Storia di una casa (#43)

Storia di una casa #43 Blog

2007/2008

– 43 –

In quegli anni in Afghanistan, una delle tante terre desolate e martoriate dai continui scontri militari, c’erano sentinelle poste a guardia delle basi che, sicuramente, avranno avuto una nottata meno tormentata della mia. Detestavo litigare. Soprattutto per via telefonica, dove non c’è possibilità di contatto fisico. Effettivamente, un po’ di ragione Francesca l’aveva. Mi sentivo responsabile ma, allo stesso tempo, ero stato costretto dagli eventi ad accettare quella situazione. E come l’avevo accettata io, prima o poi, avrebbe dovuto farlo anche lei.

Alzai la testa dal cuscino. Il sole era già alto nel cielo e diffondeva la sua luce in tutta la stanza. Non era però, la sola cosa a diffondersi nell’aria. Sentii un dolce aroma di caffè che stuzzicava il mio olfatto martoriato dall’aria viziata della notte. Il tutto, rese il risveglio più piacevole degli altri giorni. Avanzai lentamente verso la cucina. Sulla porta, sbirciai all’interno della stanza con la mia vista assonnata. Vidi una figura femminile in maglietta bianca e pantaloni rosa muoversi a destra e sinistra.

–       Vuoi Caffè? –
–       Ehm… sì! –

Mi sedetti al tavolo e Floria, come se fosse già di casa, prese una delle vecchie tazzine e me la piazzò davanti. Lentamente versò il caffè bollente al suo interno e mi diede un cucchiaino. Mi sentii alquanto spiazzato. Ricevere quelle attenzioni premurose da una ragazza mi mise in imbarazzo. Avvicinai la tazzina alle labbra per sentirne l’odore. Poi ne presi un sorso e… sorrisi. Era davvero un ottimo caffè. Le feci i complimenti e pensai di poter inserire la cosa tra le qualità della mia nuova coinquilina.

–       Ciro, mi fai vedere dove sono i prodotti per la casa? –
La domanda improvvisa di Floria mi trovò impreparato.
–       Sì… arrivo. Sono in bagno… ecco qui… –

Aprii il mobiletto del bagno e quello che doveva sembrare una dispensa di prodotti, sembrava un museo di anticaglie. Sgrassatori e detersivi vuoti o semivuoti troneggiavano senza potere. Pezze vecchie e strofinacci inguardabili riempivano i vuoti. Guanti mai usati, bombolette di spray anti scarafaggi vuote e spugne corrose dal tempo…
Floria cercò di trovare un senso a quel disordine ma, quando con una mano tirò fuori tre contenitori di detersivo per pavimenti vuoti, mi guardò con una faccia interrogativa. Cercai di dire qualcosa ma dalla mia bocca non uscì niente. Floria mi bruciò sul tempo e, indicandomi minacciosamente la cucina col suo indice, disse:

–       Vammi a prendere un sacchetto, per piacere! –

Risi sotto i baffi per quel finto ordine e tornai da lei con una busta allargata tra le mani.  Rapidamente, la mia coinquilina, buttò dentro tutto ciò che si trovò a tiro e che sembrava avere più di un anno di vita. Tentai di muoverle qualche timida protesta, ma non ci fu verso di sminuire il suo sguardo minaccioso.

Alla fine di tutto, ci trovammo a guardare il mobiletto del bagno vuoto.
Guardai il ripiano… poi guardai lei.
– Bene! Mi sa che dobbiamo andare a fare un po’ di spesa! – disse Floria soddisfatta.

continua…

Storia di una casa (#42)

