LigabueDay 2011

Mezzanotte…

Sono in metro. Su un vecchio vagone malandato della linea verde. Mi guardo in giro. Sono solo. Le porte si aprono a ogni fermata ma non sale nessuno. Stasera questa Milano sembra deserta. Tra le mani ho un cd. Sopra è stampato un logo e sotto c’è scritto “il meglio deve ancora venire”
Sarà vero? Mi chiedo
Fino ad ora di meglio non c’è stato un cazzo. Solo problemi. Solo casini. Solo cose da dimenticare.
È una città piuttosto dura.. lo so. L’ho imparato a mie spese. L’ho imparato vivendo.
Le mie scelte mi hanno spesso portato su strade diverse. Ho conosciuto le più diverse persone e imparato da loro qualcosa. Ma adesso sono solo. Sembra che qualcosa si sia spezzato.
Guardo il cd e sorrido. Perché qualcosa forse è rimasta uguale.
La mia fermata arriva. Si aprono le porte. Scendo.

Qualche ora prima..

Camminavo per la stanza nervosamente. In mano avevo il mio più consumato antistress.
Devo andarci.. ripetevo a me stesso. Non posso mancare.
Era il 23 marzo 2011. Quella sera stava per svolgersi il Ligabue day al cinema. Una proiezione unica del meglio del tour dell’anno scorso e in più.. come ciliegina sulla torta, Ligabue ci avrebbe omaggiato della sua viva presenza in video-collegamento con tutti i cinema italiani.
Non voglio.. so già come andrà a finire.
Il mio animo era tormentato. Squassato da pezzi di canzoni e ricordi che si confondevano. Sapevo che mi avrebbe fatto male.. ma dovevo essere lì.
Andai al pc.. cercai il cinema.
Cazzo.. non ci sono più biglietti.
Per un attimo mi sentii quasi sollevato. Il destino mi aveva salvato senza che nemmeno glielo chiedessi. Guardai lo schermo. Guardai la mia mano. Il mio anello al pollice luccicava.
Ciro.. lo sai che quando vuoi una cosa nessuno può fermarti.
Presi un biglietto per un film a caso.. e andai di corsa verso il cinema.
Il mio cappotto nero elegante aveva i colletti rialzati. Mi copriva metà del volto. Come se non volessi farmi vedere. Come se nessuno dovesse sapere che fossi lì. La cassiera mi diede il biglietto per il film. Mi sorrise e mi ricordò che il film stava per iniziare nella sala 2.
Passai davanti al bancone dei pop-corn e mi ricordai che quella sera non avevo cenato. Il mio stomaco era diventato un pugno chiuso e la fame per una volta si era dimenticata di me.
Porsi il mio biglietto alla maschera. Lo strappò e mi fece passare. Ero nel corridoio delle sale.

Ed ora la scelta.. Comportarmi da bravo ragazzo.. oppure seguire l’istinto che mi aveva portato già fin lì.
Buttai il biglietto in un cestino ed entrai nella sala 3.
Me ne sto già pentendo.
Mi appoggiai a una ringhiera. La sala era quasi piena. Notai che sui posti vuoti era poggiato un cd. Era in omaggio con il biglietto. Lo volevo anche io. Ma non volevo rovinare questo piccolo sogno a qualcuno.

Lo show stava per iniziare.
Guardavo lo schermo con occhi ansiosi. Il mio cuore batteva lentamente a ritmi regolari.
E via.. Lo schermo mostrava degli aerei e la scritta: in diretta dal Campo Volo.
Comparse Alessandro Cattelan che presentò Ligabue seduto al suo fianco.
Cavolo.. ci si rivede figlio di puttana.. e non potevi scegliere luogo migliore..
Ligabue parlava e ogni parola mi risuonava dentro. Lo guardavo fisso negli occhi. Non li chiudevo nemmeno per un decimo di secondo per assaporare ogni frazione d’immagine.
Stava presentando il suo nuovo concerto.
Campo Volo 2011
Voleva tornare lì a tutti i costi. Voleva esserci ancora.
Chissà se ci sarò anche io lì con te.

