Calabria Coast to Coast 2016 #19

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Ed ora si riparte… la macchina corre sulle strade che sembrano portare al niente…
Valli desolate… campagne bruciate… fiumi prosciugati.. strade dimenticate a se stesse…
e strane megaville di lusso qua e la…

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Prossima tappa: Capocolonna

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Il parco archeologico non è dei più curati… ma la vista dalla scogliera è spettacolare…

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Arrivederci Capocolonna!

Calabria Coast to Coast 2016 #15

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Mattina
Nuovo giorno e pronti per nuove mete.
Prepariamo i panini e le scorte d’acqua ghiacciata…
Cappelli di paglia e occhiali da sole…
Pieno di benzina e via… sulla statale 106

Era da tempo che non ci facevamo un bel bagno in mare… prossima tappa la piccola frazione di Caminia mella spledida spiaggia di Pietragrande.

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Acqua limpida… mare fantastico. Ma si sa.. noi non ci accontentiamo di fare i soliti turisti e stavolta, ci fingeremo esperti di trekking…

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E via.. ancora sporchi d sabbia e bagnati dal mare, saltiamo in macchina per la prossima meta!

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Arrivederci Pietragrande!

 

 

 

Calabria Coast to Coast 2016 #13

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La prossima tappa ci porterà sulle montagne… diretti a visitare la famosa Stilo!
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Guidati dal vento.. ci siamo intrufolati con la macchina nei piccoli vialetti del paese. Mi decido a parcheggiarla per evitare di restare incastrato tra due case, e proseguiamo a piedi..

La piccola chiesetta è fantastica.
Da lì si gode di un’ottima vista su tutta la vallata…

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Saltiamo di nuovo in macchina.. e cercando di non fare incidenti torniamo sulla statale 106 per la prossima tappa!

Arrivederci Stilo!

Frammenti di vita #87

casa milano

Visto che a Milano siamo rimasti solo io e la mia moto…
la mia pasqua sarà abbastanza (e tristemente) scontata!

Voi? (domanda classica)

Che fate per pasqua?

Seicentoventi (II)

Quadro Ducati Monster 620 s2-2

2.

Cosa sto facendo?
Mi chiesi appena dopo aver spento il telefonino.
Guarda che questa è roba grossa! Non te la caverai mica con la solita ramanzina!
La mia coscienza continuava a tormentarmi così la annacquai con un paio di Gin lemon.
Purtroppo però, aveva ragione. Non avevo mai fatto, in vita mia, una cazzata più grossa di quella che stavo per fare.
Stavo… per… fare…
Giusto! Non ho ancora fatto niente! Ho solo chiamato un tizio e fissato un appuntamento! Mandai giù un altro Gin lemon mentre la notte avanzava e, con essa, anche l’ora dell’incontro.