Storia di una casa #42 Blog

2007/2008

– 42 –

Tra i pregi di Floria c’era quello di essere riuscita a mettermi a mio agio. Non era una cosa da poco. Di solito con le ragazze appena conosciute sono estremamente logorroico o estremamente silenzioso. Con lei riuscivo a restare nella giusta via di mezzo mascherando tutte le mie timidezze. Nonostante la differenza d’età, tenevo testa egregiamente ai suoi discorsi, perlopiù pieni di frivolezze. Film, serie tv, locali per divertirsi… Niente di difficile per un ragazzo di vent’anni che, nonostante l’introversione acuta, sapeva bene come si stava evolvendo la società là fuori.
In circa mezz’ora, tornammo dalla nostra fugace cena a base di pizza oleosa e patatine iperfritte. Mentre salivamo in ascensore, cercavo di farmi perdonare dal mio stomaco per l’immensa mole di lavoro che gli avevo procurato. Floria, invece, sembrava tranquilla, come se quel genere di cena fosse una delle sue preferite.
Girai la chiave nella porta ed entrai. La mia coinquilina mi seguì ma, appena fummo in casa, prendemmo strade diverse: lei andò in camera sua ed io nella mia.
Quando chiusi la porta alle mie spalle feci un sospiro di sollievo. Mi sentivo come se avessi passato un esame universitario. Il primo giorno di un lungo anno di convivenza era iniziato e, fortunatamente, Floria sembrava una brava ragazza. La mia paura di condividere la casa con persone dalle strambe abitudini si era dissolta. Potevo rilassarmi.
Portai una mano alla tasca per cercare il cellulare. Non trovandolo nella sua consueta posizione mi preoccupai. “Possibile che ho lasciato il cellulare a casa?” pensai. Indagai in giro con un rapido sguardo sui mobili della stanza. “Dove sei?”. Mi sedetti sul letto a pensare all’ultimo posto in cui avessi potuto lasciarlo. “Vediamo… prima di uscire ero… sì!”.
Uscii dalla mia stanza e arrivai di fronte alla porta della camera di Floria. Il vetro satinato emetteva luce, segno che non era ancora andata a dormire. Esitai un attimo, poi bussai.
–       Entra pure! – sentii gridare.
Entrai e vidi la mia coinquilina ancora intenta a piegare vestiti.
–       Scusami Floria… devo aver lasciato il cellul… ah eccolo! –
Quando lo afferrai notai subito le numerosissime chiamate senza risposta impresse sul piccolo schermo del mio Nokia. – Torno di là… – m’affrettai a dire a Floria che continuava indisturbata.

Sbloccai subito il cellulare. Il cuore andò in ansia. Avevo già immaginato chi fosse.
La mia ragazza.
“Cavolo! E ora che le dico?” pensai.
“Nascondile tutto! Non invitarla più a casa tua!” rispose ironicamente la mia coscienza maligna. “Dovrò dirglielo in qualche modo…”, “S’incazzerà…”, “e di brutto anche!”
Dopo tutti i diverbi intellettuali, mi feci coraggio e la chiamai.

–       Pronto… amore! Che fine avevi fatto! – disse.
–       Ehm sì… ero sceso un attimo… –
–       E hai dimenticato il cellulare? Non lo dimentichi mai… – disse sospettosa.
–       Non c’ho pensato… ero con… –
–       CON? –
–       Con… Floria… –
–       Una ragazza? Eri con una ragazza?! –
–       Sì… –
–       Tu mi manderai al manicomio lo sai? Chi è questa tizia? –
–       Mmm come dire… la mia nuova coinquilina… –
Subito dopo ci fu un minuto di silenzio. Come quando un caccia bombardiere sgancia una bomba e attende solo il momento dello scoppio. E lo scoppio arrivò… dal mio telefono uscì un urlo talmente forte che, probabilmente, sentirono anche i vicini.

continua…

Storia di una casa (#40)

