Dall’alto di un cielo infinito…

dall%2527alto%2520di%2520un%2520cielo%2520infinito

La giornata era molto soleggiata, ottima per una bella giornata in piscina. L’afa era troppa e un bel bagno avrebbe rinfrescato un po’ le idee a chi forse di idee non ne aveva, come me. E Infatti, l’unica idea che mi venne fu quella di andare in piscina.

Triiiiiiiiiiinnnn   triiiiiiiiiiinnnn…

Il rumore del cellulare mi svegliò. L’avevo lasciato acceso perché sapevo che mi avrebbe chiamato “qualcuno”.
– Pro-oo-nto… – risposi con una voce assonnata.
– Ciro, guarda che ho preso il pullman… ma stai ancora dormendo? –
– Nooo… che ore sono? –
– Le 10 e mezza… tra quanto dovrei essere lì? –
– Beh… verso le 11 e 20 ti vengo a prendere alla stazione… ok? –
– Ok. –

Misi giù il telefono e misi giù anche la testa sul cuscino. “No! Mi devo svegliare! Devo prepararmi!”
Pantaloni, maglietta, scarpe… qualche ritocchino qua e là ai capelli. Perfetto… ora pensiamo al piano…
1. Cambiare mese al calendario di Angelina Jolie.
2. Pensare al piano!!
Allora… macchina? Niente… si prende la Vespa!

11.20
Si parte.
Correvo come un forsennato tra le stradine di campagna e le vie della città. La marmitta che aveva montato mio fratello, dovevo ammettere, che andava da Dio. Arrivai alla stazione in pochi minuti e lei era lì ad aspettarmi… bella come sempre: occhiali scuri, vestitino leggero, infradito. Mi guardò, mi diede un bacio e mi chiese la meta. Le risposi: – in piscina! – e accelerai con lei seduta dietro che si aggrappava a me.
Non che sia una di quelle piscine megagalattiche extralusso, ma nel suo piccolo la sua figura la faceva… e poi c’era anche il pagliaccio a forma di doccia!
Entrammo e c’incamminammo lungo le piscine come se fossimo stata una coppietta appena uscita da un fotoromanzo. Lei si guardava intorno cercando di orientarsi, mentre io proseguivo diritto già conoscendo il posto. Dopotutto questa era la zona dove ho sempre vissuto ed era giusto che sapessi ogni minima cosa. Scegliemmo un ombrellone e ci facemmo portare due lettini.
– Io mi faccio la doccia sotto al pagliaccio! – dissi con aria da eterno bambino.
Lei mi guardò, sorrise  e cercando di racimolare tutta la serietà che poteva, mi disse:
– Se la fai… ti lascio! –
– Ok… ciao allora… – le risposi con tono secco.
Tornai tutto bagnato e mi sedetti vicino a lei lungo il bordo della piscina con i piedi a mollo nell’acqua.
– Com’è andata? – mi chiese trattenendo a stento il risolino.
– Beh, all’inizio ha fatto un po’ il difficile… ma alla fine sono riuscito a manovrarlo bene! – dissi ironicamente.
– Ma com’è bravo il mio bambino! – disse lei spazzolandomi i capelli come si fa ai bambini quando li si vuole premiare.
Io per tutta risposta la spinsi in acqua. (Così imparava a non farsi la doccia con il pagliaccio!)
Mi buttai anche  io, con un bel tuffo a giudicare dalla giuria. Nuotai sott’acqua fin da lei che si era spinta all’altro lato. L’abbracciai da dietro e le sussurrai che era la cosa più bella del mondo. Lei mi sorrise e mi baciò. Poi mi schizzò… e mi ribaciò ancora… ma poi ancora mi schizzò… niente… non si poteva raggiungere un compromesso… e la schizzai anch’io… e lei ribatté schizzandomi a sua volta… allora la travolsi con una mega onda stile coste dei caraibi. Lei si girò strizzandosi gli occhi e tossendo come se avesse bevuto dell’acqua. Mi avvicinai per vedere se stava bene e lei all’improvviso mi spruzzò dell’acqua con la bocca. Era nata una nuova guerra. Risposi anche io… e lei ancora… e il resto lo potete immaginare.
Dopo abbracci e schizzi, finalmente uscimmo dall’acqua per prendere un po’ di sole.  Ci stendemmo sui lettini e ci mettemmo a riposare un po’, ascoltando la musica che dava il bar. D’un tratto proposi:
– Vogliamo giocare a Ping-pong? –
– Tanto ti batto… – rispose sicura di se.
– Si… tu… una donna! Battere me! Ma dai… –
– Ok allora… vediamo chi è il più forte! –
– Ok… –
Ci dirigemmo verso una fatiscente sala giochi e prendemmo le racchette e la pallina per il Ping-pong.
– Allora… facciamo un po’ di palleggi, così per riscaldarci. –
Ping… pong… ping… pong…
– Iniziamo ora… per la palla…-
Dovevo ammettere che la mia ragazza se la sapeva cavare con la racchetta. Mi son dovuto quasi impegnare per batterla… ed infatti il risultato lo sapete già. Due partite vinte per me… zero per lei.
E si ritornò sui lettini..
Io, fiero vincitore trionfante, lei , che reclamava la rivincita nelle prossime date.
– Vedi che ti ho battuto?! –
– È stata solo fortuna… perché hai vinto per poco! –
– Si vabbè… comunque io ho vinto… tu hai perso! –