Il Campo Volo 2005 è stato un concerto fantastico. Inimmaginabile. Quelle emozioni irripetibili mi hanno formato, cambiato e aiutato a crescere. Ero accompagnato dai miei inseparabili amici che avevano smorzato i toni della malinconia per dare al tutto un tocco d’avventura. Enzo, Luca e Mario. E inaspettatamente venne a trovarmi anche una fantastica ragazza conosciuta da poco. Se ne fregò di tutto e di tutti per essere lì. Emy. Un po’ come me.. che per tutta l’estate non ho aspettato altro che il 10 settembre.
E ora? Che si fa? Torniamo li per un’altra storia? Per un’altra vita? Per altre emozioni?
Non lo so.. e per adesso non voglio pensarci.

E come filo logico dei miei pensieri, sullo schermo partì una canzone.
Ti sento

Il mio cuore batteva all’impazzata. Ligabue in un teatro imbracciava la sua chitarra mentre cantava quelle parole.. e il mio corpo era un fascio di nervi in tensione.

..ti sento
e parlo di profumo
t’infili in un pensiero
e non lo molli mai
io ti sento..
al punto che disturbi
al punto che è già tardi
rimani quanto vuoi

qui con la vita non si può mai dire
arrivi quando sembri andata via
ti sento dentro tutte le canzoni
In un posto dentro

che so sempre io..

Trattengo le lacrime difficilmente. Dio solo lo sa cosa vuol dire per me quella canzone. E chissà cosa voglia dire per questa mandria informe di fans che affollano questa sala. Alcuni osservano.. altri cantano.. altri sembrano felici. Chissà come fanno.

Apparve una cartina stilizzata dell’Italia e uno strano pesce si muoveva da una città all’altra. Le città in cui Ligabue aveva suonato l’estate scorsa con il suo tour di Arrivederci Mostro.
Roma.. Torino.. Bologna.. per dirne alcune. Del concerto di ogni città venivano mostrate solo due canzoni. Cosi da esserci tutti.. anche se nel poco tempo di una serata.

E venne il turno di Milano. Il concerto al quale andai anche io insieme a Lei. bambolina.
Il 16 luglio 2010 al San Siro.
E anche se ora le nostre vite hanno preso strade differenti, non posso fare a meno di ricordarti. La tua dolcezza e il tuo amore non avevano limiti. Hai sopportato per troppo tempo questo bambino viziato e incosciente. 4 anni..
E Ligabue lo sa.. lui sembra sapere tutto. E infatti.. quando quello strano pesce si posò sopra Milano, partì una canzone..

..La camera ha poca luce
e poi è molto più stretta
di come da giù immaginavo
ho pensato molto a lei qua dentro
l’immaginavo sempre sola
chissà con che diritto poi..

Pensavo a lei. Pensavo a quella ragazza dall’animo nobile che spesso contrastava col mio essere razionale. Pensavo a tutti i casini e tutti i problemi che avevamo affrontato insieme a volte senza trovare una soluzione. Ci facevamo forza l’un l’altro.
E quante volte le ho ripetuto:

..dai non te ne andare.
Vuoi un po’ dormire?
Vorrei tanto che restassi un po’.
Si che si può fare.. ma dovrei chiamare
dimmi dove hai il telefono..
E ancora le sue mani..
E ancora le sue labbra..

Ci guardavamo negli occhi. Lei era disposta a tutto per me. Lo vedevo.. lo sapevo.. lo sentivo.
Una lacrima spuntò sul mio volto. La asciugai all’istante. Chiusi gli occhi e..

..Adesso devo proprio andare
Ti chiamo prima o poi
Lo so che se voglio posso restare
Ma non insistere dai..

E canzone dopo canzone. Città dopo città. L’avventura di quell’instancabile cantante prendeva forma. Ognuno di noi presenti in sala, aveva vissuto uno o due concerti al massimo. E forse era stato unico. Quindi vedere tutto il complesso giro di città, date e numeri.. dava il quadro completo di quanto sia difficile stare in giro per una persona come lui.
Chissà quante cose avrà vissuto e quante esperienze deve ancora fare nonostante la sua apparente età di cinquant’anni. Sorrisi mentre iniziava l’assolo introduttivo dell’ultima canzone.
Le persone in sala si alzarono in piedi.. tutti cantavano e cantai anche io..
La mente di Ligabue non poteva scegliere pezzo migliore per chiudere in bellezza.

..Ti vengo a prendere perché non ho scelta
perché so vivere una sera per volta
io.. ti vengo a prendere perché dove andiamo non importa..

