Weekend finanziario (V)

Rimini ruota panoramica-56

Foto: Ruota Panoramica Rimini 2013

La fresca aria di fine maggio entrava da uno spicchio di finestrino lasciato aperto dal signore in taxi seduto davanti a me. Il tassista spense la radio e con fare calmo si districò da un piccolo ingorgo all’incrocio con la via principale. Di solito i tassisti son di due tipi: estremamente loquaci o estremamente silenziosi. Quello che mi era capitato quel giorno era del secondo tipo. Quindi, sia io che lui apprezzavamo il per niente imbarazzante silenzio che si era venuto a creare. Purtroppo però, non era dello stesso avvisto il signore a cui avevo dato, per modo di dire, un passaggio. Il nostro silenzio veniva continuamente stralciato con i suoi commenti futili o il continuo descrivere di ogni suo movimento.
Questo qui ha proprio voglia di parlare. Pensai mentre giochicchiavo con il cellulare.
–       Mi chiamo Alberto. – disse rivolgendosi dietro, verso di me, per darmi la mano.
–       Ciro… piacere. –
–       Anche tu all’ITforum? Come sei giovane! –
–       Mi porto bene i miei 26 anni… che non sono pochi… –
–       Beh… rispetto ai miei 56. Ce ne passa! –
–       Li porta bene anche lei. – ora faccio il galantuomo con tutti?
Alberto seguitò a parlare chiedendomi di sfornargli qualche dettaglio in più sulla mia alquanto breve vita. Capii che le sue erano semplici domande di cortesia quando, di punto in bianco, nel bel mezzo di una mia risposta, iniziò a parlare di sé.
Raccontò che la passione per il trading gli era venuta da qualche anno, quando un fantomatico professorone di una nota città gli aveva fatto conoscere i Certificates.
Quanto sentii quella parola portai gli occhi al cielo, scuotendo la testa in senso di disapprovazione. Approdare nella finanza con prodotti, in apparenza semplici ma dalle dubbie qualità, non la ritengo una scelta saggia. Ovviamente Alberto, seduto sul sedile passeggero, non vide il mio gesto e seguitò a decantare le qualità del prodotto all’ignaro tassista che annuiva compiaciuto. Alberto gli stava trasmettendo la speranza di ricchezza che gli aveva trasmesso qualche guida letta per caso su internet.
Quando iniziò a elencare i diversi Certificates che aveva intenzione di comprare o peggio, che aveva già comprato, trovai la conferma alla mia sempre presente teoria che la borsa dovrebbe essere interdetta agli incapaci, un po’ come si vieta di guidare ai ciechi.
Alberto era inarrestabile e il tassista sempre più incuriosito.
Ma alla frase: – Non capisco perché le persone non acquistino questi prodotti sicuri invece di altri… – decisi di intervenire.
–       Signor Alberto, mi scusi se mi permetto, ma per il mio modestissimo parere, i Certificates, sono un grande specchietto per le allodole, nella maggioranza dei casi. –
Alberto si girò per guardarmi in faccia e scrutare qualche smorfia di scherno. Invece ero serissimo e stavo cercando di evitargli qualche errore finanziario futuro.
–       Ad esempio quel Certificates sull’indice FTSE che se tocca i 18000 entro settembre e bla bla bla, è una grossa presa per il culo! Se uno guarda un minimo il grafico dell’indice, può capire subito che l’Italia dovrebbe fare i salti mortali per arrivare a quella cifra! Quindi quel Certificates non pagherà mai! –
Alberto continuava a fissarmi stranito e anche il tassista l’avrebbe fatto se avesse potuto. Continuai il mio discorso con:
–       …per non parlare dei Certificates sul prezzo delle azioni! Ah… quelli sì che mi fanno sganasciare! Cioè, LEI Banca mi vende un Certificates sul prezzo delle SUE azioni, quando a LEI banca basta uno starnuto per influenzare la quotazione e quindi annullare tutto? –
Il taxi era arrivato a destinazione. Il signor Alberto guardò la stazione di Rimini davanti a se. Era visibilmente rimasto scioccato dalle mie dure parole di critica. Voleva controbattere per continuare il discorso. Purtroppo il tassametro scorreva ed io continuavo a fissarlo.
–       Dia retta a me… lasci perdere quei cosi… – gli dissi mentre stava per scendere.
–       Mah… – pronunciò flebilmente.
–       …e buon viaggio! – lo congedai e il taxi ripartì.

