..giornata tipo..

Una%2520giornata%2520tipo.

 

Il cellulare sul comodino suonava come un forsennato la melodia della sveglia. “Dovrei cambiarla” pensai mentre con la mano cercavo di stopparlo alla ceca. Restai ancora un po’ nel letto. Oziavo… Mi piaceva oziare. Un altro giorno era cominciato… e speravo che non fosse stato uguale a tutti gli altri…
Dalla finestra entrava un po’ di luce ma a guardar meglio il cielo era nuvoloso. Sentivo qualche goccia cadere… riuscivo quasi a percepire l’odore della pioggia attraverso i vetri. Quell’odore intenso e sottile di strade bagnate.
Godetti un altro po’ del caldo tepore del letto. Guardai il soffitto e pensai che era l’ora di alzarmi..
Spostai le coperte e poggiai i piedi sul freddo pavimento. Alzai le tapparelle facendomi ammirare dai vicini in tutto il mio splendore mattutino. Chissà se mi odiano per questo? Io non mi sarei odiato. Anzi… sarei stato divertito dalla cosa.. e forse mi sarei anche preso un po’ in giro.
 
Splashh
L’acqua freddain faccia mi mostrò un po’ di sana e vera realtà. Purtroppo non era servita a contrastare la crescente sonnolenza che si abbatteva sui miei occhi.
Mi vestii…
Preparai i libri… il notebook. Presi l’ombrello…
Uscii.
Il senso d’attenzione e i riflessi erano in modalità minima. Vi siete mai trovati nello stato in cui il corpo sembra sveglio ma il cervello no? Lo stato in cui gli arti viaggiano per inerzia, i sensi ammutoliti e le azioni copiate da anni di ripetitività?
Ecco… quello ero io… in un ascensore con una spalla poggiata alla parete mentre i piani scorrevano sopra di me. Piano terra.
Salutai la portinaia con un gesto della mano aspettandomi che mi consegnasse la solita posta pubblicitaria. Niente… neanche la pubblicità mi calcolava più.
Aprii il portone e maledissi Milano e le ore di punta. Un fiume di persone davanti a me viaggiava in senso contrario. Ed io, come un pesce che tenta di risalire la corrente, schivavo i passanti cercando un varco per entrare nella metro.
 
 
La metro..
Questo strano essere dalla forma squadrata. Dal colore univoco deciso in partenza. Dalle finestre chiuse e dall’aria viziata. Dalle strisce gialle e passeggeri impazienti. Dalle voci incomprensibili e i cartelli minatori. Dalle scale mobili a ciclo continuo e i varchi frettolosi. Dai murales colorati e i cartelloni pubblicati.
Questa è la vita metropolitana…
Sembrava un altro mondo. Un mondo in un mondo. A volte pensavo che ci si potrebbe vivere qui sotto senza mai uscire. E forse gli autisti facevano così… si nutrivano del cibo delle macchinettee dormivano nei gabbiotti di controllo. La mattina prendevano il caffè e leggevano il city per sapere del mondo esterno. Chiacchieravano con i controllori e gli addetti alle pulizie. Non fumavano.. a parte quando dovevano farsi la doccia. Allora lì, accendevano una sigaretta e facevano scattare l’allarme antincendio. E quando finivano di lavarsi si asciugavano con i grandi ventilatori del ricircolo dell’aria.
Che storia che m’ero fatto in testa mentre stavo stipato insieme a un centinaio di persone su un vagone malconcio. Per fortuna che il tragitto durava poco. Dovevo scendere e cambiare metro. Questa volta rossa. Questa volta meno persone.
Mi sedetti… e mi addormentai…
 
Una signora fece cadere l’ombrello a terra. Il rumore non fu forte ma l’impatto mi svegliò. Per fortuna direi. Mancava poco all’arrivo. Cominciai ad alzarmi ed andare verso le porte. La metro si fermò. Scesi e andai al solito bar.
Entrai quasi per istinto seguendo quel bisogno primario di caffeina mattutina. E il barista colse al volo il mio bisogno d’aiuto, comprendendo subito la mia voglia di caffè.  Intanto presi una brioche dalla vetrinetta sul bancone. La solita brioche ai frutti di bosco. La mangiavo mentre disegnavo strane forme con il cucchiaino nel caffè. Alzai la tazzina per il piccolo manico in ceramica. Feci scendere lentamente il liquido scuro cercando di immaginare il sapore di un buon caffè. Pagai il mio solito euro e mezzo e saltai fuori da questo mondo sotterraneo.
Sarebbe stato bello se il viaggio mattutino fosse finito lì ma un tram mi aspettava. Il tram sette..
Aspettai alla fermata aprendo il mio sole24ore. E mentre leggevo qualche notizia pensando al solito capitalismo corrotto, arrivò il tram.
Presi posto tra la folla di studenti e osservavo, da spettatore distratto, lo svolgimento di questa giornata tipo…
 
 
 

 

Dolce… e un bicchiere di Thè alla pesca…

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Il treno scorreva talmente veloce che le luci dei lampioni sembravano percorrere un’unica scia. All’improvviso una leggera frenata, forse una piccola distrazione del macchinista che magari adocchiava l’ultimo inserto di Repubblica. In prima classe vi era un forte odore di ammoniaca mista a chissà quale altra soluzione pulente. Eppure non sembrava poi così pulito. Erano ancora presenti tracce di polvere e piccole cartacce sparse un po’ in giro. Del resto, non potevo lamentarmi. Avevo viaggiato su treni peggiori che spesso l’ammoniaca non l’avevano mai sentita nominare.
Il forte odore andava via via attenuandosi man mano che l’olfatto s’abituava a quell’ambiente. Pian piano cominciavano a ricomparire tutti gli odori “normali”: l’inchiostro di un giornale spiegazzato, il profumo di una donna che attraversava la carrozza, l’odore di un panino appena scartato, la puzza di un lucido da scarpe di un signore distinto… e così via in questa giostra d’odori dalle mille intensità.
Uno scossone mi destò dalla lettura del mio Sole24ore. Pensai che il treno avesse attraversato uno scambio e mi rimmersi nell’attenta lettura di titoli azionari, fusioni d’aziende e tasse di vario genere. Beh… per uno che studia economia, questo dovrebbe essere il “pane quotidiano”, ossia la fonte primaria da cui attingere la propria cultura generale economica, in modo da trovare un riscontro pratico delle nozioni che spesso s’imparano a memoria tra i banchi dell’università.
Indici, grafici a barre, aerogrammi, sono le uniche figure di questo giornale un po’ troppo scomodo da leggere. Non so perché abbiano scelto questo colore arancio-rosa, posso solo ipotizzare ironicamente che la bozza della prima copia in assoluto sia caduta in un secchio di diluente rosso o che è stampato su carta talmente riciclata che gli alberi ormai sono tagliati solo per gli stuzzicadenti. Fatto sta che questo colore particolare lo rende riconoscibile tra gli altri giornali e prontamente individuabile, soprattutto quando hai un treno che sta partendo e niente da fare per le prossime 6 ore e mezza. Meno male che in tutte le stazioni metropolitane c’è almeno un’edicola. Per non parlare degli extracomunitari che ti vendono i giornaletti che danno gratis al mattino! Mi chiedo spesso, chi sia talmente stupido da comprarsi il “City” o il “Leggo” o il “Metro” da uno che non sa nemmeno leggere l’italiano. Beh… ce n’è in giro di gente strana. Come il signore seduto poco distante da me. Aveva in mano l’ultima copia di “Dylan dog” e la sfogliava attentamente gustandosi le figure dei fumetti. A prima vista sembrava un uomo dall’aspetto serio. Magari un professore universitario di quelli tosti. Ma a vederlo sorridere mentre leggeva alcune vignette, mi faceva pensare che nella vita ognuno aveva i propri vizzi, e quando si vuole, ognuno da sfogo ai propri piccoli piaceri.
Invece la signora che mi stava seduta di fronte dormiva. Si sarà stancata dalla lunga camminata sui tacchi fatta dal binario 3 al 15. Le donne… Le donne odiano camminare… e ogni volta che possono, si spostano in macchina incasinando il traffico delle maggiori città. Ok ok… lasciamo perdere la mia vena maschilista almeno su questo treno. Dopotutto, quando dormono sono innocue come tutte le specie viventi. (o così sembra). Vabbè, umorismo a parte, la prima tappa di questo diretto per Napoli era stata da poco abbandonata con commozione di tutti i passeggeri comunisti di questo treno che non credo siano molti in prima classe, anche se le poltrone rosse si addicano di più al loro schieramento. Comunque Bologna era andata e ne restavano solo altre due prima del capolinea.

Una ragazza mora con una camicetta bianca, un gilet verde ed una spilletta FS all’occhiello, si faceva strada attraverso le poltroncine con il suo carrellino carico di roba, ripetendo le stesse frasi ad ogni persona.
– Buona sera… gradisce uno snack? –
– Si… –
– Dolce o Salato? –
– Dolce… –
– Qualcosa da bere? –
– Si… un bicchiere di Thè alla pesca… –
– Ecco a lei… buon viaggio… –
Così la signorina lasciò sul tavolino lo snack e il bicchiere di Thè insieme alla salvietta rinfrescante e al tovagliolino di carta rosso. Se ne andò e ripetette lo stesso copione al passeggero successivo. Purtroppo questo era il suo lavoro e sperai che non la pagassero anche per sorridere ogni volta, ma che lo facesse di sua spontanea volontà.
Il capotreno intanto annunciava che nella carrozza ristorante si stava servendo la cena ed invitava tutti i pendolari con prenotazione ad avviarsi verso il centro del treno. Sarei andato anche io se solo quel misero pasto non costasse quasi quanto il mio biglietto. Un ulteriore motivo era che non avevo molta fiducia nel mangiare qualcosa cucinato su un treno. Già i ristoranti chissà cosa ti rifilano di surgelato. Qui avrei l’imbarazzo della scelta su cosa vomitare per prima!
Un po’ di fame però, mi stava salendo. Così mi alzai lasciando il mio giornale sul seggiolino, un po’ come fanno i ragazzi alla mensa per occupare il proprio posto nell’attesa di andare a prendere qualcosa da mangiare. Mi diressi verso la vettura bar incrociando la signorina del carrellino che risaliva la carrozza pronta per andare in scena alla prossima stazione. Il passaggio fu difficoltoso e mi sorrise per il piccolo disturbo che mi aveva procurato. Ricambiai il sorriso e ripresi la strada per il bar. Nel mio tragitto passai davanti all’ufficio del capotreno. Era vuoto e volli sperare che almeno lui non stesse sfogliando l’ultimo inserto di Repubblica, ma che fosse solo andato in bagno temporaneamente (e non con l’inserto!). Passai oltre la Business class, con i suoi manager in giacca e cravatta seduti comodamente nelle poltrone in pelle nera. Finalmente arrivai al bar constatando che statisticamente una persona su due aveva un pc portatile mentre l’altra probabilmente ce l’aveva in borsa, come me. Il bar stranamente non era strapieno di gente. Chissà, forse la fame era venuta solo a me e a queste tre o quattro persone. Oppure la cassiera era molto brava a non fare inceppare lo scontrino nel registratore così da non creare code stancanti.
– Un panino… – dissi.
– Come lo vuoi? –
– Opzioni di scelta? –
– Speck, Prosciutto e mozzarella, Crudo e formaggio… – e bla bla bla… continuava nella sua lunga lista di gusti mentre io fissavo quell’invitante panino “crudo e formaggio” nell’attesa che finisse di parlare.
– …Allora? –
– …mmm… Crudo e formaggio… grazie… –
– Riscaldo? –
“Mi sembra il minimo” – Si… –
Pagai e ritornai al mio posto con il mio panino fumante di freschezza. Lo mangiai in tutta tranquillità mentre un “Dlin Dlon” destò l’attenzione di tutti i viaggiatori.
Firenze. Il treno era arrivato perfettamente in orario. Ora però si ripartiva nell’altro senso poiché la stazione di Santa Maria Novella è chiusa da un lato. Da seconda carrozza del treno passai a penultima e sperai che a Roma cambiasse di nuovo rotta perché non volevo farmi tutto il binario della stazione di Napoli per uscire. Beh… anche io certe volte metto i “tacchi”. Comunque, stazione dopo stazione, si ripetevano le stesse e solite cose: il capotreno che annunciava che questo treno era diretto a Napoli con le relative fermate intermedie, il controllore che ripassava e controlla i biglietti e la solita signorina mora con il suo simpatico carrellino…
– Gradisce qualcosa? –
– Si… un bicchiere di Thè alla pesca ed uno snack dolce… –
– Ecco a lei… –
– Grazie. –
Avevo snellito un bel po’ il suo copione sapendo già cosa mi avrebbe chiesto. Così lei riprese il suo cammino e io scartai il mio piccolo snack. Intanto guardavo fuori dal finestrino quel poco di paesaggio che riuscivo a intravedere alle 8 di sera. Si riuscivano a distinguere bene solo le luci delle case, o i fari delle fabbriche o magari qualche piccola auto con gli abbaglianti accesi.
Pensavo…
Pensavo a quante volte avevo preso questo benedetto treno nell’ultimo giro di mesi.
Pensavo alla prima volta che avevo preso la prima classe con il mio portafogli che mi urlava “pietà”. E coincidenza assoluta, era proprio questo giorno, questo mese… di un anno fa. Il 31 ottobre 2005 solo che allora viaggiavo in direzione opposta ma alla stessa identica ora e con le stesse identiche fermate…
Allora viaggiavo verso una storia che aveva solo un inizio…
Questa volta era diverso…
Questa volta non dovevo scappare via da nulla. Questa volta, la prima classe l’avevo comprata apposta e non perché era finita la seconda. Questa volta avevo una casa dove tornare se volevo. Questa volta…
E’ strana la vita…
Se magari tutto questo fosse accaduto prima, forse le cose ora sarebbero diverse. Decisamente diverse. E dire che bastava solo un anno. Un misero ciclo di mesi e il futuro poteva essere diverso. Sicuramente ora non starei qui a pensare invece di finire di leggere il mio giornale…
L’amore a volte non sa aspettare…
E’ strana la vita…
E non finirò mai di dirlo…

– Gradisce qualcosa? Dolce o salato? –
– …Dolce… e un bicchiere di Thè alla pesca… –

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