La giornata andava via via sgocciolandosi come i nostri costumi ancora umidi. Erano circa le 5 di pomeriggio e il venticello fresco si faceva sentire. Così decidemmo di rivestirci e andarcene.
Passai a casa a prendere la macchina e ci facemmo un giro nell’attesa della nuova meta.
– Perché non ci prendiamo qualcosa al Martinika… è un posto carino… –
La guardai negli occhi, sembrava felice. Forse ero riuscito a donarle il sorriso almeno oggi. Le passai un braccio dietro la testa per solleticarle il collo muovendole un po’ i capelli. E dato che quella mano era occupata nelle coccole…
– Fra… mi metti la terza? –
– Non so come si fa… –
– Dai… devi andare su con quella leva! –
– Ecco… così va bene? –
– Ehm… no… quella è la quinta… –
– Ops… –
Così, piano piano, marcia dopo marcia arrivammo al Martinika.
Il posto era un bar chic con i tavolini all’esterno. Molto carino e forse fatto a posta per noi.
Ordinai due Baileys e ci sedemmo fuori.
Accendemmo la piccola candela che c’era sul tavolino. Ci baciammo fino a che il cameriere non ci portò le nostre bevande.
– A cosa brindiamo? – chiese lei.
– …a noi… a questa giornata, che pressappoco è andata bene… –

…Chin…
Vite…
Storie distorte di amori lontani che s’intrecciano in una giornata d’estate. Sole, Luna e in mezzo due cuori lucenti di gioia che battono come una campana di mezzogiorno. E magari si fingeranno stupiti delle piccole cose e così come per gioco, in questa notte, farà meno freddo.
“un posto isolato…”

È bastata anche solo una stella a farci compagnia. Una, ma la più splendente che c’era. E piano piano, la sera che diventava notte lasciava alle spalle la calda giornata. E noi eravamo lì, a cercare di non pensare, mentre vivevamo quegli attimi lasciando scorrere le parole in un misto di emozioni.
Baci e coccole non si riuscivano più a contare e la passione correva come il vento caldo di quella sera.
La macchina era ferma e le luci in lontananza erano troppo distanti per capire cosa fossero. Ed erano belle così, innocenti nel loro alone di purezza.
Ci guardavamo negli occhi come se fosse stata la prima volta. Come quando le nostre bocche si toccarono nel primo bacio… ma di baci ne erano passati parecchi… e le nostre lingue conoscevano già la strada del piacere.  E così via… si parte… spinti dal vento della passione che come un fiume in piena ci portava dove voleva. Baci, coccole, abbracci, intrecci di corpi e di anime, sorrisi, sguardi appassionati… mani che si sfioravano e si stringevano… bacini che si accostavano in un ballo molto sensuale…  e così via… Lungo la strada dell’amore… che, come una meta inarrivabile, ci spingeva ancor di più a cercarlo.