Tiiiiiiii Tiiiiiii Tiiiiiiii
Una sveglia mi destò. Mi alzai assonnato dal letto. Mi ero addormentato e il pomeriggio era volato in un lampo. Erano le 9 e dovevo incontrare il tizio dell’annuncio.
Mi vestii alla meglio e scesi giù al palazzo.
Il tizio non era ancora arrivato
Mi sedetti sul gradino del portone a fissare le auto che passavano davanti a me. Ogni faro che vedevo cercavo di capire se fosse lui. Ero in ansia.
Dalla voce questo “Massimo” mi sembrava tutt’altro che giovane. Un uomo maturo e sicuramente, uno di quei classici milanesi perfezionisti.
Stranamente mi aveva preso molto sul serio nella mia chiamata. Lo dico perché io mi sarei mandato a cagare.
Mentre guardavo la strada con occhi sognanti, sentii un rombo di motori. Una moto frenò davanti casa e, con una rapida manovra, svoltò sul marciapiede, poco distante da me.
In tutta questa operazione mi ero perso tutti i dettagli. Nella mia mente c’era solo qualcosa di grigio e nero che si muoveva, una luce e un forte rumore.
Il motociclista era coperto da capo a piedi. Giubbotto di pelle, guanti, scarpe… tutto rigorosamente nero. Riuscii a intravedere solo gli occhi, quando si alzò la visiera…
–       Ciro? – mi domandò quell’uomo.
–       Sì, sono io… – risposi quasi meccanicamente.
Spense il motore girando la chiave e solo a quel punto mi accorsi della meraviglia che era sotto di lui a meno di un metro da me.
Guardai le ruote Pirelli diablo, i dischi freno brembo, il classico fanale rotondo, il telaio intrecciato a vista, il grosso serbatoio grigio e il carbonio… quanto cavolo di carbonio c’era su?
Massimo si tolse il casco e mi porse la mano. Ci vollero due o tre secondi per riprendermi.
Sistemò la moto sul cavalletto e iniziò a sciorinare tutti i pregi e i piccoli difetti della moto che stava vendendo. Io ero in trance… Il mio cuore batteva come quando inviti una ragazza al primo appuntamento. Mi abbassai a guardare le marmitte. Perfette, aveva montato quelle di una 692. Erano più belle e discrete di quelle originali. Controllai i dischi della frizione dal piccolo oblò. Controllai l’olio… il manubrio…
–       Gli specchietti non sono quelli originali… – disse.
–       Sì, vedo… – risposi senza nemmeno voltarmi verso di lui.
–       Ho montato i dischi di una 692… ho aggiunto il puntale… – e bla.. bla.. bla..
–       Sì… – rispondevo a monosillabi ormai, mentre restavo accovacciato accanto alla moto.
Non c’era più tempo da perdere ormai. Mi ero innamorato. La volevo!
Mi alzai di scatto e fissai Massimo negli occhi. Da bravo milanese non si fermava un attimo, continuava a descrivere particolari. Cercai d’interromperlo.
–       Ascolta Massimo. Mi racconterai un’altra volta dove hai comprato le viti per fissare il manubrio… Non voglio sapere più niente… La voglio! Dimmi cosa devo fare… –
Massimo fece un sospiro prima di parlare.
–       Ciro, domani a mezzogiorno devo consegnarla a un concessionario. Devo venderla perché ho già ordinato un’altra moto e, o consegno lei o consegno i soldi… sai come funziona… –
–       Già… ma io la prendo! Stanne certo! –
–       Sì… ma dobbiamo finalizzare tutto domani, compreso il pagamento. – precisò Massimo.
–       Certo… come scritto nell’annuncio? – dissi.
–       Sì, 1800€ –
–       Non ti preoccupare Massimo… domani mattina avrai i tuoi soldi! –
Massimo sorrise, indossò il casco, salì in moto e partì più veloce di com’era arrivato.
Lo seguii con lo sguardo fino a perderlo nel vuoto.
Tornai a sedermi sul gradino del portone. Incrociai le gambe e pensai…
– Dove cazzo li trovo tutti quei soldi in contanti entro domani? –

 

continua…

A Neverending Summer (I)

A neverendign Summer (I)

Ansie, paure, pensieri… tutti lì fuori ad aspettarmi

– Tu mi vuoi far morireeeee! – gridò Gianni dal sedile passeggero della mia Ford fiesta.

Erano le nove e mezza passate. La notte era scesa prima del previsto, segno che le giornate si stavano accorciando. Guidavo o qualcosa di simile. Tenevo il volante bloccato con un ginocchio mentre finivo di scrivere una mail sulla querty del mio cellulare.
– Stai andando addosso a quel ciclista!! – urlò.
– Si l’ho visto! –
– Quello è un camion!! –
– Cavolo da dove è sbucato? – dissi evitandolo per un soffio.
– Basta! Dammi quel cellulare!! –
– No aspetta! Ho quasi finito! –
Gianni mi strappò il cellulare di mano. Cercai di riprendermelo mentre lui lo teneva sospeso lontano da me, proprio come si faceva alle elementari per prendere in giro gli altri ragazzini. – Ridammelo! – gli intimai, girato nella sua direzione. – No! –

