Storia di una casa (#41)

Storia di una casa #41 Blog

2007/2008

– 41 –

–  …E poi c’è Fightclub, lo adoro! E’ uno dei miei film preferiti! –
–  Sì! L’ho visto! Mi è piaciuto un sacco! –

Aprii con molta calma il portone di casa. Entrai per primo. Floria mi seguiva, trascinando con sé il suo grosso trolley. Sembrava stanca e provata dalla lunga giornata. Depositammo le valigie nella sua camera coricandole sul pavimento parquettato. La vidi dirigersi subito verso la finestra e spalancarla. Volle cambiare aria a quella camera che per lunghi mesi era stata chiusa. Si tolse il lungo cappotto e lo depositò sul divano. Osservai l’indumento e pensai che gli si dovesse dar merito per aver nascosto con così tanta cura un fisico che, altrimenti, non sarebbe passato inosservato.
Oggettivamente, Floria aveva un bel corpo. Gambe lunghe e fianchi stretti impreziosivano il suo portamento slanciato. Indossava un paio di jeans scuri, sotto a una maglietta beige in cotone a maniche lunghe. Le sue esili mani, con unghie ben curate erano già intente ad aprire una delle due grandi valigie sul pavimento. Non voleva darla vinta alla stanchezza quella sera. Nel frattempo, avevo preso posto su uno dei due letti e le stavo raccontando qualcosa di me. Lei mi chiese, con distratta curiosità, quanti anni avessi, mentre poggiava il primo maglione sul ripiano dell’armadio.
– 20 –
Improvvisamente si girò verso di me, come se quella risposta l’avesse spiazzata.
– Non l’avrei mai detto! Pensavo fossi più grande… – disse.
– Beh… forse la barba incolta e l’aspetto trasandato possono averti deviato… – buttai lì, ironicamente.
Abbassai lo sguardo silenzioso e, fissando i tasselli del parquet, cercai qualcosa da dire. Floria continuava il suo lavoro di svuotamento della valigia, quasi incurante che io fossi lì vicino.
– Tu, invece? Quanti anni hai? – chiesi.
– 25 –
– 25? Caspita! Nemmeno io l’avrei mai detto! –

In realtà, al contrario di ciò che pronunciai, la mia esclamazione sarebbe dovuta essere: “Caspita! Sei più grande di me!” per renderla più simile a ciò che davvero pensai in quel momento. Non volli sprigionare il mio vero pensiero per non rendere la situazione più strana di quanto già non lo fosse. Mi sentivo in difficoltà. Il mio rapporto con ragazze più grandi di me, fino ad allora, s’era limitato a casi sporadici. Diciamo che, l’universo femminile da me conosciuto non andava oltre la mia età. Al di là del quale c’era un vuoto totale. Mi sentivo disorientato. Non sapevo come rapportarmi, quali cose dire o quali comportamenti evitare per non sembrare infantile. Però, nonostante tutte le mie inutili paranoie, la cosa mi affascinava. Avrei potuto studiare il suo carattere in segreto e carpire qualcosa in più sulle donne.

Floria si girò verso di me e mi chiese:
–  Hai già cenato? –
–  Veramente no… –
–  Ho visto che qui sotto c’è Pizza Mundial… ti va se scendiamo a prenderci una pizza? –

Accettai subito il suo invito. Non dico mai di no a chi mi offre di mangiar fuori o di bere una birra. M’infilai rapido il cappotto mentre Floria mi aspettava già sul pianerottolo. Chiusi la porta a chiave senza badare che, tra lenzuola del letto, il mio cellulare aveva iniziato a squillare…

continua…

Storia di una casa (#39)