Il tassista, trovatosi ormai in confidenza, scambiò con me ulteriori commenti sull’economia in generale, sulla recessione e sull’incerto futuro italiano. Ovviamente anche lui aveva la solita visione distorta e amplificata dai media che porta tutti al malcontento. Mi limitai ad assecondarlo per non alimentarla, cercando disperatamente una scorciatoia per cambiare discorso.
–       Dove posso andare stasera? – gli chiesi, – Dato che sono da solo qui a Rimini? –
–       Beh… un posto molto carino e molto vicino al tuo Hotel è il Coconuts… –
–       Interessante… cos’è? – chiesi
–       Una discoteca molto famosa. E’ sempre pieno la sera, ci va parecchia gente, anche in questi periodi. –
Vidi il profilo del mio albergo sempre più vicino. Il taxi era giunto a destinazione. Afferrai la borsa e pagai il tassista.
– Tieni, prendi questo, è il bigliettino del locale… così non ti perderai! –

Storia di una casa (#34)

2006/2007

– 34 –

Le ore e i giorni passarono in un lampo e il silenzio tornò a essere il mio coinquilino più presente. Gli amici erano appena partiti per tornare a casa: Marco, Enrico, Marta e Cristina. Li salutai alla stazione con quella punta di malinconia che crebbe fino al mio ritorno a casa. Mi buttai subito sul letto come se le forze fossero partite anche loro. Pensavo… Pensavo a quei giorni in cui non provavo tristezza nel salutare un amico. Erano bei giorni allora. Giorni carichi di voglia di vivere, di scoprire insieme le sfaccettature di questo mondo sconosciuto. Trascorrevo così tanto tempo insieme a loro, da diventar loro la mia seconda famiglia: proteggendomi, assistendomi e consolandomi, per non parlare di tutte quelle volte che mi riportarono a casa, sano e salvo. Devo molto a quei ragazzi… e non lo immaginano nemmeno.

Voltai la testa verso la sedia in mezzo alla stanza. Sorrisi. Era ancora lì con il cordone dell’accappatoio che ciondolava indisturbato. “Povero Marco” pensai. “Se l’è meritato però!” E quante volte se l’era meritato! Aveva compiuto così tante cazzate nella sua cronologia che avrei dovuto odiarlo per sempre. Ma la sua generosità e la sua bontà ti scioglievano, disarmandoti. Non avrei mai potuto tenergli il broncio per più di cinque minuti. Era un ragazzo con molti pregi; come quello di farti apprezzare le cose semplici, di tralasciare il valore dei soldi, sempre troppo importanti per me. Enrico invece era diverso. Facevamo a gara a chi era più introverso. Parlavamo sempre poco di noi e sempre troppo degli altri. C’era sempre un profondo rispetto tra noi due. Non saprei dire se lo conosca abbastanza, nonostante sia il mio migliore amico.

E scese la notte. Più pesante del solito. In casa ero solo. Le stanze vuote mi facevano eco. Curioso, decisi di dare una controllata alla camera di Francesco. Aprii lentamente la porta, come a non voler disturbare una persona che non c’era. Sorrisi pensando con meraviglia che anche in quella stanza era notte. Avevo la strana concezione che quella parte di casa era un mondo distinto. Un qualcosa che non mi apparteneva, di non mio. Quest’atteggiamento derivava dal profondo rispetto per le cose, inculcatomi da mio padre. Accesi la luce. I letti erano in ordine. Merito sicuramente delle mie due ospiti femminili. Persino le ciabatte del mio coinquilino erano tornate al loro posto. Il divano, doveva aveva dormito Marco, non aveva niente che non andava. Dovrei dare più fiducia a quel ragazzo.