Storia di una casa #40 Blog

2007/2008

– 40 –

Qualche ora più tardi, affacciato al balcone, scrutavo la strada leggermente ansioso. Sapevo di che di lì a breve sarebbe passata Floria a portare i bagagli.
Ero curioso di osservarla da sola in strada, come se cogliere qualche attimo in più di quella ragazza potesse farmela conoscere un po’ meglio. Ma, tra i mille passanti di una giornata milanese d’inizio ottobre, era diventato un problema riuscire a distinguerla tra la folla. Supponevo che, in quel lasso di tempo, non si fosse cambiata d’abito e che avesse mantenuto il lungo cappotto scuro su cui spiccava un grosso cappuccio pelliccioso. Immaginavo di vederla sbucare dall’uscita della metro e, quindi, guardavo in quella direzione. Però, come spesso mi accade, non sempre ciò che immagino risulta avvenire davvero. Anzi, più sforzo la fantasia e più viene disillusa. Infatti, mentre fissavo il fondo della via, l’azione da me immaginata si stava svolgendo da tutt’altra parte. Esattamente cinque piani sotto di me, al livello della strada, una macchina blu si era fermata davanti al portone del palazzo. Un signore moro, sulla quarantina era uscito e aveva aperto il bagagliaio. Non diedi troppo peso a quella scena. Decine di macchine si fermavano tutti i giorni davanti ai palazzi della strada a svuotar valigie. Quando però, dal posto passeggero della piccola utilitaria blu, scese un’esile ragazza dai capelli castani, capii che si trattava proprio della mia futura coinquilina.
Era così strano vederla da lontano. Come se stessi osservando lo svolgersi di un film già visto. Di cui conoscevo già le scene successive.
“Tra poco suonerà il citofono…” pensai.

Floria, qualche metro più in basso, salutò con un bacio sulla guancia il suo sconosciuto accompagnatore. Entrambi, poi, presero direzioni diverse: Floria si avvicinò al portone e la macchina che l’aveva accompagnata, sfilò via seguendo il traffico milanese.
Suonò il citofono.
Corsi in casa ad aprire, fingendo di non conoscere chi ci fosse dall’altro lato. Con un rapido gesto, schiacciai il tasto del portone e riappesi subito la cornetta. Impacciato sul da farsi, gironzolavo nell’ingresso fino a quando il mio spirito protettivo non prese il sopravvento.
“Beh… potrei andare ad aiutarla…”
Uscii sul pianerottolo e vidi che l’ascensore non era ancora stata chiamata da nessuno.
“Avrà sbagliato scala…”
Spinsi il tasto di chiamata e l’ascensore fu subito da me. Entrai e scesi al piano terra.
Trovai Floria nell’ingresso del palazzo che si guardava intorno imbarazzata.
– Ah! Menomale che sei sceso! Non ricordavo più la scala! –
–       Tranquilla… scala A, vieni, dammi una valigia. –
Le sorrisi e lei ricambiò, e spostammo le due enormi valigie viola verso l’ascensore.
–       Speriamo che c’entrino! – dissi.
–       C’entreranno… sono entrate in ascensori più piccoli di questo! – rispose ironica.
–       Perchè? Esistono ascensori più piccoli di questo? – chiesi con finta curiosità.
–       Prima ero in viale Argonne, e l’ascensore era molto più stretto di questo! Ho dovuto mettere le valigie una sopra l’altra! –
–       In due di certo non ci saremo stati! – dissi chiudendo a fatica le porticine dietro di me.
Schiacciai 5 avendo cura che Floria vedesse il piano della sua futura casa.
L’ascensore si mosse ed io e lei fissammo silenziosi i piani che scorrevano. Il silenzio diventò imbarazzante, com’è solito negli ascensori. Fortuna che lei, con una domanda tagliente, spezzò il solido ghiaccio che si stava formando.

– Mah… ti piacciono i film? –

continua…

Storia di una casa (#35)

Storia di una casa 35 copia

 2007/2008

– 35 –

“Settembre”.