Storia di una casa 39 copia

2007/2008

– 39 –

–       Bene! Per me va bene Ciro! – disse la proprietaria con voce squillante al telefono.
–       La ragazza mi farà sapere stasera… poi le confermo. – risposi pacato, cercando di smorzare il prematuro entusiasmo della proprietaria.
Purtroppo, conservavo in me il dubbio che quella ragazza, o meglio “Floria”, sia stata solo una dei tanti probabili affittuari che venivano a vedere la casa e che poi se ne andavano lasciando vaghe promesse di adempimento.
–       Sempre che per te non sia un problema vivere con due ragazze! – continuò la proprietaria.
–       No, cioè… non è mai successo. Quindi non so dirle… ma non dovrebbero esserci problemi. – risposi titubante.
–       Ok, allora aspetto tue notizie. Buona serata Ciro. –
Chiusi il cellulare e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Pensieroso, guardavo il televisore spendo davanti a me.
“Floria”
Quel nome risuonava ancora nella mia testa. Non conoscevo niente di quella ragazza e probabilmente avrei dovuto viverci insieme. Era visibilmente più grande di me ma non sapevo bene di quanto. Era determinata e sapeva il fatto suo. Forse potevo contare su di lei.
Il cellulare mi vibrò nelle mani. Un messaggio:
Floria:
“Ciao Ciro! Ho parlato con Luisa ed è d’accordo!
Prendiamo la camera.”

Saltai in piedi e rilessi ancora una volta il messaggio. Non potevo crederci. Floria aveva spazzato via ogni dubbio sulla sua determinazione. Faceva sul serio. Aveva confermato la camera ma… “e ora chi è questa Luisa!” pensai.
Continuavo a fissare quel messaggio, indeciso sul da farsi. Gironzolavo per la stanza ansioso e agitato. Mi arrivò un nuovo messaggio:
Floria:
“Ok?”
Aspettava una mia conferma ovviamente. Non ci avevo pensato ma potevo ancora dirle di no. Potevo ancora rimettere tutto in gioco e tornare alla ricerca di coinquilini per quella maledetta casa. Guardai il calendario davanti a me. Il giorno dopo era il primo di ottobre. Sarebbe stata dura trovare qualcuno. Più dura di quanto non lo fosse stato in questi giorni. Iniziavano i corsi in quasi tutte le università, compresa la mia, e gli studenti che cercavano casa, ormai, avevano già trovato una sistemazione. Non potevo buttare quell’occasione, anche se, la foto della mia ragazza sulla mensola, continuava a guardarmi in modo minaccioso.
“Mi ucciderai lo so…” dissi all’immagine con un velo d’ironia.

Tornai alla realtà e mandai subito un messaggio di conferma a Floria e mi sentii sollevato. Come se mi fossi tolto un peso. Rispose:
Floria:
“Ottimo! Ascolta, dato che sono in zona, posso portare già qualcosa?”
Sorrisi pensando che, ormai, potevo già definirla la mia nuova coinquilina!

continua…

Storia di una casa (#38)

Storia di una casa 38 copia

 2007/2008

– 38 –

Il citofono suonò.
L’ansia da poco messa da parte, tornò, ribelle, al proprio posto. Il forte suono del citofono, aveva rotto ogni silenzio casalingo, diffondendosi in tutte le stanze. Appoggiai la mia tazza di tè sul tavolo e andai a rispondere. “Spero sia lei…”
– Sì? –
– Salve, sono la ragazza che ha chiamato per l’annuncio… –
– Sì certo… sali pure… –
– Ehm… dove? –
– Ah… scusa… scala A, piano quinto! –
– Grazie –
Appesi il citofono e cominciai a guardarmi intorno come a voler cercare qualcosa fuori posto. Ma tutto era in ordine, eccetto la mia mente che era un groviglio di pensieri ansiosi:
la proprietaria che aspettava mie notizie; la mia ragazza che mi guardava male dalle foto; mio padre che non sapeva ancora niente della tragica situazione; e poi c’era lei… la ragazza che stava salendo in ascensore.
“Ah! La porta! Dove sono le chiavi?!”
Corsi in camera e afferrai al volo le chiavi sulla scrivania. Tornai nell’ingresso e aprii il portone in velocità. Mi fermai sull’uscio a osservare l’ascensore che stava per arrivare. Sapevo che dalla piccola finestrella sulla porta avrei potuto intravedere il volto della ragazza. Ero curioso. M’ero delineato in mente la possibile fisionomia della persona associata alla voce. “Chissà se anche questa volta, il mio istinto c’ha azzeccato”

