Frammenti di vita #74

ciro letto-2

bei tempi quando sul letto ci facevo altro…

Frammenti di vita #73

ciro studio letto

 

Riassunto delle ultime puntate….

Frammenti di vita #71

ciro letto-2

 

Mi sto lentamente fondendo con il letto…

(Una volta il mio pigiama era verde…. o ne avevo un altro? chissà...)

Seicentoventi (I)

Chiavi Ducati Monster 620

1.

 

La pallina rossa volteggiava nell’aria per poi finire nella mia mano. Girovagavo per la stanza pensieroso. Ero a Milano da pochi giorni e già sentivo il peso della solitudine sulle spalle. L’estate era finita, e, bene o male, qualche cosa di divertente s’era pur rimediato.
Mi sedetti a gambe incrociate per terra continuando a far rimbalzare la pallina sul pavimento.
Non mi sentivo soddisfatto. Avevo gli occhi spenti e l’anima che pulsava come una tenera fiammella al vento, invece di ardere di passione come il suo solito. Avevo una strana angoscia interiore che cercavo di debellare.
Voglia di vivere zero.
Voglia di pensare tantissima.
Guardai le pareti della mia stanza. L’avevo tassellata di fogli appiccicati con lo scotch. Grafici di borsa, tecniche d’investimento, notizie economiche importanti…
Il mondo della borsa mi ha sempre affascinato. E’ un mondo che studio da quando avevo diciotto anni. Cominciò come un gioco e poi cominciò a piacermi giocare con i soldi. Purtroppo in questa società devi rispettare le regole e le regole dicono che devi avere una laurea per far capire agli altri quello che già sai fare. Mi avvicinai a una parete. Era affisso un vecchio grafico dell’andamento del petrolio. Sorrisi nel vedere la quotazione del 2007 prima della crisi. Non ci voleva un genio per prevedere tutto il casino che abbiamo vissuto. Purtroppo nessuno guarda i grafici… sappiamo solo lamentarci!
Afferrai quel foglio e lo strappai dal muro. Strappai anche quello a fianco e l’altro ancora.
Maledetto tempo… ne avessi un po’ di più…
Quell’anno mi ero deciso ad abbandonare la borsa per dedicare più tempo ai miei esami universitari.
Tristezza…
Mi buttai sul letto, circondato dalla miriade di fogli che avevo strappato dai muri.
La mia vita doveva cambiare. Niente più mattinate a scannarci sui mercati. Si passava alla vita dello studente pendolare.
Tristezza…
All’università avevo già dato gli esami più belli, restavano solo quelli noiosi e rognosi prima della laurea. E dovevo darmi una mossa.

Mentre ragionavo sulla mia vita, squillò il cellulare.
Un messaggio.
Mi rigirai nel letto scricchiolando tra i fogli. Allungai una mano per raggiungere il comodino. Afferrai il Blackberry e lessi l’email che m’era arrivata. Era una di quelle email pubblicitarie di annunci. Scorsi la lunga lista di annunci milanesi senza troppa attenzione per poi spegnere e ributtare il cellulare sul comodino.
Rituffai la testa tra i cuscini. Lasciai una mano penzolante a picchiettare il comodino. Respiravo lentamente fino a quando, all’improvviso, ebbi un lampo nella mente. Il cuore iniziò a battere, la fiamma dell’anima si riprese e alzai di scatto la testa per fissare il cellulare. Con un rapido gesto lo afferrai e mi misi a sedere sul letto. Riaprii l’ultima email e la lessi più attentamente. Tra gli annunci ce n’era uno che m’interessava parecchio. Lo lessi.
Cavolo! E’ fantastica! Devo averla!
Alla fine dell’annuncio c’era scritto che scadeva quel giorno. Guardai l’orologio:
19:36
“Chiamalo!” Mi urlò l’istinto.
“Ma ti sei ammattito?” Urlò la mia coscienza.
Così presi da parte istinto e coscienza e gli dissi: mettetevi d’accordo ragazzi!
Dopo una breve colluttazione vinse l’istinto.
Composi il numero frettoloso.
–  Pronto Massimo? –
–  Sì, mi dica… –
–  Ho letto il suo annuncio e… –
[…]

