Frammenti di Parigi #8

Muro je t'aime-2

Nell’incantevole quartiere di Montmartre, poco distante dall’uscita della metro di Abbesses, si trova il famoso “mur des je t’aime”. Ben integrato in un minuscolo parchetto e quasi invisibile agli occhi dei concittadini, pur essendo un’opera dalle straordinarie dimensioni.

L’ideatore della romantica installazione si chiama Frédéric Baron ed ha cominciato chiedendo ai suoi vicini di casa, stranieri, di scrivere ti amo nelle rispettive lingue, per realizzare un’opera che fosse una linea di congiunzione tra gli uomini, un muro che unisse invece di dividere.

Ho letto da qualche parte, che i frammenti rossi dovrebbero simboleggiare un cuore infranto… beh… un dettaglio che da ancor più magia alla storia…

Muro je t'aime

Diario #4

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Ho scovato tra i miei ricordi questo corto dal titolo “il Sorriso di Diana”.
Questo video ha ispirato lo stile narrativo di molte delle mie storie…
Lo vidi all’incirca nel 2005 e lo salvai sul pc…

Buona visione (astenersi se insettofobici)

 

“Incapace di muoversi, di reagire, lui, il più coraggioso tra tutti si sentiva spento, inutile. I suoi pensieri erano scossi e agitati come le onde spinte contro la scogliera dalla forza terribile di un uragano, il cui fragore era una ripetuta ed ossessiva domanda: “Perché, perché non mi ha ucciso?”.

E come tutti gli innamorati volle sognare. Negò qualsiasi evidenza, ingigantì casualità, vide oltre la logica e soprattutto si illuse. La passione si nutre di certezze e disdegna i dubbi.

Nessuno avrebbe potuto risvegliare Agenore. Nessuno, eccetto la cruda realtà.

Fu buio e luce. Il caldo ed il gelo. Fu il niente ed il tutto. Un gioco troppo esagerato e spietato perché il cuore di Agenore potesse contenerlo senza esplodere. E se i ragni possono piangere, lui piangeva. Piangeva perché l’amore sa anche far male e le ferite che lascia solo il tempo a volte può guarirle. Ma Agenore non aveva più tempo.

A cosa importava il passato? Era stato un valoroso e nobile guerriero. Ora non era più nulla. Amava e basta. Ma quanti amori sono appassiti e quanti non sono neppure sbocciati a causa di culture troppo diverse, di come alti picchi creano una innaturale barriera al volo dei sogni?

I sogni di Agenore volavano via come i sentimenti incompresi, come accade alle nostre emozioni quando calpestiamo, quando veniamo calpestati nel gioco dell’amore che a volte ci fa uomini e a volte ci rende insetti”…

Frammenti di vita #82

casa annalisa

triiiinn

Suono il campanello

Dopo pochi secondi sento i passi di quella che sicuramente sarà Annalisa. Mi apre.
– Ciaoooo – mi abbraccia forte.
Il suo saluto è sempre il più caloroso.
– Ma cos’è sta barba! – mi chiede subito.
– Sai che non me la taglio quando ho gli esami… –
– Sembri quello di coast away! –
– Mi manca solo un amico immaginario con cui parlare – rispondo.

Mi lascia solo.
Mi accomodo sul divano. La sorella è in cucina. Saluto anche lei.
Guardo la casa…
E’ una bella casa in uno di quei vecchi viali milanesi. Mi sarebbe piaciuto abitarci.
Insieme ad Annalisa poi…
Il prototipo della perfetta coinquilina.