E magari si poteva fare di meglio… Qualche luce in più o una musica particolare… ma in fondo cosa importava? Bastavamo noi… Perché eravamo noi a creare la magia del luogo. Con una leggera brezza, qualche stella e la Luna, che splendente come non mai…
ci guardava dall’alto di un cielo infinito…

Come Pesava Quello Zaino Sulle Spalle Per La Strada Della Scuola E La Maturità…

Come%2520pesava%2520quello%2520zaino%25203%2520intro

 

Spam..

E la porta sbatté dietro le spalle di mio padre. Uscì con il suo solito nervosismo isterico che ormai fa parte integrante del suo carattere. Io ero lì e mia madre seduta sul divano che guardava la tv. Ennesimo litigio su futili motivi, era il tema della serata. Non ce la facevo più e avevo iniziato a discutere con mio padre in seguito ad una delle sue solite provocazioni. Ma lui come al solito non comprendeva mai il senso delle mie parole e si attaccava sempre alle piccole cose. Elementi marginali di una discussione incentrata su di lui. E rinfaccia… rinfaccia… Ti rinfaccia i tuoi errori, casomai capitati anni addietro, quando avevi ancora un’età poco matura.
Non lo sopportavo più… era un odio cresciuto negli anni. Di quelli radicati dentro la propria anima che non si staccano con una semplice “giornata felice”.

Non erano passati nemmeno due minuti da quando mio padre era uscito.
– Non vedo l’ora di uscirmene da questa casa! – dissi a mia madre.
– Ciro… – disse lei quasi sussurrandolo.
– Si! Hai sentito bene… non ce la faccio a stare ancora qui! –
– Perché? –
– Perché?! Il perché è appena uscito da quella porta! – dissi alzandomi con l’aria alquanto irritata.
– È fatto così… Ciro lo sai… –
– Beh… è fatto male… –
Stavo iniziando a innervosirmi. Tutto l’odio che provavo verso di lui iniziava a ribollire dentro di me, così me ne andai verso la mia camera, ma prima di uscire dalla cucina dissi:
– Mà… la famiglia è un posto in cui uno si deve sentire tranquillo e felice altrimenti come fa ad affrontare il mondo esterno? Non mi piace stare qui… non so che darei per starmene un po’ in pace… Si… ma ora basta… ne ho piene le scatole di discorsi… domani devo fare un esame… e non ho voglia di avere la testa occupata da queste stronzate… dopodiché me ne andrò il più lontano possibile! Notte… –
Mia mamma rimase per un attimo senza parole. Aveva un volto triste. Non dovevo prendermela con lei. Non centrava niente. Lei, come tutte le mamme voleva stare con i propri figli e sentirsi dire quelle parole da me, le fecero male. Io sono il suo primo figlio. Mi ha sempre trattato come una persona cosciente e mi ha sempre donato la sua fiducia. Sa che in ogni situazione sono capace di prendere la strada giusta e che ho principi che nessuno mai mi toccherà. Crede molto in me e non ha smesso anche quando, alle volte, la facevo arrabbiare.
Non glielo mostro, ma voglio molto bene a mia madre e credo che sarà la cosa che mi mancherà di più quando me ne andrò da qui… e credo che per lei sia lo stesso.


Come%2520pesava%2520quello%2520zaino%25201                                                                                                        (Metropolitana di Milano)

Flashback…

Ero sul treno Eurostar dell’una e mezza diretto per Milano. Ero seduto comodamente al mio posto e ripensavo a ciò che avevo appena fatto. Cercavo di discolpare me stesso.
“In fondo sto fuori solo un paio di giorni… Ora li chiamo e glielo dico..”
Ero uscito di casa senza dire niente a nessuno ed ero salito sul primo treno diretto per Milano. Molti si chiederanno “sei scappato di casa?” Beh… in un certo senso e per certi versi direi di si. Ma se volevo veramente scappare di casa, vi assicuro che l’avrei fatto in maniera definitiva. Questa, invece, era una sorta di gita fuori porta. Molto fuori porta considerate le 6 ore e mezza necessarie per arrivare a Milano. Ma i motivi di questa meta, sinceramente ora non mi va di riportarli… Come sapete, le parole fanno male ed io ne so qualcosa. Posso dire solo che ero andato a trovare una persona molto speciale.
Erano circa le 2 del pomeriggio e il treno andava verso la stazione di Roma. Prima di uscire avevo detto a mia madre che pranzavo a casa di Enzo, come spesso facevo. Avevo preso la mia vespa ed ero uscito di corsa con uno strano zaino in spalla. Mia mamma infatti mi guardò con aria sospetta. Quella borsa la diceva lunga perché non ero solito usarla quando uscivo con Enzo. Comunque, ero uscito così frettolosamente che non le diedi nemmeno il tempo di aprire bocca.