–  Bene… sembra tutto a posto! – gli dissi.
–  Solo che, come hai letto, domani non sarà più disponibile. Quindi, posso fartela vedere solo stasera, se per te non è un problema. – continuò il tipo dell’annuncio.
–  Nessun problema Massimo! Ci vediamo stasera sotto casa mia! –

 

 

continua…

Storia di una casa (#14)

2006/2007

– 14 –

Un improvviso scintillio balenò nei miei occhi. La mente era tutta un fermentare d’idee, trasformazioni e cambiamenti. I pensieri ribollivano come acqua a cento gradi, facendo saltellare il coperchio della pentola su in cima. Con quell’affermazione la proprietaria si era assicurata un’ottima chance di vedersi la sua casa affittata. La donna ci aveva preso in pieno. Forse, saper cogliere negli occhi dei visitatori i loro bisogni, faceva parte del suo bagaglio di esperta affittacamere.
– Possiamo spostare un letto qui e il divano metterlo al posto del letto nell’altra camera… e poi questo va lì… questo va là… –
Portai una mano al mento e, pensieroso, lo pizzicai con delicatezza. Feci qualche passo verso il balcone pesando che quella visuale sarebbe diventata tutta mia, se il progetto della donna avesse avuto un lasciapassare. Voltandomi notai che la proprietaria non c’era più.
– Non sembra poi così difficile da spostare… – disse, parlando dall’altra stanza con una mano sulla testiera del letto. In pochi passi la raggiunsi. – Si… al massimo si smonta e si rimonta. – costatai.
– … e il divano si sposta così com’è. Poi in due dovreste farcela! A proposito, la signora Pina mi aveva parlato anche di un altro ragazzo… –
– Ehm… sì. Francesco. –
– Sai quando arriverà? – chiese dubbiosa.
– In realtà non so niente di lui… –
Spiegai alla donna tutta la storia. Le raccontai del mio dilemma e dell’estenuante ricerca. Lei ascoltava e annuiva silenziosa. Pensava, aspettando il momento giusto per intervenire.
– Quindi sta solo a te decidere. Visto che a lui va bene qualsiasi cosa… – concluse riassumendo in una frase il mio discorso, estraendone il punto cardine della questione, o almeno il punto che interessava a lei. Sì, tutto era nelle mie mani o meglio, nella mia lingua che doveva pronunciare solo una semplice frase. Una proposizione affermativa dotata della giusta sintassi.
Purtroppo proprio non mi usciva facile soffiare al vento quelle parole, cosicché rimandai la questione di qualche ora.

Uscii dall’appartamento sollevato. I miei passi sembravano più leggeri sull’asfalto che fungeva da marciapiede. I pensieri avevano assunto la forma di un piatto d’insalata che mischiava gli ingredienti tentando di amalgamare cibo e condimento. E a spiegazione della metafora il cibo rispecchiava quell’appartamento con le sue stanze e i suoi mobili inerti; mentre il condimento era il dolce sottofondo della descrizione della proprietaria che arricchiva e deliziava di dettagli ogni cosa.
Trovai un parchetto poco distante e quella manciata di panchine faceva al caso mio.
Mi sedetti su una di loro. Un signore anziano, la cui mansione giornaliera era far da balia a un bastardino, mi guardò incuriosito. Dopo qualche istante abbassai lo sguardo sul mio cellulare pensando a quale contatto chiamar prima della mia rubrica
Chiamai la signora Pina… poi mio padre… e poi mia madre; e stranamente le mie parole bisognose di consigli, non seppero far breccia in nessuna delle tre persone. Tutti rimisero la scelta nelle mani di un ragazzo, seduto a gambe incrociate su una panchina in mezzo al verde e al cemento, a chilometri e chilometri lontano da casa. Così non esitai più e lasciai che il mio destino si compisse.

