La Coinquilina Perfetta #10

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Il clima in casa era diventato più gelido del circolo polare artico. Io e Sara non ci parlavamo, e tendavamo ad evitarci nei luoghi comuni della casa. Se proprio dovevamo, ci limitavamo a monosillabi, come “Si”, “No” “Puoi cucinare”.
Mi dispiaceva questa situazione, di solito lasciavo scorrere e facevo il primo passo verso la pace… ma quella volta volevo che fosse lei a “chiedere scusa”. Purtroppo sembrava che ognuno avesse le proprie ragioni e un punto d’incontro sembrava non si sarebbe mai trovato.
E’ strano come a volte, due esseri perfettamente razionali si comportino come due bambini dispettosi.
I primi giorni passarono così: silenzi e porte chiuse.
Poi iniziò il periodo del “usiamo Roberta”.
– Roberta, puoi dire a Sara che c’è della posta per lei? –
– Roberta, poi chiedere a Ciro di liberare lo stendino? –
…..
La cosa stava iniziando quasi ad essere divertente. Di certo non per Roberta, che ogni tanto sbroccava, scocciandosi di fare da messaggero.

Qualche giorno dopo fummo soli in cucina. Sara ed io.

Aspettavo davanti alla cucina che il caffè uscisse mentre lei metteva a posto qualcosa nel suo ripiano. La guardavo. Mi guardò…
– Per quanto ancora vogliamo andare avanti così? – mi chiese.
– Anche in eterno! – le risposi con un velo d’ironia.
Lei si zittì. Avevo perso l’occasione per far pace, quindi continuai:
– Mi hai lasciato solo…. – le dissi riferendomi alla cena del compleanno di Roberta.
– Ci… io pensavo che tu avresti fatto lo stesso! Non mi andava proprio… che ci posso fare? –
– Sì, anche a me non andava… e se tornassi indietro non sarei restato per niente al mondo a quella noiosissima cena… –
– Vedi? Alla fine ho ragione io – disse Sara torcendo il filo spinato che ci circondava.
Sbuffando le chiesi: – Facciamo pace? –
– Pace… – rispose guardando altrove.

Il giorno dopo il rapporto sembrava essersi ripreso. il periodo di congelamento era finito. Eravamo tornati i freddi coinquilini di prima, ma almeno avevamo smesso di utilizzare Roberta come tramite delle nostre richieste. Anche perché, era partita per la Sicilia.

– Lo odio! Lo odio!! – sbraitava Sara nella cucina.
– Chi odi?! – dissi sorridendo dalla mia camera.
– Lo sai benissimo chi! – rispose.
– Il latin lover milanese… – dissi ironico.
– Lo stronzo milanese! – rispose Sara.
Mi alzai dalla sedia e andai in cucina per vedere cosa stesse facendo Sara. Era seduta al tavolo che continuava a leggere e rileggere vecchi e nuovi messaggi.
– Ma ti sembra intelligente una persona che mi risponde cosi? – disse porgendomi il cellulare.
Guardai rapidamente la chat di whatsapp e subito notai la lunghezza dei messaggi di Sara rispetto a quelli del suo, chiamiamolo ex.
– Sara… una cosa –
– Cosa?!? –
– SCRIVI TROPPO! – le dissi
– uff –
– Se vuoi una risposta sensata da un ragazzo non puoi scrivergli un libro ogni volta… lui leggerà le ultime due frasi… lo sai bene anche tu. Siamo stupidi… vogliamo andare subito al sodo! –
– E’ si! Ma mi risponde ste frasi! Guarda qui.. e qui… – disse indicandomi i messaggi di lui.
– Te lo ripeto… lui non li ha proprio letti i tuoi messaggi se ti risponde cosi! –
– Allora è stronzo! –
– Più pigro che stronzo… –
– Non ci tiene allora… –
– Sara… io non lo so… perché non le scrivi a lui queste semplici frasi? –
– eh… sembra facile! –

E in effetti non lo è. Non lo è mai esprimere i propri sentimenti alle persone. Soprattutto a quelle a cui si vuole bene.
Ritornai in camera sorridendo, non per suoi dispiaceri, ma perché Sara era tornata a confidarsi con me. A parlarmi come amico e come coinquilino.
Tutto era davvero tornato come prima.

 

 

 

La Coinquilina perfetta #5

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Passò qualche giorno. Il clima in casa si era notevolmente raffreddato. Ero tornato ad essere il freddo coinquilino di sempre. La notizia della loro dipartita mi aveva un po’ destabilizzato.

Mi ero abituato a loro. Mi ero abituato al freddo raziocinio di Sara, che andava molto d’accordo con il mio; mi ero abituato all’odore di qualche sostanza illegale che spesso usciva dalla cucina mentre Carmen studiava; mi ero abituato ai discorsi, alle risate… alle prese in giro… al tempo perso in cucina dove ora mi fermavo più volentieri. Tutto perso… Tutto doveva essere ricostruito d’accapo con nuove persone… nuovi coinquilini.

Era sera. Carmen era andata chissà dove. Restavamo solo io e Sara.
Entrai in cucina.

– Ciao Sa’… stai cucinando? –
– Sì… ma uso solo un fornello, gli altri sono liberi –
– No, tranquilla aspetto che finisci… –
– Ciro! –
– Sì? –
– Cucina! –
Sorrisi. A volte mi dava questi strani ordini ironici. Era il suo modo di dimostrare gentilezza.
Presi una padella e l’appoggiai su un fornello. Eravamo fianco a fianco.
Il cucinotto della casa era separato dalla cucina. Piccolo e quadrato, davanti avevi i fornelli e dietro il lavandino. C’era il giusto spazio solo per due persone, per questo preferivo cucinare da solo. Sono uno che ha bisogno di avere tutto sotto controllo e avere un’altra persona in mezzo mi fa innervosire. Con Sara però era diverso. Mi capiva. Prevedeva quello che dovevo fare. Se dovevo scolare la pasta, si spostava e apriva il rubinetto per far scorrere l’acqua nel lavandino. Se dovevo abbassare una fiamma o accendere la cappa bastava uno sguardo. Ci capivamo… forse eravamo più simili di quanto non sembravamo.

– Io ho finito… – disse.
– Tra poco anche io… –
– Mangi di qua? – mi chiese dato che era mio solito cenare in camera davanti alla tv.
– Si apparecchia anche per me… –
Sara prese la tovaglia a quadri arancione e la mise sul tavolo. Piegò un paio di Scottex a mo’ di fazzoletti e mise le posate. Accese la radio e si sedette, aspettandomi, per mangiare.

Spensi il fornello e riversai nel piatto la mia pasta al pomodoro.
– Buon appetito Sara… comincia pure… – dissi mentre prendevo posto a tavola.
– Buon appetito… –
– Carmen? E’ uscita? – le chiesi.
– Cì… con Carmen non scorre buon sangue… abbiamo avuto un po’ di discussioni ultimamente… per questo è sempre fuori… –
– Ah.. mi spiace… –
– Niente di serio… però il nostro rapporto s’è incrinato… –
– Colpa mia? –
– No Ciro… non è mai colpa tua! – sorrise.
– beh… io chiedo… –

Passò qualche minuto di silenzio. Il rumore delle posate e la musica della radio faceva da sottofondo.

– Cì,… –
– Dimmi? –
– E se non cambiassi casa? –
– Torni in Calabria? – chiesi ironico.
– Scemo, dico, se restassi qua… –
– Ci sarebbe un solo problema… – le dissi.
– Quale? –
– Quello di trovare una nuova coinquilina che condivida la stanza con una fredda, acida… ehm dolce, simpatica… ragazza come te.-
– Dici che è difficile… –
– Non impossibile… iniziamo domani? –

 

Continua…

La Coinquilina Perfetta #3

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La casa era un fermento di andirivieni dal bagno. Le ragazze si stavano preparando per la serata che di lì a poco stava per cominciare. Stranamente ero partecipe anche io di questo avvenimento. Mi avevano invitato ad un aperitivo per festeggiare la fine delle vacanze estive e il ritorno in terra milanese di tutti e tre. Carmen si stava truccando davanti allo specchio nell’ingresso; Sara era nel bagno a far la medesima cosa con lo specchio sul lavabo; ed io ero seduto in cucina, già pronto per uscire.

“Scrivigli Sara!” dissi.
“Noo!” rispose.
“Dai scrivigli… si aspetta quello…” incalzai.
“No! Ho detto di no e no!”

Il tema della serata però, non era l’uscita: una vecchia fiamma di Sara era tornata a Milano e lei, anche se non l’avrebbe ammesso mai apertamente, voleva incontrarlo e parlargli.
“Carmen tu cosa ne pensi? Dovrebbe scrivergli?”
“Ehm… sì… perché no… alla fine non ti costa niente…” rispose dalla camera da letto.

Come si nota la confidenza reciproca era aumentata. Con i coinquilini passati non mi ero mai intromesso in queste situazioni. Lasciavo che i problemi degli altri rimanessero di proprietà dei legittimi proprietari. A me non importava. Con quelle ragazze invece, stava mutando tutto… Io stavo cambiando. In particolare, Sara (Carmen un po’ meno…) si fermava spesso in cucina a parlare con me. Mi raccontava tutto. Ero diventato un suo confidente. Non c’avrei mai scommesso il primo giorno che l’ho vista. Pensavo perfino che non lo avesse proprio un cuore una persona così pragmatica e decisa. E invece s’era infatuata, qualche mese prima, di questo ragazzo milanese, e ho sempre cercato di darle qualche consiglio da buon amico.

Presi il telefono che aveva poggiato in cucina e lo portai in bagno da lei. Glielo misi davanti agli occhi e dissi perentorio: “Scrivigli… almeno ti metti l’anima in pace… e sai se ci tiene ancora a te…. O no!”
Sara smise di truccarsi. Sospirò guardando il telefono e disse rassegnata: “Ok… gli scrivo…”

Più tardi, tra una corona e una ceres eravamo seduti sull’asfalto di piazza San Lorenzo. Le famosissime colonne a fare da sfondo e intorno, un mare di gente, seduta a terra come noi.
Sara aveva uno sguardo triste, era giù di tono. Non aveva la solita parlantina logorroica che faceva da sottofondo alle nostre serate. Si vedeva che era pensierosa; e il pensiero lo conoscevamo bene anche Carmen ed Io li vicino: “Non ha ancora risposto?” chiese Carmen.
“No… ma non ci spero più… mi avrà ignorata…” disse Sara.
“Ma dai… quello starà in giro con gli amici… vedrai che appena prende in mano il telefono ti risponde…”

Poco dopo ci spostammo in direzione della metro. Arrivammo a S. Agostino e scendemmo le scale. Ci sedemmo. Ero assorto nelle solite pubblicità di vestiti appese ai muri della metro.
Improvvisamente mi accorsi che Sara, accanto a me, aveva in mano il cellulare e stava leggendo un lunghissimo messaggio. Capii subito che non era niente di buono. Poi le lacrime di Sara me ne diedero la conferma. Fu una botta al cuore anche per me. Rimasi a bocca aperta. Quasi shoccato. Vedere quegli occhi glaciali trasformarsi in fragili cristalli mi devastò.

“Sara… cosa….”
“Niente… non dovevo scrivergli… non dovevo!”
Mi parlava con le lacrime agli occhi. Non sapevo che fare… volevo aiutarla ma…

forse avevo già fatto troppi danni.

 

Continua…

Storia di una casa (#41)

Storia di una casa #41 Blog

2007/2008

– 41 –

–  …E poi c’è Fightclub, lo adoro! E’ uno dei miei film preferiti! –
–  Sì! L’ho visto! Mi è piaciuto un sacco! –

Aprii con molta calma il portone di casa. Entrai per primo. Floria mi seguiva, trascinando con sé il suo grosso trolley. Sembrava stanca e provata dalla lunga giornata. Depositammo le valigie nella sua camera coricandole sul pavimento parquettato. La vidi dirigersi subito verso la finestra e spalancarla. Volle cambiare aria a quella camera che per lunghi mesi era stata chiusa. Si tolse il lungo cappotto e lo depositò sul divano. Osservai l’indumento e pensai che gli si dovesse dar merito per aver nascosto con così tanta cura un fisico che, altrimenti, non sarebbe passato inosservato.
Oggettivamente, Floria aveva un bel corpo. Gambe lunghe e fianchi stretti impreziosivano il suo portamento slanciato. Indossava un paio di jeans scuri, sotto a una maglietta beige in cotone a maniche lunghe. Le sue esili mani, con unghie ben curate erano già intente ad aprire una delle due grandi valigie sul pavimento. Non voleva darla vinta alla stanchezza quella sera. Nel frattempo, avevo preso posto su uno dei due letti e le stavo raccontando qualcosa di me. Lei mi chiese, con distratta curiosità, quanti anni avessi, mentre poggiava il primo maglione sul ripiano dell’armadio.
– 20 –
Improvvisamente si girò verso di me, come se quella risposta l’avesse spiazzata.
– Non l’avrei mai detto! Pensavo fossi più grande… – disse.
– Beh… forse la barba incolta e l’aspetto trasandato possono averti deviato… – buttai lì, ironicamente.
Abbassai lo sguardo silenzioso e, fissando i tasselli del parquet, cercai qualcosa da dire. Floria continuava il suo lavoro di svuotamento della valigia, quasi incurante che io fossi lì vicino.
– Tu, invece? Quanti anni hai? – chiesi.
– 25 –
– 25? Caspita! Nemmeno io l’avrei mai detto! –

In realtà, al contrario di ciò che pronunciai, la mia esclamazione sarebbe dovuta essere: “Caspita! Sei più grande di me!” per renderla più simile a ciò che davvero pensai in quel momento. Non volli sprigionare il mio vero pensiero per non rendere la situazione più strana di quanto già non lo fosse. Mi sentivo in difficoltà. Il mio rapporto con ragazze più grandi di me, fino ad allora, s’era limitato a casi sporadici. Diciamo che, l’universo femminile da me conosciuto non andava oltre la mia età. Al di là del quale c’era un vuoto totale. Mi sentivo disorientato. Non sapevo come rapportarmi, quali cose dire o quali comportamenti evitare per non sembrare infantile. Però, nonostante tutte le mie inutili paranoie, la cosa mi affascinava. Avrei potuto studiare il suo carattere in segreto e carpire qualcosa in più sulle donne.

Floria si girò verso di me e mi chiese:
–  Hai già cenato? –
–  Veramente no… –
–  Ho visto che qui sotto c’è Pizza Mundial… ti va se scendiamo a prenderci una pizza? –

Accettai subito il suo invito. Non dico mai di no a chi mi offre di mangiar fuori o di bere una birra. M’infilai rapido il cappotto mentre Floria mi aspettava già sul pianerottolo. Chiusi la porta a chiave senza badare che, tra lenzuola del letto, il mio cellulare aveva iniziato a squillare…

continua…

Seicentoventi (I)

Chiavi Ducati Monster 620

1.

 

La pallina rossa volteggiava nell’aria per poi finire nella mia mano. Girovagavo per la stanza pensieroso. Ero a Milano da pochi giorni e già sentivo il peso della solitudine sulle spalle. L’estate era finita, e, bene o male, qualche cosa di divertente s’era pur rimediato.
Mi sedetti a gambe incrociate per terra continuando a far rimbalzare la pallina sul pavimento.
Non mi sentivo soddisfatto. Avevo gli occhi spenti e l’anima che pulsava come una tenera fiammella al vento, invece di ardere di passione come il suo solito. Avevo una strana angoscia interiore che cercavo di debellare.
Voglia di vivere zero.
Voglia di pensare tantissima.
Guardai le pareti della mia stanza. L’avevo tassellata di fogli appiccicati con lo scotch. Grafici di borsa, tecniche d’investimento, notizie economiche importanti…
Il mondo della borsa mi ha sempre affascinato. E’ un mondo che studio da quando avevo diciotto anni. Cominciò come un gioco e poi cominciò a piacermi giocare con i soldi. Purtroppo in questa società devi rispettare le regole e le regole dicono che devi avere una laurea per far capire agli altri quello che già sai fare. Mi avvicinai a una parete. Era affisso un vecchio grafico dell’andamento del petrolio. Sorrisi nel vedere la quotazione del 2007 prima della crisi. Non ci voleva un genio per prevedere tutto il casino che abbiamo vissuto. Purtroppo nessuno guarda i grafici… sappiamo solo lamentarci!
Afferrai quel foglio e lo strappai dal muro. Strappai anche quello a fianco e l’altro ancora.
Maledetto tempo… ne avessi un po’ di più…
Quell’anno mi ero deciso ad abbandonare la borsa per dedicare più tempo ai miei esami universitari.
Tristezza…
Mi buttai sul letto, circondato dalla miriade di fogli che avevo strappato dai muri.
La mia vita doveva cambiare. Niente più mattinate a scannarci sui mercati. Si passava alla vita dello studente pendolare.
Tristezza…
All’università avevo già dato gli esami più belli, restavano solo quelli noiosi e rognosi prima della laurea. E dovevo darmi una mossa.

Mentre ragionavo sulla mia vita, squillò il cellulare.
Un messaggio.
Mi rigirai nel letto scricchiolando tra i fogli. Allungai una mano per raggiungere il comodino. Afferrai il Blackberry e lessi l’email che m’era arrivata. Era una di quelle email pubblicitarie di annunci. Scorsi la lunga lista di annunci milanesi senza troppa attenzione per poi spegnere e ributtare il cellulare sul comodino.
Rituffai la testa tra i cuscini. Lasciai una mano penzolante a picchiettare il comodino. Respiravo lentamente fino a quando, all’improvviso, ebbi un lampo nella mente. Il cuore iniziò a battere, la fiamma dell’anima si riprese e alzai di scatto la testa per fissare il cellulare. Con un rapido gesto lo afferrai e mi misi a sedere sul letto. Riaprii l’ultima email e la lessi più attentamente. Tra gli annunci ce n’era uno che m’interessava parecchio. Lo lessi.
Cavolo! E’ fantastica! Devo averla!
Alla fine dell’annuncio c’era scritto che scadeva quel giorno. Guardai l’orologio:
19:36
“Chiamalo!” Mi urlò l’istinto.
“Ma ti sei ammattito?” Urlò la mia coscienza.
Così presi da parte istinto e coscienza e gli dissi: mettetevi d’accordo ragazzi!
Dopo una breve colluttazione vinse l’istinto.
Composi il numero frettoloso.
–  Pronto Massimo? –
–  Sì, mi dica… –
–  Ho letto il suo annuncio e… –
[…]

–  Bene… sembra tutto a posto! – gli dissi.
–  Solo che, come hai letto, domani non sarà più disponibile. Quindi, posso fartela vedere solo stasera, se per te non è un problema. – continuò il tipo dell’annuncio.
–  Nessun problema Massimo! Ci vediamo stasera sotto casa mia! –

 

 

continua…

Quel che succede a Rimini.. resta a Rimini! (Ricordi di Rimini 2004)

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Eravamo ubriachi, eravamo ciucchi e soprattutto eravamo in due. Io e Luca e le nostre corrispettive consorti di serata. Non avevo la più pallida idea di dove fossero finiti gli altri e sinceramente a quest’ora, non me ne fregava gran che. Eravamo di ritorno da una bellissima serata al Carnaby. Le Svizzere si erano molto divertite e anche noi insieme a loro. Avevamo ballato tutta la serata.. e tra strusciamenti e ammiccamenti vari, il gioco ormai era fatto. Le pedine erano in tavola.. e avevamo conquistato le due regine. Gli altri pedoni dei nostri amici se n’erano andati.. chissà dove.

Eravamo sulla strada parallela al lungomare.. la famosa strada piena di negozi e locali.

 

-Luca.. sai dove stiamo andando?- dissi da dietro abbracciato alla mia lei.

-Certo.. certo.. fidati di me.- rispose dando un altro bacio alla biondina.

 

Lo seguivo.. e mi fidavo di lui. Per me le strade erano tutte uguali.. e se non ci fosse stato lui non avrei saputo dove puntare il naso. Anche perché, come dicevo.. eravamo ubriachi. Un dettaglio da non trascurare nella notte di Rimini. E brilli come noi.. erano anche le nostre due Girls.

Ci fermammo per una piccola sosta su una panchina. Ne approfittammo per pomiciare un po’ con le ragazze. Io con la mia lei.. e Luca con la biondina. Sembrava strano. Non mi ero mai trovato in una situazione di così tanta complicità con un mio amico. Era bello, non solo il momento, anche sapere che dopo ne avremo potuto ridere e scherzare insieme quando saremo tornati alle nostre vite giù al sud.

Feci qualche foto. Luca non voleva.. ma non riusciva a dirmi di no.

-Ciro.. queste foto non le deve vedere nessuno! Capito? Deve restare tra me e te? Per sempre!-

 -Ok Luca.. quel che è successo sta sera.. resta a Rimini.. promesso.-

 

Sarebbe bello raccontare come in seguito trasgredii alla mia prima promessa seria che feci ad un amico. Ancora mi odia per questo.. e ancora me ne pento. Ma è tutt’altra storia. Ora siamo a Rimini e c’ho che ho da pentirmi, deve ancora accadere. Quanto amo i ricordi.

 

Raggiungemmo il nostro albergo. Erano le 4 passate e trovammo il nostro Motociclista mancato sul divano a guardare un film. Appena entrammo lui tornò alla sua postazione.

-Ragazzi..-

-Buona sera.. o buon giorno.. decida lei..- dissi.

-Senti.. noi vorremmo portare le ragazze in camera.. si può?-

-Bè.. servirebbero i documenti..-

Io e Luca ci guardammo.. poi guardammo le ragazze e gli chiedemmo se avevano le carte d’identità appresso. Loro ci dissero di no..

-Ragazzi mi spiace.. ma non posso farvi salire in camera..-

-Dannazione.. e ora come si fa?.-

Pensammo a qualche soluzione. Ma data l’ora.. e l’alcol.. le nostre meningi non sfornavano niente.

-Bè.. in alternativa ci sarebbe il tetto..-

-Il tetto?..-

-Si.. potete salire sul tetto..-

-Grande!-

 

L’ascensore scricchiolante ci portò fino in cima all’hotel Carolina. Era fantastico. Da quassù la vista era migliore di quella del balconcino della nostra stanza. Intorno c’erano cavi.. sbocchi dell’aria condizionata.. comignoli.. robaccia da buttare. Era un po’ uno di quei tetti che si vedono nei film americani. E questa infatti.. mi sembrava proprio la scena di un film.

Respiravo aria.. e con la testa sognavo. Avevo gli occhi chiusi ma m’immaginavo tutto. Le sue labbra erano morbide sopra le mie. E nonostante le nostre diversità culturali, ciò che più contava era sempre uguale. Ci capivamo nei movimenti, negli spostamenti della testa.. le braccia che s’intrecciavano.. i piedi accavallati.. e la mia lingua che danzava con la sua al ritmo di un lento walzer antico.

 

Aprii per un secondo gli occhi.. era già mattina. L’alba all’orizzonte era bellissima.. e solo a Rimini l’alba è sul mare e il tramonto sulle case. 

E sulle case c’eravamo noi.. e il sole dall’altra parte.. in lontananza.. sperduto e rossastro. Luca e la biondina lo stavano ammirando da un po’. Si voltò.. e vedendo che avevo interrotto le mie effusioni, mi disse che dovevamo andarcene. Di li a poco sarebbe partito il treno del ritorno a casa.

Guardai la mia lei.. e la salutai come se il giorno dopo ci saremmo rivisti ancora. Ma sapevo che non sarebbe stato così. Sapevo.

Ciò che non sapevo a diciassette anni era dire addio. Quella parola non la conoscevo ancora. Ero ancora troppo ingenuo da dubitare la pesantezza del passato che non tornerà mai più.

 

Io e Luca scendemmo in camera. I ragazzi erano già dentro.. e davanti alla porta ci demmo l’ultima complice occhiata.

 

Ciò che succede a Rimini.. deve restare a Rimini..

 

Camera 30… (Ricordi di Rimini 2004)

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Appena misi il piede giù dal treno, mi guardai intorno. Non mi sentivo ancora a Rimini. Sarà perché l’ambiente della stazione di per se ti da l’idea di essere distaccata dal mondo che circonda. Sarà per i treni.. e per l’atmosfera malinconica che danno le persone che stanno per partire.. per andar via di li perché la loro vacanza è finita.. mentre la nostra non era nemmeno ancora iniziata. Volevo chiudere gli occhi e oltrepassare questo momento in silenzio per pregustarmi la sorpresa finale.

La porta d’entrata era aperta e inondata di una gran luce. Uscimmo e ci fermammo sul piazzale. Una ventata di profumo di salsedine inebriò il mio olfatto ed estasiò la mia mente. C’erano turisti e persone in ogni dove.. ragazze in bikini che passeggiavano liberamente in mezzo alla strada.. e le macchine.. i taxi.. i pullman.. gli alberghi.. le pensioni.. i ristoranti.. e più in la il mare.. oltre all’infinito.

Si.. ora ero a Rimini..

 

-Ragazzi.. spero che non vi siate dimenticati niente sul treno!-

-No.. tranquillo.. piuttosto dove dobbiamo andare?-

-Aspetta frena.. dobbiamo decidere chi porta la distilleria..-

 

La distilleria era come avevo soprannominato un grosso zaino nero seven. Di quelli che andavano di moda al momento perché avevano le cerniere laterali per allargarsi e portare più roba. Ora.. immaginatelo pieno allo stremo di bottiglie di super alcolici. Calcolatene la pesantezza.. e soprattutto l’ingente rumore che lo sfregamento delle bottiglie poteva causare. Molto imbarazzante per un minorenne che cerca di rassicurare i suoi genitori con buoni propositi sulla vacanza. Per fortuna eravamo sfuggiti al “controllo valigie” e i nostri genitori c’avevano salutati con non troppe raccomandazioni.

 

-Ciro.. ecco a te!-

-No ragazzi no.. dai.. è troppo pesante!-

-Su! Non fare storie..-

 

Mario intanto tornò dal baracchino dei biglietti. Aveva comprato cinque biglietti urbani.

-Prendete..- disse mentre ce li dava uno alla volta.

-Non trattateli male perché questi devono bastarci per un’intera vacanza!-

E fu li che imparai cosa significasse il termine pluritimbrare.

 

Dopo qualche peripezia, tra ruote rotte di trolley e movimenti bruschi sull’autobus che non potevo permettermi con il carico speciale, arrivammo all’hotel Carolina. Una pensioncina a due stelle, dato che noi, dal lusso ne stavamo ben alla larga. All’ingresso venimmo accolti dal portiere. Ecco.. ora vi immaginerete il tipico portiere in giacca e cravatta con dietro le caselle delle chiavi e davanti uno schermo di un pc. Ora, se per caso sostituissimo la figura classica di portiere con un uomo sulla cinquantina con i capelli lunghi e il pizzetto, il piercing al sopracciglio e vari orecchini, incorniciato in un giubbotto di pelle e calzoni aderenti che ne facevano dubitare la sua mascolinità, dietro un grosso stemma con scritto harley Davidson e una grossa tavola da surf e davanti un bel mucchio di carte disordinate, ecco il nostro portiere.

 

Dopo aver sbrigato le formalità tipiche degli alberghi salimmo in camera accompagnati da una anziana cameriera in sovrappeso. La camera era mediocre e decisamente onesta per il prezzo che avevamo pagato. C’era un balconcino che dava all’esterno. Fuori, con un po’ d’immaginazione, si riusciva a vedere il mare. Oltre i palazzi naturalmente.

Le valigie ormai erano disfatte. La distilleria svuotata e messa in bella mostra. Le casse davano il sottofondo giusto.

Il casino.. stava per iniziare.

Una stella fa luce… senza troppi perché… (Perugia)

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Il treno frecciarossa scorreva silenzioso mentre la città piano piano si allontanava. Palazzi… case… vie… macchine… lasciavano il posto ai verdi campi della periferia sud di Milano. Ero seduto al mio posto e mi pregustavo questa boccata d’avventura. Non c’è niente da fare.. adoro viaggiare. Per qualsiasi meta… per qualsiasi luogo… per qualsiasi motivo. Treno, autobus, auto… in qualsiasi mezzo di trasporto. Ed ogni volta, nel mio intoccabile posto finestrino a vedere il paesaggio che scorre. Non so ben spiegare cosa mi piaccia principalmente. Se il fatto di vedere nuove città o il viaggio in se. Forse perché a bordo di un treno posso prendermi tranquillamente un po’ di tempo da dedicare a me stesso. Per riflettere… pensare… immaginare… e a volte, non lo nego, anche sognare. La vita frenetica e al tempo stesso monotona di questi giorni richiedeva a gran voce l’intervento di quelle piccole azioni che si compiono senza pensare. Non parlo di follie e pazzie… quelle, seppur necessarie ad uno spirito giovane e ribelle, è meglio tenerle a freno. Mi riferisco, per esempio, ad essere catapultati un giorno a caso in un’altra città ed avere in tasca solo il biglietto di andata. Quanto adoro viaggiare… Soprattutto se dalla mia finestra sul mondo si mostravano simili spettacoli.
La grande pianura era a tratti nascosta da piccoli banchi di nebbia adagiati sulla terra da una mano delicata. Il cielo nuvoloso lasciava passare il sole attraverso qualche buco qua e là tra le nuvole. I fasci di luce sembravano proiettori giganteschi puntati su uno spettacolo naturale fantastico. Le case di campagna… gli alberi spogli… la terra appena arata dal trattore… la neve che ancora resiste… e più in là… la sottile linea che unisce la terra al cielo… l’orizzonte… senza palazzi o torri che t’impedivano di vederlo.
E tutto quel paesaggio aveva talmente estasiato i miei occhi da stancarli, quindi era arrivato il momento del mio caffè…
In più o meno di due ore arrivai alla stazione di Firenze Santa Maria Novella. Bella come sempre… peccato di non poter restare per più di 10 minuti perché il grande tabellone delle partenze indicava che la mia coincidenza stava partendo. Feci un salto alle macchinette e come al solito beccai il tipo davanti a me che non sapeva usarle… e invece di demordere continuava a giocherellare con il touchscreen come se fossimo alla fnac a provare nuovi pc.
– Scusi… avrei un po’ fretta… –
Mi lasciò il monitor e se ne andò un po’ infastidito. Due secondi dopo avevo il biglietto in mano e correvo verso il binario 2 con il trolley che mi seguiva saltellando. Salii sul treno e cercai un posto tranquillo. Certo che passare da un Eurostar a un regionale aveva la sua bella differenza. Ma ero troppo stanco per notare i particolari e mi abbandonai nel primo posto libero che trovai.
Il mio stomaco iniziò a brontolare. Avevo programmato di mangiare a Firenze ma non sapevo di avere la coincidenza così presto. Oltretutto su quel treno non c’era nemmeno il carrellino del servizio bar. Quindi, misi l’anima in pace e costrinsi il mio stomaco ad aspettare altre due ore.
Sul treno non c’erano molte persone e le fermate regionali passavano tranquille senza file e folle che si accalcavano alle porte.
Osservavo curioso i posti che stava attraversando il treno. Piccole cittadine intervallate da piena natura selvaggia… dove la mano dell’uomo non era ancora riuscita ad arrivare. Alberi… siepi… piccole gallerie coperte da edere rampicanti. Il treno a volte sembrava faticare a passare in certi luoghi. Dal paesaggio circostante si aveva l’illusione che davanti non ci fossero i binari… ma terra viva… inesplorata… su cui ci si passava per la prima volta. E poi venivano i piccoli paesi. Caratteristici anche loro… e con i loro nomi da scioglilingua. In particolare passai dalla stazione di “Terontola Cortona”. Un nome che sentivo spesso dall’interfono della mia stazione di Milano Lambrate. E spesso mi chiedevo dove mai si trovasse e se un giorno ci fossi mai passato. Ed eccomi qui che guardavo dal finestrino il grande tabellone con quel nome che avevo imparato in circa un anno di avvisi in stazione. Sorrisi pensando che ora mancava solo “Arquata Scrivia” da eliminare dalla lista delle stazioni con nomi strani.
Chiusi gli occhi…
La stanchezza si faceva sentire. Piano piano mi adagiai sul sedile appoggiando i piedi sul trolley. Cercai di abbandonarmi al sonno anche se il rumore e le vibrazioni del treno difficilmente me lo permettevano. La notte prima l’avevo passata più o meno insonne. Mi succede spesso di non dormire in prossimità di qualche evento… che sia spiacevole o piacevole come in quel caso. Il cervello è come se si sintonizzasse su un pensiero per non mollarlo più. E subentra quel pizzico di ansia che non ti fa sconnettere la mente dal corpo. E ti giri e rigiri nel letto alla disperata ricerca della posizione giusta. Del cuscino in un certo modo… delle coperte e del piumone, troppo caldo, troppo freddo… basta! Così verso le 3 di notte mi alzai e accesi la tv sperando che il sonno tornasse.
Un brusco colpo mi destò dal mio sogno apparente. Aprii gli occhi e guardai fuori. Restai senza fiato nel guardare un’immensa distesa d’acqua. Subito mi venne il timore di aver sbagliato treno e di essere finito in qualche punto della costa toscana. Perché stando alle mie rare conoscenze geografiche, in Umbria non avrebbe dovuto esserci il mare! Guardai meglio… era fantastico. Una grande distesa di terra tutt’intorno e poi questa imponente massa d’acqua. Immobile… vasta… silenziosa. Si delineavano all’orizzonte i profili di alcune montagne. Erano appena visibili, quasi nascoste dal cielo. Ed in mezzo, due piccole isole… stupende. Restai incollato al finestrino per un po’, scattando foto qua e là tralasciando i miei seri dubbi sulla mia direzione.
Il treno si fermò in una stazione.
“Passignano sul Trasimeno”
Bene.. ero in Umbria.

Perugia…

Finalmente ero arrivato. Osservai un po’ in giro. La stazione era piccolina ma carina. Il mio stomaco brontolava ancora… ma volevo andare prima in albergo. Uscii dalla stazione. La piazza pullulava di gente e di autobus che andavano e venivano. Stava cominciando a piovere e alla mia sinistra c’erano un paio di taxi.
“bene… buttiamo via un po’ di soldi”
Salii nel taxi e gli indicai la meta. Il tassista fece partire il tassametro e ingranò la marcia. Per fortuna il traffico e i semafori erano pochi. La cosa che mi risaltò agli occhi all’istante furono le pendenze che avevano certe strade. Davvero ripide. Pensai che se avessi fatto a piedi quella strada sarei morto. Ero abituato troppo bene alle strade piane e diritte di Milano.
Perugia più che una città mi sembrava un paesino. Un pensiero un po’ superficiale colpa anche del mio poco tempo per visitarla tutta.

Hotel… 5° piano… stanza 504…
Aprii la porta con la tessera magnetica. Chiusi e mi buttai sul letto stremato. Volevo dormire ma non ci riuscii. Guardavo il soffitto. L’allarme antincendio mi guardava e io guardavo lui… sembrava non attendere altro che il primo momento per scattare. A volte ho paura degli allarmi anti incendio. Mi alzai e giocherellai un po’ per la camera. Era tutto spento e morto. Accesi il climatizzatore ma sembrava non funzionare… cliccai più volte l’interruttore della luce ma non successe niente. Cliccai il bottone della radiosveglia ma era morta anche lei insieme alla Tv. “Strano” pensai. Andai in bagno e feci pensieri strani sulle cose che potevo portarmi via. Tornai in stanza. Avevo ancora la tessera magnetica in mano. La guardai come se fosse stato un oggetto mai visto.
“Mettila da qualche parte e non perderla” mi raccomandò la coscienza.
Voltai la testa a destra… poi a sinistra e intravidi una piccola fessura sul muro accanto alla porta d’ingresso, esattamente larga quanto una scheda. “Ora la metto qui… così di certo non la perderò!” La infilai lentamente avendo paura che scendesse troppo e non la potessi più recuperare.
Click
Sentii un piccolo rumore e poi il delirio. La radio si accese e una canzone partì a manetta mentre alla Tv una signorina dava le previsioni del meteo. Il climatizzatore a soffitto buttava a raffica aria gelida mentre il phon a muro in bagno cominciò a eruttare aria calda. Anche le luci si accesero, nessuna esclusa. Guardai per un attimo quel pandemonio e feci una grossa risata pensando a cosa spegnere per prima.

Mi feci una doccia e restai in accappatoio per un po’…
Mi affacciai alla finestra che dava sulla strada. La città era bellissima da lassù. Tutto sembrava così reale e sconfinato… troppo lontano per i miei occhi… e mi accorsi che forse questa vita valeva la pena viverla ancora un po’ per poter gustare ancora un altro pezzo di questo fantastico mondo…
Guarda l’orologio della radiosveglia…
“Dannazione.. sono in ritardo!”

Pezzi di racconto di quel lungo viaggio di quest’estate… (Milano Torino Rimini ’08)

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Peeeeeeeeeeeeeeee
– Dannazione! –
– Da qua… ora tocca a me. –
 
L’orologio, appeso in alto sulla parete destra della casa, segnava le due e mezza di notte. La lancetta dei secondi scandiva ogni piccolo scatto, lungo il suo interminabile percorso. Eravamo tutti e tre seduti attorno ad una tavola di legno. La luce elettrica illuminava artificialmente i nostri volti presi e concentrati sul gioco. Eravamo io, Enzo e Mario. Compagni inseparabili di questo viaggio senza mete precise. E proprio questo viaggio indefinito, ci aveva portato fin qui. Eravamo a Torino… ospiti di un nostro amico che gentilmente aveva aperto le porte di casa a questi tre scapestrati.
 
Peeeeeeeeeeeeee
– No… un’altra volta! Cavolo… –
– Dai pesca una carta… –
 
Il nostro amico aveva preso una casa in affitto nella periferia sud di Torino. Abitava lì da poco tempo, tanto che la proprietaria aveva lasciato tutte le proprie cose dov’erano, per poi tornare a prenderle e spostarle nella nuova casa. Infatti, sui mobili della credenza erano disposte varie fotografie che raffiguravano una giovane donna dai capelli castani. Una piccola foto raffigurava invece, il volto di una bambina che giocava con un palloncino rosso. Aveva i tratti molto simili alla donna delle altre foto e ipotizzai che fosse sua figlia. Alcuni libri erano disposti ordinatamente su un ripiano. Trattavano tutti temi religiosi come: “ritrovare la fede in se stessi” o “credere aiuta l’anima”. E ce n’erano abbastanza da capire che quella donna era una “brava” cattolica.
 
– Enzo fai piano… dai che ce la puoi fare! –
– Shhhh… mi fai deconcentrare! –
 
Enzo aveva lo sguardo fisso sul gioco. Cercava di non far tremare le mani perché al minimo urto avrebbe perso. Mario lo osservava silenzioso trattenendo a volte il respiro per non disturbare. Io percorrevo con gli occhi i bordi della scatola. Guardavo le figure colorate e le grandi scritte. E nell’angolo in basso mi colpì una dicitura. Enzo stava quasi per estrarre il pezzo con la massima calma…
– Ragazzi… ma qua c’è scritto da 6 a 12 anni! –
 
Peeeeeeeeeeeeeee
 
Scoppiammo a ridere mentre il naso dell’allegro chirurgo s’illuminava. Enzo era stato distratto dalle nostre risate e aveva toccato con le pinzette i bordi metallici del gioco.
Eravamo tre ventenni che stavano giocando a un gioco per bambini trovato in una delle stanze della casa. Precisamente era la stanza dove dormivo io che un tempo doveva essere la cameretta di una certa Manuela. Conoscevo il suo nome perché aveva scritto il suo nome un po’ dappertutto con lettere adesive.
Il gioco continuò indisturbato fino a quando il Dottor Ciro non riuscì a mettere a posto il tendine del tallone, l’ultimo e più difficile pezzo del gioco.
Ci abbandonammo sulle sedie con un bel respiro profondo. Guardavo il soffitto che a poco a poco si faceva più lontano per la crescente stanchezza. Enzo e Mario erano pensierosi. I loro sguardi erano distratti e vaghi. Sicuramente stavano pensando al prossimo passatempo per ammazzare la noia. Le loro menti, però, faticavano a generare idee a quest’ora .
Passarono una decina di minuti e una voce tediosa interruppe il favoloso silenzio.
– Ciro… – mi chiamò Mario… – Che si fa? –
Non seppi rispondergli subito. Il mio sguardo s’era soffermato sulla grande cassettiera alle sue spalle. Doveva per forza contenere qualcosa. E la mia anima curiosa che sempre mi accompagnava, mi spingeva a volerne scoprire il contenuto.
– A cosa giocare non lo so… intanto che ci pensiamo, vediamo cosa c’è in quella cassettiera. –
Ci avvicinammo tutti e tre al mobile. Aveva sei o sette cassetti abbastanza ampi disposti uno sopra l’altro. Aprimmo il primo e le nostre teste quasi si scontrarono nell’involontaria gara a “voler vedere per primo”.
Il cassetto era semi pieno e conteneva una po’ di tutto. C’erano lampadine… penne biro… fogli con appunti… e un orologio.
– Caspita! Questo è un Rolex! –
– Non credo… se fosse stato un Rolex non stava buttato in un cassetto insieme con una lente d’ingrandimento e un cacciavite! –
– Mio! –
– No… Enzo posalo dai. –
– No! Questo va diretto su Ebay… –
Enzo cominciò ad atteggiarsi per la stanza con al polso quel simil-Rolex. Mario lo seguiva cercando di capire se fosse autentico. Ma il fortunato possessore alzava il polso per non farselo afferrare.
E mentre loro bisticciavano per l’orologio, aprii il secondo cassetto. Questo conteneva un mucchio di fogli sparsi di vario genere. C’erano bollette del gas… della luce… estratti conti… versamenti… bollettini in bianco.
Mi girai verso Enzo e Mario che si contendevano quell’aggeggio.
– E’ mio! –
– No! È mio… l’ho trovato prima io! –
– Ehi ragazzi smettetela! Venite a vedere. –
 
I ragazzi si avvicinarono al cassetto. Ad una ad una presero in rassegna le varie bollette. Tra le varie cose scorsi un piccolo quadernetto. La copertina era un po’ ingiallita, segno che aveva passato un bel po’ di tempo chiuso lì. Lo presi e lo aprii. Su alcune pagine c’erano degli appunti di calcoli. Per lo più spese monetarie. Molto vecchie dato che le cifre erano in lire. In particolare mi colpii la dicitura “spese di avvocato” accanto ad una cifra. Subito pensai che quando si trattava di avvocati sorgevano i problemi. Chissà quale sarà stato il suo. Magari qualcosa di grave… magari aveva ucciso qualcuno che aveva curiosato tra le sue cose. Sorrisi…
– Ehi Ciro… guarda un po’ qui! Un estratto conto! –
Posai il quadernetto attirato da qualcosa di nuovo.
– Vediamo vediamo! –
Scorrevano sotto i nostri occhi cifre di vario genere. Leggemmo distrattamente quel foglio interessandoci solo alla parte finale dove c’era l’importo totale del conto.
I miei amici iniziarono a fare commenti spropositati e da lì iniziai a comprendere che ciò che stavamo facendo non era molto giusto nei riguardi della padrona di casa del nostro amico. D’altro canto, se lei aveva lasciato lì tutti quei documenti, un po’ se ne infischiava della propria privacy. Dovrebbe saperlo che l’uomo è l’essere più curioso dell’universo e la tendenza a farsi i cazzi propri è molto bassa. Soprattutto se in casa aveva dei ventenni annoiati che non avevano voglia di andare a letto.
I ragazzi mi passarono il foglio. Ormai per loro non aveva più nessuna importanza. Lo lessi più attentamente. C’erano alcune cifre che non mi erano chiare. Per lo più si ripetevano sempre uguali nel corso dei mesi. Vidi meglio, erano dei versamenti fatti con una cadenza regolare e sempre dello stesso importo. Feci notare la cosa ai miei amici… e subito iniziarono a partire le ipotesi..
– Sarà un mutuo…-
– No… è troppo poco… sarà una finanziaria.-
– No… vedi… in un mese ha versato anche più di una volta.-
– Bo… il mistero si sta infittendo! Apriamo un altro cassetto! –
 
Aprimmo il terzo cassetto che non conteneva nulla d’interessante. Robaccia di ogni tipo. Cose rotte, matite spezzate, cancelleria di vario genere. Solo Mario trovò qualcosa che gli piaceva. Un vecchio paio di occhiali da sole molto rovinati. Se li mise e aprimmo il prossimo cassetto. C’erano alcune decorazioni di natale e ricordai che nella camera dove quella sera avrei dovuto dormire, c’era un piccolo alberello vicino alla finestra. Presi alcune decorazioni e dissi ironicamente:
– Wow… posso addobbare l’albero che c’è in camera mia! –
Così andai di là da solo. Misi alcuni nastri e un paio di palline sull’alberello e mi sedetti sul letto a osservarlo. La mia mente s’isolò per qualche istante. Avevo uno sguardo assente come di chi osserva senza riflettere. Guardavo la stanza. Aveva qualcosa di mistico e spirituale. Il tempo sembrava essersi bloccato. C’era quell’albero di natale, pur essendo appena iniziato agosto. Mi sentivo come imprigionato in una foto in cui tutte le cose erano nel proprio giusto ordine. Tutti i peluche e i giocattolini erano disposti sulle mensole. Orsacchiotti, bambole e piccoli pupazzetti. Di fronte al letto c’era la scrivania. Sopra, in un angolo, erano ancora riposti i colori che la bambina usava per disegnare. E la perfezione dei dettagli creava questa strana illusione nella mia mente. La notte era inoltrata e gli occhi erano stanchi. Iniziai a immaginare la bambina seduta su quella poltroncina rossa che, con la lingua in un angolo della bocca, disegnava il suo sogno più misterioso. Una visione… una visione immateriale di una persona a me sconosciuta. E pure era lì e ora s’era alzata per riporre i suoi disegni in un cassetto… lo richiuse.. mi sorrise.. e sparì.
– Cirooo! Corri di qua! Ci sono novità! – Enzo mi chiamò distogliendomi dalle mie visioni. Scossi un po’ la testa e ripresi conoscenza.
– Arrivo arrivo… che c’è? –
– Guarda qui! Foto! –
I ragazzi avevano aperto l’ultimo cassetto del mobile. Era pieno di fotografie, piccoli raccoglitori e molti negativi. Sfogliammo distrattamente tutte le foto. Ognuno di noi aveva un bel malloppo in mano e ci scambiavamo quelle più interessanti senza trattenerci dalle battute più inopportune.
– Ciro, guarda questa, sembra tua mamma! –
– Fa vedere. Ma dai! Non è vero… scemo! Su… posiamo tutto… s’è fatto tardi… io sono stanchissimo! –
– No! Dobbiamo ancora finire di vedere! –
– Vabbè… fate un po’ come volete… io me ne vado a nanna! –
E tornai nell’altra stanza. Chiusi la porta e mi buttai sul letto. Cercai di dormire ma i miei occhi non avevano voglia di chiudersi nonostante la stanchezza. La curiosità mi stava invadendo. Non potevo lasciare i miei amici di là a scoprire chissà cosa senza di me. Mi girai su un lato. “Tanto tra poco andranno a dormire anche loro” pensai. Ma dalla porta a vetri della mia camera non vedevo spegnersi la luce. Anzi, sentivo ancora rumori di spostamenti e di borbottii. “Quelle due teste matte… fammi andare a vedere che cosa stanno combinando” pensai, ma in fondo in fondo era solo un pretesto per tornare curiosare in giro per quella casa misteriosa.
Riaprii la porta e vidi Enzo e Mario seduti al tavolo che sfogliavano un album.
Mi guardarono.
– Allora… che avete scoperto? –
chiesi rimettendomi in gioco.
 
 
 
 
 

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