscii a intravedere solo gli occhi, quando si alzò la visiera…
–       Ciro? – mi domandò quell’uomo.
–       Sì, sono io… – risposi quasi meccanicamente.
Spense il motore girando la chiave e solo a quel punto mi accorsi della meraviglia che era sotto di lui a meno di un metro da me.
Guardai le ruote Pirelli diablo, i dischi freno brembo, il classico fanale rotondo, il telaio intrecciato a vista, il grosso serbatoio grigio e il carbonio… quanto cavolo di carbonio c’era su?
Massimo si tolse il casco e mi porse la mano. Ci vollero due o tre secondi per riprendermi.
Sistemò la moto sul cavalletto e iniziò a sciorinare tutti i pregi e i piccoli difetti della moto che stava vendendo. Io ero in trance… Il mio cuore batteva come quando inviti una ragazza al primo appuntamento. Mi abbassai a guardare le marmitte. Perfette, aveva montato quelle di una 692. Erano più belle e discrete di quelle originali. Controllai i dischi della frizione dal piccolo oblò. Controllai l’olio… il manubrio…
–       Gli specchietti non sono quelli originali… – disse.
–       Sì, vedo… – risposi senza nemmeno voltarmi verso di lui.
–       Ho montato i dischi di una 692… ho aggiunto il puntale… – e bla.. bla.. bla..
–       Sì… – rispondevo a monosillabi ormai, mentre restavo accovacciato accanto alla moto.
Non c’era più tempo da perdere ormai. Mi ero innamorato. La volevo!
Mi alzai di scatto e fissai Massimo negli occhi. Da bravo milanese non si fermava un attimo, continuava a descrivere particolari. Cercai d’interromperlo.
–       Ascolta Massimo. Mi racconterai un’altra volta dove hai comprato le viti per fissare il manubrio… Non voglio sapere più niente… La voglio! Dimmi cosa devo fare… –
Massimo fece un sospiro prima di parlare.
–       Ciro, domani a mezzogiorno devo consegnarla a un concessionario. Devo venderla perché ho già ordinato un’altra moto e, o consegno lei o consegno i soldi… sai come funziona… –
–       Già… ma io la prendo! Stanne certo! –
–       Sì… ma dobbiamo finalizzare tutto domani, compreso il pagamento. – precisò Massimo.
–       Certo… come scritto nell’annuncio? – dissi.
–       Sì, 1800€ –
–       Non ti preoccupare Massimo… domani mattina avrai i tuoi soldi! –
Massimo sorrise, indossò il casco, salì in moto e partì più veloce di com’era arrivato.
Lo seguii con lo sguardo fino a perderlo nel vuoto.
Tornai a sedermi sul gradino del portone. Incrociai le gambe e pensai…
– Dove cazzo li trovo tutti quei soldi in contanti entro domani? –

 

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (IX)

Corsi e Ricorsi storici 9 Nino Bixio

(Foto personale)

e

Epilogo Parte due

Nino Bixio fu un personaggio chiave per il Risorgimento italiano. Strinse rapporti con Mazzini, partecipò ai moti carbonari, fu al fianco di Garibaldi, partecipò….
Ah… ormai sapete già tutto.
Guardai di nuovo l’insegna marmorea della strada. Ero alla solita fermata del 23. Sfatto, scapigliato, disordinato. Mi sistemai la sacca con l’insalata pronta da condire sulla spalla. Avevo i muscoli indolenziti. Tutte le corse che avevo fatto quel giorno mi avevano sfinito.
Per un attimo ripensai a tutto e magicamente sorrisi.
Annalisa, a suo modo, aveva stravolto ogni mio pensiero. Come c’era riuscita? Dov’era finito il Ciro che s’incazzava a ogni minimo imprevisto? Scomparso, defunto! Era riuscita a disegnare strane linee colorate nel mio mondo monocromatico in bianco e nero. Sprigionava purezza da ogni poro ma ogni vota che tentavo di entrare nella sua mente, era come aprire una cassaforte.  Sicuramente, sbaglio a voler ridurre il suo carattere a un modello preconfezionato. Dovrei far diventare essa stessa uno dei miei modelli di personalità cui ricondurre vagamente altre persone. Al mondo ce ne saranno poche di persone come lei. Aver la voglia di vivere ogni giorno nelle vene non è per niente facile. Forse dovrei imparare da lei a trattare ogni giorno come se fosse un giorno speciale…

