Storia di una casa (#37)

Storia di una casa 37 blog

2007/2008

– 37 –

Nell’aria volteggiava qualcosa di strano. Frammenti di destino sembravano volersi ricomporsi davanti a me. In realtà, era banale pulviscolo che rifletteva i raggi del sole, ma, in quel momento, sembrava qualcosa di magico. La telefonata di quella ragazza mi aveva riacceso l’animo. La sua determinazione si era trasferita da lei a me. Avevo ripreso le speranze di adempiere al mio obiettivo… e non era ancora detta l’ultima parola.
“Com’è che si chiamava?”
Cercai di ricordare il suo nome ma la memoria faticava a ricapitolare tutta la chiamata. “Prima o poi dovrò far qualcosa per questo problema con i nomi!”
Tornai nella mia stanza per cambiarmi d’abito. Non potevo presentarmi in uno stato casalingo a una ragazza sconosciuta. Mentre infilavo i calzini, con la maestria di uno scimpanzé, mi cadde l’occhio sulla foto della mia ragazza sull’ultimo ripiano della libreria.
“ah… giusto…”
La piccola amnesia sulla mia situazione sentimentale era venuta alla luce proprio in quel momento. La mia ragazza non avrebbe di certo visto di buon occhio una convivenza mista in questo appartamento. Mi rinfacciava ancora il giorno in cui vennero a trovarmi i miei amici, tra i quali, due di sesso femminile.
E stettero solo pochi giorni! Pensa a dover vivere un anno intero insieme con una ragazza che nemmeno conosco!
“Me lo rinfaccerà a vita!” dissi, prendendo in mano la foto di Francesca.
Quella foto la ritraeva su una terrazza che affacciava su piazza duomo, a Milano. Gliela scattai nei primi mesi della nostra storia. Quando era tutto idilliaco e intatto e una semplice foto poteva riassumere un’intensa storia.
“Tanto non l’affitterà… tranquilla… sarà un altro buco nell’acqua!” dissi alla foto che sembrava aver mutato il suo sguardo da amorevole a minaccioso.

Guardai l’orologio. Mancava meno di mezz’ora all’appuntamento. Decisi di prepararmi un té. Riempii una tazza d’acqua e l’infilai nel forno a microonde. Mi sedetti al tavolo della cucina in attesa che il timer squillasse. Ma a squillare fu il cellulare.
– Pronto… –
– Ciao Ciro come va? –
La voce della proprietaria mi mandò in ansia.
– Bene… –
– Con l’affitto come siamo messi? –
– Beh… non male… ho un appuntamento tra poco… – risposi tentennando.
– Speriamo bene… tra poco inizia ottobre e non vorrei che la casa resti mezza sfitta. –
– Certo… non si preoccupi! Troverò qualcuno! –
– Va bene! Sono nelle tue mani! Aspetto tuoi aggiornamenti! Buona serata. –
– Anche a lei… –
Chiusi il telefono lentamente. Feci misero sospiro di sollievo come quando al liceo la professoressa di filosofia mi poneva domande sulla metafisica ed io rispondevo con una serie infinita di frasi inventate. Volsi lo sguardo al cielo chiedendo aiuto a chissà chi.
Intanto il microonde squillò presi la mia tazza di tè bollente e avvicinai le labbra per soffiare e gustarmi l’aroma dolce del Twinings alla vaniglia.

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (VII)

Passante Porta Venezia

(Foto personale)