– Ok Signora, la prendo. –

Fine prima parte

Storia di una casa (#13)

2006/2007

– 13 –

Appena la porta si aprì, un bagliore di luce guizzò verso di me. Qualcosa d’ignoto disse al mio piede di muoversi in avanti. Sarà stata la presenza della proprietaria alle mie spalle a spingermi o la maturata familiarità con il luogo a darmi fiducia. Cosicché, senza nemmeno accorgermi ero al centro della sala.
La proprietaria, entrando di soppiatto, mi sgusciò dietro le spalle. Andò verso la porta del balcone e l’aprì. Disse qualcosa che non ascoltai. Ero incantato nell’osservare un piccolo televisore su di un mobile da salotto. Un mobile basso, piano, rettangolare, in legno chiaro. Uno di quei materiali a cui avresti proprio voglia di dare una ridipinta di una tonalità più scura. Ci fissai lo sguardo e poi, come un compasso che poggia la mina sul foglio, iniziai a girare lentamente.
Vidi una libreria disadorna e spartana, dello stesso colore del mobile della televisione. C’era un solo libro su un ripiano e accanto un oggetto cilindrico dall’origine ignota. Tutto il resto era vuoto e niente come una libreria vuota accendeva in me la voglia maniacale di riempirla. Questo istinto cominciai ad averlo da bambino, nel trovarmi spesso a giocare con scatole di cartone inutilizzate.
Il mio cerchio visivo contino’ il suo corso su un tavolo nell’angolo accompagnato da una singola sedia; poi un divano in stile moderno sprovvisto di braccioli sostituiti da due cuscini rotondi. Il tessuto ruvido era di un beige chiaro e la forma del piano di seduta sembrava quella di un materasso singolo. Infatti la donna mi fece notare che lo schienale poteva ruotarsi e il tutto diventare un comodo letto; e continuò il suo discorso allettandomi con l’ipotesi di poter ospitare qualche amico nei fine settimana.
Passai poi al balcone, la cui visuale era ostruita dalla figura della proprietaria e finii con la seconda libreria che costeggiava il mobiletto basso della TV.
– Vieni a vedere la vista che da questo balcone – disse la donna uscendo all’esterno – Si vede tutta la strada da qui! –
– Vedo… – risposi sporgendomi col busto verso il vuoto.
Il parapetto del balcone aveva una larga parte in vetro, riempito da un reticolato di ferro sottile. Pensai che fosse da sciocchi utilizzare un materiale così fragile come il vetro per assolvere la funzione di resistenza e protezione. Sopra di me c’era una piccola tettoia in plastica ondulata e semitrasparente. Sotto di me invece, tanti piccoli tasselli colorati formavano il pavimento del balcone. Sentendo sotto i piedi la sensazione d’innumerevoli pietruzze sconnesse, mi sembrava di essere in una di quelle chiese dell’antica Roma. Più le guardavo e più m’incuriosivano; tutti quei colori spenti e quella casualità originata dall’abile e paziente lavoro di un operaio, mi stupirono. Sembra così facile stupirmi a volte.
E proprio nel mentre in cui guardavo un tassello di color blu notte, capii che la mia visita guidata era terminata. Quella che avevo attraversato era l’ultima porta della casa e il balcone su cui stavo rappresentava l’ultima cosa da visionare in quell’appartamento. Assimilai il pensiero e cercai di chiudere il cerchio mentale che mi ero costruito, riempendolo con qualche futile dettaglio racimolato visivamente qua e là, per guadagnare tempo per riflettere.
– Ed eccoci qua, questa è la casa, come ti sembra? –
– …accogliete e… ordinata! –
– Si… però ha veramente bisogno di una ripulita. Purtroppo è da mesi che non l’abita nessuno guarda qui! – disse la donna calciando un ricciolo di polvere. – Quindi? Cosa facciamo? Traslochiamo? – concluse.
– Aspetti signora! Aspetti! – risposi con un mezzo sorriso. – La casa non è male. Beh… il problema è la camera in comune… ehm… cercavo una singola perché non mi sento a mio agio a dormire con altre persone… –
– Certo… capisco… – borbotto la donna passeggiando per la stanza in modo pensieroso. Poi risollevò il capo e come Einstein colto da un lampo di genio, disse:
– …ho un’idea! E se trasformassimo questa stanza nella tua stanza? –

Storia di una casa (#12)

 2006/2007

– 12 –

La descrizione della casa, prima di volgere al termine, si spostò su una di quelle stanze che spesso i proprietari di case sorvolano nel loro giro d’ispezione: il bagno. Costatai, con uno sguardo del volto e dalle parole pompose con cui la proprietaria pronunciava: l’abbiamo ristrutturato da poco, che quella era una delle stanze di cui essa stessa andava fiera. Negli anni poi, appresi che la parola ristrutturare, in una città come questa, con prezzi e tariffe dettate dalla poca manovalanza disponibile sul mercato, era roba da ricchi.
Comunque sia, il bagno era accettabile. Aveva tutto il necessario piantato nel posto giusto. Ovviamente il concetto di doccia tardava ancora a radicarsi nella mentalità e nelle case di antica generazione di cui Milano era piena. Se volevo viver lì, dovevo abituarmi ad assolvere il mio bisogno di pulizia in quel surrogato di lavaggio verticale.
– …e qui c’è la lavatrice. Tutto chiaro? –
– Si… tutto chiaro… –
– Bene… passiamo al ripostiglio, è proprio qui, dietro questa porta –