Il tram stava arrivando. Guardai in direzione della casa di Annalisa, come a volerla inconsciamente salutare. Tolsi la sacca che mi aveva dato e la osservai.
Quante me ne hai fatte passare? pensai mentre osservavo il contenuto.
Di fianco a me c’era un cestino.
So che mi odierai per questo, ma tanto non lo verrai mai a sapere!
Presi la sacca con l’insalata pronta da condire e la lasciai andare all’interno del cestino.
Senti un tonfo secco e salii sul 23.

  .

.

.
Corsi e Ricorsi Storici:

Qualche anno prima Annalisa ed io eravamo seduti sul sedile posteriore della macchina di mio padre. Lui era alla guida e di fianco c’era il padre di Annalisa.
I due sono stati grandissimi amici da giovani e ne avevano fatte di cotte e di crude.
Raccontarono della mitica 500 e di tutte le storie che ci giravano intorno. Delle ragazze… delle gite al mare… dei viaggi e di tutte le marachelle che avevano combinato.
I due sessantenni ridevano felici di un passato memorabile.
Annalisa ed io li ascoltammo divertiti.
Ci guardammo e sottovoce Annalisa mi disse:
“Non sapevo che i nostri genitori fossero così amici… E’ divertente pensare che lo siamo anche noi… come se si chiudesse il cerchio.
Proprio come se fossero Corsi e Ricorsi Storici!”

Fine

Corsi e Ricorsi Storici (VIII)

Corsi e Ricorsi storici 8 Nino Bixio

(Foto personale)

 

Fu così che mi ritrovai a correre di nuovo, lungo la mia amatissima Nino Bixio. Stanco e sfatto, con un’insopportabile borsa di troppo: la busta di stoffa contenente l’irrinunciabile insalata pronta da condire di Annalisa. Quella ragazza alla fine c’era riuscita a farmela portare a presso. La prossima volta però, non mi frega!
In mano avevo i due cellulari che Lia mi aveva chiesto di consegnare a scuola. I miei “no” alla fine avevano ceduto di fronte alle loro dolci insistenze. Annalisa e Lia avevano un treno da prendere. Il treno che avevamo prenotato qualche ora prima. Forse Lia non sapeva ancora che doveva farsi tutto il viaggio in piedi perché quella pazza di Anna aveva preso i biglietti senza il posto assegnato. Non dissi niente a riguardo, lasciando a Lia il gusto della sorpresa. Dopo averle salutate, presi i cellulari ricevendo qualche vaga indicazione sul luogo, la scuola, i ragazzi e le azioni da compiere. Poi corsi via da loro… “L’orario scolastico” era quasi ultimato e non volevo di certo trovarmi in mezzo ad una baraonda di ragazzi chiassosi.
Ma… rimettendo insieme tutte le informazioni che Lia mi aveva dato frettolosamente, capii che c’erano molti buchi vuoti nel piano. Non conoscevo niente eccetto l’indirizzo della scuola dove dovevo andare. Aule, corridoi, nomi dei ragazzi, i bidelli… Mille domande sbucavano da ogni dove nella mia testa iperprogrammatica, mentre, svoltando a destra, lasciavo Bixio per un’altra strada. Vidi il palazzo della scuola da lontano. Attraversai la strada e mi diressi all’ingresso. Non so, ma avevo la pelle d’oca a entrare in una scuola. Non ero più abituato. Sentivo sulle spalle il peso dei ricordi, come se fosse una pesantissima cartella piena di libri. Ricordai il Ciro adolescente di molti anni prima. Ricordai i piccoli problemi di ogni giorno che rapportati a quelli di adesso sembravano sassolini. Ricordavo tutto, ma non la felicità. Era presente allora?
Ricordo:
 
