Io ci sarò…

Max%2520Pezzali

– Concerto di Max Pezzali ad Avellino! Ci andiamo? –
– Davvero? Fantastico! –
– Chiedilo anche a Lei… magari viene… –
– Ok… ci provo… –

Ero sul letto, a casa dei miei genitori. Mi rilassavo mentre giravano in testa spicchi di ricordi. Roteavo tra le mani il cellulare, con quel contatto di rubrica che aspettava di essere cliccato. Un tempo non mi sarei fatto tanti problemi. Un tempo l’avrei chiamata e non sarebbero servite nemmeno tante domande per ottenere un semplice si. E ora invece…

Tuuuu tuuuuu
– Pronto! –
– Ciao Mariè come stai? –
– Un bel casino! Ma tutto bene! Mi sono fatta male al piede in vacanza… e sono dovuta stare in casa un paio di giorni… Però il mare era bello… ci siamo divertite… poi… –
– Marièèèè! Ferma un attimo! Stop! Ti ho chiamata per chiederti una cosa… –
– Dimmi! –
– Concerto di Max Pezzali… –
– Cavolo… –
– Vieni? –
– Ciro… lo sai che non posso… lo sai che non è più come una volta… –

E come mai… ma chi sarai… per farmi stare qui… qui seduto in una stanza… pregando per un si…
Un tempo eravamo amici… amici inseparabili. Io, te, Robertino e quel manipolo di ragazze tue compagne di classe. Ci divertivamo… quelli sì che erano tempi felici…

Un pomeriggio ’05 di una torrida estate.

– Allora l’hai baciata? –
– No! Ho detto di no! –
– Dai Robertì! Diccelo! – disse Mariella con la sua voce squillante. La sua curiosità stava accelerando e anche la mia. Eravamo seduti all’ombra di un pino sulla grande panchina in pietra a forma di L. Era un pomeriggio di quelli caldi. In un’estate in cui potevamo ancora permetterci di vestirci come capita, perché quando sfiori i diciotto, non badi tanto alle apparenze. E quindi sfoggiavamo pantaloni a pinocchietto e Nike colorate noi maschi; e svolazzavano gonnelline e magliette floreali tra le ragazze.
– Ragazzi noi andiamo… – dissero le altre.
Robertino, Mariella ed io le salutammo allargandoci sulla panchina semivuota.
– Allora? Diccelo! – insistetti.
– Ok… va bene! Ci siamo baciati… –
– Lo sapevo! – urlò Mariella. – Ora vogliamo i dettagli! – disse mentre annuivo col capo.
– Ma i dettagli di cosa! Sai com’è Pina! Fa sempre la difficile! Ci siamo baciati a stampo! –
Io e Mariella ridemmo e cominciammo a prenderlo in giro come due ragazzini:
– Roberto si è baciato con Pina… Roberto si è baciato con Pina! –
Quella era la normalità di quei giorni. Risate… pettegolezzi… storie… all’ombra di un pino su una fredda panchina. Non tutti però erano invitati. Quando il club si restringeva e rimanevamo solo noi tre, i particolari si facevano più intimi e le confessioni più dettagliate.
Quelli per me, erano gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due, gli anni di che belli erano i film, gli anni di qualsiasi cosa fai, gli anni del tranquillo… siam qui noi.
Erano gli anni della mia adolescenza un po’ annacquata e allungata un altro po’, per dar sfogo al mio essere eterno bambino sognatore. Ero a mio agio con loro. Potevo finalmente essere me stesso con qualcuno, invece di fingere sempre una sicurezza mai avuta e un carattere forte. Potevo raccontare… e al tempo stesso ascoltare storie ricche di sentimenti. Potevo essere spensierato e sconnettere un po’ il cervello lasciando correre l’istinto che spesso governa le menti degli adolescenti.

Rumore di sportelli che sbattono. – Io davanti! – disse Mariella. Roberto dietro ed io alla guida. Accesi il motore della vecchia punto. E gira e rigira eravamo sempre lì… a percorrere all’infinito quelle quattro strade del nostro paesino.
“Eccoti sai ti stavo proprio aspettando
ero qui… ti aspettavo da tanto tempo
tanto che… stavo per andarmene
e invece ho fatto bene”

Click
– Marièèè perché hai cambiato?! –
– Questa non mi piace! –
Click Click Click
– Smettilaaaa!! – dissi fermandole la mano che armeggiava con il mio stereo.
“Se solo avessi le parole
te lo direi…
anche se mi farebbe male eeee oooo”

Cantavamo in coro a finestrini abbassati e motore al minimo.