La donna, dopo aver aperto la porta dello stanzino, si scansò di lato per permettermi di osservare. Lo spazio era poco e per affacciarmi all’interno, mi trovai con la parte destra del corpo, quasi a contatto con la signora di mezz’età, diventata ormai il mio Cicerone. Di solito mantengo una certa distanza, sia con gli estranei sia con le persone in generale. Il contatto fisico lo cerco poco relegandolo marginalmente ai saluti convenzionali come le strette di mano. E lì stavo osando. Stavo oltrepassando una linea che il mio istinto non poteva sopportare ancora. Mi tirai indietro da quello spazio. Mi allontanai con garbo dalla donna e sorrisi annuendo, dando l’impressione di aver osservato ogni minimo dettaglio.
Cosa non vera, data la mia scarsa memoria di quel momento.
La proprietaria tirò un sospiro di sollievo e disse: Eccoci giunti all’ultima stanza, il salotto.
In quel momento ebbi la sensazione di essere su una meravigliosa giostra rotante nell’istante in cui il giostraio pronunciava l’unica frase che un bambino non vorrebbe mai sentire: ultimo giro!
Anche se non sapevo ancora se quella sarebbe diventata casa mia, quel tour guidato casalingo mi era piaciuto parecchio. Si vedeva che la donna aveva esperienza di affitti, di certo arricchita dalla sua acutezza e precisione.

…E rullo di tamburi, l’ultima porta s’aprì.
Si presentò davanti a me ciò che pensai essere la vera chicca della casa, checché ne dicesse e ne pensasse la proprietaria. E questa volta, fui il primo a entrare…

Storia di una casa (#11)

2006/2007

– 11-

La porta si aprì e davanti a me si presentò il posto, dove avrei dovuto passare le mie notti, spesso insonni, per gli anni a seguire. La proprietaria, come ormai di consueto, si fiondò verso il confine della stanza. Col suo movimento repentino, cercò di calamitarmi a sé; spingermi a entrare nell’ambiente; a osare ciò che la mia timidezza m’impediva.
– Apro un po’ la finestra… – disse – faccio entrare un po’ d’aria! –
E dopo aver sbrigato le dovute manovre percependo che il mio sguardo era l’unica cosa che riusciva a calamitare, m’indicò, stendendo il braccio e poi un dito, i tre protagonisti della stanza.

– Come vedi ci sono tre letti… sono abbastanza nuovi e tutti Ikea… li abbiamo cambiati da poco perché gli altri… – e si addentrò nella storia passata di quella casa che le mie orecchie proprio non volevano sapere. Era un po’ come raccontare la sorpresa che si cela in una di quelle uova di pasqua da quattro soldi. Credo che nessuno voglia sapere cosa sia. Si preferisce restare nell’oblio dell’ignoranza per generare la fede e la curiosità in qualcosa di buono.

Era questo che pensavo in quel momento, volevo tener lontane le storie passate di qui, per formare nella mia testa un’idea tutta mia di casa.
Poi pensai al vero problema del momento: quei letti erano troppi.

– In passato ho affittato questa casa a tre persone per volta… – disse mentre il mio sguardo basso fingeva di osservare dei grossi cassettoni sotto i letti per mascherare il mio disappunto.
Sarebbero stati troppi due coinquilini, e soprattutto non sapevo nemmeno dove andarli a cercare in questa nuova città. L’unica possibilità che avevo, era il ragazzo che aveva contattato la signora Pina per me. Di cui non conoscevo praticamente ancora niente. Ma ragazzo o non ragazzo, quei letti erano troppi lo stesso e avrei voluto tanto buttarne uno giù dal balcone per sistemare la cosa.
La donna però, sembrò leggermi nella mente, e, per salvaguardare l’incolumità del suo letto in più, disse: – … poi a me non interessa quante persone affittano l’appartamento… possono essere una, due o tre! –

– Quindi… – fiatai lasciando passare qualche secondo. – …anche due persone le andrebbero bene? – chiesi con la dovuta calma.
– Ma certo! Poi, ovviamente l’affitto lo dividete in due! –
Questo era scontato, pensai, mentre portavo a casa una magra consolazione: abitare con meno persone possibili.