E indubbiamente, per quanto potevo sforzarmi di non farlo, il mio pensiero andò a lei. Mariella. Quell’amica inseparabile e un po’ scemotta che ogni tanto mi fa dimenticare che la vita sia così difficile. Il suo instancabile sorriso intervallato dalla sue urla per attirare la mia attenzione spesso sono oggetto delle mie battute.

..C’è qualcosa fra te e la vita
che non ho ancora conosciuto
mentre ridi.. così facilmente
c’è qualcosa fra te e la vita
chissà quanto vi conoscete
mentre ridi.. mentre ridi..

“..E guardando quelle immagini pensai a te seduta scompostamente accanto a me in macchina. Che mi guardi e poi mi sposti lo specchietto per controllarti il trucco. E sorrido, perché quando mi scompigli le cose vorrei tanto darti una testata, ma non ci riesco e non ci riuscirò mai. Perché sei così.. e neanche una mia testata potrebbe cambiarti. Perché poi? Sei perfetta così.
E anche se un po’ non ci credi. Anche se le tue labbra non lo dicono. Il tuo viso solare, la tua espressione e la tua voce sembrano sempre dirmi che in questa vita.. il meglio deve ancora venire..”

La sala si svuotò lentamente fino a svuotarsi del tutto. Ero ancora lì a osservare lo schermo nero. Qualcuno aveva dimenticato il suo cd sul posto. Lo presi.. e tornai a casa anch’io..

 

Pezzi di racconto di quel lungo viaggio di quest’estate… (Milano Torino Rimini ’08)

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Peeeeeeeeeeeeeeee
– Dannazione! –
– Da qua… ora tocca a me. –
 
L’orologio, appeso in alto sulla parete destra della casa, segnava le due e mezza di notte. La lancetta dei secondi scandiva ogni piccolo scatto, lungo il suo interminabile percorso. Eravamo tutti e tre seduti attorno ad una tavola di legno. La luce elettrica illuminava artificialmente i nostri volti presi e concentrati sul gioco. Eravamo io, Enzo e Mario. Compagni inseparabili di questo viaggio senza mete precise. E proprio questo viaggio indefinito, ci aveva portato fin qui. Eravamo a Torino… ospiti di un nostro amico che gentilmente aveva aperto le porte di casa a questi tre scapestrati.
 
Peeeeeeeeeeeeee
– No… un’altra volta! Cavolo… –
– Dai pesca una carta… –
 
Il nostro amico aveva preso una casa in affitto nella periferia sud di Torino. Abitava lì da poco tempo, tanto che la proprietaria aveva lasciato tutte le proprie cose dov’erano, per poi tornare a prenderle e spostarle nella nuova casa. Infatti, sui mobili della credenza erano disposte varie fotografie che raffiguravano una giovane donna dai capelli castani. Una piccola foto raffigurava invece, il volto di una bambina che giocava con un palloncino rosso. Aveva i tratti molto simili alla donna delle altre foto e ipotizzai che fosse sua figlia. Alcuni libri erano disposti ordinatamente su un ripiano. Trattavano tutti temi religiosi come: “ritrovare la fede in se stessi” o “credere aiuta l’anima”. E ce n’erano abbastanza da capire che quella donna era una “brava” cattolica.
 
– Enzo fai piano… dai che ce la puoi fare! –
– Shhhh… mi fai deconcentrare! –
 
Enzo aveva lo sguardo fisso sul gioco. Cercava di non far tremare le mani perché al minimo urto avrebbe perso. Mario lo osservava silenzioso trattenendo a volte il respiro per non disturbare. Io percorrevo con gli occhi i bordi della scatola. Guardavo le figure colorate e le grandi scritte. E nell’angolo in basso mi colpì una dicitura. Enzo stava quasi per estrarre il pezzo con la massima calma…
– Ragazzi… ma qua c’è scritto da 6 a 12 anni! –
 