“Se lo potessi immaginare
dipingerei…
il sogno di poterti amare!
Se io sapessi come fare…
ti scriverei…
Una canzone d’amore!”

Cantavamo con le nostre voci acerbe e squillanti. Negli anni d’oro delle nostre vite… Quando la fortuna ci ascoltava e spesso girava dalla nostra. Quando qualsiasi cosa accadeva… loro, erano sempre lì.

Ore Otto, 2011 sempre in una torrida estate

I miei fari fendevano il buio sulla stessa strada di 6 anni fa. Il paesaggio non era cambiato, ma io si. La mia vecchia punto era diventata un’Audi, vecchiotta anche lei; i piedi avevano abbandonato le orribili Nike lasciano il posto alle Carrera; anelli e braccialetti erano diminuiti… e lo stereo… ancora vergine degli 883. Mi fermai davanti casa di Roberto. Gli feci uno squillo e le lo vidi arrivare con la sua buffa andatura. Aprì lo sportello tutto sorridente e mi salutò:
– Ciao Cì! Da quanto tempo! –
– Già… ma siamo sempre qui… –
– Come va la vita a Milano? –
– Si sta bene… vuoi venire anche tu? –
– Beh… magari ci faccio un pensiero dopo la laurea! –
Roberto si girò istintivamente a guardare i sedili posteriori vuoti, poi sputò fuori la domanda tanto attesa.
– Gliel’hai chiesto? –
– Si… – dissi guardando la strada con occhi furibondi.
– …e che ti ha detto? –
– Ho chiuso con lei Robbè! Non voglio mai più sentirla! –
– Che cazzo dici? –
– Si! Basta! Mi sono rotto le scatole dei suoi No! Di questa amicizia a “pezzi” e a volte nascosta… –
– Lo sai il perché si comporta così… –
– Certo che lo so il perché! Cristo! Solo perché qualche mese siamo stati insieme, mannaggia a me! E quindi, tecnicamente, siamo ex! E ovviamente al suo ragazzo non va giù! Non l’avessi mai fatto… –
– Dai! Ora non dire così! –
– No… ti giuro… questa è l’ultima goccia… le ho detto addio. Se non si può essere dei normali amici come un tempo, che senso ha? –

Tutto per colpa di quello stupido amore…
che unisce…
e poi distrugge…
lasciando terra bruciata dietro di sé…

Se tanto non hai fretta… (parte II)

se%2520tanto%2520non%2520hai%2520fretta.