– Ciro! Ho una grandissima novità! –
– Su amazon hanno iniziato a vendere cibi bio? –
– No! Stasera si tromba!! – disse battendomi il 5.
– Che signora che sei! La femminilità dove l’abbiamo lasciata? Su! Un po’ di contegno! – dissi con sarcasmo.
– Non rompere! –
– Su.. dimmi.. chi è il fortunato? –
– Un tipo strano.. ma simpatico.. ancora niente di serio.. anche se vorrei… bah.. chi li capisce sti maschi… –
– Chi ti capisce a te! Sei la persona più socievole ed estroversa del mondo ma a volte fatico a capirti anche io! – dissi.
– Eh lo so cì… cioè lo so… ma non lo so… –
(mano sulla testa)
– Vedi di farglielo capire stavolta a questo tizio cosa vuoi! –
– Vedrò… intanto aiutami a scegliere cosa mettere stasera! –
– Eh? Mi hai preso per il tuo “amico gay”?!?! –
– Scemo dai! Aiutami! Tu sei l’unico che mi dice davvero come sto! –
– Si ma il mio cinismo va usato solo in ambito eterosessuale! –
– Aspettami qua! –

Accesi la tv, mentre Annalisa si cambiava nell’altra stanza.
Voleva far bella figura stasera con il ragazzo di turno.
Forse ci teneva davvero a questo ragazzo. Forse non era una storia passeggera…
– Allora come sto? – disse presentandosi sull’uscio del salotto.
– Bene.. bene….  la camicetta è orribile… ma il resto va bene… –
– Dai Ciro! Questa è di lino! l’ho presa in una boutique… non capisci niente! – rispose e tornò a cambiarsi.
Sorrisi. Questo gioco sembrava divertente.
Annalisa tornò subito dopo con una maglietta nera.
– Stai scherzando vero? – le dissi serio.
– Perché!? –
– Vai di la e togliti quella cosa! Non hai più quindici anni! Su! –
– Ma l’ho presa ad un concerto! Mi piace! –
– E tu la vorresti mettere per uscire fuori a cena con un ragazzo? –
– Uff… –

La vidi andarsene. Sorrisi di nuovo.
Cercavo di capire cosa passasse nella testa di quella trentenne.
Ogni tanto se ne usciva con strane pazzie…
Conoscevo tutti i suoi “amori” iniziati e poi sempre sfumati. Ogni volta mi raccontava e concludeva con – Ciro… che devo fare? –
E ti piange il cuore quando gli occhi della persona più solare del mondo s’intristiscono.
“Ti devi fermare Anna… tu vuoi viaggiare… stare in giro… prendere e partire da un giorno all’altro… in qualsiasi momento e con chiunque…
capisci che è difficile costruire una storia con una che sparisce per una settimana perché sta in Thailandia con qualcuno conosciuto alla fermata del tram?
… quindi… o ti fermi… o trovi qualcuno che ti segua…” le dissi quel giorno.
Erano parole dure… ma che solo io potevo dirle.
Spero che le abbia capite.

Usci di nuovo dalla camera da letto.
– Come sto? –
– Bene… stai bene… così lo stendi! –

Dissi… anche se, nella mia mente giravano mille ipotetici difetti. Ma per questa volta… lasciai perdere…

 

Galleria d’Arte ##28

47* posto della classifica dei 100 migliori film americani

“Posso aiutarla?”
“Devo prendere un tram che si chiama desiderio…”

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Un film molto interessante. Due storie diverse che s’intrecciano, finendo, poi, per scontrarsi. In pieno clima americano anni ’50, in una New Orleans operaia e lasciva.

Ho apprezzato tanto il modo in cui è stata delineata la storia; stesa sullo schermo con la stessa semplicità con cui si stende un tappeto rosso. Mi sono sentito in qualche modo rispettato dal film, che mi concedeva, man mano che scorreva, dettagli preziosi per accrescere la mia curiosità. La trama parte lenta e tranquilla con questa appariscente donna bionda che aspetta il tram. E’ il ritratto della felicità, capelli in ordine, vestito alla moda, borsetta. Nulla lascia trasparire dai suoi occhi. Sembra sia nata in quel momento, senza passato. Va a trovare la sorella, e per farlo, prende questo tram che si chiama Desiderio.