Quella volta che, ad occhi spenti e verso il basso…
Pioveva…
Sulle spalle una cartella pesantissima…
e nelle orecchie le cuffiette di un walkman grigio.
Aspettavo mia madre che venisse a prendermi.
Solo.
La pioggia mi aveva inzuppato tutto.
Lasciavo scendere le gocce insieme alle mie lacrime.
Dicevano che l’adolescenza doveva essere la stagione dei primi amori e della spensieratezza.
Tutte balle…
Soffrivo col cuore a pezzi
Nel mio piccolo giubbino di jeans ormai di una tonalità più scura.
Quel giorno una ragazza mi aveva lasciato.
Non seppi nemmeno bene il perché…
Ma guardai per la prima volta la mia scuola, odiandola.
Odiavo quel posto per avermi portato così tanto dolore.
E volevo fuggir via.
 
Una macchina si fermò.
Scese una donna.
“Ti avevo detto di portarti l’ombrello!”
Non risposi…
perché l’ombrello era nella mia pesantissima cartella.
Quel giorno… io volevo la pioggia.
 
Guardai il cielo nuvoloso. Anche quel giorno si apprestava a piovere. Misi la mano sulla maniglia della porta d’ingresso della scuola media di Porta Venezia. Feci un respiro e tirai la maniglia verso il basso.
Non si apre!
Provai più e più volte ma niente. La porta era chiusa. Mi allontanai leggermente.
Come avrei fatto ad entrare? Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Notai poco distante una ulteriore porta d’ingresso. Mi avvicinai a quella ma era chiusa anche lei.
Cavolo!
Cercai qualche pulsante o citofono nei paraggi, non sapendo nemmeno cosa dire per entrare.
Improvvisamente qualcuno uscì da quella porta. Mi avvicinai e appena quella che doveva essere una professoressa fu uscita, mi avvicinai e afferrai la maniglia prima che la porta si chiudesse. Fatta! Ero dentro. Guardai a destra: corridoio. Guardai avanti: corridoio. Guardai a sinistra: corridoio. Dove cavolo vado?! Cercai di ricordare la sezione che mi aveva detto Lia. Doveva essere la E o la D. Detesto la mia memoria corta! Seguii le indicazioni per entrambe e arrivai al secondo piano. Nei corridoi non c’era nessuno eccetto una bidella anzianotta che puliva il pavimento. Mi fissava ed io fissavo lei. Mi avvicinai timoroso.
–       Salve, io dovrei consegnare questi cellulari a due studenti da parte della professoressa Lia ****** –
–       Ah, sì! La signorina *******? So che è dovuta uscire per un’urgenza. Non è niente di grave vero? – mi disse la bidella preoccupata.
–       Beh… si spera che non sia nulla di grave… – dissi restando nel vago.
–       Guardi, i ragazzi sono in quell’aula lì ora glieli chiamo. –
–       No, ascolti, li tenga lei e glieli consegni alla fine della lezione. Così io vado. –
–       Va bene e mi saluti la signorina ********. –

Appena fuori dalla scuola tirai un sospiro di sollievo.
Forse ora posso davvero tornare a casa.

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (VII)

Passante Porta Venezia

(Foto personale)