Roma Termini

Il treno si era fermato in stazione. Le porte si erano aperte e la gente stava incominciando a scendere. Presi in mano il mio cellulare. Era spento. L’avevo spento per evitare che qualcuno mi cercasse.
Lo accesi.
Il treno attendeva…
Guardavo il cellulare. Immobile, assorto nei miei pensieri.
Brivido.
Iniziò a squillare. Avevo un po’ di timore a rispondere ma appena vidi lo schermo mi passò tutto… era Enzo.
Risposi.
Enzo era l’unica persone che sapeva tutto.

– We! Come stai? E soprattutto dove stai? –
– Ciao Enzo… tutto a posto… sono a Roma… –
– Ciro… tu sei pazzo! –
– Già… –
– Senti… la vespa è qui da me… tutto bene… ma… –
– Ma? –
– È venuto tuo padre poco fa… era molto incazzato perché non ti trovava… –
– Cavolo! –
– Mi ha fatto mille domande… su dove fossi e sul perché la vespa fosse da me… –
– Che gli hai detto? –
– Niente! Tranquillo… ma… chiamalo… ok? –
– Ok Enzo… grazie… –
– Di niente Cì… e torna presto… –
– Non ti preoccupare… –
-Senti… me lo posso fare un giro con la tua vespa? –
– Assolutamente no! –
– Ok, c’ho provato… –
– Ciao Enzo… –
– Ciao Cì! –

Avevo riagganciato da poco che subito squillò di nuovo.
Questa volta era mio padre.
Risposi dopo un paio di squilli.

– Pronto… – dissi… ma non riuscii a finire la frase che mio padre iniziò ad attaccare.
– Ciro! Ma dove cazzo sei? –
– Roma Termini… sono su un treno diretto per Milano… –
Mio padre sembrò scoppiare.
– Scendi subito da quel treno!! MUOVITI! Ma come cazzo ti è venuto in mente!! MA lo sai quanto è lontano MILANO?!!? Muoviti! Scendi a Roma… ti vengo a prendere con la macchina… in due ore sono lì… –
– No papà… –
– Mannaggia **** ******! Ma come cazzo devo fare con te? Forza SCENDI da quel treno!!
– No…- dissi.

E Parlava bestemmiava, alzava la voce, faceva domande assurde e mi pregava di scendere. Ed io lo lasciavo fare. Non me ne importava gran che… e  più continuava e più ero fermo sulla mia decisione. Fino a quando…

– …Guarda… hai fatto piangere anche tua madre! Ti rendi conto? Tieni… ora te la passo! –
A quelle parole mi salì il cuore in gola. “Cavolo Mamma”
La mia mamma era in pena per me.
– Pronto… -disse lei con un flebile tono di voce.
– Mà… –
– Ciro… ma che hai combinato? – disse cercando di mascherare le lacrime nella sua voce.
– Tranquilla mamma, sto fuori un paio di giorni… torno domenica sera… –
– Ciro… – non riusciva a parlare. Le lacrime le bloccavano le parole.
Stava male.
Ed ora anche io. “Certe cose non si fanno”.
Eppure mia mamma non è mai stata una di quelle mamma oppressive, nel senso che mi ha lasciato sempre molta liberà. Non avrei mai pensato di farla soffrire tanto. Pensavo che si sarebbe incazzata, come mio padre, e che fosse finita lì…
Ma invece era lì… Ad ascoltare le mie parole.
Le parole di suo figlio che s’era allontanato da casa più del dovuto.
– Mamma… tranquilla… – cercavo di confortarla.
E lei prendendo un po’ più di sicurezza iniziò a farmi le solite domande da mamma.
– Almeno hai mangiato? –
– Si mamma… qualcosa sul treno… –
– Stai bene? –
– Si mamma… –
– Ma dove dormirai? Cosa farai? Quando torni? –
– Mamma… devo andare… il treno sta ripartendo… –
– Chiamami appena arrivi… capito? –
– Ok mamma… –
– Ciao… –