L’ascensore lentamente arrivò. Allungai il collo per vedere meglio nella finestrella e scorgere la misteriosa ragazza. Vidi dei capelli e poi nulla più. La ragazza aprì la porta dell’ascensore e uscì di schiena per chiudere le porte interne. Poi mi vide e si girò. Sfoggiò un gran bel sorriso. Ci fu un attimo d’imbarazzo, almeno per me, poi mi porse la mano.
–       Ciao, io sono Floria –
–       Piacere, Ciro –
–       Questa è la casa dunque, posso entrare? –
–       Certo, vieni… –
Le feci strada nell’ingresso e chiusi il portone dietro di noi. Attesi qualche secondo che lei terminasse il suo ampio giro con lo sguardo. Aveva una bella espressione, non certo delusa, segno che la casa le stava piacendo. Ruppi il silenzio indicandole la porta della camera in affitto.
–       Carina! –
Le raccontai qualche dettaglio dello scorso anno. Vi aveva abitato un ragazzo che poi era andato via. Lei non sembrava interessata ai miei discorsi. Era entrata nella camera come se fosse stata già camera sua. Mentre le spiegavo i dettagli dell’annuncio, osservavo il suo fisico longilineo che si muoveva per la stanza. Passò accanto ai letti e ne tastò la morbidezza. Diede un occhio all’armadio e poi si sedette sul divano cigolante. Sembrava soddisfatta.
–       Ti mostro il resto della casa? –
–       Sì… comunque la camera mi piace parecchio! –
–       Mi fa piacere. Beh… le condizioni te le ho spiegate. So che è tanto affittare una doppia da sola… –
–       No, dovrei parlarne con una mia amica. Se le va bene, la prendiamo insieme. Prenderla da sola è una pazzia, costa troppo! –
Restai interdetto per qualche secondo poi tornai alla realtà. Quella ragazza continuava a mandare in tilt il mio cervello. L’ipotesi di due ragazze non mi aveva nemmeno sfiorato.
–       Bene! Fammi sapere il prima possibile. Io intanto ne parlo con la proprietaria. –

continua…

Storia di una casa (#37)

Storia di una casa 37 blog

2007/2008

– 37 –

Nell’aria volteggiava qualcosa di strano. Frammenti di destino sembravano volersi ricomporsi davanti a me. In realtà, era banale pulviscolo che rifletteva i raggi del sole, ma, in quel momento, sembrava qualcosa di magico. La telefonata di quella ragazza mi aveva riacceso l’animo. La sua determinazione si era trasferita da lei a me. Avevo ripreso le speranze di adempiere al mio obiettivo… e non era ancora detta l’ultima parola.
“Com’è che si chiamava?”
Cercai di ricordare il suo nome ma la memoria faticava a ricapitolare tutta la chiamata. “Prima o poi dovrò far qualcosa per questo problema con i nomi!”
Tornai nella mia stanza per cambiarmi d’abito. Non potevo presentarmi in uno stato casalingo a una ragazza sconosciuta. Mentre infilavo i calzini, con la maestria di uno scimpanzé, mi cadde l’occhio sulla foto della mia ragazza sull’ultimo ripiano della libreria.
“ah… giusto…”
La piccola amnesia sulla mia situazione sentimentale era venuta alla luce proprio in quel momento. La mia ragazza non avrebbe di certo visto di buon occhio una convivenza mista in questo appartamento. Mi rinfacciava ancora il giorno in cui vennero a trovarmi i miei amici, tra i quali, due di sesso femminile.
E stettero solo pochi giorni! Pensa a dover vivere un anno intero insieme con una ragazza che nemmeno conosco!
“Me lo rinfaccerà a vita!” dissi, prendendo in mano la foto di Francesca.
Quella foto la ritraeva su una terrazza che affacciava su piazza duomo, a Milano. Gliela scattai nei primi mesi della nostra storia. Quando era tutto idilliaco e intatto e una semplice foto poteva riassumere un’intensa storia.
“Tanto non l’affitterà… tranquilla… sarà un altro buco nell’acqua!” dissi alla foto che sembrava aver mutato il suo sguardo da amorevole a minaccioso.

