Weekend finanziario (VI)

Weekend Finanziario 6

Una delle ragazze di quella sera credeva fossi un modello! Mah…

Ultimo giorno, mattina della partenza

Oltrepassata la robusta porta in legno di ciliegio, sigillata da una chiusura a chiave magnetica, si entrava in una delle stanze del quinto piano, vista mare, di un mediocre albergo Riminese. Per terra, sulla moquette blu notte a pois dorati, c’erano disseminati una miriade di capi d’abbigliamento stropicciati in un susseguirsi continuo fino ai piedi del letto. Una scarpa destra, con ancora i lacci legati in un classico e inconfondibile doppio nodo faceva la guardia all’ingresso, sperando di rivedere, prima o poi, la sua gemella sinistra. Subito dopo, antistante la porta del bagno, un giubbotto di pelle nero era adagiato a terra. Girato di spalle e con le maniche allungate, sembrava un soldato morto sul campo. Più avanti, tra un calzino e una maglietta si arrivava al letto, da cui sbucava, dal lato sbagliato, un piede nudo. Un ragazzo dormiva scompostamente lungo la diagonale di un letto matrimoniale. Percorrendo tutta la sua figura inanimata, si potevano confrontare i pezzi del puzzle di vestiti che non erano sulla moquette in modo da ricostruire l’abbigliamento originale. Tutto sembrava tranquillo, fino a quando, l’indice della mano sinistra non emise una sorta di breve tic

Ero in un luogo buio, con musica assillante e luci intermittenti. Seduto su un divanetto, conversavo con diversi ragazzi di assurde politiche economiche. In una mano avevo un cocktails e con l’altra carezzavo la pelle bianca del divanetto a due posti. Stranamente però, non sentivo la liscia consistenza della pelle sotto le dita. Al contrario, percepivo una sensazione di ruvidezza, come se la pelle fosse in realtà stoffa. Continuai a giocare con la mano sul bracciolo, isolandomi dal resto della scena. Non riuscivo a comprendere la strana alterazione sensoriale tra vista e tatto fino a quando il mio dito non incontrò un disegno in rilievo che, sul divanetto in pelle bianca dell’oscuro locale, non c’era.
Fu allora che aprii gli occhi e vidi la mia mano sinistra che strusciava sul copriletto del materasso matrimoniale della mia camera d’albergo. Lentamente continuai a delineare i bordi del fiore disegnato sulla stoffa per ristabilire il connubio tra vista e tatto.
“Era un sogno” pensai, poi sopraggiunse il mal di testa e il sogno non fu più una spiegazione plausibile.
Mi alzai, mettendomi a sedere. Mi resi conto di essere ancora, stranamente, vestito. Metà dei quali però, erano sul pavimento. “Cosa diavolo è successo?”. Tolsi l’unica scarpa che avevo per liberare l’altro piede ancora imprigionato dal mio classico doppio nodo. Mi spogliai completamente dai vestiti sgualciti e li buttai per terra insieme con gli altri. Passai davanti allo specchio a muro della camera. Volevo controllare se era tutto al proprio posto, poi mi buttai sotto la doccia.

Uscii dal bagno ancora tutto gocciolante, con un asciugamano bianco legato in vita. Con un altro asciugamano mi frizionavo i capelli umidi finché il mio sguardo non fini su un piccolo pezzo di carta sul comodino. Qualcuno aveva scritto qualcosa a penna e l’aveva lasciato lì, in bella mostra. Lo presi con le mani ancora umide e notai che era lo stesso bigliettino che mi aveva dato il tassista la sera prima e che io avevo conservato nel portafoglio. Lo lessi:

“Fantastica serata Ciro,
La prossima volta meno alcol però eh!
Ti abbiamo riportato noi in albergo…
Chissà! Ci si rincontrerà prima o poi!
Addio!”
Incredulo lessi e rilessi ancora quel bigliettino. “Chi cavolo sono questi?! E cosa cavolo ho fatto ieri sera?!” I miei pensieri non si davano pace alla ricerca di una risposta. “Come hanno fatto a riportarmi qui?”. Guardai sul comodino e vidi la chiave magnetica della mia camera con su scritto il nome del mio hotel. “Sicuramente usando quella…” pensai.
Guardai l’orologio e capii che non avevo tempo da dedicare alla ricerca dei ricordi perduti. Di lì a breve avrei avuto un treno che mi avrebbe riportato a Milano. Dovevo sbrigarmi per non perderlo. Mi rivestii in fretta e preparai la valigia. Fortunatamente non mancava niente. Quei ragazzi che mi avevano accompagnato, dovevano essere dei bravi ragazzi. Diedi un ultimo sguardo alla stanza e scesi nella Hall.
Alla reception c’era una ragazza dai capelli bordò. Mi diede un’occhiata mentre m’avvicinavo e mi face un sorrisino. Di solito, i receptionist sono sempre a conoscenza di ogni cosa avvenga nel proprio albergo. Ce l’hanno nel codice genetico come le portinaie o i barbieri. Ero tentato dal chiederle qualche notizia su ieri sera. Ma, a guardare quei dolci occhi maliziosi, mi vergognavo miseramente a chiederle come dei tizi sconosciuti mi avessero trascinato in camera la notte prima. Sicuramente avrà visto, se non lei, qualche collega. Pagai. Mi rifilò il resto condito dal solito sorrisino. Uscii dall’hotel con metà della coda tra le gambe. Per qualche strana e insulsa ragione malinconica, preferii fare a piedi il tragitto fino alla stazione, invece di prendere il taxi.

Venne a piovere come se non ci fosse stato più un domani.
Corsi per ripararmi sotto un balcone. La stazione era a pochi metri ma non potevo superare la colonna d’acqua che veniva dal cielo. Osservai Rimini… la fantastica città teatro di mille avventure. Solo e stanco mi appoggiai al mio trolley con l’acqua che veniva giù a pochi centimetri dal mio naso. Dal balcone sopra di me sembrava che ci fosse una cascata che veniva giù da chissà dove. Vedevo l’immagine della stazione come attraverso una gigantesca bottiglia di vetro trasparente. Ombre e bordi sfocati. Passanti anonimi. Vento… Mi sentivo impotente davanti a quell’onda invisibile di ricordi che mi stava travolgendo. Vedevo dinanzi a me il piccolo Ciro diciassettenne che, con la sua cartella Seven, usciva dalla stazione di Rimini. Tutto era sfocato… proprio come il ricordo… proprio come la pioggia. Il mio volto sorridente nel rincorrere i miei amici più grandi che mi avevano trascinato con loro in una magica vacanza. In testa nessun pensiero e sulle spalle chili di alcol… Sorrisi. Pantaloni larghi, canotta… il caldo asfissiante di quei giorni. In testa mille ragazze. Molte sbagliate… molte sofferte. Delusione. Osservavo il mio alter ego fantastico camminare a stento. Le scarpe erano di una misura più grande e a volte inciampavo nei gradini. I miei amici attendevano al di là del marciapiede. Avevo paura di attraversare la strada con quel pesantissimo zaino. Guardai a destra e poi a sinistra proprio nella mia direzione… ci fissammo. Io e il ricordo di me. Sotto la pioggia, dietro un muro d’acqua trasparente.
E il ricordo svanì…
Come la pioggia che si dissolse…
Uscii dal mio riparo e camminai verso la stazione.

Guardai un attimo la lunga via che portava diritta al mare.
Cos’è successo? Dove son finiti i miei sogni?
Tutti rotti…
Solo uno son certo di averlo realizzato:
Veder spuntare l’alba sul mare di Rimini…

Perché gli altri ho smesso di realizzarli?