E il treno ripartì… ed io tornai a sedermi al mio posto guardando la stazione che piano piano ci lasciavamo alle spalle.
Triste…
Perché avevo capito che quella mamma, in fondo, ci teneva molto a me…


Come%2520pesava%2520quello%2520zaino%25202%2520trigonometria
(Trigonometria)

31 maggio

Era l’ultimo giorno di un mese passato interamente a studiare. Quella mattina c’era la prova scritta di matematica  dell’esame d’idoneità. Avevo già fatto quella d’italiano e di quella latino senza problemi.  La prova di matematica invece era diversa. Lì la concentrazione dev’essere massima e devi saper eseguire tutti i passaggi, perché se ne sbagli uno, quelli successivi andranno di conseguenza. È un po’ come nella vita, se fai uno sbaglio, continui a sbagliare e gli altri non capiscono, perché spesso non vogliono saperne dei tuoi sbagli e sparano giudizi sui tuoi errori… e pensano che continuerai a farli per tutta la vita. L’unica via di uscita è cambiare vita, voltando pagina e ricominciando l’esercizio daccapo, sperando che la tua penna scriva ancora. La vita può essere paragonata ad una disequazione. Fai tutti i passaggi, semplifichi tutto e metti in evidenza le cose comuni. Ma alla fine, non sempre puoi trovarti con il delta maggiore di zero… e ricominci daccapo… cambiando le variabili… sostituendo le incognite e cambiando verso… cercando di uscirne da quella impossibilità. Ma non sempre ci riesci nella vita.
E il mio foglio era ancora bianco. Aspettavo che arrivasse il mio professore di matematica a consegnarmi le tracce. Ero calmo, almeno credevo, perché la penna nella mia mano continuava a girare vorticosamente. Guardavo la finestra cercando di non pensare a niente. Il tempo era bello e il vento scuoteva i rami degli alberi in continui ed alternati movimenti.
Ero solo in quella stanza, che a giudicare dagli scaffali pieni di libri sembrava proprio la biblioteca della scuola. In mezzo c’era un grande tavolo con intorno 5 sedie nere delle quali una era quella su cui ero seduto. Mi alzai, volevo camminare un po’ e iniziai a girovagare per la stanza.
Guardai gli scaffali pieni zeppi di libri. I miei occhi si soffermarono su quello di letteratura latina. Scorrevo l’ordine degli autori e iniziai a fare commenti su ognuno di loro…

Cicerone: “Cicerone… Cicerone… se potessi maledire qualcuno vissuto nell’antichità… tu saresti il primo della mia lista. Non puoi nemmeno immaginare quante sono state le ore passate a cercare di comprendere il senso delle tue frasi. Si vabbè… all’epoca eri un ottimo oratore… spero che almeno il tuo pubblico ti comprendesse.”
Orazio: “Il grande poeta del carpe diem che inneggiava alla fugacità della vita… mah… chissà quante volte sarà scappato di casa da piccolo. Dicono che non si sia mai sposato e che abbia dedicato tutta la sua vita alla letteratura… beh… contento lui!”
Catullo:  “Magnifico poeta d’amore… quello del celeberrimo odi et amo… che tutti conoscono… ma che  solo pochi sanno come continua finisce!”
Odi et amo.
Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Che tradotto è:
Ti odio e ti amo.
Come possa fare ciò, forse ti chiedi.
Non lo so, ma sento che accade e me ne tormento…”

– Buon giorno… –
Sentii una voce dietro di me e mi girai all’istante come se stessi facendo qualcosa di non permesso. Era il mio professore di matematica che aveva poggiato un malloppo di fogli sul tavolo.
– Buon giorno… – risposi con educazione e mi msisi a sedere.
Il professore mi guardò e fece un sorrisetto, continuando a sfogliare delle carte cercando qualcosa. Lo scrutai con attenzione. Ero calmo. Il foglio bianco era davanti a me e la penna nella mia mano. Mancava solo lui. Mancano solo le sue tracce. Chissà cosa mi avrebbe dato… Ero pronto a tutto… o quasi… ma era impossibile che mi avrebbe dato qualcosa sulla fisica quantistica o su qualche teorema vettoriale. “Cerchiamo di rimanere con i piedi per terra… eh?”
– Ecco Ciro… queste sono le tracce… 3 ore di tempo… la penna ce l’hai… tutto a posto… – disse facendomi un breve sorriso mentre mi passava il foglio.
Cominciai subito a ragionare leggendo uno dopo l’altro gli esercizi.