Formia

Ripresi il pc e lo arroventai sotto i colpi delle mie dita frenetiche. Calcolavo percorsi, probabilità, eventuali
problemi che i miei fratelli avrebbero potuto incontrare; possibili stazioni in cui fermarmi; traffico, orari, chilometri, deviazioni, mi stava venendo un gran mal di testa!
Il mio cellulare lampeggiò. Sullo schermo comparse una mappa e un punto con la faccina di mio fratello che si spostava. Graziano stava facendo bene il suo dovere, si erano mossi da casa. Io invece, dall’altra parte della mappa, restavo fermo e immobile nei pressi della stazione di Formia. Immaginai che la stessa mappa la stesse guardando mio fratello nel sedile passeggero di un’Audi sparata sulla statale 7. Gli avevo insegnato a usare Google Latitude qualche anno prima. Era Pasqua e giocavamo con i cellulari mentre andavamo a trovare i nonni per i consueti auguri.
– Graziano, guarda quest’applicazione… – gli dissi.
– Cos’è? Una mappa? –
– Molto di più… vedi quest’icona con la mia foto? Indica la mia posizione. Ora accendi anche il tuo cellulare e ti faccio vedere che compari anche tu… –
Graziano cacciò dalla tasca il suo Htc bianco. Attivò la connessione e cliccò su Google maps. Un attimo dopo, accanto alla mia icona lampeggiante, comparse anche la sua.
– Fico! – disse – Ma a che cazzo serve? –
– Per adesso a niente… ma sicuramente verrà un giorno in cui ci servirà… –
E il giorno era proprio quello in cui i miei fratelli erano la mia ultima speranza di salvezza. Guardai l’orologio e fissai per un po’ le lancette che segnavano le nove. Quanti casini che stavo creando. Avevo spedito i miei fratelli fino a Formia! Più di cento chilometri da casa! Di notte! Dovevano attraversare paesi come Giuliano, Castel Volturno, Casal di Principe… zone in cui, a volte, la legge stenta ad arrivare e regna l’anarchia. E mandarci due adolescenti immaturi, non era tanto una buona idea.
Mia madre ucciderà…
Mentre ero assorto nei miei pensieri, il telefono cominciò a squillare. La foto di mia madre apparve sullo schermo nero. – Cazzo! Tempismo perfetto! –
Click
– Ciao Ma’… –
– Ciro! Sei arrivato a casa? –
– No… sono ancora in treno… ci sono stati dei problemi… –
– Ce la fai a prendere la coincidenza? Devo chiamare qualcuno che ti venga a prendere? –
– No Ma’… ho chiamato Graziano e Davide… stanno venendo loro… – bomba sganciata, chiusi gli occhi e allontanai un po’ il cellulare dall’orecchio, in attesa di roventi grida furiose.
– Ah… – disse solamente. – Te lo vedi tutto tu? –
– Certo… li sto guidando da qui… –
– Va bene… allora fammi sapere quando arrivate a casa… Ciao –
– Ciao Ma’ –
Click
Chiusi il cellulare ancora incredulo. Mia mamma che non si preoccupava? Suonava strano pensarlo. O semplicemente non aveva ancora focalizzato con la mente… cosa molto probabile.
Mi adagiai sul sedile appoggiando i piedi su quello di fronte. A intervalli di 5 minuti accendevo la connessione per seguire il tragitto dei miei fratelli. Non avevano ancora oltrepassato la metà del percorso.
Intanto il mio treno restava nell’inamovibilità più assoluta. I passeggeri erano incazzati neri. Un tizio si era impossessato del microfono dell’interfono e con messaggi del tipo “Capotreno! Abbiamo donne e bambini a bordo! Dove sei?” aizzava ancora di più la folla inferocita.
Perché non ho preso il Frecciarossa? Pensai amareggiato.
Mentre roteavo il cellulare tra le dita, sentii un rumore ferroso provenire da lontano. Un treno si stava avvicinando a noi. Possibile?
Andai al finestrino e un regionale mi passo a pochi metri dal viso a tutta velocità. Mandai un messaggio a Enzo:
Ma per caso, sei su quel treno che mi è appena passato a fianco?
Nello stesso istante mi arrivò un suo messaggio che sostanzialmente diceva la stessa cosa. Lo chiamai.
– We! Figlio di puttana! Sei passato e noi no! –
Rise.
– Ciro, come facciamo quando arrivo? –
– Ti passo a prendere con i miei fratelli, tranquillo! –
– In che stazione devo scendere? –
Pensai un attimo e dissi: – Caserta… scendi lì –
Click

Ora dovevo solo sperare che il mio treno riprendesse la corsa. Se il treno di Enzo era passato, perché il mio era ancora fermo? Nessuno lo sapeva. Intanto avevo socializzato con una signora di Salerno. Stando nella mia stessa cabina aveva ascoltato tutte le mie chiamate e quindi seguito la mia vicenda. Le chiesi consiglio su dove scendere nel caso in cui il treno fosse ripartito.
– Aversa… E’ abbastanza vicina a Napoli ed è la fermata successiva a Formia… e soprattutto non è lontana da Caserta! – mi disse con estrema calma e tornò a leggere la sua rivista. Non sembrava per niente preoccupata dalla situazione. Sfogliava il suo Gente proprio come se fosse nella sala d’attesa di un parrucchiere. Invidiavo la sua calma.
Improvvisamente qualcosa si smosse. Sentii vibrare il sedile sotto il culo. Il macchinista aveva acceso i motori. Le persone si calmarono. Il vociare si ammutolì per un istante come in attesa di qualcosa.
E quel qualcosa avvenne: le ganasce dei freni lasciarono libere le ruote che cigolarono sui binari muovendosi in avanti. Tutti tirarono un respiro di sollievo… tranne io che avevo riaperto il pc per ricalcolare i percorsi. Mandai un messaggio a Graziano:
Cambio di programma, il mio treno è ripartito, andate alla stazione di Aversa!