Peeeeeeeeeeeeeee
 
Scoppiammo a ridere mentre il naso dell’allegro chirurgo s’illuminava. Enzo era stato distratto dalle nostre risate e aveva toccato con le pinzette i bordi metallici del gioco.
Eravamo tre ventenni che stavano giocando a un gioco per bambini trovato in una delle stanze della casa. Precisamente era la stanza dove dormivo io che un tempo doveva essere la cameretta di una certa Manuela. Conoscevo il suo nome perché aveva scritto il suo nome un po’ dappertutto con lettere adesive.
Il gioco continuò indisturbato fino a quando il Dottor Ciro non riuscì a mettere a posto il tendine del tallone, l’ultimo e più difficile pezzo del gioco.
Ci abbandonammo sulle sedie con un bel respiro profondo. Guardavo il soffitto che a poco a poco si faceva più lontano per la crescente stanchezza. Enzo e Mario erano pensierosi. I loro sguardi erano distratti e vaghi. Sicuramente stavano pensando al prossimo passatempo per ammazzare la noia. Le loro menti, però, faticavano a generare idee a quest’ora .
Passarono una decina di minuti e una voce tediosa interruppe il favoloso silenzio.
– Ciro… – mi chiamò Mario… – Che si fa? –
Non seppi rispondergli subito. Il mio sguardo s’era soffermato sulla grande cassettiera alle sue spalle. Doveva per forza contenere qualcosa. E la mia anima curiosa che sempre mi accompagnava, mi spingeva a volerne scoprire il contenuto.
– A cosa giocare non lo so… intanto che ci pensiamo, vediamo cosa c’è in quella cassettiera. –
Ci avvicinammo tutti e tre al mobile. Aveva sei o sette cassetti abbastanza ampi disposti uno sopra l’altro. Aprimmo il primo e le nostre teste quasi si scontrarono nell’involontaria gara a “voler vedere per primo”.
Il cassetto era semi pieno e conteneva una po’ di tutto. C’erano lampadine… penne biro… fogli con appunti… e un orologio.
– Caspita! Questo è un Rolex! –
– Non credo… se fosse stato un Rolex non stava buttato in un cassetto insieme con una lente d’ingrandimento e un cacciavite! –
– Mio! –
– No… Enzo posalo dai. –
– No! Questo va diretto su Ebay… –
Enzo cominciò ad atteggiarsi per la stanza con al polso quel simil-Rolex. Mario lo seguiva cercando di capire se fosse autentico. Ma il fortunato possessore alzava il polso per non farselo afferrare.
E mentre loro bisticciavano per l’orologio, aprii il secondo cassetto. Questo conteneva un mucchio di fogli sparsi di vario genere. C’erano bollette del gas… della luce… estratti conti… versamenti… bollettini in bianco.
Mi girai verso Enzo e Mario che si contendevano quell’aggeggio.
– E’ mio! –
– No! È mio… l’ho trovato prima io! –
– Ehi ragazzi smettetela! Venite a vedere. –
 
I ragazzi si avvicinarono al cassetto. Ad una ad una presero in rassegna le varie bollette. Tra le varie cose scorsi un piccolo quadernetto. La copertina era un po’ ingiallita, segno che aveva passato un bel po’ di tempo chiuso lì. Lo presi e lo aprii. Su alcune pagine c’erano degli appunti di calcoli. Per lo più spese monetarie. Molto vecchie dato che le cifre erano in lire. In particolare mi colpii la dicitura “spese di avvocato” accanto ad una cifra. Subito pensai che quando si trattava di avvocati sorgevano i problemi. Chissà quale sarà stato il suo. Magari qualcosa di grave… magari aveva ucciso qualcuno che aveva curiosato tra le sue cose. Sorrisi…
– Ehi Ciro… guarda un po’ qui! Un estratto conto! –
Posai il quadernetto attirato da qualcosa di nuovo.
– Vediamo vediamo! –
Scorrevano sotto i nostri occhi cifre di vario genere. Leggemmo distrattamente quel foglio interessandoci solo alla parte finale dove c’era l’importo totale del conto.
I miei amici iniziarono a fare commenti spropositati e da lì iniziai a comprendere che ciò che stavamo facendo non era molto giusto nei riguardi della padrona di casa del nostro amico. D’altro canto, se lei aveva lasciato lì tutti quei documenti, un po’ se ne infischiava della propria privacy. Dovrebbe saperlo che l’uomo è l’essere più curioso dell’universo e la tendenza a farsi i cazzi propri è molto bassa. Soprattutto se in casa aveva dei ventenni annoiati che non avevano voglia di andare a letto.
I ragazzi mi passarono il foglio. Ormai per loro non aveva più nessuna importanza. Lo lessi più attentamente. C’erano alcune cifre che non mi erano chiare. Per lo più si ripetevano sempre uguali nel corso dei mesi. Vidi meglio, erano dei versamenti fatti con una cadenza regolare e sempre dello stesso importo. Feci notare la cosa ai miei amici… e subito iniziarono a partire le ipotesi..
– Sarà un mutuo…-
– No… è troppo poco… sarà una finanziaria.-
– No… vedi… in un mese ha versato anche più di una volta.-
– Bo… il mistero si sta infittendo! Apriamo un altro cassetto! –
 