La sorella è la perfetta antitesi. Sia nell’aspetto che nel carattere. Vive con suo marito Stanley in un “tugurio” di casa.

Pian piano la trama s’infittisce. I vari caratteri dei tre personaggi principali escono fuori.

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Blanche, la bionda viaggiatrice, che maschera con un viaggio di piacere una missione per la propria redenzione dai suoi problemi: alcol e sesso.

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Stella, la perfetta massaia americana. Insicura come un filo d’erba e facilmente plasmabile. Tenera e apprensiva con tutti.

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Stanley è il marito. Interpretato da una magnifico Marlo Brando (ma doppiato barbaramente in italiano, come fosse un documentario) Ha un carattere burbero e rozzo. Divide le sue giornate tra lavoro e partite al poker con gli amici.

Ora il film inizia a correre…

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La trama, eccetto lo sketch iniziale, sembra discostarsi molto dal titolo. Solo dopo una seconda visione feci caso a piccoli dettagli, come il rumore di un tram in sottofondo in alcune scene concitate del film.

Stanley sprigiona subito tutti i brutti lati del suo carattere. Sempre padrone di se e della sua casa nonostante la presenza estranea della sorella della moglie. Sente da subito puzza di marcio in quella ragazza dalla pelle liscia e candida. Qualcosa non quadrava in quella visita inaspettata e decise d’indagare sul suo passato.

Intanto Blanche fa la conoscenza degli uomini del vicinato. Si fa ammirare, corteggiare, adorare. Tratta tutti con sottigliezze provenienti dalle sue molteplici letture poetiche. Non cede a nessuna corte fino a quando, resasi conto che un uomo sarebbe stato il modo migliore di cancellare il passato, concede a Mitch, amico intimo di Stanley, una possibilità.
Ma appena Stanley scopre il tormentoso trascorso della donna, va subito a riferirlo al suo amico. Sicché, la situazione si fa pesante. L’alcol inizia ad abbondare nella bocca di tutti. Le parole, i gesti, le urla, la violenza, portano scompiglio nella piccola casa della dolce Stella; e quest’ultima, stanca di tutto ciò, scappa nascondendosi dall’amica al piano superiore.
Qui, Stanley, ripresosi dall’alcol grazie ad una doccia fredda, capisce che la sua donna è scappata via. La sua amatissima Stella.
Non può perderla. Non può permettere che accada.

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Un tram che si chiama desiderio-1

“Voglio la mia Stella” grida
“Hey Stellaaa” grida ancora; e lo farà fino a quando non la vedrà scendere da quelle scale.
Stella, dopo un attimo d’esitazione, lo stringe forte tra le sue braccia. Sa che quell’uomo è il suo veleno… ma stranamente non può farne a meno.

(Film: Un tram che si chiama desiderio, 1951, Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter)

Storia di una casa (#34)

2006/2007

– 34 –

Le ore e i giorni passarono in un lampo e il silenzio tornò a essere il mio coinquilino più presente. Gli amici erano appena partiti per tornare a casa: Marco, Enrico, Marta e Cristina. Li salutai alla stazione con quella punta di malinconia che crebbe fino al mio ritorno a casa. Mi buttai subito sul letto come se le forze fossero partite anche loro. Pensavo… Pensavo a quei giorni in cui non provavo tristezza nel salutare un amico. Erano bei giorni allora. Giorni carichi di voglia di vivere, di scoprire insieme le sfaccettature di questo mondo sconosciuto. Trascorrevo così tanto tempo insieme a loro, da diventar loro la mia seconda famiglia: proteggendomi, assistendomi e consolandomi, per non parlare di tutte quelle volte che mi riportarono a casa, sano e salvo. Devo molto a quei ragazzi… e non lo immaginano nemmeno.