Porcaputtana! Deciditi un po’! Mi rispose un po’ incazzato…

<—Parte I                                                         Parte III –>

 

Si viene si va… per sempre! (V)

Si%2520viene%2520si%2520va%2520parte5

che la Spagna e l’Ungheria non sono poi tanto male…
Devo scappare… sai… genitori… casa… famiglia…
Mi capisci…
Ah! Ti devo 5 euro! Ricordamelo…
P.S. Minchia che freddo!!

11:41

Ero seduto su un muretto. Respiravo guardando l’orizzonte davanti a me. Non riuscivo a vedere la fine di questa immensità. Trovavo così strano non riuscire a percepire la fine di un qualcosa di finito come il mondo. Però era bello sapere che potevo avere l’infinito così vicino a me da poterlo toccare se solo facessi un passo più in là… ma muovendomi, le cose cambierebbero… e l’infinito si sposterebbe in un altro luogo… toccherebbe altre mete a me inaccessibili, mantenendo sempre la sua aura di fantasia.

Ero in una via sperduta del Molise. La mia Audi era parcheggiata dietro di me. Mi ero perso. Non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi. Presi il mio cellulare dalla tasca. Provai un’ultima volta ad accenderlo. Niente… morto… e con lui era morto anche il mio navigatore. Guardai lo schermo nero con una smorfia di rassegnazione.
E ora chi mi tira fuori da questo casino?
Incrociai le gambe sul muretto di cemento che costeggiava quella lingua d’asfalto che avrebbe dovuto essere una strada, anziché un viottolo di campagna. Maledetto navigatore ignorante! Quell’aggeggio doveva saperne più di me, doveva farmi da guida e invece mi aveva spinto per chilometri e chilometri a viaggiare nel nulla. Non un cartello… un’indicazione… una freccia per terra. Niente! Eravamo solo io… la mia macchina, questo muretto e chilometri e chilometri di prati, alberi da frutto, campi e qualche casa troppo lontana per un: mi può dare una mano?

Forse la vita voleva mettermi alla prova. Voleva vedere se mi sarei incazzato come al solito. Se avrei scaraventato qualche bestemmia al cielo per farlo tuonare un po’. Ma non gliela diedi vinta. Ero calmo e pacato. Perché arrabbiarmi, poi? Alla fine… nel bene o nel male, la soluzione si trova sempre. Solo che io scelgo sempre quella più facile e quella più sbagliata.
Se vuoi punirmi per questo, sappi che è un supplizio fantastico…

Tirava un bel venticello che mi rinfrescava la mente. Chiusi gli occhi e mi lasciai percorrere dal freddo. Avrei voluto tanto che arrivasse al mio cuore, così avrebbe smesso di darmi il tormento. Gira e rigira è sempre lui il protagonista della mia vita. Fuori sono solo un ragazzo di ventitré anni, quasi ventiquattro… con un giubbotto di pelle che mi è sempre andato un po’ largo… con i capelli a spazzola e gli occhi profondi che la sanno lunga. Sono io… e troppo spesso lascio che il mio passato parli per me.
Tutto quel verde mi fece pensare. Nella mia Milano, trovare pezzi di natura è molto difficile. E uno di quei “pezzi” lo condividemmo insieme.
Posso mandarti un ricordo? Sono un po’ lontano… ma spero che ti arrivi lo stesso… bambolina.

Ricordi quando eravamo sul prato del Parco di Porta Venezia, con quella coperta blu che si riempiva sempre di foglie e ciuffi d’erba? Ti piaceva. Ti piaceva stare sdraiata tra le mie gambe con la testa appoggiata al mio petto. Ricordi gli scarabocchi infantili che facevamo quando portavo pastelli e fogli bianchi? Ricordi la Settimana enigmistica che non riuscivamo mai a finire, perché spesso litigavamo su una definizione e uno dei due voleva avere per forza ragione? Che testardi… Due teste dure che spesso si davano capocciate di pensieri diversi. A volte me lo chiedo se eravamo poi tanto diversi… E mi chiedo anche se sia stato giusto demolire un castello di 4 anni in pochi giorni. Non lo so… Lascio scorrere… cerco il mio spazio. Ma a volte sento un vuoto incolmabile… e parlo di te a me stesso fingendo che tu ci sia ancora.