Guardai l’orologio. Mancava meno di mezz’ora all’appuntamento. Decisi di prepararmi un té. Riempii una tazza d’acqua e l’infilai nel forno a microonde. Mi sedetti al tavolo della cucina in attesa che il timer squillasse. Ma a squillare fu il cellulare.
– Pronto… –
– Ciao Ciro come va? –
La voce della proprietaria mi mandò in ansia.
– Bene… –
– Con l’affitto come siamo messi? –
– Beh… non male… ho un appuntamento tra poco… – risposi tentennando.
– Speriamo bene… tra poco inizia ottobre e non vorrei che la casa resti mezza sfitta. –
– Certo… non si preoccupi! Troverò qualcuno! –
– Va bene! Sono nelle tue mani! Aspetto tuoi aggiornamenti! Buona serata. –
– Anche a lei… –
Chiusi il telefono lentamente. Feci misero sospiro di sollievo come quando al liceo la professoressa di filosofia mi poneva domande sulla metafisica ed io rispondevo con una serie infinita di frasi inventate. Volsi lo sguardo al cielo chiedendo aiuto a chissà chi.
Intanto il microonde squillò presi la mia tazza di tè bollente e avvicinai le labbra per soffiare e gustarmi l’aroma dolce del Twinings alla vaniglia.

continua…

Storia di una casa (#36)

Storia di una casa 36 copia

2007/2008

– 36 –

–  Pronto… –
–  Ciao, chiamo per l’annuncio della camera doppia… è ancora disponibile? –
–  Sì… –
Al telefono, una voce maschile mi sciorinava domande su ogni dettaglio dell’annuncio che avevo piazzato in giro per la città. Con svogliata pazienza gli stavo dietro, rispondendo cortesemente a ogni quesito. Non era la prima chiamata che ricevevo, già altre conversazioni simili si erano svolte nella mia stanza, attraverso quell’apparecchio. E tutte si erano risolte in un nulla di fatto. Avevo il taccuino pieno di probabili appuntamenti e di molte cancellazioni.
Sembrava che quella camera non la volesse nessuno, esponendomi a un bel problema con la proprietaria. Infatti, se da un lato ricevevo chiamate di probabili affittuari, dall’altro avevo la proprietaria dell’appartamento che chiedeva inutili aggiornamenti sulla situazione. Ed entrambi tiravano verso le proprie posizioni, con me esattamente nel mezzo.
E mi restava il duro compito di rassicurare tutti: l’impaziente proprietaria, l’ansioso padre e l’ostinato me stesso che non si decideva ad ammettere la scontata realtà:
“Se non l’affitta nessuno sei nella merda, Ciro!”
Avrei dovuto pagare l’intero importo dell’affitto del trilocale, da solo, in qualità di unico intestatario del contratto. Ma più che i soldi persi mi preoccupava un altro aspetto: mio padre. Quell’uomo era spesso dedito a rinfacciare quanto io sia incapace a cavarmela da solo; e questa storia sarebbe stata un’altra freccia da scagliarmi contro. Non ce l’avrei fatta a sopportarlo ancora una volta. Non più…

