Frammenti di vita #60

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Mamma… tu non puoi far cosi…
non puoi…
Sei la persona più cattolica che conosco e mi tenti cosi!
Perchèèèè

 

Frammenti di vita #59

Scrivere

Ciro… molla…
molla un po’… solo per oggi…
dopotutto è natale Ciro… non te ne dimenticare…
dedicalo un po’ a quello che ti piace…
e sai già cos’è…

scrivere…

Quindi mettiti comodo che la notte è lunga…
e scrivi…

scrivi di un bel ricordo che hai…
come sai fare tu….

 

Buon Natale ragazzi….

stay tuned...

Frammenti di vita #58

Albero di natale stazione

Vorrei vivere il natale in maniera serena..
svegliarmi la mattina della vigila e avere l’ansia che scocchi la mezzanotte…
Invece ho l’ansia che scocchino le 8 di un giorno d’esame lontano…
Come regalo voglio la tranquillità
Un respiro profondo…
Un sorriso…

Ma e’ da tempo che non ne ho…

Frammenti di vita #55

Un piccolo estratto della Fiera dell’artigianato

Frammenti di vita #32 (natale 2014)

Babbo Natale 2014

E’ la prima volta che desidero che non sia Natale. Forse perchè lo sto vivendo male. Vorrei godermelo di più ma… tra mille impegni, lo studio e la casa nuova non riesco a farlo.

Vorrei che non fosse Natale… ma purtroppo lo è… e devo essere felice… per la famiglia, per la ragazza… e per quei quattro amici che resistono ancora al mio caratteraccio.

Ma questa felicità proprio non so da dove prenderla…

Me ne regalate un po’?

Dopotutto… è Natale.

Storia di una casa (#14)

2006/2007

– 14 –

Un improvviso scintillio balenò nei miei occhi. La mente era tutta un fermentare d’idee, trasformazioni e cambiamenti. I pensieri ribollivano come acqua a cento gradi, facendo saltellare il coperchio della pentola su in cima. Con quell’affermazione la proprietaria si era assicurata un’ottima chance di vedersi la sua casa affittata. La donna ci aveva preso in pieno. Forse, saper cogliere negli occhi dei visitatori i loro bisogni, faceva parte del suo bagaglio di esperta affittacamere.
– Possiamo spostare un letto qui e il divano metterlo al posto del letto nell’altra camera… e poi questo va lì… questo va là… –
Portai una mano al mento e, pensieroso, lo pizzicai con delicatezza. Feci qualche passo verso il balcone pesando che quella visuale sarebbe diventata tutta mia, se il progetto della donna avesse avuto un lasciapassare. Voltandomi notai che la proprietaria non c’era più.
– Non sembra poi così difficile da spostare… – disse, parlando dall’altra stanza con una mano sulla testiera del letto. In pochi passi la raggiunsi. – Si… al massimo si smonta e si rimonta. – costatai.
– … e il divano si sposta così com’è. Poi in due dovreste farcela! A proposito, la signora Pina mi aveva parlato anche di un altro ragazzo… –
– Ehm… sì. Francesco. –
– Sai quando arriverà? – chiese dubbiosa.
– In realtà non so niente di lui… –
Spiegai alla donna tutta la storia. Le raccontai del mio dilemma e dell’estenuante ricerca. Lei ascoltava e annuiva silenziosa. Pensava, aspettando il momento giusto per intervenire.
– Quindi sta solo a te decidere. Visto che a lui va bene qualsiasi cosa… – concluse riassumendo in una frase il mio discorso, estraendone il punto cardine della questione, o almeno il punto che interessava a lei. Sì, tutto era nelle mie mani o meglio, nella mia lingua che doveva pronunciare solo una semplice frase. Una proposizione affermativa dotata della giusta sintassi.
Purtroppo proprio non mi usciva facile soffiare al vento quelle parole, cosicché rimandai la questione di qualche ora.