Peeeee Peeeeee

Il suono di un clacson strombazzante ci fece girare entrambi verso la strada. Una panda blu guidata da un’ingenua e impaurita ragazza ci stava venendo addosso. In realtà eravamo noi ad andare addosso a lei, visto che eravamo dalla parte sbagliata della strada. Afferrai il volante e la scansai con una rapida manovra. La ragazza, con qualche anno di vita in meno, continuò a strombazzare anche dopo averci superati o sfiorati, per definire meglio la cosa.
Tornai a guardare Gianni. – Ridammelo! – gli dissi. Lui mi guardò e impugnò, minaccioso, la leva del freno a mano.
– Ciro, fermati e fammi guidare! Voglio vivere ancora un po’ io! – disse, mentre minacciava di tirare quella leva per bloccare la macchina.
Per evitare grane con Gianni, alzai le mani e accostai. Subito si mise alla guida e il viaggio continuò più tranquillamente. Tirai fuori dalla borsa la mia fotocamera. Montai un obbiettivo adatto e iniziai a fare qualche foto alle macchine.
Il buio, le luci dei lampioni, i fari e la striscia di mezzeria davanti a noi contribuivano ad alimentare quella strana e bella sensazione che invase il mio cuore.
Dietro di noi non c’era una strada… ma i miei pensieri. Fuggivamo da quelli. Fuggivamo dalla realtà. Per un attimo mi girai indietro sperando che fosse davvero così. Sarebbe stato troppo facile. E infatti, dietro, attraverso il lunotto posteriore vedevo solo macchine e strada, fari e lampioni. Le stesse cose che avevo davanti.
Maledizione… ci sarà una cura? Spero che questa fuga serva a qualcosa…

Il piano di quella sottospecie di vacanza era semplice. In barba ad ogni progetto che la mia mente ansiogena cercava di sprigionare, mi limitai a un semplice “Partiamo!”. Spiazzai la maggior parte degli organi rimasti che si riunirono in un assemblea condominiale. Il cuore chiese alla mente se fosse entrata in ferie in quel periodo visto che la dose di razionalità era brutalmente calata. La mente rispose con un secco “fatti i cazzi tuoi!” e tutti gli altri, stomaco, fegato e polmoni iniziarono ad applaudire con un conseguente boato. I polmoni, contenti del risultato, mi permisero di respirare aria dal dolce sapore di libertà.

Gianni colse al volo il mio invito e saltò a bordo della mia macchina in un batter d’occhio.
Direzione sud, Palinuro, a circa 200 chilometri da casa.
La più vicina patria del divertimento!

Storia di una casa (#14)

2006/2007

– 14 –

Un improvviso scintillio balenò nei miei occhi. La mente era tutta un fermentare d’idee, trasformazioni e cambiamenti. I pensieri ribollivano come acqua a cento gradi, facendo saltellare il coperchio della pentola su in cima. Con quell’affermazione la proprietaria si era assicurata un’ottima chance di vedersi la sua casa affittata. La donna ci aveva preso in pieno. Forse, saper cogliere negli occhi dei visitatori i loro bisogni, faceva parte del suo bagaglio di esperta affittacamere.
– Possiamo spostare un letto qui e il divano metterlo al posto del letto nell’altra camera… e poi questo va lì… questo va là… –
Portai una mano al mento e, pensieroso, lo pizzicai con delicatezza. Feci qualche passo verso il balcone pesando che quella visuale sarebbe diventata tutta mia, se il progetto della donna avesse avuto un lasciapassare. Voltandomi notai che la proprietaria non c’era più.
– Non sembra poi così difficile da spostare… – disse, parlando dall’altra stanza con una mano sulla testiera del letto. In pochi passi la raggiunsi. – Si… al massimo si smonta e si rimonta. – costatai.
– … e il divano si sposta così com’è. Poi in due dovreste farcela! A proposito, la signora Pina mi aveva parlato anche di un altro ragazzo… –
– Ehm… sì. Francesco. –
– Sai quando arriverà? – chiese dubbiosa.
– In realtà non so niente di lui… –
Spiegai alla donna tutta la storia. Le raccontai del mio dilemma e dell’estenuante ricerca. Lei ascoltava e annuiva silenziosa. Pensava, aspettando il momento giusto per intervenire.
– Quindi sta solo a te decidere. Visto che a lui va bene qualsiasi cosa… – concluse riassumendo in una frase il mio discorso, estraendone il punto cardine della questione, o almeno il punto che interessava a lei. Sì, tutto era nelle mie mani o meglio, nella mia lingua che doveva pronunciare solo una semplice frase. Una proposizione affermativa dotata della giusta sintassi.
Purtroppo proprio non mi usciva facile soffiare al vento quelle parole, cosicché rimandai la questione di qualche ora.

