Little red ball (II) (Marina di Camerota ’09)

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Appena il sole tramontava, le luci del villaggio si accendevano man mano. Era uno spettacolo vedere tutti i vialettini illuminati. Si creava un’atmosfera confortevole.. a tratti romantica. Tutto curato e perfetto. Il verde.. gli alberi.. gli ulivi.. le siepi.. gli oleandri.. le aiuole.. l’erbetta.. Così perfetto da sembrare casuale.. e così casuale da rendere il tutto affascinante..
Mi avvicinavo al ristorante con mio fratello. Parlavamo del più e del meno. Scuola, ragazze e videogiochi si alternavano nelle nostre parole a ritmi cadenzati. Più gli parlavo e più vedevo in lui una mia fotocopia spiccicata. Più gli parlavo e più capivo quanto fosse brutto vederlo crescere a “tratti”. Purtroppo la mia vita fuori casa questo mi permetteva… e le vacanze erano l’unico periodo in cui potevo stare un po’ di più con la mia famiglia. Per questo ne approfittavo per sapere come se la passava il mio fratellino.
Arrivammo al tavolo. Mio fratello piombò subito al bancone del buffet senza nemmeno aspettare che gli altri componenti della famiglia arrivassero. “Egoista ed egocentrico” pensai.. “proprio come il fratello.. e guai a chi gli tocca le sue patatine!”.
Mentre osservavo mio fratello che si riempiva il piatto di contorni, si avvicinò al tavolo la cameriera. Curata e impeccabile come tutte le sere.
– Buonasera… –
– Buonasera –
– Grazie per… –
– Shhhhhh!!… – la interruppi e mi voltai indietro per vedere quanto erano distanti i miei genitori. E dopo essermi assicurato che mio padre non fosse a portata di orecchio, le dissi: – Tranquilla… solo… teniamo questa cosa tra di noi… – e le sorrisi… forse aveva inteso o forse no. Ma speravo che non avrebbe creato casini.
– Allora porto l’acqua? –
-Sisi… e anche un quarto di vino bianco per mio padre. –
– Ok –
– Grazie Elena. –
E proprio quando la cameriera se ne andò, arrivarono al tavolo i miei genitori e l’altro mio fratello. Subito mio padre, che forse aveva osservato tutta la scena da lontano, mi chiese: – Che voleva la cameriera? –
– Solite cose papà… mi chiedeva le bevande che doveva portare… –
– Hai ordinato il vino? –
– Certo papà! –
Mi girai per vedere quante persone erano al buffet e qualcosa mi tirava nella tasca. Era la mia pallina rossa che avevo dimenticato di posare in camera. Ed era qui con me che mi faceva compagnia. “Quante ne ha passate in questi giorni… e dire che non ricordo nemmeno il nome di quel ragazzino!”

Quel pomeriggio
Mi tuffai a capofitto in quel tubo blu. Andavo lento. L’acqua cercava di spingermi. Piano piano stavo acquistando velocità. “Chissà dove sarà quel marmocchio” pensai mentre venivo sballottato nelle curve di quella specie di giostra. Era divertente… dovevo ammetterlo. Sorridevo cercando di andare sempre più veloce allungando le braccia in avanti. Dovevo raggiungerlo. E proprio nell’ultima curva intravidi la figura del ragazzino. Si voltò e mi vide.
 
Splashhhhhhhhhh
 
Finimmo entrambi in acqua. Aprii gli occhi e vidi davanti a me la mia pallina rossa galleggiare a pelo d’acqua. Cercai di afferrarla al volo ma una piccola mano fu più lesta della mia. Prese la palla e scomparse prima ancora che capissi da che parte venisse. Mi pulii gli occhi e guardai in direzione della scaletta… e in quell’instante quel ragazzo stava salendo le scale per uscire. Mi avvicinai a nuoto il più velocemente possibile. Cercai di afferragli un piede mentre era sul bordo.
– Vieni qua! Dove scappi! –
Scappò via mentre ero intento a risalire. Tutto gocciolante gli corsi dietro. Vi lascio solo immaginare cosa significava correre con i piedi bagnati. Era impossibile e soprattutto pericoloso, maggiormente se ti tagliava la strada un bambino! Quasi scivolavo cercando di evitarlo. Oltretutto la mia corsa dava fastidio a non poche persone perché schizzavo acqua come un cane dopo un bagno… e le persone sulle sdraio in prima fila avevano una faccia molto scazzata.
L’inseguimento proseguiva. L’area della piscina era quasi finita e il ragazzo puntò al vialetto che portava fuori. Sulla mia strada però s’intromise Jack. Mi si piazzò davanti e non accennò a togliersi.
– Dai Jack fammi passare! Devo inseguire quel bastardello! –
– No no! – Jack era uno degli animatori del villaggio. Il suo compito era far divertire i ragazzi… e soprattutto organizzare i tornei sportivi. Immaginavo che mi avesse fermato proprio per quello.
– Ok, Ok… non scappo… cosa vuoi? –
– Oggi alle 6 torneo di Pallavolo… ti segno! –
-No daii… non c’ho voglia… fammi passare! –
– Tu non passi se non vieni al torneo! –
– D’accordo! D’accordo! Lasciami ora! –
E mi lasciò andare. Purtroppo dovetti sottostare alla sua specie di ricatto. Ma non ci pensavo. Cercavo di riprendere la mia pallina. E dove s’era ficcato quel ragazzo? Dove dovevo andare a ripescarlo? Quel dannato animatore me l’aveva fatto perdere di vista… e con lui anche la mia pallina. Mi guardavo intorno. Cercavo d’ipotizzare i possibili posti.
“il campetto” pensai. “sicuramente è lì”. E infatti lo trovai lì. Non mi aveva ancora visto. Era vicino alla rete che recintava il campetto e guardava i ragazzi che giocavano. Gli andai piano piano dietro, senza far rumore.
– Preso! –
Si girò e mi guardo un po’ intimorito.
– Forza! Dammi la mia pallina! – Il ragazzino mi porse lentamente la mano e appoggiò la pallina nella mia. La presi e lo guardai male.
– Non lo fare mai più! – Il ragazzino sorrise non credendo alla mia serietà e si girò continuando a guardare la partita di calcetto. Tornai alla piscina… sperando che sulla mia sdraio non avessero toccato niente.
Mi sdraiai…
Feci un gran bel respiro profondo…
e sorrisi…
 
  ..ripensando a tutto quello che era inaspettatamente accaduto poco prima.