Uscii dall’appartamento sollevato. I miei passi sembravano più leggeri sull’asfalto che fungeva da marciapiede. I pensieri avevano assunto la forma di un piatto d’insalata che mischiava gli ingredienti tentando di amalgamare cibo e condimento. E a spiegazione della metafora il cibo rispecchiava quell’appartamento con le sue stanze e i suoi mobili inerti; mentre il condimento era il dolce sottofondo della descrizione della proprietaria che arricchiva e deliziava di dettagli ogni cosa.
Trovai un parchetto poco distante e quella manciata di panchine faceva al caso mio.
Mi sedetti su una di loro. Un signore anziano, la cui mansione giornaliera era far da balia a un bastardino, mi guardò incuriosito. Dopo qualche istante abbassai lo sguardo sul mio cellulare pensando a quale contatto chiamar prima della mia rubrica
Chiamai la signora Pina… poi mio padre… e poi mia madre; e stranamente le mie parole bisognose di consigli, non seppero far breccia in nessuna delle tre persone. Tutti rimisero la scelta nelle mani di un ragazzo, seduto a gambe incrociate su una panchina in mezzo al verde e al cemento, a chilometri e chilometri lontano da casa. Così non esitai più e lasciai che il mio destino si compisse.

– Ok Signora, la prendo. –

Fine prima parte

Storia di una casa (#13)

2006/2007

– 13 –

Appena la porta si aprì, un bagliore di luce guizzò verso di me. Qualcosa d’ignoto disse al mio piede di muoversi in avanti. Sarà stata la presenza della proprietaria alle mie spalle a spingermi o la maturata familiarità con il luogo a darmi fiducia. Cosicché, senza nemmeno accorgermi ero al centro della sala.
La proprietaria, entrando di soppiatto, mi sgusciò dietro le spalle. Andò verso la porta del balcone e l’aprì. Disse qualcosa che non ascoltai. Ero incantato nell’osservare un piccolo televisore su di un mobile da salotto. Un mobile basso, piano, rettangolare, in legno chiaro. Uno di quei materiali a cui avresti proprio voglia di dare una ridipinta di una tonalità più scura. Ci fissai lo sguardo e poi, come un compasso che poggia la mina sul foglio, iniziai a girare lentamente.
Vidi una libreria disadorna e spartana, dello stesso colore del mobile della televisione. C’era un solo libro su un ripiano e accanto un oggetto cilindrico dall’origine ignota. Tutto il resto era vuoto e niente come una libreria vuota accendeva in me la voglia maniacale di riempirla. Questo istinto cominciai ad averlo da bambino, nel trovarmi spesso a giocare con scatole di cartone inutilizzate.
Il mio cerchio visivo contino’ il suo corso su un tavolo nell’angolo accompagnato da una singola sedia; poi un divano in stile moderno sprovvisto di braccioli sostituiti da due cuscini rotondi. Il tessuto ruvido era di un beige chiaro e la forma del piano di seduta sembrava quella di un materasso singolo. Infatti la donna mi fece notare che lo schienale poteva ruotarsi e il tutto diventare un comodo letto; e continuò il suo discorso allettandomi con l’ipotesi di poter ospitare qualche amico nei fine settimana.
Passai poi al balcone, la cui visuale era ostruita dalla figura della proprietaria e finii con la seconda libreria che costeggiava il mobiletto basso della TV.
– Vieni a vedere la vista che da questo balcone – disse la donna uscendo all’esterno – Si vede tutta la strada da qui! –
– Vedo… – risposi sporgendomi col busto verso il vuoto.
Il parapetto del balcone aveva una larga parte in vetro, riempito da un reticolato di ferro sottile. Pensai che fosse da sciocchi utilizzare un materiale così fragile come il vetro per assolvere la funzione di resistenza e protezione. Sopra di me c’era una piccola tettoia in plastica ondulata e semitrasparente. Sotto di me invece, tanti piccoli tasselli colorati formavano il pavimento del balcone. Sentendo sotto i piedi la sensazione d’innumerevoli pietruzze sconnesse, mi sembrava di essere in una di quelle chiese dell’antica Roma. Più le guardavo e più m’incuriosivano; tutti quei colori spenti e quella casualità originata dall’abile e paziente lavoro di un operaio, mi stupirono. Sembra così facile stupirmi a volte.
E proprio nel mentre in cui guardavo un tassello di color blu notte, capii che la mia visita guidata era terminata. Quella che avevo attraversato era l’ultima porta della casa e il balcone su cui stavo rappresentava l’ultima cosa da visionare in quell’appartamento. Assimilai il pensiero e cercai di chiudere il cerchio mentale che mi ero costruito, riempendolo con qualche futile dettaglio racimolato visivamente qua e là, per guadagnare tempo per riflettere.
– Ed eccoci qua, questa è la casa, come ti sembra? –
– …accogliete e… ordinata! –
– Si… però ha veramente bisogno di una ripulita. Purtroppo è da mesi che non l’abita nessuno guarda qui! – disse la donna calciando un ricciolo di polvere. – Quindi? Cosa facciamo? Traslochiamo? – concluse.
– Aspetti signora! Aspetti! – risposi con un mezzo sorriso. – La casa non è male. Beh… il problema è la camera in comune… ehm… cercavo una singola perché non mi sento a mio agio a dormire con altre persone… –
– Certo… capisco… – borbotto la donna passeggiando per la stanza in modo pensieroso. Poi risollevò il capo e come Einstein colto da un lampo di genio, disse:
– …ho un’idea! E se trasformassimo questa stanza nella tua stanza? –