Ogni volta che pronuncio questo mese, vibrano dentro me tutte le “t” e le “r” che contiene. Come se il mio corpo si comportasse da cassa di risonanza per un mese che, trasporta mille pensieri. Settembre… era già iniziato da un pezzo ormai, e, ovviamente, l’estate era finita.
Ero appena arrivato nella mia casa milanese. La maniglia del trolley era ancora ben salda nella mia mano mentre chiudevo la porta blindata in finto legno.
Girovagavo nell’oscurità trafitta da schegge di luce che filtravano dalle persiane. La polvere volteggiava nell’aria come un essere padrone di casa, disturbata dalla mia presenza. Mi avvicinai alla mia camera e spalancai la porta. A colpo d’occhio, mi sembrò che la camera si fosse rimpicciolita. Ragionandoci, quella, era solo una vaga impressione. Conoscevo bene quella camera e le sue dimensioni, essendoci stato ben quasi un anno. Forse la mia percezione degli spazi era stata alterata dall’estate vissuta nella casa di campagna dei miei. Un posto dove persino il concetto di monolocale fatica ad arrivare e le persone si chiedono come fanno altre persone ad abitare in meno di 100 metri quadrati. Buffo ma reale.
Ed io, nei mesi estivi, m’ero abituato e accomodato sull’idea che stanza da studio e camera da letto erano situate su due piani diversi; e la cucina era cucina e non salotto e mille altre cose.
Per un giusto stile di vita, si dovrebbe teletrasportare la mia casa natale in quella bella cittadina di Milano. (Ah! Poterlo fare!)
Ma i sogni son sogni e la realtà era quella che avevo di fronte a me.
Guardai la mia valigia al centro della stanza.
“Bene! Cominciamo questo nuovo anno!” dissi, cercando d’incentivare me stesso.
Tirai con forza la corda della serranda. Finalmente il sole inondò la camera spazzando via quell’alone di tristezza che l’aveva accolta. Aprii le finestre della cucina e del bagno in gran velocità, ma nel passaggio tra le due stanze, mi fermai ad osservare la porta della seconda camera da letto della casa. Francesco era andato via a giugno e mi aveva lasciato solo, in questo freddo appartamento.
Con lo strano timore di chi si sente di dar fastidio, aprii la porta di quella camera. In un anno intero, ci sarò entrato sì o no un paio di volte. Francesco era un tipo introverso e riservato, peggio del sottoscritto. Aprii la finestra anche lì e notai che la camera aveva bisogno di una gran sistemata. Mi sedetti sul divano e osservai i due letti vuoti. “Chissà chi ci dormirà!” mi chiesi sospirando e iniziando a fantasticare sulla fisionomia dei miei futuri coinquilini. Li immaginai da prima con mille difetti poi con mille pregi, infine tentai un misto di tutto per ottenere una persona quanto meno reale. “Mah…” sbuffai, pensando al dover socializzare per forza con perfetti sconosciuti per intraprendere una buona convivenza. “Non sono bravo in queste cose!” Purtroppo non potevo rimandare per imparare le buone regole della socializzazione… perché il telefono stava già iniziando a squillare…

–  Di già? –

continua…

Info. (Storia di una casa)

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I nuovi post di “Storia di una casa” (Parte III)
Usciranno il Martedì e il Venerdì (sempre alle 10)
fino alla fine della 3 parte
Buona lettura…
(Grazie a tutti)

Storia di una casa (#34)

2006/2007

– 34 –

Le ore e i giorni passarono in un lampo e il silenzio tornò a essere il mio coinquilino più presente. Gli amici erano appena partiti per tornare a casa: Marco, Enrico, Marta e Cristina. Li salutai alla stazione con quella punta di malinconia che crebbe fino al mio ritorno a casa. Mi buttai subito sul letto come se le forze fossero partite anche loro. Pensavo… Pensavo a quei giorni in cui non provavo tristezza nel salutare un amico. Erano bei giorni allora. Giorni carichi di voglia di vivere, di scoprire insieme le sfaccettature di questo mondo sconosciuto. Trascorrevo così tanto tempo insieme a loro, da diventar loro la mia seconda famiglia: proteggendomi, assistendomi e consolandomi, per non parlare di tutte quelle volte che mi riportarono a casa, sano e salvo. Devo molto a quei ragazzi… e non lo immaginano nemmeno.