Annalisa è un’insegnante di scuola media e svolge questa nobile professione in una scuola del milanese, insieme alla sua amica Lia. Non domandatemi come faccia una come lei a insegnare geografia o italiano a dei poveri studenti annoiati; so solo, (e ne sono certo) che quei preadolescenti passino il tempo a odiarla e amarla allo stesso modo. Del resto, anch’io l’avrei fatto.
Quell’anno, l’insegnante vintage/indy, s’era accaparrata le ferie per l’ambitissimo ponte dell’immacolata. Cosa che non era stato possibile per la sua collega.
Quindi, Lia, in quel momento, era bloccata a lavoro.
Guardavo Anna, mentre camminavamo nel sottopasso della stazione di Porta Venezia. Cercavo di capire a cosa pensasse quella mente incomprensibile. Di solito non ci voleva tanto. Si trattava di capire di cosa stessero discutendo gli unici due neuroni che aveva.
–  Anna… che facciamo? – le chiesi.
Anna si fermò. Si guardò intorno. Cacciò il telefono dalla borsa e compose un numero.
Iniziò a squillare. Me lo porse…
–  Tieni… sto chiamando la segreteria della scuola. Inventati qualcosa per far uscire Lia. –
–  Anna! Ma sei seria? Anna no! Cazz… Pronto è la scuola media *******? Salve. Avrei bisogno di parlare con la signorina Lia ****** è una emergenza. Grazie. –
“Attenda un attimo”
–  Anna ma sei pazza! – dissi sottovoce alla mia amica, gesticolando come un babbuino.
–  Shhh che ti sentono! – rispose
“Pronto chi è? Che è successo?”
Al telefono si sentì una voce femminile. Era Lia. Anna prese il telefono e lo portò al suo orecchio.
–  We, Lia. Ciao. Tranquilla non è successo niente! – rise.
–  Non ancora… forse un omicidio tra poco! – aggiunsi
–  Senti, ti ho preso il biglietto per scendere. Partiamo tra un’ora. –
“Tu cosa? Anna io sono a scuola!”
–  Su esci! Inventati qualcosa! Dai! Ti aspettiamo all’uscita del passante di Porta Venezia, tra un quarto d’ora! –
click
Annalisa ripose il telefono in borsa con estrema calma e mi guardò.
–  Secondo te ce la farà? – mi chiese dubbiosa.
Non risposi. Le presi una ciocca di capelli e iniziai a tirarla.

Poco dopo ci raggiunse Lia. La scuola non era lontana da dove ci trovavamo. La vidi arrivare tutta concitata. Affannata. Chissà cosa si era inventata per uscire. Non volevo saperlo. Non volevo altre grane quel giorno. Volevo tornarmene a casa e cercare di recuperare qualche ora di sonno in un comodo letto. Ero distrutto. Avevo un aspetto orribile. Annalisa aspettava di fianco a me. Guardavamo Lia raggiungerci. Notai però, qualcosa di strano nel volto di Lia. Qualcosa che mi diceva che quella giornata non sarebbe finita lì.

–       Ciao ragazzi! – ci salutò Lia.
–       Ciao tesoro! – rispose Annalisa con un bacio.
La salutai anch’io. Mi sentivo un tappo tra di loro nonostante il mio metro e ottanta. Entrambe erano alte e slanciate. Lia, dopo aver scambiato i soliti convenevoli con Annalisa, abbassò lo sguardo infilando la mano nella borsa.
–       Anna, sono uscita da scuola con una scusa orribile che nemmeno ti spiego! Ma… – disse Lia.
–       Ma?! – dissi in sincrono con Anna.
–       Beh… mi ero dimenticata che, nell’ora precedente, avevo sequestrato due cellulari ai miei alunni… e… non posso portarli con me! E non posso nemmeno tornare a scuola! Come facciamo? –
–       Neanche io posso tornare a scuola! Ho inventato una scusa peggiore della tua per uscire! – rispose Anna.
A quel punto, prevedendo già come sarebbe andata a finire la cosa, feci un paio di passi indietro, come chi cerca di fuggire da un animale pericoloso senza farsi sentire.
Le ragazze, dopo essersi guardate negli occhi per un paio di secondi, si ricordarono della mia presenza e si voltarono all’unisono verso di me.
Spaventato come se la mia finta fuga fosse stata scoperta, alzai le mani in segno di resa dicendo:
– No, Ragazze! Non ci pensate nemmeno! Io non ci vado in quella scuola! –

continua…

Weekend finanziario (V)