Voltai la testa verso la sedia in mezzo alla stanza. Sorrisi. Era ancora lì con il cordone dell’accappatoio che ciondolava indisturbato. “Povero Marco” pensai. “Se l’è meritato però!” E quante volte se l’era meritato! Aveva compiuto così tante cazzate nella sua cronologia che avrei dovuto odiarlo per sempre. Ma la sua generosità e la sua bontà ti scioglievano, disarmandoti. Non avrei mai potuto tenergli il broncio per più di cinque minuti. Era un ragazzo con molti pregi; come quello di farti apprezzare le cose semplici, di tralasciare il valore dei soldi, sempre troppo importanti per me. Enrico invece era diverso. Facevamo a gara a chi era più introverso. Parlavamo sempre poco di noi e sempre troppo degli altri. C’era sempre un profondo rispetto tra noi due. Non saprei dire se lo conosca abbastanza, nonostante sia il mio migliore amico.

E scese la notte. Più pesante del solito. In casa ero solo. Le stanze vuote mi facevano eco. Curioso, decisi di dare una controllata alla camera di Francesco. Aprii lentamente la porta, come a non voler disturbare una persona che non c’era. Sorrisi pensando con meraviglia che anche in quella stanza era notte. Avevo la strana concezione che quella parte di casa era un mondo distinto. Un qualcosa che non mi apparteneva, di non mio. Quest’atteggiamento derivava dal profondo rispetto per le cose, inculcatomi da mio padre. Accesi la luce. I letti erano in ordine. Merito sicuramente delle mie due ospiti femminili. Persino le ciabatte del mio coinquilino erano tornate al loro posto. Il divano, doveva aveva dormito Marco, non aveva niente che non andava. Dovrei dare più fiducia a quel ragazzo.

Notai che la finestra era aperta. Qualcuno dei ragazzi aveva pensato bene di far arieggiare la stanza prima di andarsene. Andai a chiuderla e sentii un rumore provenire dal bagno. Pensai che la corrente d’aria avesse chiuso d’impeto l’altra finestra. Andai in bagno a chiudere anche quella. Qualcosa però, stranamente, la bloccava. Provai più volte a chiuderla ma non ci riuscii. Ispezionai i bordi della cornice scoprendo un inghippo metallico che impediva la chiusura. Tirai fuori l’oggetto dalla guarnizione. Era una monetina. Una cento lire del ‘78 sulla cui faccia risaltava la testa dell’Italia laureata che rifletteva la luce della lampadina a incandescenza del bagno. Come un flash, mi tornò alla mente l’immagine di Marco che faceva ruotare quella moneta tra le dita, dicendo: “Questa è il mio portafortuna!” Gli sarà sicuramente caduta in quella serata brava che scappò dal bagno alla ricerca dell’ultimo goccio di Jack. Scossi la testa disapprovando quei momenti. Afferrai il cellulare.
“Marco, ho qui con me la tua cento lire… Appena ci vediamo te la rendo.”
“Bene! Ma tienila tu… così ti porterà un po’ di fortuna, che ne hai bisogno!”
…e ci sperai, e spero ancora, che quella tanto amata fortuna, un giorno arrivi.

Fine Seconda Parte

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

Storia di una casa (#32)