Voltai la testa verso la sedia in mezzo alla stanza. Sorrisi. Era ancora lì con il cordone dell’accappatoio che ciondolava indisturbato. “Povero Marco” pensai. “Se l’è meritato però!” E quante volte se l’era meritato! Aveva compiuto così tante cazzate nella sua cronologia che avrei dovuto odiarlo per sempre. Ma la sua generosità e la sua bontà ti scioglievano, disarmandoti. Non avrei mai potuto tenergli il broncio per più di cinque minuti. Era un ragazzo con molti pregi; come quello di farti apprezzare le cose semplici, di tralasciare il valore dei soldi, sempre troppo importanti per me. Enrico invece era diverso. Facevamo a gara a chi era più introverso. Parlavamo sempre poco di noi e sempre troppo degli altri. C’era sempre un profondo rispetto tra noi due. Non saprei dire se lo conosca abbastanza, nonostante sia il mio migliore amico.

E scese la notte. Più pesante del solito. In casa ero solo. Le stanze vuote mi facevano eco. Curioso, decisi di dare una controllata alla camera di Francesco. Aprii lentamente la porta, come a non voler disturbare una persona che non c’era. Sorrisi pensando con meraviglia che anche in quella stanza era notte. Avevo la strana concezione che quella parte di casa era un mondo distinto. Un qualcosa che non mi apparteneva, di non mio. Quest’atteggiamento derivava dal profondo rispetto per le cose, inculcatomi da mio padre. Accesi la luce. I letti erano in ordine. Merito sicuramente delle mie due ospiti femminili. Persino le ciabatte del mio coinquilino erano tornate al loro posto. Il divano, doveva aveva dormito Marco, non aveva niente che non andava. Dovrei dare più fiducia a quel ragazzo.

Notai che la finestra era aperta. Qualcuno dei ragazzi aveva pensato bene di far arieggiare la stanza prima di andarsene. Andai a chiuderla e sentii un rumore provenire dal bagno. Pensai che la corrente d’aria avesse chiuso d’impeto l’altra finestra. Andai in bagno a chiudere anche quella. Qualcosa però, stranamente, la bloccava. Provai più volte a chiuderla ma non ci riuscii. Ispezionai i bordi della cornice scoprendo un inghippo metallico che impediva la chiusura. Tirai fuori l’oggetto dalla guarnizione. Era una monetina. Una cento lire del ‘78 sulla cui faccia risaltava la testa dell’Italia laureata che rifletteva la luce della lampadina a incandescenza del bagno. Come un flash, mi tornò alla mente l’immagine di Marco che faceva ruotare quella moneta tra le dita, dicendo: “Questa è il mio portafortuna!” Gli sarà sicuramente caduta in quella serata brava che scappò dal bagno alla ricerca dell’ultimo goccio di Jack. Scossi la testa disapprovando quei momenti. Afferrai il cellulare.
“Marco, ho qui con me la tua cento lire… Appena ci vediamo te la rendo.”
“Bene! Ma tienila tu… così ti porterà un po’ di fortuna, che ne hai bisogno!”
…e ci sperai, e spero ancora, che quella tanto amata fortuna, un giorno arrivi.

Fine Seconda Parte

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

Storia di una casa (#32)