Fine

Weekend finanziario (I)

Doccia, camicia, giacca.
Scarpe nere. Cravatta? Oggi no.
Ero intento a fissare la mia immagine riflessa sullo specchio della mia camera d’albergo. Quel giorno optai per il grigio scuro. Camicia attillata, pantaloni con piega e cintura nera che staccava il sopra dal sotto. Uno dei miei migliori abbinamenti… pensai.
Chiamai un taxi e scesi nella hall ad aspettarlo. Dalle finestre entrava la leggera brezza marina di Rimini. Era appena iniziato il terzo giorno del mio weekend finanziario. Volevo visitare, per l’ennesimo anno, l’ITF (Italian Trading Forum). A ripensarci, ero fuggito dalla capitale della finanza, Milano, per finire a seguire una fiera sulla finanza. Deve piacermi davvero molto sta roba…

– Dove La porto? – mi chiese il tassista.
– Al Palacongressi, grazie. –

Da pochi anni la fiera si tiene nel nuovo e fiammante Palacongressi di Rimini. I primi tempi era ancora in costruzione e la fiera si svolgeva altrove. Un gran bel salto di qualità.
Il tassista correva per le strade asfaltate della cittadina. Prese strade a me sconosciute. Vidi un arco romano, dei monumenti, case, negozi. Non era la solita Rimini che ero abituato a vedere, quella del lungomare. C’era gente che lì ci viveva. Ragazzi che andavano a scuola. Vecchietti a passeggio per i corsi. Preso dal dubbio che il tassista si fosse spinto troppo oltre con i chilometri, chiesi:
– Qui dove siamo? –
– Questo è praticamente il centro di Rimini. Siamo passati di qui perché viale Tripoli è intasato. –
Il centro di Rimini? 
Fino a quel preciso istante, dopo tutti i viaggi fatti in quella città a partire da 17 anni, m’ero fatto l’idea che il centro di Rimini fosse collocato vicino al parco Fellini, poco distante dal Grand’Hotel. Pensavo erroneamente che Rimini fosse una città spiaccicata sul mare. Ma quel giorno crollarono tutte le mie secolari supposizioni e al tempo stesso mi si aprì un mondo del tutto nuovo su una città che pensavo di conoscere alla perfezione.
Il taxi si fermò. Scrollai la testa da tutti i pensieri e tornai alla realtà.
– Quant’è? – chiesi.
– Le faccio 13€ anche se qui dice 14€… –
– Grazie mille. Ecco a lei. –
Scesi. Guardai in alto. Osservai la grossa cupola del Palacongressi. Fantastica.
Nemmeno a Milano avevo degli esempi architettonici simili da poter confrontare.
Entrai. La signorina all’ingresso mi fece un sorriso. Mi beggiò e mi lasciò entrare. Feci un passo, poi un altro… e arrivò come ogni volta. Quel brivido che mi percorre la schiena per finirmi in testa. Dura un istante. L’istante preciso prima di entrare nella sala principale. Lo provo ogni volta che vado a quella fiera, come se fosse la prima. Nonostante ormai
fossi un veterano. Ricordo benissimo la prima volta, guardavo tutto con occhi lucenti. Entrai molto giovane in quel mondo e tutti mi facevano i complimenti per quello che studiavo alla mia età. Era divertente confrontarsi con gli altri. Certo, all’inizio sembrava strano vedere un ragazzetto di poco più di 18 anni parlare di borsa. Ma appena quelle teste bianche capivano che ne sapevo quasi più di loro, mi rispettavano. Socializzavo, discutevo, criticavo. Ero in un mondo reale dopo anni e anni trascorsi su libri a studiare teoria. Potevo finalmente toccare con mano ciò che apprendevo. Quell’anno tornai a casa con un malloppo di appunti pieni zeppi di disegnini e scarabocchi. Appuntai teorie, tecniche, commenti, errori da non fare… La penna sembrava non bastarmi… e la voglia di apprendere era tanta.
Poi, anno dopo anno e fiera dopo fiera, gli appunti si ridussero in modo decrescente. Non aveva senso riscrivere le tecniche che già conoscevo. Quindi, nelle fiere successive, il mio  interesse si trasformò nello spulciare minuziosamente tra gli stand a caccia di nuove curiosità. Ma, ahimè, era diventata una caccia al tesoro.
Quest’anno come andrà? Pensai, mentre mi avvicinavo all’ingresso della sala.

L’articolo 140 (parte VI)

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“Lo studente si girò disorientato. La cercava, ma aveva perso le sue tracce. Dov’era quella ragazza senza nome? Dov’era andata a finire? Non si perse d’animo e iniziò a correre, lungo il buio, verso l’infinito. Il paesaggio non esisteva. Tutto era nero intorno a lui… eccetto per quel corridoio di mattonelle sotto i suoi piedi. Niente mura ne ostacoli. Solo buio e pavimento. Cosa c’era alla fine del corridoio? Dove sarebbe arrivato? E soprattutto… era la strada giusta? Fece un passo in avanti ma una mano gli afferrò la spalla. Lo studente si girò di scatto e la vide. La mente si schiarì e tutto il buio si dipinse di toni accesi come a festeggiare la sua felicità. La guardò negli occhi. Quegli occhi limpidi e belli, così neri da riflettere i suoi. Non ci vollero parole per capire che entrambe le labbra desideravano un bacio.
E si avvicinarono con la lentezza di un respiro profondo… si sfiorarono… e…”

Biiiiiiip Biiiiiiiip Biiiiiip

– Ma chi cazzo è? – Con una mano tastai alla vaga ricerca del cellulare sul mio comodino. Caddero penne quaderni, fogli, libri… di tutto, ma quel dannato cellulare non c’era.

Biiiiiiip Biiiiiiiip

Ascoltai meglio e capii che il suono proveniva dalla tasca dei miei jeans. Infilai una mano in tasca e premetti il tasto di standby. I miei occhi erano ancora pieni di sonno. Crollai di nuovo sul cuscino cercando di riprendere quel magnifico sogno. Ma stavolta niente… era tutto perduto. Mi limitai ad oziare un po’ rigirandomi nel letto e rendendomi conto che avevo dormito completamente vestito. Afferrai un cuscino e lo schiacciai sulla testa perché Milano m’infastidiva con i suoi rumori da orari di punta.
– Voglio… svegliarmi quando voglio… da tutti i miei sogni… voglio trovarti sempre qui… ogni volta che io ne ho bisogno… – iniziai a cantare sotto il cuscino, ancora intontito dal sonno.
“Succeda quel che succeda… ma stamattina non mi va proprio di svegliarmi…”
Tolsi il cuscino dalla faccia e presi una gran bella boccata d’aria.
“Ma perché è scattato un alert se ieri non li ho impostati? Mha…” Dubbioso guardavo il soffitto e pensavo… Pensavo che la doccia era un ricordo preistorico ormai.
“E se non era un alert?” Sgranai gli occhi e tirai fuori all’istante il mio cellulare dalla tasca. Dalla fretta sbagliai più volte il codice di sblocco.
– Cazzo! Oggi è il 15! Devo dare l’esame!! E sono maledettamente in ritardo! –
Scesi dal letto e mi guardai intorno decidendo quale azione compiere per prima. Andai al pc ad osservare la borsa. Era un esame si… ma i soldi vengono sempre prima di tutto.
Male… molto male. Mi morsi un labbro mentre guardavo quelle quotazioni sprofondare sempre più in basso. – Perché? Ditemi perché!? – dissi nervosamente ad uno schermo muto. C’è sempre un perché nelle cose! Soprattutto in finanza! L’unica regola… è conoscerlo prima degli altri. Chiusi tutto e andai verso l’armadio. “Cosa mi metto? La solita mise da bravo ragazzo intellettuale e un po’ sfigato? Ai professori piace tanto… Naaa… che cavolo me ne fotte! Jeans strappati, maglietta nera, polsino, anelli, borchie e un crestone da paura!” Sembrava che dovessi andare a un concerto. Cercai il libretto universitario nella libreria evitando di calpestare i libri per terra e i frammenti di vetro del bicchiere. Misi tutto in una borsa e portai anche una Burn… “Non si sa mai…”

Scesi in strada e arrivai in piazza passando a malincuore davanti al Bar Bahia senza fermarmi. Alla mia destra c’era la metro… a sinistra la stazione dei treni. Guardai l’orologio sul cellulare.
“Non ce la farò mai! Sono troppo in ritardo! Ci vuole qualcosa di più veloce!”
Poco distante c’era una piazzola di taxi. – Bingo! – dissi avvicinandomi velocemente alla prima macchina in fila.
– Libero? –
– Certo… –
Salii in macchina e il tassista mise in moto chiedendomi la destinazione.
– Via…. –
Gli dissi il nome della via e lui per conferma mi chiese: – Dove c’è l’università? –
– Si certo! Sto andando proprio lì! –
– E scusami la domanda… ma ci vai in taxi all’università? – mi chiese.
– Guardi… è una lunga storia… e sono maledettamente in ritardo per un esame! –
Intanto che la macchina andava, cacciai dalla borsa i miei appunti di diritto. Li sfogliai rapidamente mentre il tassista accese la radio.
“Allora… questo lo so… questo anche… questo speriamo che non me lo chieda…”
Presi il cellulare e guardai l’orologio.
“Cavolo! Dai dai dai!” e mentre incitavo mentalmente l’autista focalizzai l’attenzione sulla radio.
Violente proteste in Grecia per la grave crisi che la sta colpendo. Numerose le persone davanti al parlamento che inneggiano alle dimissioni del governo. Il premier Papandreu però, opta per il rimpasto dei ministri, affidando a….
A quelle parole mi s’illuminarono gli occhi. “La Grecia… l’euro… crisi… ma certo!”
Aprii il programma di borsa sul mio cellulare. Mentre caricava pensai a ciò che stavo per fare… vendere!

Vendere in borsa, non ha sempre lo stesso significato che gli diamo noi comuni mortali. Il termine ci porta al concetto che “vendo una cosa che ho, a qualcuno” ma se quella cosa non l’avessi e la vendessi comunque? In borsa si chiama short selling. Ovvero, vendi ciò che non hai. L’unica regola è… che prima o poi devi comprare ciò che hai venduto sperando di comprarlo a un prezzo più basso e guadagnare sulla differenza.
Esempio: vendo a 100… il prezzo scende a 30 e compro = 70.

“Vendere vendere vendere!”
Puntai il massimo. Tutto quello che avevo… fino all’ultimo centesimo. Prima di premere invio pesai che una mossa contraria mi avrebbe polverizzato il capitale. Chiusi gli occhi… e schiacciai.
– Eccoci qua… – disse il tassista fermando la macchina. – Sono 14 euro e 30 –
Controllai il tassametro e aprii il portafoglio. Dissi addio ai miei tanto amati 15 euro.
– Tenga il resto… – dissi e scesi frettolosamente.
Entrai nell’atrio e corsi verso la bacheca per sapere in che aula dovevo andare.
“Aula 9”
Mi ci fiondai e spiai dai vetri prima di entrare. C’erano un centinaio di studenti disposti a caso nei banchi. La commissione non c’era ancora. “Bene!”
Entrai e mi sedetti. Tirai fuori i miei appunti. Volevo ripetere qualcosa ma non ci riuscivo. Chiusi il blocco e cacciai la mia Burn. Iniziai a bere.
Entrò la commissione dalla porta sulla destra. I professori sembravano allegri a giudicare dal loro parlottio cordiale. Si sedettero dietro le cattedre ed ognuno cominciò a chiamare il suo gruppo di studenti.
Accanto a me sedeva una ragazza. Era molto nervosa e continuava a ripetere e ripetere. Era rossa in viso e si sfregava le mani. Era ansiosa e vederla metteva ansia anche a me. Guardai la mia professoressa che esaminava un ragazzo. Non sembrava “cattiva” ma le sue domande a volte potevano esserlo. Il ragazzo tentennava. Biascicava definizioni a volte campate per aria. La professoressa sorrideva e riferiva all’assistente a fianco le minchiate che stava sparando il ragazzo. Non riuscivo a sentire bene, ma l’argomento era la magistratura. Infine la professoressa lo congedò restituendogli il libretto in bianco. Fu la volta di una ragazza. Questa andò un po’ meglio e il suo esame durò una ventina di minuti. Bevvi l’ultimo goccio della mia Burn. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla cattedra. Era il suo turno. Aveva un volto quasi terrorizzato come se la professoressa fosse stata una delle peggiori torturatrici uscite da un film di Tarantino. Matricole… Presi il cellulare e guardai l’orologio era quasi un ora che aspettavo. Aprii il software di borsa ma non feci in tempo ad osservarlo che sentii pronunciare il mio nome. Alzai la testa e risposi:
– Eccomi! – Misi il cellulare in vibrazione e avanzai verso la cattedra.
– Vada dalla mia assistente… la esaminerà lei… – mi disse la professoressa.
Mi sedetti di fronte a questa mora di mezz’età.
– Allora? Cominciamo? – dissi. Volevo togliermi di mezzo questo impiccio.
– Certo! Mi parli della Costituzione… –
“Fantastico” pensai. Della Costituzione sapevo ogni cosa. Merito dello studio… ma anche dei miliardi di telegiornali e dibattiti politici che fui “costretto” a vedere per colpa del monopolio televisivo di mio padre quando ero piccolo.
– La Costituzione italiana fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Entrò in vigore dal primo gennaio del ’48 e… –
Parlavo speditamente. Ma a un certo punto sentii la mia tasca vibrare. Qualcosa in borsa era successo. Avevo piazzato gli alerts e uno di questi mi stava avvertendo.
– Chi è che può cambiare una legge della Costituzione? –
– Il parlamento attraverso un procedimento aggravato di revisione costituzionale… –
Mi vibrò ancora la tasca. Pensai agli alerts che avevo piazzato e a che livello fossero.
– Perché aggravato? –
– Perché è necessaria una doppia votazione da entrambe le camere a distanza non inferiore a tre mesi… –
“Ma certo! Avevo piazzato gli alert solo per avvertirmi dei guadagni! All’eventuale perdita non c’avevo nemmeno pensato!
– Ecco, ora mi dica di cosa parla l’articolo 140 della Costituzione. –
Sorrisi a quella domanda. Quella professoressa mi piaceva.
– Mi spiace prof… ma la mia Costituzione si fermava al 139… se il 140 l’hanno approvato stamattina, prima che venissi qui… beh.. non sono aggiornato! –
La professoressa sorrise perché avevo scoperto la sua domanda trabocchetto. Prese il mio libretto, scrisse il voto e mi mandò via.

Uscii fuori con il cellulare in mano. Digitai la password per entrare nel programma. Guardai il mio portafoglio virtuale e mi trattenni dall’urlare dalla felicità.
– Si cazzo! Il mio istinto aveva ragione! –
Chiusi tutte le posizioni e trasferii i soldi sul mio conto di risparmio. Chiusi il programma e mi sentii sollevato. Composi un numero di telefono.
– Pronto Enzo… –
– We Ciro! Che fine hai fatto? Sono secoli che non ti fai sentire! –
– Eh, lo so… è che in questi giorni ho avuto un po’ da fare… ma lasciamo perdere… pensiamo a cose importanti invece…
dove andiamo in vacanza? –

 

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