Ero disteso sul divano cigolante della camera doppia. Guardavo il soffitto. Il mio cellulare squillava da un po’ e non avevo voglia di rispondere. Giocavo con la pallina rossa. La tiravo in alto per poi afferrarla saldamente. Il pomeriggio era agli sgoccioli e già pensavo a cosa preparare per cena.
“Hamburger o Salsicce?”
Improvvisamente la pallina mi scivolò dalle mani. Fece due o tre saltelli e rotolò sul parquet andando a finire proprio vicino al cellulare che continuava, imperterrito a squillare. Svogliato e indolenzito per le ore passate disteso, mi alzai per andare a recuperare la pallina. L’afferrai e con essa presi anche il Nokia che vibrava. Il numero non era in rubrica, si trattava, quindi, di qualcun altro in cerca d’informazioni per la casa. Basta! Non ne potevo più! Volevo chiudere le chiamate per quella giornata. Poi però, pensai all’accigliata faccia di mio padre e… risposi.
–  Pronto… –
–  Ciao! Chiamo per la camera… –
La voce squillante di una ragazza spiazzò le mie previsioni. Fino a quel momento avevano chiamato solo ragazzi.
–  Ho letto l’annuncio e vorrei saperne qualcosa in più… e, magari, fissare un appuntamento per vedere la casa… –
Cercai di dimenticarmi per un attimo che, dall’altro capo del telefono, ci fosse una voce femminile. Raccolsi tutta la mia serietà e le spiegai ogni cosa, compreso il fatto che la stanza singola era occupata dal sottoscritto. Lei sorvolò, ponendomi altre mille e inutili domande.

– E… quando posso venire a vederla? –
– Beh… quando vuoi… io sono qui… –
–  Bene! Allora ci vediamo tra un’ora! Ciao! –

continua…

Storia di una casa (#14)

2006/2007

– 14 –

Un improvviso scintillio balenò nei miei occhi. La mente era tutta un fermentare d’idee, trasformazioni e cambiamenti. I pensieri ribollivano come acqua a cento gradi, facendo saltellare il coperchio della pentola su in cima. Con quell’affermazione la proprietaria si era assicurata un’ottima chance di vedersi la sua casa affittata. La donna ci aveva preso in pieno. Forse, saper cogliere negli occhi dei visitatori i loro bisogni, faceva parte del suo bagaglio di esperta affittacamere.
– Possiamo spostare un letto qui e il divano metterlo al posto del letto nell’altra camera… e poi questo va lì… questo va là… –
Portai una mano al mento e, pensieroso, lo pizzicai con delicatezza. Feci qualche passo verso il balcone pesando che quella visuale sarebbe diventata tutta mia, se il progetto della donna avesse avuto un lasciapassare. Voltandomi notai che la proprietaria non c’era più.
– Non sembra poi così difficile da spostare… – disse, parlando dall’altra stanza con una mano sulla testiera del letto. In pochi passi la raggiunsi. – Si… al massimo si smonta e si rimonta. – costatai.
– … e il divano si sposta così com’è. Poi in due dovreste farcela! A proposito, la signora Pina mi aveva parlato anche di un altro ragazzo… –
– Ehm… sì. Francesco. –
– Sai quando arriverà? – chiese dubbiosa.
– In realtà non so niente di lui… –
Spiegai alla donna tutta la storia. Le raccontai del mio dilemma e dell’estenuante ricerca. Lei ascoltava e annuiva silenziosa. Pensava, aspettando il momento giusto per intervenire.
– Quindi sta solo a te decidere. Visto che a lui va bene qualsiasi cosa… – concluse riassumendo in una frase il mio discorso, estraendone il punto cardine della questione, o almeno il punto che interessava a lei. Sì, tutto era nelle mie mani o meglio, nella mia lingua che doveva pronunciare solo una semplice frase. Una proposizione affermativa dotata della giusta sintassi.
Purtroppo proprio non mi usciva facile soffiare al vento quelle parole, cosicché rimandai la questione di qualche ora.