Rimini ruota panoramica-56

Foto: Ruota Panoramica Rimini 2013

La fresca aria di fine maggio entrava da uno spicchio di finestrino lasciato aperto dal signore in taxi seduto davanti a me. Il tassista spense la radio e con fare calmo si districò da un piccolo ingorgo all’incrocio con la via principale. Di solito i tassisti son di due tipi: estremamente loquaci o estremamente silenziosi. Quello che mi era capitato quel giorno era del secondo tipo. Quindi, sia io che lui apprezzavamo il per niente imbarazzante silenzio che si era venuto a creare. Purtroppo però, non era dello stesso avvisto il signore a cui avevo dato, per modo di dire, un passaggio. Il nostro silenzio veniva continuamente stralciato con i suoi commenti futili o il continuo descrivere di ogni suo movimento.
Questo qui ha proprio voglia di parlare. Pensai mentre giochicchiavo con il cellulare.
–       Mi chiamo Alberto. – disse rivolgendosi dietro, verso di me, per darmi la mano.
–       Ciro… piacere. –
–       Anche tu all’ITforum? Come sei giovane! –
–       Mi porto bene i miei 26 anni… che non sono pochi… –
–       Beh… rispetto ai miei 56. Ce ne passa! –
–       Li porta bene anche lei. – ora faccio il galantuomo con tutti?
Alberto seguitò a parlare chiedendomi di sfornargli qualche dettaglio in più sulla mia alquanto breve vita. Capii che le sue erano semplici domande di cortesia quando, di punto in bianco, nel bel mezzo di una mia risposta, iniziò a parlare di sé.
Raccontò che la passione per il trading gli era venuta da qualche anno, quando un fantomatico professorone di una nota città gli aveva fatto conoscere i Certificates.
Quanto sentii quella parola portai gli occhi al cielo, scuotendo la testa in senso di disapprovazione. Approdare nella finanza con prodotti, in apparenza semplici ma dalle dubbie qualità, non la ritengo una scelta saggia. Ovviamente Alberto, seduto sul sedile passeggero, non vide il mio gesto e seguitò a decantare le qualità del prodotto all’ignaro tassista che annuiva compiaciuto. Alberto gli stava trasmettendo la speranza di ricchezza che gli aveva trasmesso qualche guida letta per caso su internet.
Quando iniziò a elencare i diversi Certificates che aveva intenzione di comprare o peggio, che aveva già comprato, trovai la conferma alla mia sempre presente teoria che la borsa dovrebbe essere interdetta agli incapaci, un po’ come si vieta di guidare ai ciechi.
Alberto era inarrestabile e il tassista sempre più incuriosito.
Ma alla frase: – Non capisco perché le persone non acquistino questi prodotti sicuri invece di altri… – decisi di intervenire.
–       Signor Alberto, mi scusi se mi permetto, ma per il mio modestissimo parere, i Certificates, sono un grande specchietto per le allodole, nella maggioranza dei casi. –
Alberto si girò per guardarmi in faccia e scrutare qualche smorfia di scherno. Invece ero serissimo e stavo cercando di evitargli qualche errore finanziario futuro.
–       Ad esempio quel Certificates sull’indice FTSE che se tocca i 18000 entro settembre e bla bla bla, è una grossa presa per il culo! Se uno guarda un minimo il grafico dell’indice, può capire subito che l’Italia dovrebbe fare i salti mortali per arrivare a quella cifra! Quindi quel Certificates non pagherà mai! –
Alberto continuava a fissarmi stranito e anche il tassista l’avrebbe fatto se avesse potuto. Continuai il mio discorso con:
–       …per non parlare dei Certificates sul prezzo delle azioni! Ah… quelli sì che mi fanno sganasciare! Cioè, LEI Banca mi vende un Certificates sul prezzo delle SUE azioni, quando a LEI banca basta uno starnuto per influenzare la quotazione e quindi annullare tutto? –
Il taxi era arrivato a destinazione. Il signor Alberto guardò la stazione di Rimini davanti a se. Era visibilmente rimasto scioccato dalle mie dure parole di critica. Voleva controbattere per continuare il discorso. Purtroppo il tassametro scorreva ed io continuavo a fissarlo.
–       Dia retta a me… lasci perdere quei cosi… – gli dissi mentre stava per scendere.
–       Mah… – pronunciò flebilmente.
–       …e buon viaggio! – lo congedai e il taxi ripartì.

Il tassista, trovatosi ormai in confidenza, scambiò con me ulteriori commenti sull’economia in generale, sulla recessione e sull’incerto futuro italiano. Ovviamente anche lui aveva la solita visione distorta e amplificata dai media che porta tutti al malcontento. Mi limitai ad assecondarlo per non alimentarla, cercando disperatamente una scorciatoia per cambiare discorso.
–       Dove posso andare stasera? – gli chiesi, – Dato che sono da solo qui a Rimini? –
–       Beh… un posto molto carino e molto vicino al tuo Hotel è il Coconuts… –
–       Interessante… cos’è? – chiesi
–       Una discoteca molto famosa. E’ sempre pieno la sera, ci va parecchia gente, anche in questi periodi. –
Vidi il profilo del mio albergo sempre più vicino. Il taxi era giunto a destinazione. Afferrai la borsa e pagai il tassista.
– Tieni, prendi questo, è il bigliettino del locale… così non ti perderai! –

Galleria d’Arte ##30

Il quadrato nero Kazimir Malevich

Quadrato nero 1915 di Kazimir Malevic

“Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l’embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente.
E’ il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporterà un contributo culturale fondamentale alla pittura….”
Lettera di Malevich a Matyushin

Malevich fu imprigionato da Stalin poco tempo dopo aver dipinto il quadrato nero.  Stalin fece di tutto per distruggere il quadro. Quel quadrato e ciò che rappresentava era in controtendenza con i dogmi dell’arte Russa del regime Stalinista.

Un banalissimo quadrato nero.

A volte la banalità ha un significato maggiore della razionalità

Galleria d’Arte ##29

Emily Dickinson Un sorso di vita poesia

Studiando , a volte, si fanno fantastici incontri. Foto: Libro di Microeconomia

Ho bevuto un sorso di vita

Sapete quanto l’ho pagato?

Un’intera esistenza

Mi hanno detto che questo è il prezzo di mercato

[…]

Emily Dickinson

 

Galleria d’Arte ##28

47* posto della classifica dei 100 migliori film americani

“Posso aiutarla?”
“Devo prendere un tram che si chiama desiderio…”

Un tram che si chiama desiderio-4

Un film molto interessante. Due storie diverse che s’intrecciano, finendo, poi, per scontrarsi. In pieno clima americano anni ’50, in una New Orleans operaia e lasciva.

Ho apprezzato tanto il modo in cui è stata delineata la storia; stesa sullo schermo con la stessa semplicità con cui si stende un tappeto rosso. Mi sono sentito in qualche modo rispettato dal film, che mi concedeva, man mano che scorreva, dettagli preziosi per accrescere la mia curiosità. La trama parte lenta e tranquilla con questa appariscente donna bionda che aspetta il tram. E’ il ritratto della felicità, capelli in ordine, vestito alla moda, borsetta. Nulla lascia trasparire dai suoi occhi. Sembra sia nata in quel momento, senza passato. Va a trovare la sorella, e per farlo, prende questo tram che si chiama Desiderio.

La sorella è la perfetta antitesi. Sia nell’aspetto che nel carattere. Vive con suo marito Stanley in un “tugurio” di casa.

Pian piano la trama s’infittisce. I vari caratteri dei tre personaggi principali escono fuori.

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Blanche, la bionda viaggiatrice, che maschera con un viaggio di piacere una missione per la propria redenzione dai suoi problemi: alcol e sesso.

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Stella, la perfetta massaia americana. Insicura come un filo d’erba e facilmente plasmabile. Tenera e apprensiva con tutti.

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Stanley è il marito. Interpretato da una magnifico Marlo Brando (ma doppiato barbaramente in italiano, come fosse un documentario) Ha un carattere burbero e rozzo. Divide le sue giornate tra lavoro e partite al poker con gli amici.

Ora il film inizia a correre…

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La trama, eccetto lo sketch iniziale, sembra discostarsi molto dal titolo. Solo dopo una seconda visione feci caso a piccoli dettagli, come il rumore di un tram in sottofondo in alcune scene concitate del film.

Stanley sprigiona subito tutti i brutti lati del suo carattere. Sempre padrone di se e della sua casa nonostante la presenza estranea della sorella della moglie. Sente da subito puzza di marcio in quella ragazza dalla pelle liscia e candida. Qualcosa non quadrava in quella visita inaspettata e decise d’indagare sul suo passato.

Intanto Blanche fa la conoscenza degli uomini del vicinato. Si fa ammirare, corteggiare, adorare. Tratta tutti con sottigliezze provenienti dalle sue molteplici letture poetiche. Non cede a nessuna corte fino a quando, resasi conto che un uomo sarebbe stato il modo migliore di cancellare il passato, concede a Mitch, amico intimo di Stanley, una possibilità.
Ma appena Stanley scopre il tormentoso trascorso della donna, va subito a riferirlo al suo amico. Sicché, la situazione si fa pesante. L’alcol inizia ad abbondare nella bocca di tutti. Le parole, i gesti, le urla, la violenza, portano scompiglio nella piccola casa della dolce Stella; e quest’ultima, stanca di tutto ciò, scappa nascondendosi dall’amica al piano superiore.
Qui, Stanley, ripresosi dall’alcol grazie ad una doccia fredda, capisce che la sua donna è scappata via. La sua amatissima Stella.
Non può perderla. Non può permettere che accada.

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Un tram che si chiama desiderio-1

“Voglio la mia Stella” grida
“Hey Stellaaa” grida ancora; e lo farà fino a quando non la vedrà scendere da quelle scale.
Stella, dopo un attimo d’esitazione, lo stringe forte tra le sue braccia. Sa che quell’uomo è il suo veleno… ma stranamente non può farne a meno.

(Film: Un tram che si chiama desiderio, 1951, Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter)

Weekend finanziario (III)

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Foto: Piattaforma multimonitors Banca Sella

Rosso… Tutto decisamente e profondamente in rosso!

Giornata negativa.

E la colpa non era nemmeno nostra. Il vento di negatività arrivava dall’oriente. Dal Giappone. Tokio ci stava dando delle belle grane. Lei e la sua politica monetaria “stampaechissenefrega”. Davvero cazzuti i Giapponesi. In barba a qualsiasi teoria economica si son messi a stampare banconote come se non ci fosse un domani, nel vero senso della parola. Dall’altra parte del mondo, invece, gli Americani impiegarono mesi e mesi per definire il loro Quantitative Easing e finalmente elargire liquidità gratis a tutti. Noi invece, indovinate un po’? Una manovra del genere non ce la possiamo nemmeno sognare. Sembra che la strategia della nostra ripresa sia improntata sull’attendere il fallimento degli altri.

Purtroppo però, l’effetto contrario del far piovere soldi dal cielo, oltre la sicura inflazione, è che la borsa, prima o poi ti risponde con un ancora più cazzutissimo -7%, come quella mattina. Forse per i Giapponesi potrebbe essere normale, ma da noi, già un -3% è da panico generale con titolone in prima pagina.

Vista la giornata negativa, immaginai le varie ipotesi di gioco che avrebbero potuto intraprendere i traders. Scrutai i loro volti e capii che avevano già iniziato ad operare.
L’avevo intuito dalle loro espressioni facciali mutate. Lo studio del linguaggio del corpo mi ha aiutato parecchio a capire le persone. Il trader polacco continuava a strizzare le labbra, tipico segnale di stress.  L’italiano a fianco si grattava il mento e l’altro, con molta enfasi, sbadigliava e si stiracchiava. La regia, dietro di me, mandava le immagini dei monitors dei vari trader sul proiettore. Molti erano in negativo, altri in positivo. il polacco aveva messo a segno una buona operazione e una bella freccia verde era stampata accanto alla sua immagine. Un ragazzo italiano stava rischiando grosso, -13%, chissà quanto sarà stato, in percentuale sul suo conto. Una bella botta comunque.