Uscii dall’appartamento sollevato. I miei passi sembravano più leggeri sull’asfalto che fungeva da marciapiede. I pensieri avevano assunto la forma di un piatto d’insalata che mischiava gli ingredienti tentando di amalgamare cibo e condimento. E a spiegazione della metafora il cibo rispecchiava quell’appartamento con le sue stanze e i suoi mobili inerti; mentre il condimento era il dolce sottofondo della descrizione della proprietaria che arricchiva e deliziava di dettagli ogni cosa.
Trovai un parchetto poco distante e quella manciata di panchine faceva al caso mio.
Mi sedetti su una di loro. Un signore anziano, la cui mansione giornaliera era far da balia a un bastardino, mi guardò incuriosito. Dopo qualche istante abbassai lo sguardo sul mio cellulare pensando a quale contatto chiamar prima della mia rubrica
Chiamai la signora Pina… poi mio padre… e poi mia madre; e stranamente le mie parole bisognose di consigli, non seppero far breccia in nessuna delle tre persone. Tutti rimisero la scelta nelle mani di un ragazzo, seduto a gambe incrociate su una panchina in mezzo al verde e al cemento, a chilometri e chilometri lontano da casa. Così non esitai più e lasciai che il mio destino si compisse.

– Ok Signora, la prendo. –

Fine prima parte

Storia di una casa (#13)

2006/2007

– 13 –

Appena la porta si aprì, un bagliore di luce guizzò verso di me. Qualcosa d’ignoto disse al mio piede di muoversi in avanti. Sarà stata la presenza della proprietaria alle mie spalle a spingermi o la maturata familiarità con il luogo a darmi fiducia. Cosicché, senza nemmeno accorgermi ero al centro della sala.
La proprietaria, entrando di soppiatto, mi sgusciò dietro le spalle. Andò verso la porta del balcone e l’aprì. Disse qualcosa che non ascoltai. Ero incantato nell’osservare un piccolo televisore su di un mobile da salotto. Un mobile basso, piano, rettangolare, in legno chiaro. Uno di quei materiali a cui avresti proprio voglia di dare una ridipinta di una tonalità più scura. Ci fissai lo sguardo e poi, come un compasso che poggia la mina sul foglio, iniziai a girare lentamente.
Vidi una libreria disadorna e spartana, dello stesso colore del mobile della televisione. C’era un solo libro su un ripiano e accanto un oggetto cilindrico dall’origine ignota. Tutto il resto era vuoto e niente come una libreria vuota accendeva in me la voglia maniacale di riempirla. Questo istinto cominciai ad averlo da bambino, nel trovarmi spesso a giocare con scatole di cartone inutilizzate.
Il mio cerchio visivo contino’ il suo corso su un tavolo nell’angolo accompagnato da una singola sedia; poi un divano in stile moderno sprovvisto di braccioli sostituiti da due cuscini rotondi. Il tessuto ruvido era di un beige chiaro e la forma del piano di seduta sembrava quella di un materasso singolo. Infatti la donna mi fece notare che lo schienale poteva ruotarsi e il tutto diventare un comodo letto; e continuò il suo discorso allettandomi con l’ipotesi di poter ospitare qualche amico nei fine settimana.
Passai poi al balcone, la cui visuale era ostruita dalla figura della proprietaria e finii con la seconda libreria che costeggiava il mobiletto basso della TV.
– Vieni a vedere la vista che da questo balcone – disse la donna uscendo all’esterno – Si vede tutta la strada da qui! –
– Vedo… – risposi sporgendomi col busto verso il vuoto.
Il parapetto del balcone aveva una larga parte in vetro, riempito da un reticolato di ferro sottile. Pensai che fosse da sciocchi utilizzare un materiale così fragile come il vetro per assolvere la funzione di resistenza e protezione. Sopra di me c’era una piccola tettoia in plastica ondulata e semitrasparente. Sotto di me invece, tanti piccoli tasselli colorati formavano il pavimento del balcone. Sentendo sotto i piedi la sensazione d’innumerevoli pietruzze sconnesse, mi sembrava di essere in una di quelle chiese dell’antica Roma. Più le guardavo e più m’incuriosivano; tutti quei colori spenti e quella casualità originata dall’abile e paziente lavoro di un operaio, mi stupirono. Sembra così facile stupirmi a volte.
E proprio nel mentre in cui guardavo un tassello di color blu notte, capii che la mia visita guidata era terminata. Quella che avevo attraversato era l’ultima porta della casa e il balcone su cui stavo rappresentava l’ultima cosa da visionare in quell’appartamento. Assimilai il pensiero e cercai di chiudere il cerchio mentale che mi ero costruito, riempendolo con qualche futile dettaglio racimolato visivamente qua e là, per guadagnare tempo per riflettere.
– Ed eccoci qua, questa è la casa, come ti sembra? –
– …accogliete e… ordinata! –
– Si… però ha veramente bisogno di una ripulita. Purtroppo è da mesi che non l’abita nessuno guarda qui! – disse la donna calciando un ricciolo di polvere. – Quindi? Cosa facciamo? Traslochiamo? – concluse.
– Aspetti signora! Aspetti! – risposi con un mezzo sorriso. – La casa non è male. Beh… il problema è la camera in comune… ehm… cercavo una singola perché non mi sento a mio agio a dormire con altre persone… –
– Certo… capisco… – borbotto la donna passeggiando per la stanza in modo pensieroso. Poi risollevò il capo e come Einstein colto da un lampo di genio, disse:
– …ho un’idea! E se trasformassimo questa stanza nella tua stanza? –