 
 
 

 

Notte brava.. (Marina di Camerota ’09)

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Mattina…

 

 Ero seduto al tavolo della colazione. Lì, nel ristorante del villaggio. Avevo su gli occhiali da sole perché il sole di quella mattina mi dava fastidio. Sentivo la stanchezza addosso premermi sui muscoli. La sveglia era alle otto. Giusto il tempo di accumulare qualche ora di sonno. Le orecchie mi fischiavano ancora e la mia schiena era a pezzi. Mi alzai per andare a prendere una quantità industriale di caffè. Cercai di camminare diritto anche se la cosa risultava molto difficile. Me la cavai discretamente e non feci cadere niente. Passando al buffet mi salutò Rossana, una ragazza che avevo conosciuto la mattina prima, mentre aspettavo la navetta per la spiaggia. Mi guardò e sembrava già aver capito tutto. La salutai rimandando a dopo la conversazione. Tornai al mio tavolo.

Mio padre era lì che leggeva il giornale. Mio fratello, a fianco a me, aveva già iniziato a fare colazione. Presi il mio cornetto e gli diedi un morso aspettando la fatidica domanda.

– Cosa hai fatto ieri sera? – disse mio padre

Sembrava tranquillo… risposi cercando di spiegargli perché ero tornato tutto inzuppato e senza maglietta. Ma soprattutto cercai di fargli capire che cosa fosse uno schiuma party.

– Che stronzata! 16 euro per farsi buttare della schiuma addosso! Ma ‘sta gente il bagno non se lo può fare a casa? – mi rispose storcendo il naso.

Mia mamma sembrava non aver ancora capito. Guardò mio padre con aria interrogativa… e poi guardò me.

– Stamattina ho dovuto lavarti anche le scarpe! – disse.

Mio fratello rise… e risi anche io… mentre continuavamo a fare colazione colazione.

 


 

La notte prima…

 

Pazzo! Un vero e proprio pazzo! L’autista della navetta che ci stava portando in discoteca non stava molto bene di testa. Stranamente però, questo mi piaceva un casino. Mi eccitava… mi faceva battere il cuore. Era notte fonda e sulla strada non si vedeva nessuno. Correva… l’autista correva veloce. Sembrava non fregarsene di niente. Dossi artificiali… curve pericolose… attraversamenti pedonali. Correva e correva… sotto le gallerie buie… negli incroci e nelle strettoie. Mi reggevo al sediolino per non sbandare a destra e sinistra. Per un attimo mi chiesi che cosa ci facessi lì.  Guardai fuori… vidi il guardrail sfrecciare veloce accanto a me. Pensai che un piccolo errore sarebbe stato fatale… perché oltre il guardrail c’era il vuoto… e sotto il vuoto c’era il mare. Pensai anche… chi se ne frega della discoteca voglio fare un altro giro qui! A volte la pazzia s’impossessa di me… e se facessi l’autista guiderei anche io come lui. Forse peggio… o forse meglio… o forse non durerei mezzo secondo. A volte amo troppo il rischio. Lo sento scorrere nelle vene e martellarmi il cervello. Forse dovrei preoccuparmi un po’ di più della mia vita.

Mi guardai intorno. Gli altri sembravano preoccuparsi poco dell’autista e della sua folle corsa. Immaginai perché lo conoscessero già. Sapevano già che alla fine… bene o male li avrebbe portati alla meta sani e salvi.

E dopo qualche curva presa abbastanza bene, arrivammo.

Scendemmo tutti. Barcollai un po’… mi chiesi se fosse stato merito dell’autista o delle due Ceres che m’ero sparato prima di partire… Colpa d’entrambi.

L’animatore mi fece segno di seguirlo con una mano. Lo vidi e m’incamminai nella colonna di persone dietro di lui. Cercai il portafoglio. L’alcol saliva… ma non abbastanza. Certo, se la barista del villaggio avesse avuto le Tennent’s sarebbe stata tutta un’altra storia. Presi le riduzioni e le diedi al cassiere. Mi guardai un po’ in giro. Mi trovavo in una specie di galleria scavata nella roccia. Era l’ingresso alla discoteca. Un buttafuori nero ci fece passare dopo aver visto i nostri pass. Entrammo…

Che spettacolo. Un’oscura caverna illuminata da teste rotanti… fari colorati e luci al neon. Da un lato c’era il bancone del bar… dall’altro c’era un piccolo palco dove il dj stava preparando i suoi dischi. Al centro della scena c’era una grande piazzola rotonda dove la gente aveva già iniziato a ballare. A fianco c’era un enorme tubo su cui campeggiava la scritta “schiuma party”. Immaginai a cosa servisse. Subito mi diressi al bancone ad ordinare il mio primo cocktail… la barista mi fece l’occhiolino mentre le fissavo il piercing sull’ombelico. Mi porse il bicchiere… Le feci anche io un occhiolino e mi buttai in pista…

Quella notte era appena iniziata…

 

 

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