So bene cosa vuol dire aprire una posizione e poi questa ti va in perdita. Succede ad ogni trader. E qui che entra in gioco la vera bravura del trader che, non sta tanto nel guadagnare soldi, (a farlo siam bravi tutti, basta comprare a poco e vendere a tanto, come mele al mercato) quanto nel saper uscire da situazioni difficili. Quando il mercato ti va contro, e le tue mele sono marce. Cosa fai? Tutto sta nel riuscire a piazzare un buon prezzo di vendita, mele o azioni che siano. Intanto però, ti ritrovi lì, a fissare il tuo bel segno meno davanti ai tuoi soldi. Quanta freddezza ci vuole a mantenere il sangue freddo per prendere la giusta decisione? Tanta! E l’ho imparato a mie spese.

Per ammazzare il tempo e distogliere un po’ l’attenzione dalla sfida, sfogliai il depliant del programma della sala in cui mi trovavo. Lessi che il trader polacco dava un seminario sulle sue teorie basate sui cicli lunari. Ma che cazz..? pensai con evidente scetticismo. Come era possibile associare l’andamento dei mercati con le fasi della Luna? Che riferimenti ci possono essere? Certo… a me viene un po’ di mal di testa quando siamo in plenilunio, ma non esageriamo! Povera Luna… se vogliamo addossarle anche la colpa della crisi economica non ne usciremo proprio più!

Din din

Suonò la campana. I giudici salirono sul ring per controllare i conti. Subito decretarono il vincitore del round: un tedesco seduto dall’altra parte. Approfittai della pausa per fare un giro tra gli stand. Uscii dalla sala e la luce mi strinse gli occhi. Pian piano mi abituai mentre percorrevo il lungo corridoio.

C’era molta gente. Molti ragazzi e pochissime ragazze, escluse hostess e promoters. Trovare una donna che faccia trading è quasi impossibile. Non ho ancora ben capito il perché. Dopotutto non è una pratica difficile. Ci son cose ben più difficili. Tipo la medicina, con le sue mille nozioni da tenere a mente e i giusti casi in cui poterle applicare. L’economia, per me, è molto più elastica e soprattutto non muore nessuno se sbagli. C’è sempre un rimedio economico per i tuoi errori. Anche la crisi è fra di essi e con una buona cura dovremmo uscirne.

Dicono. 

Per come la penso, essendo entrati nella situazione di mercati concorrenziali tra stati, non se ne uscirà mai. Alcuni giornali l’hanno chiamata guerra economica o guerra delle valute. Si combatte con la svalutazione della propria moneta, per poter offrire al mondo prodotti a prezzi stracciati. Tradotto: scordiamocela la ripresa.

Se sotto i nostri bicchieri, posate, piatti, ecc… troviamo scritto “made in china” significa che l’azienda italiana che li produceva è fallita e ci vorranno almeno 10 anni prima che ritorni. A noi consumatori sta bene spendere di meno ma non lamentiamoci se poi, il ciclo economico si sposta dal nostro paese a un altro. Se le aziende chiudono o delocalizzano lasciando migliaia di cittadini senza lavoro.