Una lacrima scese e accesa dal vento mi bruciò la guancia. La asciugai con il polsino in stoffa del giubbotto, troppo abituato a raccogliere la mia sofferenza. Sentii dei passi dietro di me. Un uomo anziano portava una carriola piena di erbacce e strumenti di lavoro. Aveva un viso serio e deciso scolpito dagli anni. Si avvicinava nella mia direzione con un passo svelto. Aveva le scarpe sporche di terra e i vestiti non erano da meno. Sorrisi, sperando che fosse la mia soluzione. Scesi dal muretto e gli andai incontro. Lui si fermò a pochi passi da me.
– Salve signore… mi può dare una mano? –
– Certo giovanotto! Che posso fare? –
– …dirmi come fare a tornare a casa… –
– Dove devi andare? –
– Benevento… –
Il signore si stupì. Si mise una mano sulla fronte e si guardò intorno.
– Benevento?! Come diavolo hai fatto a finire qui? –
– Beh… è una lunga storia… se mi aiuta gliela racconto… –

Si viene si va… comunque ballando (II)

alexander%2520discoteca

21.19

Giro di chiavi. Sentii la macchina vibrare e il motore accendersi. Girai la levetta dei fari. I led scattarono producendo una luce fredda e intensa. Il mio giardino s’illuminò quasi a giorno.
Guardai il quadro. Le lancette rosse erano nella posizione di partenza. Tenevo la frizione e diedi un’accelerata. La lancetta dei giri schizzò 3000. Strinsi il volante tra le mani. E via!
Audi
Mio padre s’era comprato un Audi. Stranamente direi. Non era da lui spendere tanti soldi per una macchina. Diciamo che non le considerava un ottimo investimento. Come dargli torto… una macchina perde il 40% del suo valore dopo 3 anni. Semplici calcoli economici…
Ma quell’auto era fantastica…
Ero in strada. Quella sera l’avrei passata da Enzo, uno degli amici di paese. In tempi normali avrei impiegato il tempo di una canzone per arrivare da lui. Stavolta, invece, le cose erano ben diverse. Tra me e lui c’erano 80 chilometri di differenza. Diciamo che anche lui s’era aggiunto al club degli studenti fuori sede come me… solo che io agli ottanta avevo aggiunto uno zero in più. Presi il cellulare. Accesi il navigatore. Lo impugnai con entrambe le mani per scrivere con tastiera Querty. Con un ginocchio tenevo il volante. Abbassai gli occhi per scrivere le lettere.
C-AM-
Una macchina svoltò a destra e la superai.
POBA-
Una Stilo si fermò a centro strada per sterzare in una traversa.
SSO (Molise)
Invio. Calcolo percorso.
Posai il cellulare sul cruscotto.
Correvo veloce.
La lancetta saliva, scalando il semicerchio del contachilometri.
Idiota non ti buttare! Tu sta’ fermo! Cristo ma perché vai così piano?
Ero un po’ nervoso. Sorpassai una Citroen e da lontano intravidi delle luci blu, prima di una curva.
Tum tum…
La polizia. Posto di blocco. Paletta.
Mi hanno visto correre?
– Patente e libretto… –
Tum tum…
È uno stupido controllo
– Ecco a lei! –
– Grazie! –