Notai che la finestra era aperta. Qualcuno dei ragazzi aveva pensato bene di far arieggiare la stanza prima di andarsene. Andai a chiuderla e sentii un rumore provenire dal bagno. Pensai che la corrente d’aria avesse chiuso d’impeto l’altra finestra. Andai in bagno a chiudere anche quella. Qualcosa però, stranamente, la bloccava. Provai più volte a chiuderla ma non ci riuscii. Ispezionai i bordi della cornice scoprendo un inghippo metallico che impediva la chiusura. Tirai fuori l’oggetto dalla guarnizione. Era una monetina. Una cento lire del ‘78 sulla cui faccia risaltava la testa dell’Italia laureata che rifletteva la luce della lampadina a incandescenza del bagno. Come un flash, mi tornò alla mente l’immagine di Marco che faceva ruotare quella moneta tra le dita, dicendo: “Questa è il mio portafortuna!” Gli sarà sicuramente caduta in quella serata brava che scappò dal bagno alla ricerca dell’ultimo goccio di Jack. Scossi la testa disapprovando quei momenti. Afferrai il cellulare.
“Marco, ho qui con me la tua cento lire… Appena ci vediamo te la rendo.”
“Bene! Ma tienila tu… così ti porterà un po’ di fortuna, che ne hai bisogno!”
…e ci sperai, e spero ancora, che quella tanto amata fortuna, un giorno arrivi.

Fine Seconda Parte

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

Storia di una casa (#32)

2006/2007

– 32 –

Silenziosamente entrò in casa una figura dai tratti femminili. Si aggirò tra le stanze dell’appartamento in apparente ricerca di qualcosa. Il mattino era appena spuntato e la luce del sole volava basso, convogliata da tapparelle semichiuse. In una mano, stringeva un sacchetto di carta bianca che scricchiolava a ogni suo movimento. Vide davanti a se la porta della mia stanza. Accarezzò la maniglia, ma un istante prima di aprirla, si bloccò, come se le fosse venuta in mente qualcosa e, curiosa, si diresse verso la camera di Francesco. Ovviamente Francesco non c’era, ma al suo posto poté ammirare quattro ragazzi arrangiati alla meglio in tre letti. Vide Enrico, il più fortunato di tutti, che da solo occupava un letto intero, tutto per sé. Non potevano dire lo stesso Marta e Cristina, poco più in là, costrette a dividere un letto in due. Vicino alla porta, invece, sopra un divano cigolante, c’era Marco avvolto in una coperta di lana. L’oscura ragazza sorrise alla simpatica scena dell’accampamento domestico e lentamente uscì dalla stanza senza farsi sentire. Ritornò sui suoi passi lentamente, in modo che le scarpe non risuonassero sul pavimento. Tornò alla maniglia e questa volta l’aprì decisa e, come il siparista di un teatro, scoprì la scena tanto attesa. Subito i suoi occhi corsero al mio letto, si arrampicarono sul piumone rosso, per poi adagiarsi sul mio viso. Si avvicinò, domandandosi ad ogni passo sé stessi realmente dormendo. Sentii un peso appoggiarsi di fianco e poco dopo una mano carezzarmi la guancia. – Buongiorno Amore… – mi sussurrò all’orecchio.
A quel punto mi svegliati. Aprii gli occhi fulminandomi la retina con la luce del mattino.
–       Amore? – chiesi spaventato. Mi voltai e vidi lei: la ragazza misteriosa era Francesca.
–       Come hai fatto a entrare? – chiesi sfregandomi un occhio.
–       Hai dimenticato di chiudere la porta… –
Mi grattai la testa ammettendo che la sera prima avevamo sorvolato su molte imprudenze. Ma la conversazione con Francesca non era finita perché, improvvisamente, mi afferrò un orecchio e iniziò a torcerlo con violenza. – Perché non hai risposto al telefono ieri sera?! –
–       Ahia! Ahia! Non l’ho sentito! Ahia! –
–       Certo! Che cosa stavi facendo? –
–       Se te lo dicessi, non ci crederesti… –
Per la gioia del mio orecchio mi lasciò andare. Vedendomi dolorante, mi diede un bacio a mo’ di scuse e mi porse il sacchetto bianco.
–       Ci sono dei cornetti dentro. Ne ho presi 5… siete in 5 giusto? –
–       Sì… siamo cinque. Sono tutti nella stanza di Francesco. –
Svogliato e sonnolento mi alzai trascinando inavvertitamente un lembo delle lenzuola. Il letto non voleva lasciarmi andar via. Andai verso la stanza in cui dormivano i ragazzi.