Annalisa è un’insegnante di scuola media e svolge questa nobile professione in una scuola del milanese, insieme alla sua amica Lia. Non domandatemi come faccia una come lei a insegnare geografia o italiano a dei poveri studenti annoiati; so solo, (e ne sono certo) che quei preadolescenti passino il tempo a odiarla e amarla allo stesso modo. Del resto, anch’io l’avrei fatto.
Quell’anno, l’insegnante vintage/indy, s’era accaparrata le ferie per l’ambitissimo ponte dell’immacolata. Cosa che non era stato possibile per la sua collega.
Quindi, Lia, in quel momento, era bloccata a lavoro.
Guardavo Anna, mentre camminavamo nel sottopasso della stazione di Porta Venezia. Cercavo di capire a cosa pensasse quella mente incomprensibile. Di solito non ci voleva tanto. Si trattava di capire di cosa stessero discutendo gli unici due neuroni che aveva.
–  Anna… che facciamo? – le chiesi.
Anna si fermò. Si guardò intorno. Cacciò il telefono dalla borsa e compose un numero.
Iniziò a squillare. Me lo porse…
–  Tieni… sto chiamando la segreteria della scuola. Inventati qualcosa per far uscire Lia. –
–  Anna! Ma sei seria? Anna no! Cazz… Pronto è la scuola media *******? Salve. Avrei bisogno di parlare con la signorina Lia ****** è una emergenza. Grazie. –
“Attenda un attimo”
–  Anna ma sei pazza! – dissi sottovoce alla mia amica, gesticolando come un babbuino.
–  Shhh che ti sentono! – rispose
“Pronto chi è? Che è successo?”
Al telefono si sentì una voce femminile. Era Lia. Anna prese il telefono e lo portò al suo orecchio.
–  We, Lia. Ciao. Tranquilla non è successo niente! – rise.
–  Non ancora… forse un omicidio tra poco! – aggiunsi
–  Senti, ti ho preso il biglietto per scendere. Partiamo tra un’ora. –
“Tu cosa? Anna io sono a scuola!”
–  Su esci! Inventati qualcosa! Dai! Ti aspettiamo all’uscita del passante di Porta Venezia, tra un quarto d’ora! –
click
Annalisa ripose il telefono in borsa con estrema calma e mi guardò.
–  Secondo te ce la farà? – mi chiese dubbiosa.
Non risposi. Le presi una ciocca di capelli e iniziai a tirarla.

Poco dopo ci raggiunse Lia. La scuola non era lontana da dove ci trovavamo. La vidi arrivare tutta concitata. Affannata. Chissà cosa si era inventata per uscire. Non volevo saperlo. Non volevo altre grane quel giorno. Volevo tornarmene a casa e cercare di recuperare qualche ora di sonno in un comodo letto. Ero distrutto. Avevo un aspetto orribile. Annalisa aspettava di fianco a me. Guardavamo Lia raggiungerci. Notai però, qualcosa di strano nel volto di Lia. Qualcosa che mi diceva che quella giornata non sarebbe finita lì.

–       Ciao ragazzi! – ci salutò Lia.
–       Ciao tesoro! – rispose Annalisa con un bacio.
La salutai anch’io. Mi sentivo un tappo tra di loro nonostante il mio metro e ottanta. Entrambe erano alte e slanciate. Lia, dopo aver scambiato i soliti convenevoli con Annalisa, abbassò lo sguardo infilando la mano nella borsa.
–       Anna, sono uscita da scuola con una scusa orribile che nemmeno ti spiego! Ma… – disse Lia.
–       Ma?! – dissi in sincrono con Anna.
–       Beh… mi ero dimenticata che, nell’ora precedente, avevo sequestrato due cellulari ai miei alunni… e… non posso portarli con me! E non posso nemmeno tornare a scuola! Come facciamo? –
–       Neanche io posso tornare a scuola! Ho inventato una scusa peggiore della tua per uscire! – rispose Anna.
A quel punto, prevedendo già come sarebbe andata a finire la cosa, feci un paio di passi indietro, come chi cerca di fuggire da un animale pericoloso senza farsi sentire.
Le ragazze, dopo essersi guardate negli occhi per un paio di secondi, si ricordarono della mia presenza e si voltarono all’unisono verso di me.
Spaventato come se la mia finta fuga fosse stata scoperta, alzai le mani in segno di resa dicendo:
– No, Ragazze! Non ci pensate nemmeno! Io non ci vado in quella scuola! –

continua…

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