2006/2007

– 32 –

Silenziosamente entrò in casa una figura dai tratti femminili. Si aggirò tra le stanze dell’appartamento in apparente ricerca di qualcosa. Il mattino era appena spuntato e la luce del sole volava basso, convogliata da tapparelle semichiuse. In una mano, stringeva un sacchetto di carta bianca che scricchiolava a ogni suo movimento. Vide davanti a se la porta della mia stanza. Accarezzò la maniglia, ma un istante prima di aprirla, si bloccò, come se le fosse venuta in mente qualcosa e, curiosa, si diresse verso la camera di Francesco. Ovviamente Francesco non c’era, ma al suo posto poté ammirare quattro ragazzi arrangiati alla meglio in tre letti. Vide Enrico, il più fortunato di tutti, che da solo occupava un letto intero, tutto per sé. Non potevano dire lo stesso Marta e Cristina, poco più in là, costrette a dividere un letto in due. Vicino alla porta, invece, sopra un divano cigolante, c’era Marco avvolto in una coperta di lana. L’oscura ragazza sorrise alla simpatica scena dell’accampamento domestico e lentamente uscì dalla stanza senza farsi sentire. Ritornò sui suoi passi lentamente, in modo che le scarpe non risuonassero sul pavimento. Tornò alla maniglia e questa volta l’aprì decisa e, come il siparista di un teatro, scoprì la scena tanto attesa. Subito i suoi occhi corsero al mio letto, si arrampicarono sul piumone rosso, per poi adagiarsi sul mio viso. Si avvicinò, domandandosi ad ogni passo sé stessi realmente dormendo. Sentii un peso appoggiarsi di fianco e poco dopo una mano carezzarmi la guancia. – Buongiorno Amore… – mi sussurrò all’orecchio.
A quel punto mi svegliati. Aprii gli occhi fulminandomi la retina con la luce del mattino.
–       Amore? – chiesi spaventato. Mi voltai e vidi lei: la ragazza misteriosa era Francesca.
–       Come hai fatto a entrare? – chiesi sfregandomi un occhio.
–       Hai dimenticato di chiudere la porta… –
Mi grattai la testa ammettendo che la sera prima avevamo sorvolato su molte imprudenze. Ma la conversazione con Francesca non era finita perché, improvvisamente, mi afferrò un orecchio e iniziò a torcerlo con violenza. – Perché non hai risposto al telefono ieri sera?! –
–       Ahia! Ahia! Non l’ho sentito! Ahia! –
–       Certo! Che cosa stavi facendo? –
–       Se te lo dicessi, non ci crederesti… –
Per la gioia del mio orecchio mi lasciò andare. Vedendomi dolorante, mi diede un bacio a mo’ di scuse e mi porse il sacchetto bianco.
–       Ci sono dei cornetti dentro. Ne ho presi 5… siete in 5 giusto? –
–       Sì… siamo cinque. Sono tutti nella stanza di Francesco. –
Svogliato e sonnolento mi alzai trascinando inavvertitamente un lembo delle lenzuola. Il letto non voleva lasciarmi andar via. Andai verso la stanza in cui dormivano i ragazzi.

–       Sveglia ciurmaglia! – esclamai.
Seguirono mugugni e rantoli di vario genere. Nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
–       Ci sono i cornetti… – proseguii sventolando il sacchetto bianco.
Ad uno ad uno i piccoli occhietti dei miei amici sbocciarono come fiori a primavera. Mi fissarono per controllare l’esistenza effettiva dei cornetti e dopo averla valutata plausibile, lentamente, si alzarono.
Presentai i miei amici a Francesca aggiungendo che era stata lei a portare le brioches.
–       Grazie Francesca… non dovevi… ce n’è uno alla crema? – disse Marco con il suo solito charme. Anche Enrico non fu da meno, fiondandosi subito a rovistare nel sacchetto dopo una fugace presentazione.
–       …E queste sono Marta e Cristina… – dissi timoroso delle conseguenze.
Invece, Francesca si mostrò subito affabile e cordiale. Cristina era partita con un discorso impostato sullo scusarsi dell’improvvisata in casa mia. Marta continuò col dire che non erano a conoscenza del mio status di fidanzato né tantomeno che avessi una ragazza lì a Milano. A quel punto tutte e tre, si girarono e mi guardarono male.
–       Non gli avevi ancora detto che sei fidanzato?! – sbottò Francesca velatamente incitata dalle altre due.
Non c’era niente da fare, toccava solo arrendersi. La solidarietà femminile aveva ancora una volta scaricato la colpa sul solito maschio di turno. Mi svincolai con una mossa repentina, fiondandomi nel porto sicuro dei miei amici maschi, ancora intenti a mangiucchiare il cornetto.