2006/2007

– 32 –

Silenziosamente entrò in casa una figura dai tratti femminili. Si aggirò tra le stanze dell’appartamento in apparente ricerca di qualcosa. Il mattino era appena spuntato e la luce del sole volava basso, convogliata da tapparelle semichiuse. In una mano, stringeva un sacchetto di carta bianca che scricchiolava a ogni suo movimento. Vide davanti a se la porta della mia stanza. Accarezzò la maniglia, ma un istante prima di aprirla, si bloccò, come se le fosse venuta in mente qualcosa e, curiosa, si diresse verso la camera di Francesco. Ovviamente Francesco non c’era, ma al suo posto poté ammirare quattro ragazzi arrangiati alla meglio in tre letti. Vide Enrico, il più fortunato di tutti, che da solo occupava un letto intero, tutto per sé. Non potevano dire lo stesso Marta e Cristina, poco più in là, costrette a dividere un letto in due. Vicino alla porta, invece, sopra un divano cigolante, c’era Marco avvolto in una coperta di lana. L’oscura ragazza sorrise alla simpatica scena dell’accampamento domestico e lentamente uscì dalla stanza senza farsi sentire. Ritornò sui suoi passi lentamente, in modo che le scarpe non risuonassero sul pavimento. Tornò alla maniglia e questa volta l’aprì decisa e, come il siparista di un teatro, scoprì la scena tanto attesa. Subito i suoi occhi corsero al mio letto, si arrampicarono sul piumone rosso, per poi adagiarsi sul mio viso. Si avvicinò, domandandosi ad ogni passo sé stessi realmente dormendo. Sentii un peso appoggiarsi di fianco e poco dopo una mano carezzarmi la guancia. – Buongiorno Amore… – mi sussurrò all’orecchio.
A quel punto mi svegliati. Aprii gli occhi fulminandomi la retina con la luce del mattino.
–       Amore? – chiesi spaventato. Mi voltai e vidi lei: la ragazza misteriosa era Francesca.
–       Come hai fatto a entrare? – chiesi sfregandomi un occhio.
–       Hai dimenticato di chiudere la porta… –
Mi grattai la testa ammettendo che la sera prima avevamo sorvolato su molte imprudenze. Ma la conversazione con Francesca non era finita perché, improvvisamente, mi afferrò un orecchio e iniziò a torcerlo con violenza. – Perché non hai risposto al telefono ieri sera?! –
–       Ahia! Ahia! Non l’ho sentito! Ahia! –
–       Certo! Che cosa stavi facendo? –
–       Se te lo dicessi, non ci crederesti… –
Per la gioia del mio orecchio mi lasciò andare. Vedendomi dolorante, mi diede un bacio a mo’ di scuse e mi porse il sacchetto bianco.
–       Ci sono dei cornetti dentro. Ne ho presi 5… siete in 5 giusto? –
–       Sì… siamo cinque. Sono tutti nella stanza di Francesco. –
Svogliato e sonnolento mi alzai trascinando inavvertitamente un lembo delle lenzuola. Il letto non voleva lasciarmi andar via. Andai verso la stanza in cui dormivano i ragazzi.

–       Sveglia ciurmaglia! – esclamai.
Seguirono mugugni e rantoli di vario genere. Nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
–       Ci sono i cornetti… – proseguii sventolando il sacchetto bianco.
Ad uno ad uno i piccoli occhietti dei miei amici sbocciarono come fiori a primavera. Mi fissarono per controllare l’esistenza effettiva dei cornetti e dopo averla valutata plausibile, lentamente, si alzarono.
Presentai i miei amici a Francesca aggiungendo che era stata lei a portare le brioches.
–       Grazie Francesca… non dovevi… ce n’è uno alla crema? – disse Marco con il suo solito charme. Anche Enrico non fu da meno, fiondandosi subito a rovistare nel sacchetto dopo una fugace presentazione.
–       …E queste sono Marta e Cristina… – dissi timoroso delle conseguenze.
Invece, Francesca si mostrò subito affabile e cordiale. Cristina era partita con un discorso impostato sullo scusarsi dell’improvvisata in casa mia. Marta continuò col dire che non erano a conoscenza del mio status di fidanzato né tantomeno che avessi una ragazza lì a Milano. A quel punto tutte e tre, si girarono e mi guardarono male.
–       Non gli avevi ancora detto che sei fidanzato?! – sbottò Francesca velatamente incitata dalle altre due.
Non c’era niente da fare, toccava solo arrendersi. La solidarietà femminile aveva ancora una volta scaricato la colpa sul solito maschio di turno. Mi svincolai con una mossa repentina, fiondandomi nel porto sicuro dei miei amici maschi, ancora intenti a mangiucchiare il cornetto.