–       Sveglia ciurmaglia! – esclamai.
Seguirono mugugni e rantoli di vario genere. Nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
–       Ci sono i cornetti… – proseguii sventolando il sacchetto bianco.
Ad uno ad uno i piccoli occhietti dei miei amici sbocciarono come fiori a primavera. Mi fissarono per controllare l’esistenza effettiva dei cornetti e dopo averla valutata plausibile, lentamente, si alzarono.
Presentai i miei amici a Francesca aggiungendo che era stata lei a portare le brioches.
–       Grazie Francesca… non dovevi… ce n’è uno alla crema? – disse Marco con il suo solito charme. Anche Enrico non fu da meno, fiondandosi subito a rovistare nel sacchetto dopo una fugace presentazione.
–       …E queste sono Marta e Cristina… – dissi timoroso delle conseguenze.
Invece, Francesca si mostrò subito affabile e cordiale. Cristina era partita con un discorso impostato sullo scusarsi dell’improvvisata in casa mia. Marta continuò col dire che non erano a conoscenza del mio status di fidanzato né tantomeno che avessi una ragazza lì a Milano. A quel punto tutte e tre, si girarono e mi guardarono male.
–       Non gli avevi ancora detto che sei fidanzato?! – sbottò Francesca velatamente incitata dalle altre due.
Non c’era niente da fare, toccava solo arrendersi. La solidarietà femminile aveva ancora una volta scaricato la colpa sul solito maschio di turno. Mi svincolai con una mossa repentina, fiondandomi nel porto sicuro dei miei amici maschi, ancora intenti a mangiucchiare il cornetto.

Storia di una casa (#30)

2006/2007

– 30 –

Cristina non sapeva che fare. Aveva sentito tutta la mia conversazione telefonica. Forse non s’era mai trovata nella situazione di essere la causa di litigio di una coppia. Restava immobile, con i suoi occhi azzurri fissi su di me. Tentennò qualche parola di cortesia e di sincero rammarico.
–       Ciro, mi dispiace… se posso fare qualcosa… –
–       Tranquilla… non è colpa tua… –
–       Non dovevamo venire qua… –
Qualche secondo dopo, comparì Marco alle spalle della ragazza che, col suo fare sempre inopportuno mi chiese:
–       Cì, ma perché, in bagno, al posto dello sciacquone c’è una maniglia? –
Sorrisi scuotendo il capo. Diedi un ultimo sguardo a Cristina cercando difficilmente di rassicurarla sull’accaduto e accompagnai Marco in bagno per svelargli l’oscuro mistero. Cristina ci seguì, ma all’ultimo svoltò per la camera da letto.

–       Vedi Marco, si fa così. – gli dissi girando la maniglia dello scarico.
–       Oh… come siete strani qui “alNord”. –
–       Beh… diciamo che è più comodo… –
–    Sì certo… ma io preferisco il sano e vecchio bottone! Non so… vedere tutta quell’acqua che scende in un colpo solo è come se completasse il mio senso di liberazione! –
Guardai Marco pizzicandomi il mento e dissi in modo serio ma ironico:
–       Le tue argomentazioni non sono del tutto trascurabili! –

Uscimmo dal bagno e tornammo in stanza dagli altri. Le ragazze nel vedermi, smisero di parlare tra di loro e mi fissarono. Marta aveva appena appreso dall’amica Cristina i risvolti della mia breve telefonata tra me e la mia fidanzata. Aveva sicuramente chiesto a lei, che mi conosceva da più tempo come avrebbero dovuto comportarsi in quella strana situazione.
Mi sedetti su una sedia e fissai il cellulare per ignorare i loro sguardi pesanti.
–       Ciro… – Marta ruppe il silenzio. – Se è un problema restare qui, andiamo via… –
–       No ragazze, non ci pensate nemmeno! – risposi di getto.
–       Ma che sta succedendo? – chiese Marco stranito.
–       La ragazza di Ciro s’è incazzata perché noi siamo qui… –
–       La tua ragazza è gelosa di loro due?!? Ma come si fa? –
–       Sei sempre un gentiluomo, Marco! – disse una delle ragazze.
–       …Senza offesa! – aggiunse Marco un po’ in ritardo.
Discutemmo a lungo della faccenda. Ognuno propose la propria soluzione. I miei amici sembravano più ansiosi di me di risolvere la situazione. Marco continuava con la tesi, sempre più inopportuna, che non si poteva essere gelosi di Cristina e Marta. Io contraccambiavo con l’assioma assoluto dell’impossibilità per una ragazza di non essere gelosa di un’altra donna. Era una situazione di stallo e le situazioni di stallo si risolvevano con:
–       Falla venire qua… – disse Enrico, che fino allora aveva solo ascoltato i nostri discorsi.
Tutti lo fissammo come credo che fissarono Alessandro Volta quando mostrò la pila ai suoi amici scienziati.
Era una buona idea. Magari Francesca, conoscendo le ragazze, e vedendo il rapporto che avevo con loro, poteva tranquillizzarsi. Erano solo delle amiche in fondo, ed anche di vecchia data. Non c’era da allarmarsi. Così le mandai un messaggio invitandola a venire da me. Ovviamente non rispose. Pensieroso mi abbandonai sul letto.
Poco dopo, Marco, mi pizzicò una spalla.
–       Cì, allora? –
–       Non risponde… –
–       No, intendevo, dove si va stasera! –
–       Dove volete… –
–       Andiamo in un pub e ci sbronziamo di brutto… Visto che ora hai anche un bel motivo per farlo! –