Storia di una casa (#31)

2006/2007

– 31 –

– Tenetelo! –
– Dai Marco su! Non fare il difficile! –
– Voi siete i miei migliori amici… –
– Si Marco… certo… tutto quello che vuoi… ma adesso torniamo a casa! –

L’ascensore non tardò ad arrivare. Enrico ed io, ficcammo alla meglio Marco all’interno. Marta e Cristina preferirono aspettare a salire. Per mancanza di spazio, fu la loro scusa ma era evidente che non volevano stare troppo vicine a Marco che era diventato ingestibile. L’alcool ci aveva mandato tutti un po’ su di giri ma lui quella sera aveva esagerato oltre ogni modo. Arrivammo al piano, cercando difficilmente di tenere in piedi Marco che non voleva saperne di restare schiacciato contro la parete dalle nostre mani.
Aprii le porte e feci segno ad Enrico di portarlo fuori. Marco sembrava disorientato. Guardava la luce dell’ascensore vaneggiando su strane ipotesi di morte. Enrico lo spinse fuori ma inavvertitamente un lembo del jeans gli s’incastrò nelle porte e Marco rovinò al suolo. Fu fortunato però, davanti a lui c’ero io che gli avevo attutito la caduta.
–       Aiutami Enrico! Aiutami! –
I miei lamenti si diffusero come un tuono nella tranquillità notturna del pianerottolo del quinto piano. Enrico accorse redarguendo un Marco assente. Mi rialzai e cercai le chiavi nella tasca. Dopo averle trovate con qualche difficoltà, tentai di infilarle in una delle due porte che vedevo davanti a me. Stranamente la chiave non girava. Dietro di me, si aprirono le porte dell’ascensore e comparvero le ragazze.
–       Ciro, perché stai cercando di infilare le chiavi nel campanello? – disse Marta ridendo.
–       Oh… ecco perché… –
Mi aiutò a trovare la serratura e finalmente entrammo in casa. I problemi però non erano finiti. Marco stava diventando irrequieto. Era finita la fase del “vedo la luce, vai verso la luce” ed era passato al “Dov’è l’alcool! Dove cazzo è l’alcool!”
Enrico lo teneva a stento. Anche lui era brillo dopotutto. Le ragazze cercarono di farlo ragionare. Specialmente Marta, sua sorella.
–       Voglio un’altra pinta! Signorina, una bionda doppio malto, grazie! – chiese Marco in
preda al delirio. Marta lo schiaffeggiò e gli ordinò di smetterla.
–       Ahia! Ma in questo locale si trattano così i clienti?! –
–       Marco… sei a casa mia! – gli dissi pacatamente.
–       Siamo già tornati a casa?! No! Adesso scendo e mi cerco un bar più gentile di voi! –
–       Smettila Marco!  Sei ubriaco! Se vuoi c’è un po’ di Jack Daniel’s in cucina… – risposi,
incosciente di aver commesso un grave errore. Marco non doveva bere più e gli avevo appena detto dove trovare dell’alcol. Tutti mi fissarono in silenzio, anche Marco. Il tempo sembrò bloccarsi per un secondo. Sembrava uno di quei duelli western, dove vince chi estrae per primo la pistola. Marco scattò dalla sedia e corse in cucina alla ricerca della tanto amata bottiglia di Jack.
–       Prendetelo! – urlò la sorella.