Riaccesi la macchina. Partii piano. Superai una curva e spinsi di nuovo l’acceleratore. Il mio cuore teneva ancora i battiti di prima. Sembrava quasi che a correre fossi io con i miei piedi, su quella strada tortuosa. Invece erano i cavalli imbizzarriti dell’Audi a trascinarmi. Li sentivo tutti… tutti e centoventi, sotto il mio piede, tra le dita sul volante, sotto le ruote che stridevano nelle curve. La potenza mi trasmetteva una sensazione di immunità, immortalità… e mi lasciava aperte le porte del rischio.
Ripensai alla chiamata di Enzo:
“Ciro, ricordati degli autovelox, uno è all’uscita di Morcone, e l’altro al chilometro novantan…”
Cavolo! Novant… sette? Boh… dannata memoria corta!
Arrivai. Enzo mi aspettava sul ciglio della strada. Mi fermai e lui salì frettolosamente in macchina.
– Vai… Andiamo a prendere Eva… –
– Ciao eh! –
– Ciao Cì –
– Chi diavolo è Eva? –
– Lo vedrai… –
Enzo mi spiegò che stava frequentando questa ragazza ungherese. Era una storiella passeggera. Di quelle da una botta e via… anche due o tre, volendo.
– Ecco… fermati qui! –
Una ragazza in minigonna uscì di casa. Enzo scese e abbassò il sedile per farla salire. Ripartii.
Attimo di silenzio.
– Eva… questo è Ciro… –
– Ciro… questa è Eva… –
Per fortuna che Enzo, al contrario di altri, non aveva dimenticato una cosa così scontata come presentare le persone. Mi girai e le strinsi la mano. Mi sorrise.
Enzo mi indicò la strada verso casa sua. In quel sali-scendi di strade tortuose sprovviste di cartelli era un po’ difficile orientarsi.
– Parcheggia pure lì –
Salimmo le scale. Eva scambiò qualche parola con Enzo. Sembrava parlare molto bene l’italiano. Posai la borsa nella camera da letto. Presi Enzo per un braccio e gli chiesi: – Dov’è? –
Sapeva bene a cosa mi riferissi: alla bottiglia di rum che mi aveva promesso se fossi venuto lì.
– È in cucina. La vado a prendere… –
Io ed Eva ci sistemammo in salotto. Lei chattava su Facebook con un amico con cui saremmo dovuti uscire quella sera. In un’altra camera, invece, c’era la coinquilina di Enzo che guardava la partita. Era una ragazza spagnola in Erasmus. Venne in salotto anche lei. Si chiamava Carmen.
– Puta de mierda! Cabron! –
Sullo schermo si giocava Barcelona – Real Madrid. Enzo entrando con i bicchieri di carta da un lato e l’alcol dall’altro, mi avvertì che Carmen era una fervente tifosa del Real Madrid. Fece un grave errore a dirmelo, conoscendo la mia tendenza a “punzecchiare” le persone.
– Tanto si sa che perde… – dissi e lei staccò un attimo gli occhi dallo schermo per parcheggiarli sui miei. Fece un sorriso storto e tornò a guardare la partita.
Enzo riempiva i bicchierini di plastica col prezioso liquido rosso.
– Anche ad Eva piace il Rum? –
Enzo smise di versare e disse: – Quella ha ritmi che nemmeno io riesco a sostenere… –
Conoscendo quasi alla perfezione Enzo, guardai Eva meravigliato. Lei sorrise.
– Enzo… – si rivolse a lui con estrema dolcezza.
– Dimmi… – si avvicinò e l’abbracciò.
– Antonio non risponde… –
– Hai provato a chiamarlo al cellulare? –
– Si… ma niente… –
– Cazzo… –
Entrambi guardarono me. Capii che qualcosa stava compromettendo la nostra serata. Presi un bicchierino di Rum e lo trangugiai in un colpo.
– Ok… tranquilli… stasera guido io! –