Storia di una casa (#29)

2006/2007

– 29 –

Appena la porta si aprì, Marco mi saltò al collo urlando il mio nome. Era proprio entusiasta di vedermi. Seguì Enrico, la cui emozione si limitò a un sorriso e una stretta di mano. Dopo di loro, mi affacciai subito fuori dalla porta. Vidi le due ragazze che attendevano d’entrare e con fare perentorio esclamai:
–       Stop! Voi chi siete? Da dove venite? E perché siete qui? –
Marco rispose per loro – Ci siamo incontrati in viaggio. Erano a Perugia e le ho invitate a venire a Milano anche loro. Ho fatto male? –
–       Dovevi avvertirmi! –
–       Scusa Cì – rispose Marco con aria fintamente affranta.
Le ragazze ancora timidamente in silenzio e ancora immobilizzate sul pianerottolo ripeterono in coro: – Scusa Cì –
–       Ahh… niente scuse! Forza entrate! –

La casa sembrò animarsi di colpo. Il solito silenzio tra le stanze si trasformò in un perpetuo vociare. Mostrai velocemente la casa ai ragazzi. Piacque molto, compresa la camera di Francesco.
–       Qui non si entra! – precisai, spingendo tutti fuori.
–       E noi dove dormiamo? –
–       Non so… in un modo ci arrangeremo… – risposi.
–       Perché non possiamo dormire in questa camera? Ci sono tre letti! – disse Marta.
–       Marta… le donne non hanno facoltà di parola in questa casa! – ironizzai.
Nel frattempo, Marco ed Enrico entrarono nella camera, stendendosi uno sul letto e l’altro sul divano.
–       Ehi! Che fate voi due?! –
–       Siamo stanchi Cì… lasciaci riposare un po’… –
–       Qui no! –
–       Ma perché? Dov’è il tuo coinquilino? – chiese Marco.
–       E’ sceso a Benevento… –
–       Quindi vorresti dire che questa camera sarà vuota almeno per una settimana? –
–       Sì, ma… –
–       Yuppie! Allora io dormo qui! –
–       Ed io qui… – continuò Enrico stropicciando letto e cuscino.
Le due ragazze invece presero possesso dell’ultimo letto rimasto. – Noi qui! –
Tutti i miei buoni tentativi di farli desistere da quella scelta non vennero nemmeno ascoltati. Nemmeno con la forza riuscii a tirarli fuori dalla camera. Appena riuscivo a cacciare qualcuno, subito ne rientrava un altro. Dovevo cedere alle loro decisioni. Come l’avrebbe presa, Francesco, al suo ritorno? Non doveva saperlo e per farlo intimai i miei amici di non toccare niente e di creare meno disordine possibile. Mi risposero di stare tranquillo. Ma “tranquillo” era l’ultima cosa che mi poteva passare per la mente. Stavo per far dormire dei casinisti patentati in una camera non mia, a cui non osavo nemmeno avvicinarmi per rispetto delle regole di convivenza.