Ci fiondammo tutti in cucina e lo trovammo a rovistare negli stipetti come un barbone fa con i cestini dei rifiuti.
–       Bingo! – disse appena vide il suo “tesoro”.
–       Cazzo l’ha trovata! Prendiamolo! –
Marco nascose la bottiglia sotto la maglia e corse fuori dalla cucina. Lo rincorremmo per tutta la casa. Sembrava più in forma di noi. Le ragazze gli sbarrarono la strada per la stanza da letto e noi lo accerchiammo da dietro. Lui, sentendosi in trappola, tirò fuori la bottiglia e tentò di berla. Glielo impedimmo e gli strappammo via il Jack. Marco iniziò a scalciare mentre Enrico lo teneva per le spalle.
–       Fermo Marco… Fermo! –
Non c’era verso di farlo smettere. Finché non mi venne un’idea. Andai in bagno e ritornai con il cordoncino dell’accappatoio. Guardai Enrico e dissi con decisione: – Leghiamolo! –
Con molta fatica lo trascinammo a sedere su una sedia in legno della casa. Enrico lo teneva fermo, mentre gli fermavo le mani dietro lo schienale. Quando finii di annodare Marco iniziò subito a cercare di liberarsi.
–       Dai ragazzi! Si trattano così gli amici? – disse, cercando d’impietosirci.
–       Sì! Quelli molesti si legano alle sedie! –
–       Volevo solo farmi l’ultimo bicchierino… –
–       Per stasera basta! –
–       Ok… ma adesso devo andare in bagno… –
–       Certo… ed io ci credo! –
–       Se non credi a me, tra poco crederai alla pipì che si diffonderà sul pavimento della tua stanza da letto! –
Mi consultai con Enrico e giungemmo alla conclusione che, il nostro amico, era abbastanza decerebrato da poter compiere un’azione tanto estrema quanto quella di urinarsi addosso.
Lo slegammo e lo scortammo alla porta del bagno come un detenuto di massima sicurezza.
Chiudemmo la porta e tornammo in stanza. Le ragazze non erano tanto avvezze a questo genere di cose e iniziarono a preoccuparsi. Le tranquillizzammo raccontando qualche passata esperienza adolescenziale simile a questa, dove tutto, alla fine, si era risolto con un gran mal di testa mattutino.
Improvvisamente:
–       Aiuto! Aiuto! – sentimmo urlare dal bagno e accorremmo tutti.
–       Marco! Ti senti bene? Marco? – dissi, attraverso la porta chiusa.
Vedendo che Marco non rispondeva iniziammo a domandarci se abbattere la porta o meno poiché era chiusa a chiave dall’interno. Poteva essere successo di tutto e il nostro amico poteva essere in gravi condizioni. Le ragazze dietro di noi, cominciarono a spaventarsi. Specialmente Marta, la sorella, che continuava a chiamare Marco in attesa di risposta.
–       E se fosse svenuto?… –
Improvvisamente sentimmo dei rumori provenienti dalla mia stanza da letto. Tornammo velocemente tutti lì e sorprendemmo Marco mentre tentava di arrivare alla bottiglia di Jack che avevo prudentemente piazzato in alto, sopra una libreria.
–       Gran figlio di una… vieni qui!! –
Lo rincorremmo, lui scappò sul balcone e tornò in bagno attraverso la finestra dalla quale era scappato. “Che mente diabolica!” pensai sorridendo.