L’altra battaglia invece, che in quel momento avrei sicuramente perso, era quella di ottenere una stanza tutta per me. In tasca però, al riparo da occhi indiscreti, tenevo le dita incrociate su quell’idea che mi frullava per la testa e che non aveva ancora una base su cui appoggiarsi.
Dovevo finire di vedere il resto della casa prima di avanzare le mie proposte.

Passai oltre e misi un punto temporaneo a quei pensieri. Ora toccava alla proprietaria sapermi vendere quella stanza per far salire il suo voto in pagella.
– Come vedi, c’è il parquet qui… Lo fece mettere mia suocera… anni fa ormai. Ho sempre detto ai ragazzi e alle ragazze che hanno abitato in passato, di stare attenti a pulirlo… il legno è molto delicato… –
Solo allora notai che il pavimento era formato da tasselli di legno incastrati in forme geometriche regolari. Non avevo idea di come si pulisse un parquet, e a pensarci bene non avevo la minima idea di come si pulisse un pavimento in generale. Ma questi, sarebbero stati problemi futuri.

– …e infine… c’è un armadio a tre ante che, se andava bene per tre persone, figuriamoci per due! –
E figuriamoci per una! Pensai con un po’ di malinconia e desiderio mentre la donna ultimava il suo lavoro in quella stanza.

L’articolo 140 (parte VI)

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“Lo studente si girò disorientato. La cercava, ma aveva perso le sue tracce. Dov’era quella ragazza senza nome? Dov’era andata a finire? Non si perse d’animo e iniziò a correre, lungo il buio, verso l’infinito. Il paesaggio non esisteva. Tutto era nero intorno a lui… eccetto per quel corridoio di mattonelle sotto i suoi piedi. Niente mura ne ostacoli. Solo buio e pavimento. Cosa c’era alla fine del corridoio? Dove sarebbe arrivato? E soprattutto… era la strada giusta? Fece un passo in avanti ma una mano gli afferrò la spalla. Lo studente si girò di scatto e la vide. La mente si schiarì e tutto il buio si dipinse di toni accesi come a festeggiare la sua felicità. La guardò negli occhi. Quegli occhi limpidi e belli, così neri da riflettere i suoi. Non ci vollero parole per capire che entrambe le labbra desideravano un bacio.
E si avvicinarono con la lentezza di un respiro profondo… si sfiorarono… e…”

Biiiiiiip Biiiiiiiip Biiiiiip

– Ma chi cazzo è? – Con una mano tastai alla vaga ricerca del cellulare sul mio comodino. Caddero penne quaderni, fogli, libri… di tutto, ma quel dannato cellulare non c’era.