Uscii dall’appartamento sollevato. I miei passi sembravano più leggeri sull’asfalto che fungeva da marciapiede. I pensieri avevano assunto la forma di un piatto d’insalata che mischiava gli ingredienti tentando di amalgamare cibo e condimento. E a spiegazione della metafora il cibo rispecchiava quell’appartamento con le sue stanze e i suoi mobili inerti; mentre il condimento era il dolce sottofondo della descrizione della proprietaria che arricchiva e deliziava di dettagli ogni cosa.
Trovai un parchetto poco distante e quella manciata di panchine faceva al caso mio.
Mi sedetti su una di loro. Un signore anziano, la cui mansione giornaliera era far da balia a un bastardino, mi guardò incuriosito. Dopo qualche istante abbassai lo sguardo sul mio cellulare pensando a quale contatto chiamar prima della mia rubrica
Chiamai la signora Pina… poi mio padre… e poi mia madre; e stranamente le mie parole bisognose di consigli, non seppero far breccia in nessuna delle tre persone. Tutti rimisero la scelta nelle mani di un ragazzo, seduto a gambe incrociate su una panchina in mezzo al verde e al cemento, a chilometri e chilometri lontano da casa. Così non esitai più e lasciai che il mio destino si compisse.

– Ok Signora, la prendo. –

Fine prima parte

Storia di una casa (#13)

2006/2007

– 13 –

Appena la porta si aprì, un bagliore di luce guizzò verso di me. Qualcosa d’ignoto disse al mio piede di muoversi in avanti. Sarà stata la presenza della proprietaria alle mie spalle a spingermi o la maturata familiarità con il luogo a darmi fiducia. Cosicché, senza nemmeno accorgermi ero al centro della sala.
La proprietaria, entrando di soppiatto, mi sgusciò dietro le spalle. Andò verso la porta del balcone e l’aprì. Disse qualcosa che non ascoltai. Ero incantato nell’osservare un piccolo televisore su di un mobile da salotto. Un mobile basso, piano, rettangolare, in legno chiaro. Uno di quei materiali a cui avresti proprio voglia di dare una ridipinta di una tonalità più scura. Ci fissai lo sguardo e poi, come un compasso che poggia la mina sul foglio, iniziai a girare lentamente.
Vidi una libreria disadorna e spartana, dello stesso colore del mobile della televisione. C’era un solo libro su un ripiano e accanto un oggetto cilindrico dall’origine ignota. Tutto il resto era vuoto e niente come una libreria vuota accendeva in me la voglia maniacale di riempirla. Questo istinto cominciai ad averlo da bambino, nel trovarmi spesso a giocare con scatole di cartone inutilizzate.
Il mio cerchio visivo contino’ il suo corso su un tavolo nell’angolo accompagnato da una singola sedia; poi un divano in stile moderno sprovvisto di braccioli sostituiti da due cuscini rotondi. Il tessuto ruvido era di un beige chiaro e la forma del piano di seduta sembrava quella di un materasso singolo. Infatti la donna mi fece notare che lo schienale poteva ruotarsi e il tutto diventare un comodo letto; e continuò il suo discorso allettandomi con l’ipotesi di poter ospitare qualche amico nei fine settimana.
Passai poi al balcone, la cui visuale era ostruita dalla figura della proprietaria e finii con la seconda libreria che costeggiava il mobiletto basso della TV.
– Vieni a vedere la vista che da questo balcone – disse la donna uscendo all’esterno – Si vede tutta la strada da qui! –
– Vedo… – risposi sporgendomi col busto verso il vuoto.
Il parapetto del balcone aveva una larga parte in vetro, riempito da un reticolato di ferro sottile. Pensai che fosse da sciocchi utilizzare un materiale così fragile come il vetro per assolvere la funzione di resistenza e protezione. Sopra di me c’era una piccola tettoia in plastica ondulata e semitrasparente. Sotto di me invece, tanti piccoli tasselli colorati formavano il pavimento del balcone. Sentendo sotto i piedi la sensazione d’innumerevoli pietruzze sconnesse, mi sembrava di essere in una di quelle chiese dell’antica Roma. Più le guardavo e più m’incuriosivano; tutti quei colori spenti e quella casualità originata dall’abile e paziente lavoro di un operaio, mi stupirono. Sembra così facile stupirmi a volte.
E proprio nel mentre in cui guardavo un tassello di color blu notte, capii che la mia visita guidata era terminata. Quella che avevo attraversato era l’ultima porta della casa e il balcone su cui stavo rappresentava l’ultima cosa da visionare in quell’appartamento. Assimilai il pensiero e cercai di chiudere il cerchio mentale che mi ero costruito, riempendolo con qualche futile dettaglio racimolato visivamente qua e là, per guadagnare tempo per riflettere.
– Ed eccoci qua, questa è la casa, come ti sembra? –
– …accogliete e… ordinata! –
– Si… però ha veramente bisogno di una ripulita. Purtroppo è da mesi che non l’abita nessuno guarda qui! – disse la donna calciando un ricciolo di polvere. – Quindi? Cosa facciamo? Traslochiamo? – concluse.
– Aspetti signora! Aspetti! – risposi con un mezzo sorriso. – La casa non è male. Beh… il problema è la camera in comune… ehm… cercavo una singola perché non mi sento a mio agio a dormire con altre persone… –
– Certo… capisco… – borbotto la donna passeggiando per la stanza in modo pensieroso. Poi risollevò il capo e come Einstein colto da un lampo di genio, disse:
– …ho un’idea! E se trasformassimo questa stanza nella tua stanza? –

Storia di una casa (#12)

 2006/2007

– 12 –

La descrizione della casa, prima di volgere al termine, si spostò su una di quelle stanze che spesso i proprietari di case sorvolano nel loro giro d’ispezione: il bagno. Costatai, con uno sguardo del volto e dalle parole pompose con cui la proprietaria pronunciava: l’abbiamo ristrutturato da poco, che quella era una delle stanze di cui essa stessa andava fiera. Negli anni poi, appresi che la parola ristrutturare, in una città come questa, con prezzi e tariffe dettate dalla poca manovalanza disponibile sul mercato, era roba da ricchi.
Comunque sia, il bagno era accettabile. Aveva tutto il necessario piantato nel posto giusto. Ovviamente il concetto di doccia tardava ancora a radicarsi nella mentalità e nelle case di antica generazione di cui Milano era piena. Se volevo viver lì, dovevo abituarmi ad assolvere il mio bisogno di pulizia in quel surrogato di lavaggio verticale.
– …e qui c’è la lavatrice. Tutto chiaro? –
– Si… tutto chiaro… –
– Bene… passiamo al ripostiglio, è proprio qui, dietro questa porta –

La donna, dopo aver aperto la porta dello stanzino, si scansò di lato per permettermi di osservare. Lo spazio era poco e per affacciarmi all’interno, mi trovai con la parte destra del corpo, quasi a contatto con la signora di mezz’età, diventata ormai il mio Cicerone. Di solito mantengo una certa distanza, sia con gli estranei sia con le persone in generale. Il contatto fisico lo cerco poco relegandolo marginalmente ai saluti convenzionali come le strette di mano. E lì stavo osando. Stavo oltrepassando una linea che il mio istinto non poteva sopportare ancora. Mi tirai indietro da quello spazio. Mi allontanai con garbo dalla donna e sorrisi annuendo, dando l’impressione di aver osservato ogni minimo dettaglio.
Cosa non vera, data la mia scarsa memoria di quel momento.
La proprietaria tirò un sospiro di sollievo e disse: Eccoci giunti all’ultima stanza, il salotto.
In quel momento ebbi la sensazione di essere su una meravigliosa giostra rotante nell’istante in cui il giostraio pronunciava l’unica frase che un bambino non vorrebbe mai sentire: ultimo giro!
Anche se non sapevo ancora se quella sarebbe diventata casa mia, quel tour guidato casalingo mi era piaciuto parecchio. Si vedeva che la donna aveva esperienza di affitti, di certo arricchita dalla sua acutezza e precisione.

…E rullo di tamburi, l’ultima porta s’aprì.
Si presentò davanti a me ciò che pensai essere la vera chicca della casa, checché ne dicesse e ne pensasse la proprietaria. E questa volta, fui il primo a entrare…

Storia di una casa (#11)

2006/2007

– 11-

La porta si aprì e davanti a me si presentò il posto, dove avrei dovuto passare le mie notti, spesso insonni, per gli anni a seguire. La proprietaria, come ormai di consueto, si fiondò verso il confine della stanza. Col suo movimento repentino, cercò di calamitarmi a sé; spingermi a entrare nell’ambiente; a osare ciò che la mia timidezza m’impediva.
– Apro un po’ la finestra… – disse – faccio entrare un po’ d’aria! –
E dopo aver sbrigato le dovute manovre percependo che il mio sguardo era l’unica cosa che riusciva a calamitare, m’indicò, stendendo il braccio e poi un dito, i tre protagonisti della stanza.

– Come vedi ci sono tre letti… sono abbastanza nuovi e tutti Ikea… li abbiamo cambiati da poco perché gli altri… – e si addentrò nella storia passata di quella casa che le mie orecchie proprio non volevano sapere. Era un po’ come raccontare la sorpresa che si cela in una di quelle uova di pasqua da quattro soldi. Credo che nessuno voglia sapere cosa sia. Si preferisce restare nell’oblio dell’ignoranza per generare la fede e la curiosità in qualcosa di buono.

Era questo che pensavo in quel momento, volevo tener lontane le storie passate di qui, per formare nella mia testa un’idea tutta mia di casa.
Poi pensai al vero problema del momento: quei letti erano troppi.

– In passato ho affittato questa casa a tre persone per volta… – disse mentre il mio sguardo basso fingeva di osservare dei grossi cassettoni sotto i letti per mascherare il mio disappunto.
Sarebbero stati troppi due coinquilini, e soprattutto non sapevo nemmeno dove andarli a cercare in questa nuova città. L’unica possibilità che avevo, era il ragazzo che aveva contattato la signora Pina per me. Di cui non conoscevo praticamente ancora niente. Ma ragazzo o non ragazzo, quei letti erano troppi lo stesso e avrei voluto tanto buttarne uno giù dal balcone per sistemare la cosa.
La donna però, sembrò leggermi nella mente, e, per salvaguardare l’incolumità del suo letto in più, disse: – … poi a me non interessa quante persone affittano l’appartamento… possono essere una, due o tre! –

– Quindi… – fiatai lasciando passare qualche secondo. – …anche due persone le andrebbero bene? – chiesi con la dovuta calma.
– Ma certo! Poi, ovviamente l’affitto lo dividete in due! –
Questo era scontato, pensai, mentre portavo a casa una magra consolazione: abitare con meno persone possibili.

L’altra battaglia invece, che in quel momento avrei sicuramente perso, era quella di ottenere una stanza tutta per me. In tasca però, al riparo da occhi indiscreti, tenevo le dita incrociate su quell’idea che mi frullava per la testa e che non aveva ancora una base su cui appoggiarsi.
Dovevo finire di vedere il resto della casa prima di avanzare le mie proposte.

Passai oltre e misi un punto temporaneo a quei pensieri. Ora toccava alla proprietaria sapermi vendere quella stanza per far salire il suo voto in pagella.
– Come vedi, c’è il parquet qui… Lo fece mettere mia suocera… anni fa ormai. Ho sempre detto ai ragazzi e alle ragazze che hanno abitato in passato, di stare attenti a pulirlo… il legno è molto delicato… –
Solo allora notai che il pavimento era formato da tasselli di legno incastrati in forme geometriche regolari. Non avevo idea di come si pulisse un parquet, e a pensarci bene non avevo la minima idea di come si pulisse un pavimento in generale. Ma questi, sarebbero stati problemi futuri.

– …e infine… c’è un armadio a tre ante che, se andava bene per tre persone, figuriamoci per due! –
E figuriamoci per una! Pensai con un po’ di malinconia e desiderio mentre la donna ultimava il suo lavoro in quella stanza.

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