Dopo circa un’ora di corse e rincorse, la situazione si calmò. Riuscimmo ad impedire a Marco di vuotare la mia bottiglia di Jack. Ci abbandonammo tutti sui nostri letti, io nella mia stanza e i miei amici in quella del mio coinquilino momentaneamente assente. Come l’avrebbe presa Francesco se avesse visto la sua stanza invasa di ragazzi? In quel momento però, tutte le preoccupazioni riguardo l’ordine e il rispetto delle cose altrui erano annegate in circa un litro di birra che avevo in corpo. Le palpebre erano diventate pesantissime. Colpa forse, dell’attività ginnica che Marco ci aveva costretto a fare. Chiusi gli occhi sperando in una notte tranquilla anche se, in lontananza, avvertivo un fastidioso ronzio che la rovinava.
Era il mio cellulare, ma ormai, ero già tra le braccia di Morfeo.

Storia di una casa (#30)

2006/2007

– 30 –

Cristina non sapeva che fare. Aveva sentito tutta la mia conversazione telefonica. Forse non s’era mai trovata nella situazione di essere la causa di litigio di una coppia. Restava immobile, con i suoi occhi azzurri fissi su di me. Tentennò qualche parola di cortesia e di sincero rammarico.
–       Ciro, mi dispiace… se posso fare qualcosa… –
–       Tranquilla… non è colpa tua… –
–       Non dovevamo venire qua… –
Qualche secondo dopo, comparì Marco alle spalle della ragazza che, col suo fare sempre inopportuno mi chiese:
–       Cì, ma perché, in bagno, al posto dello sciacquone c’è una maniglia? –
Sorrisi scuotendo il capo. Diedi un ultimo sguardo a Cristina cercando difficilmente di rassicurarla sull’accaduto e accompagnai Marco in bagno per svelargli l’oscuro mistero. Cristina ci seguì, ma all’ultimo svoltò per la camera da letto.

–       Vedi Marco, si fa così. – gli dissi girando la maniglia dello scarico.
–       Oh… come siete strani qui “alNord”. –
–       Beh… diciamo che è più comodo… –
–    Sì certo… ma io preferisco il sano e vecchio bottone! Non so… vedere tutta quell’acqua che scende in un colpo solo è come se completasse il mio senso di liberazione! –
Guardai Marco pizzicandomi il mento e dissi in modo serio ma ironico:
–       Le tue argomentazioni non sono del tutto trascurabili! –

Uscimmo dal bagno e tornammo in stanza dagli altri. Le ragazze nel vedermi, smisero di parlare tra di loro e mi fissarono. Marta aveva appena appreso dall’amica Cristina i risvolti della mia breve telefonata tra me e la mia fidanzata. Aveva sicuramente chiesto a lei, che mi conosceva da più tempo come avrebbero dovuto comportarsi in quella strana situazione.
Mi sedetti su una sedia e fissai il cellulare per ignorare i loro sguardi pesanti.
–       Ciro… – Marta ruppe il silenzio. – Se è un problema restare qui, andiamo via… –
–       No ragazze, non ci pensate nemmeno! – risposi di getto.
–       Ma che sta succedendo? – chiese Marco stranito.
–       La ragazza di Ciro s’è incazzata perché noi siamo qui… –
–       La tua ragazza è gelosa di loro due?!? Ma come si fa? –
–       Sei sempre un gentiluomo, Marco! – disse una delle ragazze.
–       …Senza offesa! – aggiunse Marco un po’ in ritardo.
Discutemmo a lungo della faccenda. Ognuno propose la propria soluzione. I miei amici sembravano più ansiosi di me di risolvere la situazione. Marco continuava con la tesi, sempre più inopportuna, che non si poteva essere gelosi di Cristina e Marta. Io contraccambiavo con l’assioma assoluto dell’impossibilità per una ragazza di non essere gelosa di un’altra donna. Era una situazione di stallo e le situazioni di stallo si risolvevano con:
–       Falla venire qua… – disse Enrico, che fino allora aveva solo ascoltato i nostri discorsi.
Tutti lo fissammo come credo che fissarono Alessandro Volta quando mostrò la pila ai suoi amici scienziati.
Era una buona idea. Magari Francesca, conoscendo le ragazze, e vedendo il rapporto che avevo con loro, poteva tranquillizzarsi. Erano solo delle amiche in fondo, ed anche di vecchia data. Non c’era da allarmarsi. Così le mandai un messaggio invitandola a venire da me. Ovviamente non rispose. Pensieroso mi abbandonai sul letto.
Poco dopo, Marco, mi pizzicò una spalla.
–       Cì, allora? –
–       Non risponde… –
–       No, intendevo, dove si va stasera! –
–       Dove volete… –
–       Andiamo in un pub e ci sbronziamo di brutto… Visto che ora hai anche un bel motivo per farlo! –

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