Il bello di tutto, è che la colpa la danno alla finanza, che l’unica colpa che ha avuto, è stato far credere alle persone di potersi permettere ciò che non si poteva…

Una gran bella illusione…

E ci siamo cascati tutti, in pieno…

Storia di una casa (#34)

2006/2007

– 34 –

Le ore e i giorni passarono in un lampo e il silenzio tornò a essere il mio coinquilino più presente. Gli amici erano appena partiti per tornare a casa: Marco, Enrico, Marta e Cristina. Li salutai alla stazione con quella punta di malinconia che crebbe fino al mio ritorno a casa. Mi buttai subito sul letto come se le forze fossero partite anche loro. Pensavo… Pensavo a quei giorni in cui non provavo tristezza nel salutare un amico. Erano bei giorni allora. Giorni carichi di voglia di vivere, di scoprire insieme le sfaccettature di questo mondo sconosciuto. Trascorrevo così tanto tempo insieme a loro, da diventar loro la mia seconda famiglia: proteggendomi, assistendomi e consolandomi, per non parlare di tutte quelle volte che mi riportarono a casa, sano e salvo. Devo molto a quei ragazzi… e non lo immaginano nemmeno.

Voltai la testa verso la sedia in mezzo alla stanza. Sorrisi. Era ancora lì con il cordone dell’accappatoio che ciondolava indisturbato. “Povero Marco” pensai. “Se l’è meritato però!” E quante volte se l’era meritato! Aveva compiuto così tante cazzate nella sua cronologia che avrei dovuto odiarlo per sempre. Ma la sua generosità e la sua bontà ti scioglievano, disarmandoti. Non avrei mai potuto tenergli il broncio per più di cinque minuti. Era un ragazzo con molti pregi; come quello di farti apprezzare le cose semplici, di tralasciare il valore dei soldi, sempre troppo importanti per me. Enrico invece era diverso. Facevamo a gara a chi era più introverso. Parlavamo sempre poco di noi e sempre troppo degli altri. C’era sempre un profondo rispetto tra noi due. Non saprei dire se lo conosca abbastanza, nonostante sia il mio migliore amico.

E scese la notte. Più pesante del solito. In casa ero solo. Le stanze vuote mi facevano eco. Curioso, decisi di dare una controllata alla camera di Francesco. Aprii lentamente la porta, come a non voler disturbare una persona che non c’era. Sorrisi pensando con meraviglia che anche in quella stanza era notte. Avevo la strana concezione che quella parte di casa era un mondo distinto. Un qualcosa che non mi apparteneva, di non mio. Quest’atteggiamento derivava dal profondo rispetto per le cose, inculcatomi da mio padre. Accesi la luce. I letti erano in ordine. Merito sicuramente delle mie due ospiti femminili. Persino le ciabatte del mio coinquilino erano tornate al loro posto. Il divano, doveva aveva dormito Marco, non aveva niente che non andava. Dovrei dare più fiducia a quel ragazzo.

Notai che la finestra era aperta. Qualcuno dei ragazzi aveva pensato bene di far arieggiare la stanza prima di andarsene. Andai a chiuderla e sentii un rumore provenire dal bagno. Pensai che la corrente d’aria avesse chiuso d’impeto l’altra finestra. Andai in bagno a chiudere anche quella. Qualcosa però, stranamente, la bloccava. Provai più volte a chiuderla ma non ci riuscii. Ispezionai i bordi della cornice scoprendo un inghippo metallico che impediva la chiusura. Tirai fuori l’oggetto dalla guarnizione. Era una monetina. Una cento lire del ‘78 sulla cui faccia risaltava la testa dell’Italia laureata che rifletteva la luce della lampadina a incandescenza del bagno. Come un flash, mi tornò alla mente l’immagine di Marco che faceva ruotare quella moneta tra le dita, dicendo: “Questa è il mio portafortuna!” Gli sarà sicuramente caduta in quella serata brava che scappò dal bagno alla ricerca dell’ultimo goccio di Jack. Scossi la testa disapprovando quei momenti. Afferrai il cellulare.
“Marco, ho qui con me la tua cento lire… Appena ci vediamo te la rendo.”
“Bene! Ma tienila tu… così ti porterà un po’ di fortuna, che ne hai bisogno!”
…e ci sperai, e spero ancora, che quella tanto amata fortuna, un giorno arrivi.

Fine Seconda Parte

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

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