Biiiiiiip Biiiiiiiip

Ascoltai meglio e capii che il suono proveniva dalla tasca dei miei jeans. Infilai una mano in tasca e premetti il tasto di standby. I miei occhi erano ancora pieni di sonno. Crollai di nuovo sul cuscino cercando di riprendere quel magnifico sogno. Ma stavolta niente… era tutto perduto. Mi limitai ad oziare un po’ rigirandomi nel letto e rendendomi conto che avevo dormito completamente vestito. Afferrai un cuscino e lo schiacciai sulla testa perché Milano m’infastidiva con i suoi rumori da orari di punta.
– Voglio… svegliarmi quando voglio… da tutti i miei sogni… voglio trovarti sempre qui… ogni volta che io ne ho bisogno… – iniziai a cantare sotto il cuscino, ancora intontito dal sonno.
“Succeda quel che succeda… ma stamattina non mi va proprio di svegliarmi…”
Tolsi il cuscino dalla faccia e presi una gran bella boccata d’aria.
“Ma perché è scattato un alert se ieri non li ho impostati? Mha…” Dubbioso guardavo il soffitto e pensavo… Pensavo che la doccia era un ricordo preistorico ormai.
“E se non era un alert?” Sgranai gli occhi e tirai fuori all’istante il mio cellulare dalla tasca. Dalla fretta sbagliai più volte il codice di sblocco.
– Cazzo! Oggi è il 15! Devo dare l’esame!! E sono maledettamente in ritardo! –
Scesi dal letto e mi guardai intorno decidendo quale azione compiere per prima. Andai al pc ad osservare la borsa. Era un esame si… ma i soldi vengono sempre prima di tutto.
Male… molto male. Mi morsi un labbro mentre guardavo quelle quotazioni sprofondare sempre più in basso. – Perché? Ditemi perché!? – dissi nervosamente ad uno schermo muto. C’è sempre un perché nelle cose! Soprattutto in finanza! L’unica regola… è conoscerlo prima degli altri. Chiusi tutto e andai verso l’armadio. “Cosa mi metto? La solita mise da bravo ragazzo intellettuale e un po’ sfigato? Ai professori piace tanto… Naaa… che cavolo me ne fotte! Jeans strappati, maglietta nera, polsino, anelli, borchie e un crestone da paura!” Sembrava che dovessi andare a un concerto. Cercai il libretto universitario nella libreria evitando di calpestare i libri per terra e i frammenti di vetro del bicchiere. Misi tutto in una borsa e portai anche una Burn… “Non si sa mai…”

Scesi in strada e arrivai in piazza passando a malincuore davanti al Bar Bahia senza fermarmi. Alla mia destra c’era la metro… a sinistra la stazione dei treni. Guardai l’orologio sul cellulare.
“Non ce la farò mai! Sono troppo in ritardo! Ci vuole qualcosa di più veloce!”
Poco distante c’era una piazzola di taxi. – Bingo! – dissi avvicinandomi velocemente alla prima macchina in fila.
– Libero? –
– Certo… –
Salii in macchina e il tassista mise in moto chiedendomi la destinazione.
– Via…. –
Gli dissi il nome della via e lui per conferma mi chiese: – Dove c’è l’università? –
– Si certo! Sto andando proprio lì! –
– E scusami la domanda… ma ci vai in taxi all’università? – mi chiese.
– Guardi… è una lunga storia… e sono maledettamente in ritardo per un esame! –
Intanto che la macchina andava, cacciai dalla borsa i miei appunti di diritto. Li sfogliai rapidamente mentre il tassista accese la radio.
“Allora… questo lo so… questo anche… questo speriamo che non me lo chieda…”
Presi il cellulare e guardai l’orologio.
“Cavolo! Dai dai dai!” e mentre incitavo mentalmente l’autista focalizzai l’attenzione sulla radio.
Violente proteste in Grecia per la grave crisi che la sta colpendo. Numerose le persone davanti al parlamento che inneggiano alle dimissioni del governo. Il premier Papandreu però, opta per il rimpasto dei ministri, affidando a….
A quelle parole mi s’illuminarono gli occhi. “La Grecia… l’euro… crisi… ma certo!”
Aprii il programma di borsa sul mio cellulare. Mentre caricava pensai a ciò che stavo per fare… vendere!

Vendere in borsa, non ha sempre lo stesso significato che gli diamo noi comuni mortali. Il termine ci porta al concetto che “vendo una cosa che ho, a qualcuno” ma se quella cosa non l’avessi e la vendessi comunque? In borsa si chiama short selling. Ovvero, vendi ciò che non hai. L’unica regola è… che prima o poi devi comprare ciò che hai venduto sperando di comprarlo a un prezzo più basso e guadagnare sulla differenza.
Esempio: vendo a 100… il prezzo scende a 30 e compro = 70.