Storia di una casa (#31)

2006/2007

– 31 –

– Tenetelo! –
– Dai Marco su! Non fare il difficile! –
– Voi siete i miei migliori amici… –
– Si Marco… certo… tutto quello che vuoi… ma adesso torniamo a casa! –

L’ascensore non tardò ad arrivare. Enrico ed io, ficcammo alla meglio Marco all’interno. Marta e Cristina preferirono aspettare a salire. Per mancanza di spazio, fu la loro scusa ma era evidente che non volevano stare troppo vicine a Marco che era diventato ingestibile. L’alcool ci aveva mandato tutti un po’ su di giri ma lui quella sera aveva esagerato oltre ogni modo. Arrivammo al piano, cercando difficilmente di tenere in piedi Marco che non voleva saperne di restare schiacciato contro la parete dalle nostre mani.
Aprii le porte e feci segno ad Enrico di portarlo fuori. Marco sembrava disorientato. Guardava la luce dell’ascensore vaneggiando su strane ipotesi di morte. Enrico lo spinse fuori ma inavvertitamente un lembo del jeans gli s’incastrò nelle porte e Marco rovinò al suolo. Fu fortunato però, davanti a lui c’ero io che gli avevo attutito la caduta.
–       Aiutami Enrico! Aiutami! –
I miei lamenti si diffusero come un tuono nella tranquillità notturna del pianerottolo del quinto piano. Enrico accorse redarguendo un Marco assente. Mi rialzai e cercai le chiavi nella tasca. Dopo averle trovate con qualche difficoltà, tentai di infilarle in una delle due porte che vedevo davanti a me. Stranamente la chiave non girava. Dietro di me, si aprirono le porte dell’ascensore e comparvero le ragazze.
–       Ciro, perché stai cercando di infilare le chiavi nel campanello? – disse Marta ridendo.
–       Oh… ecco perché… –
Mi aiutò a trovare la serratura e finalmente entrammo in casa. I problemi però non erano finiti. Marco stava diventando irrequieto. Era finita la fase del “vedo la luce, vai verso la luce” ed era passato al “Dov’è l’alcool! Dove cazzo è l’alcool!”
Enrico lo teneva a stento. Anche lui era brillo dopotutto. Le ragazze cercarono di farlo ragionare. Specialmente Marta, sua sorella.
–       Voglio un’altra pinta! Signorina, una bionda doppio malto, grazie! – chiese Marco in
preda al delirio. Marta lo schiaffeggiò e gli ordinò di smetterla.
–       Ahia! Ma in questo locale si trattano così i clienti?! –
–       Marco… sei a casa mia! – gli dissi pacatamente.
–       Siamo già tornati a casa?! No! Adesso scendo e mi cerco un bar più gentile di voi! –
–       Smettila Marco!  Sei ubriaco! Se vuoi c’è un po’ di Jack Daniel’s in cucina… – risposi,
incosciente di aver commesso un grave errore. Marco non doveva bere più e gli avevo appena detto dove trovare dell’alcol. Tutti mi fissarono in silenzio, anche Marco. Il tempo sembrò bloccarsi per un secondo. Sembrava uno di quei duelli western, dove vince chi estrae per primo la pistola. Marco scattò dalla sedia e corse in cucina alla ricerca della tanto amata bottiglia di Jack.
–       Prendetelo! – urlò la sorella.
Ci fiondammo tutti in cucina e lo trovammo a rovistare negli stipetti come un barbone fa con i cestini dei rifiuti.
–       Bingo! – disse appena vide il suo “tesoro”.
–       Cazzo l’ha trovata! Prendiamolo! –
Marco nascose la bottiglia sotto la maglia e corse fuori dalla cucina. Lo rincorremmo per tutta la casa. Sembrava più in forma di noi. Le ragazze gli sbarrarono la strada per la stanza da letto e noi lo accerchiammo da dietro. Lui, sentendosi in trappola, tirò fuori la bottiglia e tentò di berla. Glielo impedimmo e gli strappammo via il Jack. Marco iniziò a scalciare mentre Enrico lo teneva per le spalle.