Mentre i miei amici s’ambientavano lanciandosi vestiti, andai in cucina a lavare i piatti che avevo lasciato dalla sera prima. Quand’è che squillò il mio cellulare.
“Francesca”
“Ed ora che le dico?”
–       Pronto amore… –
–       Tesoro… come stai? Non ti ho proprio sentito oggi… –
–       Beh… Bene… –
–       Tutto a posto? I tuoi amici sono arrivati? –
–       Sì… diciamo di sì… –
Intanto alle mie spalle arrivò Cristina con in mano un vestito nero con strane striature colorate. – Ciro hai mica una stampella per… –
Mi girai immediatamente verso di lei e le feci cenno di tacere. Cristina, imbarazzata si ammutolì all’istante.
–       Chi era? – chiese la mia ragazza al telefono.
–       Niente… –
–       Niente un corno! Ho sentito la voce di una ragazza! –
–       Era… Cristina… –
–       Chi cavolo è Cristina?!? –
–       Un’amica di Marta… –
–       Chi cavolo è Marta?!?! –
–       La sorella di Marco… –
–       E perché sono in casa del MIO ragazzo? –
–       Si sono aggiunte al gruppo… –
–       Quindi dormiranno da te? –
–       Beh… tecnicamente… sì… –
Tuuu tuuu tuuu
Mi attaccò il telefono in faccia. Era decisamente incazzata. Non sapevo cosa fare eccetto lasciarla sbollire.

Intanto, a pochi metri da me, Cristina mi fissava con una faccia colpevole, con ancora in mano il suo vestito nero.

Storia di una casa (#27)

2006/2007

– 27 –

 

Qualche giorno dopo, la febbre passò. Avevo trascorso gran parte del tempo disteso sul letto a pensare. Volevo tirare le somme dei mesi passati lontano da casa ma non riuscivo a dare un voto positivo alla mia dipartita universitaria. I giorni passati in malattia mi avevano costretto a saltare parecchie ore di corsi e non sapevo se sarei riuscito a tornare di nuovo in pari con gli altri. Tutto sembrava così fragile ai miei occhi e di certo era solo la mia delusione. Ancora una volta, la salute cagionevole, mi stava dando problemi con l’andamento della vita. Già in passato soffrii di questo problema. Ero preoccupato che, pur mettendocela tutta, non sarei riuscito a dare gli esami come avrei voluto.

Mi alzai dal letto e trascinai i miei passi verso la porta; e nel momento in cui stavo attraversando l’atrio della casa, vidi entrare Francesco dal portone.
–       Ciao! –
–       Ciao… – rispose.
Entrò subito in camera. La maggior parte delle nostre conversazioni si limitavano a semplici saluti. Chissà se si è accorto che sono stato male questi giorni? Pensai.
La cucina era rimasta come l’avevo lasciata. Sembrava che Francesco non avesse toccato niente, oppure era stata la mia ragazza a pulire diligentemente ogni cosa, prima di andarsene.
Osservai l’insolito cielo scuro delle cinque del pomeriggio dalla portafinestra del balconcino della cucina. Riempii la teiera e la poggiai sul fornello ardente.
Misi in infusione la bustina di tè. Scelsi una delle tazze blu dalla credenza. Mi fermai un attimo a riflettere su quante mani e padroni avevano visto quelle tazze da tè. Tutte mostravano i segni del tempo e dell’usura: un’ammaccatura lungo il bordo, un graffio, una botta sulla ceramica… a qualcuna mancava il manico ed erano sempre quelle che restavano sul fondo del ripiano in attesa di essere scelte per ultime. Mi sedetti al tavolo con la tazza tra le mani. Il calore mi riscaldava le dita giacciate.

Mentre ero intento a contemplare il mio tè, sbucò dalla sua camera il mio coinquilino taciturno e con aria affranta si rivolse a me.
–       Ciro… –
–       Dimmi Francesco… – gli chiesi.
Prima di rispondere si sedette con estrema lentezza. Spostò la sedia come se fosse qualcosa di molto prezioso e, dopo essersi seduto, mi guardò negli occhi tirando un respiro profondo.
–       Beh, vedi… non so se starò a Milano fino Settembre prossimo. –
Ecco, l’aveva detto. Si era tolto il peso dalla coscienza. Sembrava quasi sollevato. Aveva lanciato un masso nello stagno e ora attendeva le reazioni…
– … e quando andresti via? –
–       Beh… molto probabilmente starò qui fino a Giugno… –
–       Bene. – risposi abbassando lo sguardo sul tavolo.
E invece non andava affatto bene. Pensai
Tornai al mio tè mentre Francesco tornò nella sua stanza più velocemente di quanto avessi preveduto. Il mio coinquilino aveva aggiunto un altro problema al mucchio. Perché non me l’ha detto prima?! Mi chiesi. Avrebbe potuto dirmelo all’inizio, almeno non avrei contato su di lui. Avrei cercato un’altra casa… Avrei cercato un’altra persona… Avrei… Avrei… Non avrei potuto far niente in realtà. Era il destino che si divertiva a torcere il fil di ferro che mi legava alla vita.

Quindi, mi toccava cercare un sostituto che affittasse la camera di Francesco, altrimenti tutto l’affitto della casa, sarebbe ricaduto su di me.
Mio padre mi ucciderà… pensai rassegnato. Beh… è meglio che inizi a scavarmi la fossa…
Tutto a un tratto il telefono squillò. Guardai lo schermo come un professore che osserva il compito dell’ultimo della classe, certo di trovarci qualche errore; e come il professore pregiudizioso, cercavo l’ennesimo imprevisto della giornata, nascosto tra i caratteri di un messaggio.

“Ciro! Eravamo qui che ci chiedevamo se per caso il nostro amico milanese potesse…”

Storia di una casa (#23)

2006/2007

– 23 –

6 : 47 pm

Finalmente a casa…
Poggiai a terra la pesante borsa dell’università ricolma di libri. Il gran peso caricato mi aveva indolenzito una spalla e presi a massaggiarla. La mia schiena s’irrigidì a contatto con il freddo portone. Sospirai. Mi ero lasciato alle spalle una lunga e interminabile giornata.
Mi sa che se continua così, non ce la farò… pensai.
La casa era silenziosa e dalla porta di Francesco non vedevo luci. Non era in casa.
Era già buio fuori e tutta l’oscurità s’era riversata all’interno, come un mare d’inchiostro su un foglio bianco. Avevo una fame che sembrava implacabile. Andai in cucina e aprii il frigo cercando di trovare un giusto abbinamento tra cibi apparentemente discordi; ma, mentre la mia testa era immersa nella luce del frigo, sentii un formicolare di chiavi. Francesco entrò in casa e, affacciandosi nella cucina, mi salutò.
–       Per poco non tornavamo a casa insieme! Sono rientrato anch’io poco fa. –
–       Allora tu eri sulla metro che ho perso… –
–       Può darsi… Che mangi? – chiesi cercando di trovare l’ispirazione.
Purtroppo, Francesco, non era proprio il tipo da fornelli e me lo fece capire in maniera concisa dicendo: – Non so cucinare! –
–       Beh… ti capisco… neanche io sono un gran che! –
Presi una pentola abbastanza capiente e la riempii d’acqua. Come ogni volta mi domandai quale fosse la quantità giusta. Accesi i fornelli e preparai il sugo in pentola. Di sottecchi, sbirciai le movenze del mio coinquilino. Dal suo scomparto aveva tirato fuori un pacco di salatini dietetici ed era intento a mangiarli osservando il cellulare.
Perché mai non ha scelto dei salatini normali? Mi domandai.
Quando il mio piatto fu pronto, lo portai al tavolo e mi sedetti dall’altro capo. Francesco aveva affiancato ai salatini uno di quei formaggi rettangolari dal sapore inconsistente. Fermamente pensai che ci tenesse alla sua dieta e con un po’ d’imbarazzo, infilzai una gran quantità di maccheroni con la forchetta.
–       Allora… come mai sei qui Francesco? –
–       Devo seguire un master alla Cattolica… –
–       Interessante… per cosa? –
–       Per cercare di diventare un giornalista. –
–       Bello… sai, sarebbe piaciuto anche a me farlo, ma non sono tanto bravo con le parole. –
–       E quindi cosa hai scelto? –
–       Economia… –
Ci raccontammo un po’ di storie, ma niente di intimo. Semplici storie convenevoli. Quei fatti che racconti quando non hai niente da dire e in un modo o nell’altro devi occupare quel silenzio forzato. Mi raccontò un po’ di sé. Amava le letture di ogni tipo spaziando da autori classici a quelli moderni, anche comici talvolta. Trovammo così un punto d’incontro su un comico satirico molto apprezzato da entrambi.
–       E’ strabiliante come riesce a mescolare attualità e politica in un contesto così demenziale… –
–       Per non parlare della faccia impassibile che ha, quando spara le sue battute!
Ridemmo, scherzammo e la serata quasi non diventò notte. Sembrava simpatico quello strano tipo introverso. Dopotutto chi ero io per giudicare l’introversione altrui? Avevamo due caratteri quasi simili ma questo non voleva per forza dire che saremo andati d’accordo.
Ci alzammo da tavola e ognuno si diresse alla sua stanza, ma poco prima che aprissi la porta, Francesco mi disse:
– Ah Ciro… questo week end parto. Ti lascio ancora una volta qui da solo. –