“Vendere vendere vendere!”
Puntai il massimo. Tutto quello che avevo… fino all’ultimo centesimo. Prima di premere invio pesai che una mossa contraria mi avrebbe polverizzato il capitale. Chiusi gli occhi… e schiacciai.
– Eccoci qua… – disse il tassista fermando la macchina. – Sono 14 euro e 30 –
Controllai il tassametro e aprii il portafoglio. Dissi addio ai miei tanto amati 15 euro.
– Tenga il resto… – dissi e scesi frettolosamente.
Entrai nell’atrio e corsi verso la bacheca per sapere in che aula dovevo andare.
“Aula 9”
Mi ci fiondai e spiai dai vetri prima di entrare. C’erano un centinaio di studenti disposti a caso nei banchi. La commissione non c’era ancora. “Bene!”
Entrai e mi sedetti. Tirai fuori i miei appunti. Volevo ripetere qualcosa ma non ci riuscivo. Chiusi il blocco e cacciai la mia Burn. Iniziai a bere.
Entrò la commissione dalla porta sulla destra. I professori sembravano allegri a giudicare dal loro parlottio cordiale. Si sedettero dietro le cattedre ed ognuno cominciò a chiamare il suo gruppo di studenti.
Accanto a me sedeva una ragazza. Era molto nervosa e continuava a ripetere e ripetere. Era rossa in viso e si sfregava le mani. Era ansiosa e vederla metteva ansia anche a me. Guardai la mia professoressa che esaminava un ragazzo. Non sembrava “cattiva” ma le sue domande a volte potevano esserlo. Il ragazzo tentennava. Biascicava definizioni a volte campate per aria. La professoressa sorrideva e riferiva all’assistente a fianco le minchiate che stava sparando il ragazzo. Non riuscivo a sentire bene, ma l’argomento era la magistratura. Infine la professoressa lo congedò restituendogli il libretto in bianco. Fu la volta di una ragazza. Questa andò un po’ meglio e il suo esame durò una ventina di minuti. Bevvi l’ultimo goccio della mia Burn. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla cattedra. Era il suo turno. Aveva un volto quasi terrorizzato come se la professoressa fosse stata una delle peggiori torturatrici uscite da un film di Tarantino. Matricole… Presi il cellulare e guardai l’orologio era quasi un ora che aspettavo. Aprii il software di borsa ma non feci in tempo ad osservarlo che sentii pronunciare il mio nome. Alzai la testa e risposi:
– Eccomi! – Misi il cellulare in vibrazione e avanzai verso la cattedra.
– Vada dalla mia assistente… la esaminerà lei… – mi disse la professoressa.
Mi sedetti di fronte a questa mora di mezz’età.
– Allora? Cominciamo? – dissi. Volevo togliermi di mezzo questo impiccio.
– Certo! Mi parli della Costituzione… –
“Fantastico” pensai. Della Costituzione sapevo ogni cosa. Merito dello studio… ma anche dei miliardi di telegiornali e dibattiti politici che fui “costretto” a vedere per colpa del monopolio televisivo di mio padre quando ero piccolo.
– La Costituzione italiana fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Entrò in vigore dal primo gennaio del ’48 e… –
Parlavo speditamente. Ma a un certo punto sentii la mia tasca vibrare. Qualcosa in borsa era successo. Avevo piazzato gli alerts e uno di questi mi stava avvertendo.
– Chi è che può cambiare una legge della Costituzione? –
– Il parlamento attraverso un procedimento aggravato di revisione costituzionale… –
Mi vibrò ancora la tasca. Pensai agli alerts che avevo piazzato e a che livello fossero.
– Perché aggravato? –
– Perché è necessaria una doppia votazione da entrambe le camere a distanza non inferiore a tre mesi… –
“Ma certo! Avevo piazzato gli alert solo per avvertirmi dei guadagni! All’eventuale perdita non c’avevo nemmeno pensato!
– Ecco, ora mi dica di cosa parla l’articolo 140 della Costituzione. –
Sorrisi a quella domanda. Quella professoressa mi piaceva.
– Mi spiace prof… ma la mia Costituzione si fermava al 139… se il 140 l’hanno approvato stamattina, prima che venissi qui… beh.. non sono aggiornato! –
La professoressa sorrise perché avevo scoperto la sua domanda trabocchetto. Prese il mio libretto, scrisse il voto e mi mandò via.

Uscii fuori con il cellulare in mano. Digitai la password per entrare nel programma. Guardai il mio portafoglio virtuale e mi trattenni dall’urlare dalla felicità.
– Si cazzo! Il mio istinto aveva ragione! –
Chiusi tutte le posizioni e trasferii i soldi sul mio conto di risparmio. Chiusi il programma e mi sentii sollevato. Composi un numero di telefono.
– Pronto Enzo… –
– We Ciro! Che fine hai fatto? Sono secoli che non ti fai sentire! –
– Eh, lo so… è che in questi giorni ho avuto un po’ da fare… ma lasciamo perdere… pensiamo a cose importanti invece…
dove andiamo in vacanza? –

 

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