Aprimmo il terzo cassetto che non conteneva nulla d’interessante. Robaccia di ogni tipo. Cose rotte, matite spezzate, cancelleria di vario genere. Solo Mario trovò qualcosa che gli piaceva. Un vecchio paio di occhiali da sole molto rovinati. Se li mise e aprimmo il prossimo cassetto. C’erano alcune decorazioni di natale e ricordai che nella camera dove quella sera avrei dovuto dormire, c’era un piccolo alberello vicino alla finestra. Presi alcune decorazioni e dissi ironicamente:
– Wow… posso addobbare l’albero che c’è in camera mia! –
Così andai di là da solo. Misi alcuni nastri e un paio di palline sull’alberello e mi sedetti sul letto a osservarlo. La mia mente s’isolò per qualche istante. Avevo uno sguardo assente come di chi osserva senza riflettere. Guardavo la stanza. Aveva qualcosa di mistico e spirituale. Il tempo sembrava essersi bloccato. C’era quell’albero di natale, pur essendo appena iniziato agosto. Mi sentivo come imprigionato in una foto in cui tutte le cose erano nel proprio giusto ordine. Tutti i peluche e i giocattolini erano disposti sulle mensole. Orsacchiotti, bambole e piccoli pupazzetti. Di fronte al letto c’era la scrivania. Sopra, in un angolo, erano ancora riposti i colori che la bambina usava per disegnare. E la perfezione dei dettagli creava questa strana illusione nella mia mente. La notte era inoltrata e gli occhi erano stanchi. Iniziai a immaginare la bambina seduta su quella poltroncina rossa che, con la lingua in un angolo della bocca, disegnava il suo sogno più misterioso. Una visione… una visione immateriale di una persona a me sconosciuta. E pure era lì e ora s’era alzata per riporre i suoi disegni in un cassetto… lo richiuse.. mi sorrise.. e sparì.
– Cirooo! Corri di qua! Ci sono novità! – Enzo mi chiamò distogliendomi dalle mie visioni. Scossi un po’ la testa e ripresi conoscenza.
– Arrivo arrivo… che c’è? –
– Guarda qui! Foto! –
I ragazzi avevano aperto l’ultimo cassetto del mobile. Era pieno di fotografie, piccoli raccoglitori e molti negativi. Sfogliammo distrattamente tutte le foto. Ognuno di noi aveva un bel malloppo in mano e ci scambiavamo quelle più interessanti senza trattenerci dalle battute più inopportune.
– Ciro, guarda questa, sembra tua mamma! –
– Fa vedere. Ma dai! Non è vero… scemo! Su… posiamo tutto… s’è fatto tardi… io sono stanchissimo! –
– No! Dobbiamo ancora finire di vedere! –
– Vabbè… fate un po’ come volete… io me ne vado a nanna! –
E tornai nell’altra stanza. Chiusi la porta e mi buttai sul letto. Cercai di dormire ma i miei occhi non avevano voglia di chiudersi nonostante la stanchezza. La curiosità mi stava invadendo. Non potevo lasciare i miei amici di là a scoprire chissà cosa senza di me. Mi girai su un lato. “Tanto tra poco andranno a dormire anche loro” pensai. Ma dalla porta a vetri della mia camera non vedevo spegnersi la luce. Anzi, sentivo ancora rumori di spostamenti e di borbottii. “Quelle due teste matte… fammi andare a vedere che cosa stanno combinando” pensai, ma in fondo in fondo era solo un pretesto per tornare curiosare in giro per quella casa misteriosa.
Riaprii la porta e vidi Enzo e Mario seduti al tavolo che sfogliavano un album.
Mi guardarono.
– Allora… che avete scoperto? –
chiesi rimettendomi in gioco.
 
 
 
 
 

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