Storia di una casa (#12)

 2006/2007

– 12 –

La descrizione della casa, prima di volgere al termine, si spostò su una di quelle stanze che spesso i proprietari di case sorvolano nel loro giro d’ispezione: il bagno. Costatai, con uno sguardo del volto e dalle parole pompose con cui la proprietaria pronunciava: l’abbiamo ristrutturato da poco, che quella era una delle stanze di cui essa stessa andava fiera. Negli anni poi, appresi che la parola ristrutturare, in una città come questa, con prezzi e tariffe dettate dalla poca manovalanza disponibile sul mercato, era roba da ricchi.
Comunque sia, il bagno era accettabile. Aveva tutto il necessario piantato nel posto giusto. Ovviamente il concetto di doccia tardava ancora a radicarsi nella mentalità e nelle case di antica generazione di cui Milano era piena. Se volevo viver lì, dovevo abituarmi ad assolvere il mio bisogno di pulizia in quel surrogato di lavaggio verticale.
– …e qui c’è la lavatrice. Tutto chiaro? –
– Si… tutto chiaro… –
– Bene… passiamo al ripostiglio, è proprio qui, dietro questa porta –

La donna, dopo aver aperto la porta dello stanzino, si scansò di lato per permettermi di osservare. Lo spazio era poco e per affacciarmi all’interno, mi trovai con la parte destra del corpo, quasi a contatto con la signora di mezz’età, diventata ormai il mio Cicerone. Di solito mantengo una certa distanza, sia con gli estranei sia con le persone in generale. Il contatto fisico lo cerco poco relegandolo marginalmente ai saluti convenzionali come le strette di mano. E lì stavo osando. Stavo oltrepassando una linea che il mio istinto non poteva sopportare ancora. Mi tirai indietro da quello spazio. Mi allontanai con garbo dalla donna e sorrisi annuendo, dando l’impressione di aver osservato ogni minimo dettaglio.
Cosa non vera, data la mia scarsa memoria di quel momento.
La proprietaria tirò un sospiro di sollievo e disse: Eccoci giunti all’ultima stanza, il salotto.
In quel momento ebbi la sensazione di essere su una meravigliosa giostra rotante nell’istante in cui il giostraio pronunciava l’unica frase che un bambino non vorrebbe mai sentire: ultimo giro!
Anche se non sapevo ancora se quella sarebbe diventata casa mia, quel tour guidato casalingo mi era piaciuto parecchio. Si vedeva che la donna aveva esperienza di affitti, di certo arricchita dalla sua acutezza e precisione.

…E rullo di tamburi, l’ultima porta s’aprì.
Si presentò davanti a me ciò che pensai essere la vera chicca della casa, checché ne dicesse e ne pensasse la proprietaria. E questa volta, fui il primo a entrare…

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