Storia di una casa (#12)

 2006/2007

– 12 –

La descrizione della casa, prima di volgere al termine, si spostò su una di quelle stanze che spesso i proprietari di case sorvolano nel loro giro d’ispezione: il bagno. Costatai, con uno sguardo del volto e dalle parole pompose con cui la proprietaria pronunciava: l’abbiamo ristrutturato da poco, che quella era una delle stanze di cui essa stessa andava fiera. Negli anni poi, appresi che la parola ristrutturare, in una città come questa, con prezzi e tariffe dettate dalla poca manovalanza disponibile sul mercato, era roba da ricchi.
Comunque sia, il bagno era accettabile. Aveva tutto il necessario piantato nel posto giusto. Ovviamente il concetto di doccia tardava ancora a radicarsi nella mentalità e nelle case di antica generazione di cui Milano era piena. Se volevo viver lì, dovevo abituarmi ad assolvere il mio bisogno di pulizia in quel surrogato di lavaggio verticale.
– …e qui c’è la lavatrice. Tutto chiaro? –
– Si… tutto chiaro… –
– Bene… passiamo al ripostiglio, è proprio qui, dietro questa porta –

La donna, dopo aver aperto la porta dello stanzino, si scansò di lato per permettermi di osservare. Lo spazio era poco e per affacciarmi all’interno, mi trovai con la parte destra del corpo, quasi a contatto con la signora di mezz’età, diventata ormai il mio Cicerone. Di solito mantengo una certa distanza, sia con gli estranei sia con le persone in generale. Il contatto fisico lo cerco poco relegandolo marginalmente ai saluti convenzionali come le strette di mano. E lì stavo osando. Stavo oltrepassando una linea che il mio istinto non poteva sopportare ancora. Mi tirai indietro da quello spazio. Mi allontanai con garbo dalla donna e sorrisi annuendo, dando l’impressione di aver osservato ogni minimo dettaglio.
Cosa non vera, data la mia scarsa memoria di quel momento.
La proprietaria tirò un sospiro di sollievo e disse: Eccoci giunti all’ultima stanza, il salotto.
In quel momento ebbi la sensazione di essere su una meravigliosa giostra rotante nell’istante in cui il giostraio pronunciava l’unica frase che un bambino non vorrebbe mai sentire: ultimo giro!
Anche se non sapevo ancora se quella sarebbe diventata casa mia, quel tour guidato casalingo mi era piaciuto parecchio. Si vedeva che la donna aveva esperienza di affitti, di certo arricchita dalla sua acutezza e precisione.