Storia di una casa (#22)

2006/2007

– 22 –

Nonostante la sua età sfiorasse i trent’anni, Francesco sembrava un ragazzino. Aveva la corporatura piccola, legittimamente proporzionata alla sua statura. Infatti, era più basso di me di almeno una ventina di centimetri. Sulla testa aveva un buffo groviglio di capelli. Un ciuffo alto e riccioluto dominava la fronte e andava scemando all’indietro, calmandosi e lisciandosi sui lati. Il naso invece era un’entità a parte. Era grosso e pronunciato con due larghi buchi sui lati. Si stagliava dal volto in tutta la sua lunghezza.

E sbaaaaaaaamm

Nel gesto istintivo di presentarsi e porgermi frettolosamente la mano, Francesco lasciò andare la maniglia allungata del suo pesantissimo trolley che, rovinando al suolo, fece un rumore sordo. Subito strizzai gli occhi e li riaprii pian piano.
–       Mannaggia sto coso! – disse chinandosi a raccoglierlo.
–       Aspetta che ti aiuto… –
Mi avvicinai a lui e vidi che nell’ascensore era rimasta un’altra valigia, più piccola della prima. La presi e insieme, uno dopo l’altro entrammo in casa. Francesco appoggiò il trolley al muro e si guardò intorno. Fece un rapido giro di capo, cercando di ampliare la sua visuale in tutte le stanze. Subito mi chiese: – La mia qual è? –
–       Guarda, è questa qui… – risposi indicandogli la porta davanti a lui.
Abbassò lentamente la maniglia e con la stessa lentezza aprì la porta in legno. Poggiai l’altra valigia accanto alla sua e lo seguii nella stanza. Lo vidi osservare silenzioso ogni cosa. Posò lo sguardo sui letti; poi sull’armadio, sul divano e infine andò alla finestra per costatarne la vista, ma la notte glielo permise ben poco.
Si girò verso di me e con un sorriso un po’ stiracchiato, mi disse: – Sembra carina… –
Ma sembrò poco convinto nella sua affermazione. Forse si aspettava qualcosa in più in quella camera. Non dissi niente. Tenni per me i miei dubbi per congetture future.
Lo accompagnai a vedere il resto della casa. Gli mostrai prima la cucina e poi il bagno. Gli piacquero entrambi. Soprattutto quest’ultimo cui riservò un’attenta ispezione. Gli diedi tutti i dettagli del contratto e tutte le informazioni che mi aveva dato la proprietaria. Gli raccontai anche dell’attenta descrizione e della minuziosa precisione con cui mi aveva descritto tutto. Francesco ascoltava curioso. Non mi staccava mai gli occhi di dosso. Forse voleva conoscermi un po’ di più anche lui. La dovuta convivenza era reciproca, sia per me che per lui, ed entrambi volevamo scoprire nell’altro dettagli che le bocche non avrebbero mai rivelato.
Francesco tornò nella sua camera mentre io mi fermai sullo stipite a osservarlo. Quella stanza ormai era diventata sua da quando aveva acceso l’interruttore della luce, ed entrare senza permesso mi sembrava ineducato.
Il trolley era disteso sul parquet e aspettava qualcuno che avrebbe dato sollievo alle stiracchiate cerniere laterali. Francesco si chinò e con un rapido gesto aprì la valigia. Non so perché ma la mia mente immaginò uno scoppiettare vestiti aggrovigliati per tutta la stanza. Invece non fu così. Da com’erano disposti i panni, capii che Francesco era una persona ordinata e scrupolosa. Quasi mi vergognavo a pensare che nell’altra camera c’era il mio trolley ancora a terra in cui dentro, qualcuno d’ignoto, aveva piazzato una granata innescata prima che lo chiudessi. Il mio coinquilino invece con un’accuratezza chirurgica, pescava i vestiti piegati e li disponeva in fila sul divano dietro di sé. Faceva tutto in modo silenzioso tanto che mi bloccai, quando le mie labbra stavano per interrompere quella calma. Volevo riallacciare la conversazione ma vedere quel ragazzo lì, che metteva a posto la sua valigia, mi fece pensare a me stesso e alla stessa scena che avevo svolto anch’io qualche ora prima. Così, silenziosamente mi allontanai dalla sua porta e tornai nella mia stanza.

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