–       Fermo Marco… Fermo! –
Non c’era verso di farlo smettere. Finché non mi venne un’idea. Andai in bagno e ritornai con il cordoncino dell’accappatoio. Guardai Enrico e dissi con decisione: – Leghiamolo! –
Con molta fatica lo trascinammo a sedere su una sedia in legno della casa. Enrico lo teneva fermo, mentre gli fermavo le mani dietro lo schienale. Quando finii di annodare Marco iniziò subito a cercare di liberarsi.
–       Dai ragazzi! Si trattano così gli amici? – disse, cercando d’impietosirci.
–       Sì! Quelli molesti si legano alle sedie! –
–       Volevo solo farmi l’ultimo bicchierino… –
–       Per stasera basta! –
–       Ok… ma adesso devo andare in bagno… –
–       Certo… ed io ci credo! –
–       Se non credi a me, tra poco crederai alla pipì che si diffonderà sul pavimento della tua stanza da letto! –
Mi consultai con Enrico e giungemmo alla conclusione che, il nostro amico, era abbastanza decerebrato da poter compiere un’azione tanto estrema quanto quella di urinarsi addosso.
Lo slegammo e lo scortammo alla porta del bagno come un detenuto di massima sicurezza.
Chiudemmo la porta e tornammo in stanza. Le ragazze non erano tanto avvezze a questo genere di cose e iniziarono a preoccuparsi. Le tranquillizzammo raccontando qualche passata esperienza adolescenziale simile a questa, dove tutto, alla fine, si era risolto con un gran mal di testa mattutino.
Improvvisamente:
–       Aiuto! Aiuto! – sentimmo urlare dal bagno e accorremmo tutti.
–       Marco! Ti senti bene? Marco? – dissi, attraverso la porta chiusa.
Vedendo che Marco non rispondeva iniziammo a domandarci se abbattere la porta o meno poiché era chiusa a chiave dall’interno. Poteva essere successo di tutto e il nostro amico poteva essere in gravi condizioni. Le ragazze dietro di noi, cominciarono a spaventarsi. Specialmente Marta, la sorella, che continuava a chiamare Marco in attesa di risposta.
–       E se fosse svenuto?… –
Improvvisamente sentimmo dei rumori provenienti dalla mia stanza da letto. Tornammo velocemente tutti lì e sorprendemmo Marco mentre tentava di arrivare alla bottiglia di Jack che avevo prudentemente piazzato in alto, sopra una libreria.
–       Gran figlio di una… vieni qui!! –
Lo rincorremmo, lui scappò sul balcone e tornò in bagno attraverso la finestra dalla quale era scappato. “Che mente diabolica!” pensai sorridendo.

Dopo circa un’ora di corse e rincorse, la situazione si calmò. Riuscimmo ad impedire a Marco di vuotare la mia bottiglia di Jack. Ci abbandonammo tutti sui nostri letti, io nella mia stanza e i miei amici in quella del mio coinquilino momentaneamente assente. Come l’avrebbe presa Francesco se avesse visto la sua stanza invasa di ragazzi? In quel momento però, tutte le preoccupazioni riguardo l’ordine e il rispetto delle cose altrui erano annegate in circa un litro di birra che avevo in corpo. Le palpebre erano diventate pesantissime. Colpa forse, dell’attività ginnica che Marco ci aveva costretto a fare. Chiusi gli occhi sperando in una notte tranquilla anche se, in lontananza, avvertivo un fastidioso ronzio che la rovinava.
Era il mio cellulare, ma ormai, ero già tra le braccia di Morfeo.

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