…E rullo di tamburi, l’ultima porta s’aprì.
Si presentò davanti a me ciò che pensai essere la vera chicca della casa, checché ne dicesse e ne pensasse la proprietaria. E questa volta, fui il primo a entrare…

Storia di una casa (#11)

2006/2007

– 11-

La porta si aprì e davanti a me si presentò il posto, dove avrei dovuto passare le mie notti, spesso insonni, per gli anni a seguire. La proprietaria, come ormai di consueto, si fiondò verso il confine della stanza. Col suo movimento repentino, cercò di calamitarmi a sé; spingermi a entrare nell’ambiente; a osare ciò che la mia timidezza m’impediva.
– Apro un po’ la finestra… – disse – faccio entrare un po’ d’aria! –
E dopo aver sbrigato le dovute manovre percependo che il mio sguardo era l’unica cosa che riusciva a calamitare, m’indicò, stendendo il braccio e poi un dito, i tre protagonisti della stanza.

– Come vedi ci sono tre letti… sono abbastanza nuovi e tutti Ikea… li abbiamo cambiati da poco perché gli altri… – e si addentrò nella storia passata di quella casa che le mie orecchie proprio non volevano sapere. Era un po’ come raccontare la sorpresa che si cela in una di quelle uova di pasqua da quattro soldi. Credo che nessuno voglia sapere cosa sia. Si preferisce restare nell’oblio dell’ignoranza per generare la fede e la curiosità in qualcosa di buono.

Era questo che pensavo in quel momento, volevo tener lontane le storie passate di qui, per formare nella mia testa un’idea tutta mia di casa.
Poi pensai al vero problema del momento: quei letti erano troppi.

– In passato ho affittato questa casa a tre persone per volta… – disse mentre il mio sguardo basso fingeva di osservare dei grossi cassettoni sotto i letti per mascherare il mio disappunto.
Sarebbero stati troppi due coinquilini, e soprattutto non sapevo nemmeno dove andarli a cercare in questa nuova città. L’unica possibilità che avevo, era il ragazzo che aveva contattato la signora Pina per me. Di cui non conoscevo praticamente ancora niente. Ma ragazzo o non ragazzo, quei letti erano troppi lo stesso e avrei voluto tanto buttarne uno giù dal balcone per sistemare la cosa.
La donna però, sembrò leggermi nella mente, e, per salvaguardare l’incolumità del suo letto in più, disse: – … poi a me non interessa quante persone affittano l’appartamento… possono essere una, due o tre! –

– Quindi… – fiatai lasciando passare qualche secondo. – …anche due persone le andrebbero bene? – chiesi con la dovuta calma.
– Ma certo! Poi, ovviamente l’affitto lo dividete in due! –
Questo era scontato, pensai, mentre portavo a casa una magra consolazione: abitare con meno persone possibili.

L’altra battaglia invece, che in quel momento avrei sicuramente perso, era quella di ottenere una stanza tutta per me. In tasca però, al riparo da occhi indiscreti, tenevo le dita incrociate su quell’idea che mi frullava per la testa e che non aveva ancora una base su cui appoggiarsi.
Dovevo finire di vedere il resto della casa prima di avanzare le mie proposte.

Passai oltre e misi un punto temporaneo a quei pensieri. Ora toccava alla proprietaria sapermi vendere quella stanza per far salire il suo voto in pagella.
– Come vedi, c’è il parquet qui… Lo fece mettere mia suocera… anni fa ormai. Ho sempre detto ai ragazzi e alle ragazze che hanno abitato in passato, di stare attenti a pulirlo… il legno è molto delicato… –
Solo allora notai che il pavimento era formato da tasselli di legno incastrati in forme geometriche regolari. Non avevo idea di come si pulisse un parquet, e a pensarci bene non avevo la minima idea di come si pulisse un pavimento in generale. Ma questi, sarebbero stati problemi futuri.

– …e infine… c’è un armadio a tre ante che, se andava bene per tre persone, figuriamoci per due! –
E figuriamoci per una! Pensai con un po’ di malinconia e desiderio mentre la donna ultimava il suo lavoro in quella stanza.

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