Audi sportback… (strane storie estive V)

audi%2520sportback%2520bianco

In brutti periodi di droga…

Il mio istinto di sopravvivenza era in totale allarme. Avevo paura… una paura folle. Erano le due di notte ed ero a bordo di un Audi a3 sportback.
– Ti piace questa macchina Ciro?-
– Certo, è stupenda… ma rallenta! -
 Mi tenevo al bracciolo dello sportello. La velocità era alta; e se lo dicevo io, era alta davvero. Per fortuna il mio cuore teneva ancora, anche se batteva all’impazzata.
– E’ 2000 a benzina… e ha 170 cavalli… non la ferma nessuno!-
– Ci credo… la curva! Quella è una dannata curvaa! -
Onorio prese la curva a pelo a circa 180 chilometri l’ora. Fortunatamente a quest’ora in città non c’erano molte macchine ma quella velocità era folle anche avendo a disposizione entrambe le corsie. Follia pura.
Guardai Onorio.
Guidava con una mano sola, mentre con l’altra si tastava le tasche cercando qualcosa.
- Ciro, vedi se trovi un accendino… –
– Non dirmi che vorresti accenderti una sigaretta ora? –
– Certo…-
– Fammi guidare a me e tu fumi… – gli implorai fissando la strada.
– No, tranquillo, sto bene! –
– Comunque, qui l’accendino non c’è. La curvaaaa! Usa l’accendisigari e cristo rallenta! –
– E’ rotto! –
– Madò… non funziona niente in questa macchina! Secondo me, i miei 10000 euro li dovresti accettare per questo catorcio! –
– Chèè? Catorcio? Guarda qua! -
Onorio spinse l’acceleratore a tavoletta.  Restai incollato al sediolino per una decina di secondi e lì capii che dovevo starmene zitto. La strada non riuscivo più a vederla. Vedevo solo cose sfrecciare velocissime.
Onorio a guardarlo sembrava calmo e tranquillo. Come se tutto questo fosse normale routine per lui. O per dir meglio, quello non era ancora il suo limite, mentre il mio era già stato superato alla grande.
 Tum tum tum..
. Tum tum tum..
. Curva a destra, curva a sinistra… rotonda. La macchina sembrava pendere dal mio lato ma teneva bene la strada. A un certo punto Onorio iniziò a smanettare con lo stereo. Mise un pezzo di Ligabue per farmi contento. Poi abbassò la mano e girò al massimo la manopola dell’aria calda. Non capivo il perché (in pieno agosto). Il mio cuore batteva così forte che avevo un tremore che si diffondeva per tutto il corpo. Alzò la musica. Urlando contro il cielo. la più bella… e forse la più adatta. Non cantavo… non riuscivo a seguire le parole. La mia mente era uno scorrere continuo di pensieri, ansie e paure. Ogni incrocio, ogni rosso, ogni stop non rispettato, ogni sorpasso, ero lì con le unghie piantate nel sediolino.
 Veloce..
. Tum tum..
. Sempre di più..
. Tum tum..
. Un rettilineo. Sapevo che lì Onorio avrebbe dato il meglio di se. Lungo il bordo strada c’erano i pali dei lampioni che si susseguivano a oltranza, oltre a un basso muretto. Non c’era nessuna macchina. Niente, solo noi e la strada. Lunga e diritta sotto di noi. Onorio oltrepassò i 200, il suo contachilometri scintillante era stupendo. Avrei voluto avere anch’io una macchina così. Lo guardai. 
Lo guardai e stranamente mi fidavo di lui. Sbagliando…
 TUM TUM…TUM TUM…
 Onorio si avvicinò sempre di più al bordo della strada dalla mia parte. Sembrava una cosa calcolata al millimetro. Vedevo il bordo sempre più vicino, i lampioni sfrecciarmi accanto, uno dopo l’altro, in rapida successione… sempre più vicino… e…
– Oooooo atteen… -
SPAAAAAAKKKKKK

Mi abbassai dal lato di Onorio. I miei riflessi erano ancora vivi nonostante l’alcol trangugiato quella sera.
Mi alzai. Onorio continuava a correre come se niente fosse successo. Guardai fuori dal finestrino. Lo specchietto dell’Audi sportback era completamente disintegrato. Distrutto. Una cosa inguardabile. Era rimasta solo la povera freccia penzolante appesa a un filo. Avevo gli occhi sgranati. Lo specchietto aveva preso in pieno un lampione e non ne era rimasto più niente. Guardai il finestrino e ringraziai il cielo di averlo chiuso, altrimenti quello specchietto mi sarebbe schizzato in faccia.
– Ciro, ma ho per caso rotto lo specchietto? – disse Onorio, con la tranquillità di uno che chiede se ha vinto o no il Napoli la domenica precedente.
– Nooo… Non è che l’hai rotto… L’hai completamente polverizzato! Non c’è più niente! –
– Davvero Ci? –
– Rallenta un po’ e dai un’occhiata tu! –
– Aèè, sai quanto costa quello specchietto? –
– Spara! –
– 400 euro! –
– Azz, complimenti allora! Onorio, io te lo dico, pigliati sti 10000 euro per questa macchina! –
– No, ma che! Lunedì la porto ad aggiustare!-
– Tu si che stai bene! –

Finalmente arrivammo a destinazione. Ci fermammo un po’. Lo stereo e l’aria calda continuavano a girare.
Guardai Onorio con aria interrogativa e gli domandai:

– Onorio, spiegami una cosa… perché hai acceso l’aria calda? –
– Che ne so Cì… sto ubriaco! Spegnila pure! – disse sorridendo,
lasciandomi per un istante senza parole. Non perché guidasse ubriaco… capita spesso, ma questa cosa dell’aria calda a manetta il 21 di agosto, mi lasciò ammutolito.
Spensi l’aria. Guardai Onorio e gli dissi.
– Al ritorno guido io… –
– Non esiste proprio! Guido io! E ora sbrighiamoci! Che il tizio ci sta aspettando! –

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: