Ero steso sul letto a guardare il soffitto. Il mio comodo piumone bordeaux aveva lasciato il posto ad una semplice coperta a righe scure. Niente cuscini sotto la mia testa. Volevo starmene così, steso, rilassato… Abbandonato da tutte le forze e sconnesso dalla mente. Era uno stato piacevole: occhi socchiusi, ventre molle, piedi a V e dita curve. Niente poteva distrarmi… niente poteva interrompere quello stato di calma inflitta al mio corpo. Solo il mio respiro aleggiava nell’aria. Sembrava quasi di vederlo. Che strana sensazione… In casa non c’era nessuno. Le mie coinquiline erano fuori città e ci sarebbero restate per una settimana intera. Silenzio. Niente musiche, passi o conversazioni telefoniche. Oltre la porta della mia stanza non c’era niente. Il vuoto.. il buio totale. A volte amo la solitudine… a volte la detesto… a volte la rincorro… a volte mi opprime. Quante volte ho sperato che qualcuno mi cercasse? Quante volte ho sperato in quegli amici troppo impegnati nelle loro vite? Quante volte mi sono arreso all’evidenza che Ciro è solo, e solo lui può fargli compagnia… Solo le sue braccia, le sue gambe, la sua pelle e le sue ossa… il suo cuore… che batte ancora… lentamente… ma continua il suo lavoro.
La porta del balcone era semiaperta. Cinque piani più giù, una strada fermentava di vita. Macchine e passanti scorrevano come le acque di un fiume. Questa Milano è sempre viva… e a volte, un po’ rumorosa.
Peeeeeeee Peeeeeeeeee
Il forte clacson di una macchina mi destò dal mio stato di riposo. Aprii gli occhi e mi misi a sedere. Erano solo le 3 del pomeriggio. Non potevo dormire dato che c’era ancora metà libro da studiare lì, sulla mia scrivania. Giorni addietro avevo fatto pulizia. Avevo riordinato il caos che regnava indisturbato su quel tavolo da sala che usavo come scrittoio. Avevo ammucchiato i libri in un angolo, messo la stampate a portata di mano e spostato il grande schermo che non usavo da tempo. Il mio portatile bianco era su un lato. Di solito occupava la posizione centrale ma adesso vi era un grosso libro di diritto pubblico. Accanto, una serie di matite e pastelli. Detesto gli evidenziatori. Adoro sottolineare le frasi con i pastelli colorati e a ogni capitolo dedicare un colore diverso. A volte ci penso anche per più di dieci minuti a quale colore scegliere. Di solito leggo il titolo dell’argomento trattato e m’immagino nella mente che colore possa avere. E così per “Regioni ed Enti locali” uso il grigio, per “il Parlamento” uso il rosso, “Forme di stato e forme di governo” il giallo, e così via… un capitolo, un pastello. Guardando il libro sperai che finisse prima lui dei colori disponibili. Mi buttai sulla poltrona con le ruote nera. Appoggiai i piedi davanti al mio pc. Guardai la scrivania. Era troppo ordinata, quasi non la riconoscevo. Sulla mia destra era appoggiato il mio portafoglio. Era uno di quelli in pelle che si aprono a metà e in mezzo hanno la molletta per le banconote. Sulle due “ali” erano disposte le mie carte. Lo presi in mano. Lo rigirai tra le dita e lo aprii. Una banconota da dieci e una da cinque scivolarono via perché la molletta non era più abituata a contenere così pochi soldi. Osservai le mie carte. Presi la patente e la buttai sulla scrivania… così come la tessera sanitaria, la scheda della Feltrinelli e l’abbonamento ATM. Toccava ora all’altra “ala”. Presi il bancomat e lo rigirai tra pollice e indice prima di buttarlo sul mucchio. Gli seguirono un paio di Postepay e il badge dell’università. Vuoto… guardai quei quindici euro e mi fecero un po’ pena. Cercai in tasca qualche amico per fargli compagnia. Dieci centesimi, il resto del caffè da Rocco.
Quindici euro e 10 centesimi. Incrociai le mani dietro la testa pensando ironicamente: “Dove potrei andare in vacanza?”, mentre guardavo la parola Giugno scritta sul calendario. Volevo andare all’estero quell’estate. Ma con quindici euro non avrei comprato manco la carta con cui stampare il biglietto dell’aereo.
Ciro…
“Chi è che parla?”
Sono la tua coscienza idiota!
“Non è possibile! La mia coscienza sono io”
Certo… ma io sono quella parte di te che fa azioni avventate… vive e commette errori… Tu sei quello che se ne pente e che scrive. E se posso darti un parere, anche pessimamente!
“Ah grazie! Autostima! Dove sei finita? Perché mi hai lasciato solo con lui?”
Smettila… ho un idea… Perché questa volta non fai scrivere la storia direttamente a me? Perché non mi fai essere il regista invece del solito attore di cui narri l’esistenza? Ci divertiremo… ho in mente un piano… e forse non dovrai chiedere soldi ai tuoi genitori per le vacanze. Sai bene che tua madre ti urlerà dietro e tuo padre ti aprirà la testa in due se gli chiederai un altro centesimo. Quindi… lasciami fare… ho qualcosa in mente…
“Ok… ti do carta bianca… ma spiegami, cosa vuoi fare?”
Idiota! Cosa ho in mente lo sai già! È la tua!
“No! No, no, no e poi no! Ricordi cos’è successo l’ultima volta? C’ho quasi rimesso una coronaria e quel tick agli occhi c’è voluto un mese per farlo scomparire!”
Dai… non andrà così… te lo pometto… Sarà solo un giorno…
“Ok… ma solo un giorno!”
Tolsi i piedi dalla scrivania e afferrai il monitor dall’angolo. Soffiai via il velo di polvere che lo circondava e con una mano tolsi una chiazza dura a volar via. Spostai il libro. Monitor in posizione centrale. Raccolsi il filo e attaccai il monitor da 24 pollici al mio portatile. Ora avevo due schermi e il mio mouse si sentiva come un centometrista in una maratona. Andai alla mia libreria e cercai la mia calcolatrice. Era una vecchissima calcolatrice scientifica Casio. La usava mio padre quando andava all’università. Avrà più di trent’anni ma è ancora perfetta e funzionante. Non ne fanno più così. Aveva i tasti morbidi al tatto e la digitazione era molto scorrevole. Dove cazzo è? Spostai il libro di Statistica e la trovai. La tolsi dal suo guscio e l’appoggiai davanti al monitor. Cos’altro mi serve? Blocco appunti, penna, post-it. Guardai il mio router wifi lampeggiare. No… non va bene! Voglio la sicurezza di un cavo. Se perdo anche solo una manciata di dati potrebbe essere la fine. Tirai fuori da una scatola un vecchio cavo Lan. Lo attaccai al router e poi al mio pc. Sfiorai il tasto wifi e si spense. Finito? Cazzo il cellulare! Devo configurarlo. Il mio HTC Wildfire aveva un desktop con varie pagine. In una misi gli orari di tutte le maggiori città mondiali. In un’altra i link ai preferiti dei maggiori quotidiani economici e infine installai il programma per controllare l’oscillazione dei prezzi.
Pronto…
Ero pronto… per giocare in borsa.