Disequazione Trigonometrica
Disequazione logaritmica
Equazione Esponenziale
Problema di trigonometria
Sistema di equazioni parametriche
Algoritmo d’informatica

Mha… all’apparenza sembravano difficili. Ma non era così. Infatti, uno dopo l’altro, feci tutti gli esercizi con tranquillità lasciando per ultimo la Disequazione Trigonometrica. Perché come sapete, le cose belle, si lasciano alla fine… belle e impossibili!
E dopo un paio di passaggi…
Non riuscii più a continuare. Mi ero bloccato.
“Il tutto sta nel semplificare le varie funzioni trasformandole in altre simili in modo da avere una disequazione omogenea… Beh… facile a dirsi! Cosa trasformo qui… vediamo…”
Giravo e rigiravo quell’esercizio. Sopra, sotto, destra, sinistra… Cancellavo, riscrivevo… ma niente…
C’era qualcosa che non andava. Qualche piccolo cavillo si nascondeva…
E finalmente lo trovai..
Era un piccolo “1” che restava lì immobile.
“Poverino… non dava fastidio a nessuno… ma se lo porto di qua.. e lo trasformo… ottengo…”
E via…
La penna scorreva velocemente. I numeri venivano facili…
Le operazioni si susseguivano sempre più semplici… segno che la fine era vicina… ed infatti…
Eccola lì…
Il compito era finito. Tutto era al suo posto. Mi girai verso il professore cercando il suo sguardo. Ma lui era affacciato alla finestra che guarda all’esterno fumando una sigaretta.
Quel professore era sempre stato un assiduo fumatore di Marlboro rosse rigorosamente da 20! E portava sempre con se un pacchetto di riserva nel suo borsello, perché non poteva restarne senza.
Si girò, mi guardò e disse:
– Hai finito? –
– Si… –
Guardò l’orologio e venne verso di me. Era un po’ stupito dalla mia rapidità. In fondo non era passata nemmeno un’ora..
Era dietro di me. Avevo il foglio davanti con gli esercizi svolti. Diede un rapido sguardo.
Poco dopo, si allontanò dicendo: – Ricontrolla… –
– Ok… – dissi pensando che me lo dicesse solo perché era troppo presto per consegnare.
Quindi ricontrollai velocemente e lasciai passare un quarto d’ora facendo disegnini sul banco.
– Ho controllato… – dissi con la fretta di consegnare.
– Hai corretto? –
– mmm… no… –
– C’è un errore… – mi disse.
– Non so dove sia… –
Il professore si girò verso di me con aria benevola.
– Controlla la disequazione logaritmica… –
Abbassai subito lo sguardo sul foglio cercando quell’esercizio. L’avevo fatto per primo perché era il più semplice. Avevo commesso un errore?
Controllai i passaggi:
Dominio… ok
Verso… ok
Incognite… ok
Base?
”Cavolo! la base del logaritmo è minore di zero!”
“Come ho fatto a non notarlo! È una disequazione… quindi si cambia verso…”
Ecco, avevo trovato l’errore. Tutto regolare… o almeno speravo che fosse così.
Ricopiai in bella… e consegnai. Subito il professore aprì il mio compito. Controllò quell’esercizio e fece un sorriso come per dire: “bravo…”
– Ok… puoi andare… ci vediamo per gli orali… preparati… –
– Va bene professore… arrivederci… –

E lo lasciai così.. seduto in quella stanza che riordinava le sue carte.
Scesi di corsa pensando che anche questa era andata.
Salutai il segretario, come al solito molto simpatico.
Via..
Ipod nelle orecchie..

E testa sgombra dai mille pensieri…

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: