Seicentoventi (III)

Libretto Ducati monster 620

3.

Tornai in casa con un unico pensiero: ottenere quella moto!
Il problema era racimolare i soldi necessari in contanti per il giorno dopo.
Erano le 22 di un venerdì…

Mi fiondai sulla poltroncina e accesi il pc. Aprii tutti i siti delle banche in cui avevo un conto. Sapevo già che molti di loro erano praticamente vuoti, ma non si sa mai…
– Vuoto… Vuoto… Uh! 100€ fantastico! Vuoto… vuoto… –
Chiusi tutto demoralizzato. Il sogno si stava lentamente allontanando da me.
Guardai un grafico ancora attaccato al muro e ricordai che avevo da parte delle azioni in un conto investimento. Non erano molte, ma forse, spremendole come delle arance, poteva uscire qualcosa. Guardai il calendario che, attentamente mi ricordava che il giorno successivo era un sabato.
–       Merda… la borsa è chiusa di sabato! –
Avrei dovuto attendere Lunedì per sbloccare quei soldi. Ma lunedì sarebbe stato troppo tardi e quella moto sarebbe finita chissà dove. Non dovevo permetterlo. Certo… avrei potuto trovare altre moto… magari più belle. Ma quella lì, non so per quale strana ragione mi aveva colpito. Ero rimasto estasiato e affascinato da quel non so cosa di misterioso. Si vedeva che era una moto che aveva vissuto parecchio. Una vera dura che aveva visto più strade di me. Aveva vissuto chissà quante storie… e le storie, si sa, che mi piacciono un sacco.
“Cosa posso fare?” mi chiesi riguardando la foto che le avevo scattato.
Mi buttai sul letto distrutto. Il mio sogno, piano piano, sembrava dileguarsi sopra di me mentre il gin mi faceva compagnia.

mezzanotte

Aprii gli occhi di colpo. La testa mi girava da un po’. Guadai il cellulare distratto e uscii sul balcone a prendere un po’ d’aria. Era notte e in strada alcuni ragazzi facevano baccano visibilmente ubriachi. Sorrisi e subito dopo mi venne in mente un’idea.
Afferrai il cellulare e composi un numero. Mentre bussava, cercavo le parole giuste da dire.
–       Pronto Ciro! –
–       ****** dove cavolo sei?! C’è una musica assordante! –
–       Cosa? Ah sì! Sono a un concerto! –
–       Sì, chissenefrega… ascolta, mi serve un favore importante… anzi! Importantissimo! –
–       Vita o morte? –
–       Più o meno… mi servono 1800€… –
–       ahahhahhahhahahhaha –
–       Suuu non ridere! Sono serio! –
–       Mannaggia a te! A cosa ti servono! Anzi no! Non lo voglio sapere! –
–       Meglio! Altrimenti non me li daresti! –
–       E chi ti dice che te li do! –
–       Poche storie! Mi servono domattina… in contanti… prima delle dieci! –
–       Tu… non… stai… bene! –
–       Era un sì? –
–       Ahhhh…. Vai a dormire Ciro… ci vediamo domani… –

 

 continua…

Weekend finanziario (IV)

Weekend finanziario 4

Il corridoio principale era un fiume di gente con facce spente, ammaliati dai finti sorrisi delle hostess e dalle luccicanti promesse finanziarie dei promoters. La poca euforia era mendicata in un’economia al collasso. I grafici su tutti i monitors non mostravano nessun futuro roseo per noi. Finanziariamente parlando, ci trovavamo nell’occhio del ciclone. Una sorta di limbo tranquillo in un cerchio di tempesta. Mentre fuori regnava la crisi, noi restavamo sospesi grazie alla liquidità fittizia emessa dalle banche centrali. Prima o poi però, questo artificioso aiuto sarebbe finito e se ogni stato non avrà costruito un paracadute decente in tempo, cadremo tutti rovinosamente al suolo, di nuovo.
Per noi italiani, questo paracadute era stato costruito con IMU, con i tagli alle pensioni, la riforma del lavoro, l’aumento dell’IVA, ecc… C’è costato molti sacrifici, ma sembrava reggere. Essendo però, un popolo che vuole cambiare governo con la stessa frequenza con cui cambia cellulare (2 anni), siamo andati a votare e:
Bye bye paracadute! Meglio legarsi un’incudine al collo!
C’è da farsi delle serie domande sul livello d’istruzione in Italia, dato che continuiamo a mandare al governo degli incompetenti che l’unica cosa che sappiano fare è indorarci la pillola per farcela ingoiare. Proprio come stava facendo il tizio davanti a me, intento a vendere i propri prodotti finanziari.
Ogni stand aveva il suo spazio delimitato nella sala e, all’interno di esso, di solito, si svolgevano 2 tipi di attività: la parte commerciale rivolta alla vendita e apertura conti; e quella seminarista, dove un commentatore spiegava i concetti base della borsa. Ogni anno era tutto un dire e spiegare le nuove tendenze.
Come per i capi, di vestiario anche la finanza ha le proprie mode. Gli anni scorsi andavano di moda i CFD, come dire: camicie a quadri di flanella, sembrano maglioni ma non lo sono. Analogamente i CFD sembrano azioni, ma non lo sono.
Qualche anno più indietro fu la volta degli ETF, i cardigan femminili dei fondi comuni: una sorta di maglioncino che non si sa se vuol essere una felpa o una maglia. Gli ETF, infatti, hanno la caratteristica di non saper di niente e copiano il proprio indice di riferimento.
Quest’anno invece, sembrava andare molto di moda il trench, ovvero l’impermeabile elegante, i Certificates. Il trench ripara dalla pioggia e i Certificates dai rischi del mercato.  Disponibili in tutte le colorazioni, taglie, costi, rischi, cap, floor, indici, azioni, obbligazioni…
Le inventavano proprio tutte per darci l’illusione di garantirci un investimento sicuro. La verità invece è, che se resti ore e ore sotto una pioggia incessante, non c’è trench che tenga o Certificates che ti garantisca! Ma la gente proprio non vuole capirlo…
Parlare delle care e vecchie azioni, invece, è come sfociare nel vintage. Tutti ad esaltarne i terribili difetti e mai nessuno che ricordasse che, alla base di quasi tutti i prodotti finanziari ci son sempre e solo loro. Quindi, perchè non mangiare una mela, invece di un succo al gusto di mela? Mah… Capirò prima o poi come ragiona la gente… pensai amaramente.
Continuai a gironzolare tra gli stands. Mi sentivo un’anima solitaria. A volte mi fermavo per scambiare due chiacchiere con qualche promoter per esaltare i difetti dei prodotti che vendevano. Era il mio sport preferito!

Cercavo, osservavo, ascoltavo…
Gente che vendeva “merda” esaltandone doti e qualità. Gente che esclamava “mmm buona! Compriamo!” con un’enfasi mai vista. Tutto alimentava il mio stupore di fronte a tanta ignoranza. Davvero la finanza è questo? Un continuo fregare il più ingenuo? Spero di no. Non ci sono portato a fregare. Dovrei fare un Master in fregatura per imparare il mestiere. Vedevo tutti quei volti apparentemente felici. Illusi da possibilità irrealizzabili. Anch’io ero così i primi tempi? Purtroppo sì. M’illudevo anch’io… e finii per sbattere contro la dura realtà. Nessuno ti regala e ti regalerà mai niente.
Iniziai a provare una profonda tristezza nel pensare a tutte quelle persone che avrebbero fatto la mia stessa fine. Avrebbero perso il loro sorriso per trasformarsi in automi alla continua ricerca della felicità. “La finanza non è una banalità! Non illudetevi di risolvere così i vostri problemi economici!” Volevo urlare a tutti quelli che continuavano a dire che fosse alla portata di tutti. Ci vogliono anni di apprendimento, di pratica, di studio…
Invece no, basta un libro secondo loro… un paio di corsi… qualche riga buttata su un grafico… et voilà il trader perfetto. Bello… e allora perché io ci ho messo 6 anni, studiando una pila di libri più alta di me?
Sospirai, constatando che quel luogo non aveva più niente da offrirmi…
Così, piano piano e in silenzio, abbandonai la sala. Con la giacca in mano e la borsa in spalla, guardai il sole coperto dalle fitte nuvole. Mi diressi verso il primo taxi che trovai parcheggiato. Salii dietro, poggiando tutto sui sedili di pelle. Controllai il cellulare mentre aspettavo che il tassista girasse intorno alla macchina per salire.

–  Dove andiamo? – mi chiese pigiando tasti ignoti.
–  In via…. –
–  Aspetta Aspetta! – un signore affacciandosi al finestrino m’interruppe. – Va alla stazione? – chiese al tassista. Il tassista si girò nella mia direzione trascinando con sé anche lo sguardo del signore e finirono entrambi per fissarmi.
–  No… torno in hotel… non penso che… –
–  Ah… mi scusi… l’ho vista salire con la borsa e ho pensato che andasse alla stazione. – disse, mentre stava per allontanarsi.
Voleva dividere il taxi… pensai… beh, alla fine non è un problema far un po’ di strada in più…

–  Aspetti! Salga lo stesso! Passiamo dalla stazione e poi vado al mio Hotel… – dissi dal finestrino al buffo signore brizzolato.
Mi fece un sorriso che mi piacque e che se fossi chiamato a dargli un valore, non saprei proprio che calcolo fare…

Galleria d’Arte ##21

Il cervello umano è una macchina così complessa, così perfetta, così inspiegabile che a volte va temuta. Alcuni dedicano questo straordinario marchingegno naturale, alla violenza. Uccidono, torturano e violentano con cognizione, nella maniera più spietata.
Altri invece, spinti anche da un qualcosa che chiamiamo anima, dedicano le proprie facoltà a un buon fine. Osservano, studiano, creano… danno il meglio per raggiungere un obiettivo che non appaghi solo se stessi, ma l’intera umanità.
Realtà…
E se questo potere potesse essere amplificato? Migliorato… gestito a pieno. Quali poteri potrebbe avere un essere super intelligente?
Passare dalla mediocrità di una vita comune al top della migliore civiltà. Sentirsi carichi ogni giorno… senza paure o timori. Affrontare con tenacia ogni ostacolo, ogni imprevisto. Avere il pieno controllo del proprio corpo… e della propria anima.
Fantasia…
E se potesse diventare realtà grazie a una spinta, una droga. Un farmaco particolare; studiato per aumentare la percentuale d’utilizzo del nostro cervello; che, come sappiamo bene, resta bloccato al 20%.
Sarei sicuro che questa sostanza sarebbe ambita da molti mille volte più dell’oro. E quando un qualcosa diventa così estremamente raro, l’indole umana abbandona ogni limite alla malvagità delle azioni che potrebbe compiere. Saremmo capaci di passare dal bene al male con la stessa facilità con cui cambiamo canale della tv. Il mondo si mescolerebbe come una soluzione chimica assumendo i volti più spregevoli e le astuzie più cattive.
Possibilità
Per fortuna tutto ciò è stato solo il parto di un bravo regista e dello scrittore di una bella trama. Tutto però si basa su un qualcosa di vero. La smania e il desidero di avere anche solo un pizzico di quelle capacità. Compreso me… forse uno dei più pazzi. Dei più scellerati drogati di energizzanti, anfetamine e integratori. Ho devastato il mio corpo con ogni genere di sostanza, per avere quel briciolo di potere. Non sugli altri, ma su me stesso, la persona più intransigente che conosca.
Concentrazione, riflessi, istinto erano i miei obiettivi… e per essi avrei fatto di tutto. Dimenticando ogni mio limite, volendo sempre di più. Quello che per altri era troppo per me era la normalità. E la normalità mi annoiava fino a spingermi a osare, a volere, a toccare un confine immaginario quasi letale. Per poi uscirne con violenza, di netto, senza guardarmi indietro, per non ricadere.
Che sia stato uno sbaglio ancora non so dirlo…
Ma ci sono stati dei momenti in cui sono stato
maledettamente bene…

(Dal film: Limitless)

Bid and Ask

 

 

La cravatta è uno degli indumenti che preferisco di più. Dona quel tocco di eleganza a colui che la indossa che non ha pari. Ovviamente sullo sfondo bisogna avere una giacca dal giusto taglio, una camicia intonata, dei pantaloni in piega e delle belle scarpe, altrimenti tutto è vano. Solo allora la cravatta può sprigionare ciò per cui è stata concepita. E nella sua semplicità, completa il quadro dell’eleganza come l’ultimo tassello di un puzzle. Adoro quando è qualcosa di semplice a produrre un grande effetto. Non solo per i vestiti, ma in tutte le cose.

Ero davanti allo specchio di casa in una fredda mattinata di fine ottobre. Ero quasi pronto per uscire. La mia figura nello specchio aveva qualcosa di diverso dagli altri comuni giorni. I capelli avevano abbandonato la cresta, appianandosi verso il basso, cercando di concedermi un po’ di serietà. Gli occhiali neri rettangolari tanto odiati ma necessari, mi rendevano un intellettuale moderno. Tolsi qualche braccialetto che sbucava inopportunamente dai polsini della camicia. Gli anelli, quelli no, non si toccano. Che vada a un concerto rock, a una cena elegante o a un esame di stato, quelli ci son sempre stati e ci saranno sempre.
Passai la cravatta sotto il colletto e tenendo i due lembi con le mani, cercai di ricordarmi i giusti movimenti per il nodo. Mi guardavo nello specchio come un professore che guarda un alunno impreparato. E agii senza pensare lasciando che l’istinto mi guidasse in questa strana prova. Risultato? Nodo perfetto al primo colpo. Mi specchiai per un secondo cercando di trovare una spiegazione plausibile a un gesto nato con la teoria ma diventato istintivo negli anni. Mi toccai la cravatta e strinsi il nodo ancora un po’ pensando a chissà quanti altri gesti compivo istintivamente senza accorgermene. Magari a volte l’istinto può agire anche sulle parole. Anzi quasi sicuramente. E il mio caratteraccio ne era una prova tangibile. Rassegnato, tornai in camera, presi il soprabito nero e la borsa, e uscii di casa.

Piazza Cordusio, il centro degli affari milanesi. Sede d’importanti banche nazionali e internazionali. Una tra tutte, l’Unicredit. Restavo sempre affascinato nel percorrere quelle strade. A un occhio poco attento potevano sembrare comuni strade, ma io sentivo il profumo di soldi ogni volta che facevo un passo. Guardando le vetrine delle banche, immaginavo che sulla mia testa stessero passando migliaia di euro in azioni, obbligazioni, fondi comuni… che transitavano virtualmente tra una banca e l’altra. E questi fasci immaginari s’imprimevano nella mia testa come ondate di vento caldo. Caldo, perché pensavo all’alternarsi delle quotazioni dei mercati e alla loro isterica frenesia che rendeva incandescente qualsiasi cervello umano. E qualcosa ne sapevo già…
Qualche centinaia di metri più avanti, svoltai per Piazza Affari. Sorrisi per l’ennesima volta nell’osservare il mastodontico dito di Cattelan. “Ancora non l’hanno rimosso…” pensai. “forse perché mette di buon umore!”.
Salii i gradini della borsa desiderando ardentemente di salirli ogni giorno.
Andai al banco informazioni per farmi stampare il badge.
– Nome? –
– Ciro F… –
Mentre la ragazza mi cercava al pc, mi voltai verso destra e intravidi un cartello che recava “ingresso dipendenti”. Un giovane appoggiò il suo badge dorato sul lettore e le sbarre ruotarono al suo passaggio. Guardai quel giovane in completo grigio che non avrà avuto più dei miei anni. Desideravo essere al suo posto. Entrare lì, al piano di sopra, e sedermi a una bella scrivania piena zeppa di monitor e calcolatrici. Chissà… magari un giorno…
– Ecco il suo badge… –
– Grazie! –

Quel badge mi permise di entrare nella sala congressi dov’era da poco iniziato il Trading online expo. Sulla soglia, mi sentii come un bambino che stava per entrare in un immenso parco giochi. E proprio come un bambino, mi perdevo con lo sguardo su tutte le attrazioni. Potevo far un giro sulle montagne russe rappresentate dalle società di brokeraggio speculativo; oppure fare un giro sul trenino a vapore come ETF e fondi comuni; c’era poi una bella ruota panoramica stabile e sicura che ti faceva vedere tutto dall’alto, come bot e obbligazioni; c’era il tiro a segno che, anche se non colpisci tutte le lattine, ti regalano qualcosa, come i certificates e i covered warrants; c’erano luci e proiettori… e schermi colorati che mostravano la bellezza delle diverse “giostre”, e tante avvenenti signorine che ti ammaliavano e invitavano a salire su.
Il paradiso per uno speculatore finanziario.

Cercando di attenuare il luccichio dei miei occhi presi il programma della giornata dalla mia borsa.
“Prima il dovere e poi il piacere…” pensai mentre mi dirigevo nella sala blu.
Il reale motivo per cui ero lì, era aggiornarmi sulle nuove tecniche d’investimento, su nuove piattaforme di gioco e su nuovi prodotti finanziari.
Entrai nella sala e una ragazza mi timbrò il badge con un lettore laser. Mi sedetti in un posto. Il relatore aveva già iniziato. Spiegava tecniche che già conoscevo. Tutta la platea era attenta e muta. Qualcuno nelle prime file fece una domanda e il relatore si alterò sentendo che l’astante usava una leva finanziaria troppo elevata.
– Vi brucerete tutto il capitale! – urlò amplificato dal microfono. – Dovete usare leve basse! Massimo 1 a 20! Usare leve alte è rischioso! Certo… si può guadagnare tanto ma non durerete! Una leva da 1 a 200 è un suicidio bello e buono! –
Un sorriso malizioso comparse sul mio volto. Il relatore aveva perfettamente ragione. Una leva alta comporta alti rischi e alti guadagni, e se male usata, potevi anche chiudere bottega.
Si deve partire dalla base e fare piccoli progressi. Ma la smania di ricchezza e d’investire come i grandi portò anche me a usare leve improponibili. I primi tempi, quando mi avvicinai per la prima volta a questo immenso mondo, usavo una leva di 1 a 400. In pratica, come nel più grosso casinò, potevo comprare le mie fiches da 400 al costo di un euro. Con mille euro potevo gestire 400’000 euro e lucrarci su. Ma capii sulle mie spalle e a mie spese ciò che il relatore sosteneva in quel momento. Negli anni ho fatto innumerevoli errori che per fortuna sono serviti tutti a darmi l’esperienza necessaria a sedermi nella sala.
Alla fine del seminario scesi al piano di sotto, dove si articolava un’altra sala con altri stand. Mi colpì subito quello di una banca svizzera. La conoscevo già da tempo ma non potevo permettermi il loro software perché aprire un conto da loro costava un pacco di soldi.
Una donna più alta che bionda mi si avvicinò. I suoi occhi azzurri scrutarono il mio interesse per quella banca d’investimenti.
– Posso aiutarla? – mi chiese.
– Si! Voglio quella piattaforma… e dammi del tu, ti prego. – sorrisi.
– Devi aprire un conto da noi e puoi far tutto ciò che vuoi… –
– Mi prestate anche centomila euro? Dovrebbe essere quello l’importo minimo – dissi pizzicandomi il mento.
– Per la sede in svizzera sì, ma da poco abbiamo aperto un’altra sede per i clienti retail… –
– Ah davvero? – il mio sguardo si posò su di lei e la mia attenzione lasciò per un attimo i grafici sul monitor.
– Sì, l’importo minimo per l’apertura sono 100 euro. –
Mi s’illuminarono gli occhi. – E la piattaforma è la stessa? –
– Sì, la stessa… –
– Spread variabili? –
– Uguale… –
– Posso vedere i volumi? –
– Si certo! –
– Ok… dove devo firmare? – dissi con cercata serietà.
– Mandami un’email con il tuo recapito e poi… –
Mentre la donna in tailleur m’illustrava i passi da fare per aprire il conto, giochicchiavo con il mouse del pc e annuivo col capo per darle sicurezza che la stessi a sentire. Ma la mia attenzione era tutta focalizzata a quel software. La piattaforma di gioco che desideravo da anni. Veloce, istantanea, con un’impressionante liquidità di mercato. “Finalmente un Ecn!” pensai, “Affanculo tutti i market maker che sono al piano di sopra…”
L’irresistibile voglia di giocare mi faceva tremare l’indice sul touchpad. Con il puntatore solleticavo il pulsante compra o vendi, o meglio Bid and Ask.
– Tutto chiaro? – mi domandò la donna.
– Si… tutto chiaro! Grazie delle informazioni, ci sentiremo presto! –

Sorridente me ne andai dallo stand. Ero eccitato all’idea di ottenere quella piattaforma il prima possibile. Mi diressi verso la sala dal nome: Area Scavi. Era una sala interrata ma visibile dal piano di sopra grazie a una balconata. E proprio lì mi fermai ad ascoltare, data l’immensa mole di persone sedute e in piedi. Appoggiai i miei gomiti sul parapetto e aguzzai le orecchie. Il relatore faceva il solito discorso su analisi e scelte da compiere per operare.
– Voi dovrete essere tre persone in una! Fare il lavoro di un analista tecnico, fondamentale e poi essere il braccio che opera come trader. Non è facile questa vita ed è molto sacrificante… –
“Già…” dissi sottovoce rassegnato, mentre il mio ottimismo scendeva sotto le suole. Essere un trader mi ha portato indirettamente ad avere problemi con la società, per non parlare delle ragazze…
Se non ci sei dentro, non riesci a capirlo… dicevo per discolparmi dal solito nervosismo stressante. Guardare i mercati è un’attività che ti porta mille pensieri togliendotene altri. Non ti fa dormire la notte… e sei sempre nervoso e iperattivo… e quando cerchi un po’ di calma devi sentirti le lamentele di chi non hai cercato per tutta la settimana. Avevo già vissuto ciò che diceva quell’uomo. Sapevo cosa significasse stare incollato a un paio di monitor e al cellulare quando eri in giro. Conoscevo lo stress dei grafici e la paura di fallire; l’ansia che ti uccide quando ti giochi anche ciò che non dovresti; la mente che ti brucia cercando tregua e gli occhi asciugati dall’insonnia di molte notti; per non parlare dei tremori alle mani e la voglia di uscire da quella prigione che è diventata la tua casa. Il tempo non conosce più limiti in un mercato aperto 24 ore su 24 e a volte i sogni si confondono con la realtà. Certe notti mi sono svegliato colto dalla paura di non aver chiuso le posizioni e andavo a controllare al pc. Certe notti non erano più notti o almeno lo erano al di fuori di una finestra chiusa a Milano, ma non a Tokyo o a New York.
A volte ho rischiato d’impazzire… e questo è solo l’inizio…

 

Notre-Dame de Paris (la nouvelle de Paris IV)

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Salimmo sulla Rer B, una sorta di treno-passante che taglia in due Parigi. Arrivammo a Châtelet, il cuore pulsante della Parigi sotterranea. Scendemmo infine alla fermata George V… sugli Champs Élysées.

Con gli occhi sognanti e il cuore impaziente, ad ogni gradino della scalinata che fuoriusciva dalla metro, vedevo delinearsi una città del tutto nuova. E mi sentii come Dante che, uscito dall’inferno, guardò per la prima volta uno spiraglio di luce.
Respirai, prima di salire l’ultimo gradino; respirai un profumo diverso… straniero… insolito. Mi riempii i polmoni di un’aria non mia… di un’aria che non conoscevo… e vidi finalmente la Francia. Ero nel suo cuore, nel centro di Parigi, sulla rinomata Avenue des Champs Élysées. E in fondo, sotto un sole che batteva, vedevo il mastodontico Arc de Triomphe. Un grosso arco in stile neoclassico-romano fatto costruire da Napoleone dopo la vittoriosa battaglia di Austerlitz. Una battaglia fantastica e strategicamente perfetta. Quell’omino era basso sì, ma avrà avuto un cervello grosso quanto un melone. Al suo tempo sarà passato proprio sotto quell’arco; avrà visto quelle figure scolpite alla perfezione; e ammirato lo stile romano che tanto lo affascinava. Che meraviglia…

– Dobbiamo attraversare. La casa è dall’altra parte della strada. – disse Antonio.
– Abiti da Luis Vuitton? – scherzai, guardando l’altro lato della strada.
Antonio si girò e con un sorriso disse sicuro di se: – No, dietro! –
Arrivammo davanti al portone della casa. Era una via molto lussuosa. Immersa tra banche e negozi di alta moda. Osservai il citofono e già da quello capii che in quel palazzo vivevano persone che non volevano essere disturbate. Non c’erano nomi ma solo numeri; e la porta si apriva con un portachiavi magnetico rotondo. Entrammo nell’anti-atrio. Un fine tappeto coccolava i miei piedi e una splendida porta a vetri ci separava dagli appartamenti. La casa era al primo piano. Niente scale o ascensori. Molto comodo.
Giro di chiavi…
– Eccoci qua! Casa mia! –
Entrai in quell’appartamentino seguendo mio cugino Ciro. C’era odore di chiuso e polvere in giro. Era evidente che quella casa non vedeva luce da tempo. Era un monolocale parquettato con due eleganti divani-letto in fondo alla stanza. La cucina era in un angolo e ovviamente non mancavano armadi e Tv.
Antonio si diede subito da fare. Aprì le finestre e spazzò per terra. Io e Ciro aprimmo i trolley e sistemammo qualche vestito spiegazzato. Salutai la mia pallina rossa che, ovviamente, avevo portato con me in questa insolita trasferta. Mi sedetti sul divano e feci due conti osservando quella casa. Antonio tra una battuta e l’altra aveva rivelato che valeva 13000 euro al metro quadro. Ebbi una strana sensazione nel pensare che il mio culo fosse poggiato su così tanti soldi. Feci una rapida moltiplicazione per le dimensioni dell’intera casa. Deglutii al risultato. Beh… del resto… eravamo sugli Champs Élysées!

Cacciai dalla borsa la cartina di Parigi che avevo comprato alla Feltrinelli. Antonio aveva da poco finito le pulizie e si era seduto sul divano.
– Guarda Antò! –
– Grande! –
Aprii quella cartina che a dimensioni faceva invidia al catasto comunale. La stesi per terra e ci sedemmo ai lati ad osservare la città.
– Allora, vediamo se mi ricordo qualcosa… – disse Antonio, sforzandosi di ricordare delle sue precedenti vacanze con i genitori.
– Noi siamo qui: Champs Élysées, qui c’è l’Arc de Triomphe, qui vicino c’è la Tour Eiffel, non è lontano… ci possiamo andare anche a piedi. Qui c’è Notre dame e il Louvre, anche lì potremo andare a piedi… poi… –
Mentre osservavo Antonio che indicava luoghi e percorsi sentii picchiettare sul muro.
– Di chi è la pallina? – chiese Ciro che stava giocando.
Lo osservai con terrore.
– È mia! Posala subito! – gli intimai.
– Ok ok! Calma! La poso! – rispose Ciro.
– Ragazzi! Allora usciamo o no? –

Scendemmo in strada; tre ragazzi improvvisati turisti. Percorremmo tutta Avenue des Champs Élysées con la stessa tranquillità delle passeggiate in corso Buenos Aires o Vittorio Emanuele a Milano. Tutta la mia ansia era svanita… e mi stavo preoccupando… mi stavo preoccupando di non avere ansia! Che buffa la vita.
Arrivammo in una strada che costeggiava les Jardin de Tuileries, dall’altro lato invece avevamo la Senna. Più avanti, dopo aver oltrepassato il Louvre con un immenso desiderio di entrarci, arrivammo al Pont Neuf, che a discapito del nome, (Ponte nuovo) è uno dei ponti più antichi della città. Collega le due rive della Senna passando per l’Île de la Cité. E proprio quest’ultima era la nostra meta. La mitica isola nel cuore della città. Vista dalla cartina sembrava così piccola ma appena fui dentro mi sembrò immensa.
E mi fermai un attimo… quando da lontano vidi le due immense torri della cattedrale di Notre-Dame.
Che fantastico spettacolo! La mia mente abbandonò il mondo reale per catapultarsi in un medioevo ancora agli albori. Quando le case a stento superavano i due piani e le macchine e il frastuono dei motori non tormentavano la città. Solo lo scalpitio di zoccoli e carrozze poteva essere udito per le strade; e le voci delle persone… i viandanti e i mercanti con le loro bancarelle; e i preti… che, con i loro canti gregoriani, riempivano le immense navate delle chiese. Quanta storia hai visto Notre Dame? Quante guerre e sangue piangesti? E chissà cosa pensasti quando Napoleone s’incoronò re dei Francesi tra le tue mura… Quante storie hai visto raccontarsi? Come quella dei Gargoyles, quelle strane creature che spuntano in alto dalle tue pareti esterne. E perché non ricordare Quasimodo, comunemente detto il gobbo di Notre Dame, che Victor Hugo descrisse nel suo celeberrimo romanzo.
Notre Dame de Paris.

Entrammo. Il grande Rosone nero, che dominava la facciata esterna, all’interno si dipingeva di colori. Le sue vetrate raccontavano le più comuni storie Bibliche. Sembrava un immenso diamante dalle sfaccettature colorate. Ero incantato nel vedere una così grande e minuziosa opera d’arte. Mi girai e i miei occhi spaziarono nell’immensa navata centrale. Guardai in alto e notai le croci che formavano gli archi a sesto acuto che sorreggevano il soffitto. Ed anche vedendo e toccando quelle mura non riuscii a spiegarmi come delle persone con semplici utensili e nessuna gru, avessero potuto costruire una volta così alta, sorretta solo da massicce colonne e archi rampanti… che, per di più, ha resistito per quasi un millennio, mentre al giorno d’oggi i palazzi con più di 100 anni son da demolire.
Percorremmo la navata laterale. Eravamo nella penombra di candele e qualche faretto. Camminando tenevo d’occhio il centro della chiesa, e la mia mente, come al solito, viaggiò nella fantasia. M’immaginai di essere tra gli spettatori che assistevano all’incoronazione di Napoleone come nel dipinto di David. Vedevo la scintillante corona tra le mani del futuro re; il papa, seduto dietro, che osservava la scena con un po’ di rancore. L’immenso mantello rosso… la corona d’alloro… e la moglie Giuseppina inginocchiata. Stemmi ovunque e tantissime persone. Candele… tante candele… e alla fine, un immenso applauso…
Che magica scena… avrei desiderato viverla in prima persona. Avrei rinunciato a tecnologia e mondo moderno per vivere in quel tempo; e magari essere uno dei generali di Napoleone per avere un posto nella storia. E invece la mia storia è ben diversa… è una storia da spettatore che si diletta a descriverne qualche pagina quando ha tempo. Ma il tempo sembra non bastare mai…

Biiiip
Il cellulare di Antonio squillò. Era un messaggio.
– Ragazzi! Fra poco avremo compagnia! –

 

 

Soldi… e il resto, è solo conversazione (parte V)

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Tick Tack..

L’orario si avvicinava. Non riuscivo a guardare l’orologio. Presi un antistress e iniziai a passeggiare nervosamente per la stanza. In testa avevo mille ragionamenti, seguiti da mille ripensamenti e mille schiaffi mentali sulle mie insicurezze. Non si deve mai perdere la fiducia! Cambiare idea in borsa spesso non è sintomo d’intelligenza. Perché quella decisione che hai preso è frutto di mille riflessioni, studi e sacrifici. Quindi, solo altri mille studi, riflessioni e sacrifici possono mettere in crisi quella decisione. Cambiare idea con uno schiocco di dita, spinto magari da paura e incertezza, è sbagliato. “Un Trader domina i suoi sentimenti!” c’era scritto i uno dei tanti libri che avevo letto.

Biiiiip Biiiiip Biiiiip

Partiti. Ore 14 e 30. Uscirono i dati sull’occupazione. Negativi! Il cuore a mille… le quotazioni iniziarono a schizzare all’impazzata. Afferrai una lattina e la finii. La tenni in mano vicino alla bocca a mo’ di microfono di un telecronista calcistico.
– Fischio d’inizio… e la partita è aperta! Il Dollaro perde terreno mentre l’euro segna goal a raffica. L’oro salta in vantaggio guadagnando terreno come una Ferrari in un campionato di minimoto. Il petrolio segue a ruota ma non sembra molto motivato oggi, la mamma gli ha negato la merendina. L’S&P invece ha imboccato un’unica direzione, il profondo abisso, oggi immersione tra i coralli. Sembra voler sfondare lo schermo tanto che va giù! Il resto del fronte valutario sventola bandiera bianca e si arrende alla imprescindibile forza di gravità. Giù, giù e ancora giù! Tutto giù!! La parola di oggi è Giù… seguita da porcaputtana! –
La mia telecronaca improvvisata continuò per almeno un paio di ore. I miei occhi si stavano asciugando. Erano incollati allo schermo per non perdere il minimo movimento. Il mio cervello sembrava impazzito. Ragionavo, calcolavo, prevedevo. Mi mordevo le mano per non agire impulsivamente. Le cose si stavano mettendo male.
– La calcolatrice… dove cazzo è quella maledetta calcolatrice! – Dissi nervosamente buttando all’aria lattine vuote e cartacce appallottolate. Le mie tempie pulsavano all’inverosimile… la testa sembrava scoppiarmi. Volevo urlare e prendere a pugni qualcuno. Stringevo l’antistress fino a quasi romperlo. Stavo perdendo la sfida. Cercavo i miei errori e non trovandoli mi arrabbiavo ancora di più.
Poi improvvisamente il mercato si girò come una mandria di gazzelle che incontra sulla strada una tigre. Iniziò a correre nell’altro senso, dirigendosi in pratica verso i miei guadagni. Respiravo. Il mercato mi stava dando una boccata (economica) d’ossigeno. Mi stavo aggrappando alla speranza. La speranza che quel movimento incerto di prima fosse dettato dall’enfasi della notizia. Accade spesso che i trader o le grandi banche speculino in modo aggressivo in momenti come questo. Ma tutto deve tornare per forza alla normalità. Un po’ come quando si butta un sasso in un fiume.
“Sarà così?” mi chiedevo mentre, in piedi, guardavo lo schermo. In finanza c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde. Nessuno può sottrarsi a questa inesorabile ruota. Ed io da che parte stavo? Vincitori o perdenti? Che fine avrebbero fatto i miei soldi? Mi diedi un pugno in testa perché mi stavo facendo troppe domande inutili. C’era il mercato da seguire. Non dovevo perdere il minimo movimento.
Mi sedetti e restai incollato a guardare quelle quotazioni salire e scendere… salire e scendere.
Vuotai un’altra lattina e non contento ne vuotai ancora un’altra. Il mio corpo era un fascio di nervi in tensione. Aspettavo la mossa giusta. Aspettavo come un pescatore paziente che aspetta il suo galleggiante andar giù… però con la carica di un pugile all’ultima ripresa.
I minuti si sommavano generando ore. Il tempo lì fuori cedeva all’oscurità…
Avevo perso la cognizione del tempo. Chissà da quanto ero incollato a guardare quel monitor. Ero ipnotizzato. Fissavo da ore una linea che saliva e scendeva. I miei occhi non ne potevano più… il mio cervello chissà dov’era andato a finire. Ero in trance… letteralmente in trance. Immobile. Con una miriade di grafici lampeggianti che ormai non avevano più nome. Non m’importava più come si chiamassero. Volevo solo che l’andamento imboccasse la direzione giusta oltrepassando quella maledetta linea verde che segnava la mia posizione. Mi alzai in piedi e bevvi un’altra lattina…
La guardai… qualcosa non andava… i miei muscoli tremarono e sentii la terra cedermi sotto i piedi…
Il mio corpo non ne voleva più sapere di me… si stava ribellando. La testa mi girava. Barcollavo per la stanza come in una delle mie migliori sbornie. Ma non ero ubriaco. Mi appoggiai alla libreria. Qualche libro cadde a terra. Non ci stavo più. Il mio equilibrio era fottuto. Picchiai con un ginocchio contro il tavolino e un bicchiere pieno d’acqua rovinò a terra frantumandosi in mille pezzi… Mi avvicinai al letto e ci crollai su…

Svenni…

Il Denaro non Dorme mai! (parte III)

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Il mercato dei future, delle valute, dei derivati, delle commodities e di che cazzo altro ne so, è un mercato che non dorme mai. Non ha orari da ufficio come la Borsa Italiana che apre alle 9:30 e chiude alle 17:30. No… Orario continuato, 24 ore su 24, 5 giorni su 7. Si parte la Domenica sera e si finisce il Venerdì sera. Un mercato con le palle in pratica. Per permettere tutto ciò, le contrattazioni avvengono nelle principali borse mondiali, quindi, con i relativi orari di apertura e chiusura. Ossia: quando chiude Londra, apre New York, alla chiusura di New York, scatta Tokyo. E grazie a quella bella invenzione del fuso orario, si copre l’intero arco giornaliero… e notturno…

Buio. Nella mia stanza dominava il buio più assoluto. Non si poteva dire lo stesso del silenzio. Era rotto dal flebile rumore delle ventole di raffreddamento del mio pc. Nonostante ciò, ero riuscito a prendere sonno nel mio letto tra i miei quattro cuscini. Come ogni notte ne abbracciavo uno. Quella notte, il triste supplizio era toccato al cuscino blu. Di solito era sempre il rosso che mi capitava tra le braccia. Ma al contrario delle donne, per i cuscini, uno vale l’altro.

Sognavo.

Sognavo di una canzone mai ascoltata… che parlava di un posto mai visto… in cui c’era una persona che non conoscevo. Camminavo… esploravo… Sentivo questo suono melodioso che mi accompagnava. Ero sereno… e quella persona sembrava molto simpatica… era una donna… aveva i capelli neri e gli occhi limpidi… un bel sorriso… una parlantina intrigante e…

Biiiip Biiiiiip Biiiip

Il mio computer iniziò a cinguettare il suo terribile suono. Aprii gli occhi all’istante e subito capii che era successo qualcosa in borsa. Tolsi le coperte e nel buio cercai le pantofole. Niente… Le mie dita, al contatto col freddo pavimento, si rannicchiarono come gattini appena nati. Mi sedetti alla poltroncina e tirai su le gambe. Accesi lo schermo e impugnai il mouse. Guardai l’orologio: 3:32 Tokyo era al lavoro. Controllai il grafico di ogni titolo del mio portafoglio alla ricerca del colpevole che mi aveva svegliato. L’oro era stabile, il petrolio pure. Normale. Difficilmente i giapponesi speculavano su queste cose. La loro fame era sempre diretta verso il biglietto verde. Il Dollaro. I Giapponesi ne sono ghiotti, ugualmente i Cinesi. E infatti il dollaro contro Yen era salito causandomi una lieve perdita. In compenso le altre cose andavano discretamente bene.

Biiiip Biiiiiip Biiiip

Scattò un altro allarme. “Addio sogno” pensai. “Stanotte sarà una lunga notte”.
Andai in cucina e presi la teiera. La riempii fino all’orlo e c’inzuppai due bustine di Tè. La misi sul fuoco sperando di non dimenticarmela. Mi sedetti su una sedia e appoggiai la testa sul tavolo.
Gli occhi si chiusero… e bussai alla porta di Morfeo pregandolo di aprirmi.
Brutta mossa. Dopo una decina di minuti il Tè iniziò a bollire sbrodolando sui fornelli.

– Cazzo! – dissi alzando la testa di scatto.
Zucchero e tazza preferita. Il mio Tè era così nero che sembrava Coca Cola. Tornai in stanza e lo appoggiai al lato lasciandolo raffreddare. Mi rimisi al lavoro sui miei grafici. Cercavo di capire l’intensione dei giapponesi quella notte. Dove si stava spostando il mercato? Che cosa lo muoveva? Qual era la Star di oggi?
Perché, dovete sapere, c’è sempre il titolo che traina tutti gli altri. Il protagonista della giornata. E se sale (o scende) lui, tutto ciò che è correlato, farà di conseguenza. In quel momento lo Yen muoveva i mercati. Lo Yen sostanzialmente è una valuta di merda. Manco agli stessi giapponesi piace. È per questo che accumulano nelle loro riserve un’ingente quantità di valuta straniera. Come può essere il Dollaro Americano, il Dollaro Australiano o il Dollaro NeoZelandese che andava molto di moda in quel momento. Diedi una lunga sorsata alla mia tazza bianca. Ingoiai come un dromedario in un oasi, sperando che la teina facesse il suo dovere. Chiusi un paio di posizioni. Alcune in perdita altre in guadagno. Il saldo però, restava positivo e quello era l’importante. Un’altra sorsata. Il Tè si stava raffreddando velocemente. Analizzai il grafico dell’euro. Notai che si stava formando quello che, molto semplicisticamente, veniva definito un triangolo. Lo disegnai con le linee. Ora… tutto dipendeva da ciò che avrebbe fatto l’euro. Ovvero, l’uscita che avrebbe preso dal mio teoretico triangolo. Non c’era altro che aspettare. Bevvi un altro po’ di Tè… ma sembrava non funzionare. Ne bevvi ancora… e ancora… e ancora. Fino a finirlo del tutto. Andai in cucina e ne preparai dell’altro assicurandomi, questa volta, di non fare “arrabbiare” la teiera. Tornai in stanza. La luce del monitor era l’unica che risplendeva. I miei occhi socchiusi, stanchi e abbagliati, faticavano a reggere lo sguardo. Ebbi un idea. Aprii una nuova pagina nella mia piattaforma e la chiamai “notte”. Aprii tutti i grafici che mi servivano e cambiai tutti i colori impostando lo sfondo nero. Ora, tutte quelle finestre dai toni scuri, creavano meno luce. I miei occhi mi ringraziarono. Bevvi il Tè. La teina stava facendo effetto. La mente si stava svegliando ed era più concentrata. Aspettavo solo che il mio “cavallo” iniziasse a correre per vedere quale direzione avrebbe imboccato.

Aspettavo…
Bevevo…
Aspettavo…
Bevevo…
Aspett…

E’ solo una questione di soldi… (parte II)

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“Ricordati! Solo un giorno…”

La mia coscienza continuava a ripetermi quella frase. Quando avrebbe smesso, era un’incognita. Tutto era pronto ormai. Mancava solo che il mio dito cliccasse il tasto giusto e che un po’ di fortuna entrasse da quella porta a farmi compagnia. Mi sedetti sulla poltroncina e guardai lo schermo. Si comincia.

Cercai tra i programmi il software per fare trading online. Non l’avevo ancora disinstallato. Era riuscito a superare indenne la crisi di astinenza da gioco che mi aveva colpito. L’avevo combattuta con successo e mi ero creato vari modo per non pensarci. Modi per distrarmi dal correre rischi inutili. Da quel rischio continuo che rappresenta il mercato finanziario. Mi ero disintossicato, come si fa per la peggiore delle droghe. Avevo iniziato a giocare appena finito il liceo. Avevo iniziato a studiare, leggere, capire… ad appassionarmi a quel mondo misterioso fatto di prezzi, nomi, codici, percentuali e soprattutto, soldi. Già… è sempre stata una questione di soldi. Il vile ma indispensabile denaro.

Aprii la piattaforma di gioco. Comparvero tutte le piccole finestrelle dei grafici e dei prezzi che avevo impostato circa un anno fa. Sorrisi nel vedere i vecchi studi. Le linee tracciate, a suo tempo, sugli andamenti dei titoli, o le annotazione scritte nelle finestre dei grafici. Erano una sorta di malinconici ricordi del passato. Come foto e canzoni, quelle linee, avevano i loro perché. Cancellai tutto. Muoviti! Disse perentoria la mia coscienza. Non stiam qui a perdere tempo… il tempo è denaro! Ricordi quel film? Il film che ti ha fatto sognare… e ti fa sognare il solo pensiero… e lo so che lo stai pensando… perché lo pensi ogni volta che senti la parola “azione” o “mercato”… e lo so, perché non scordarti, che io sono te!
“Già… aveva (o avevo) ragione. Dovevo muovermi!”
La prima cosa da fare, era impostare una strategia di gioco. Molti si concentrano solo su uno strumento finanziario; altri usano solo l’analisti tecnica (studio dei grafici); altri invece usano unicamente l’analisi fondamentale (analisi di notizie e dati). Io per non scontentare nessuno, faccio un misto di ogni cosa. È difficile da comprendere, ma le materie sono molto diverse. È un po’ come un dottore che sa fare anche l’avvocato e che ogni tanto, va in bicicletta. Nell’analisi tecnica sono concentrate matematica e statistica; nell’analisi fondamentale è assolutamente necessario conoscere le nozioni di base dell’economia, sapere tutti i termini e il relativo impatto sul mercato, quando vengono pronunciati dal TG.
“A proposito di notizie”
Aprii sull’altro schermo il canale ClassCNBC in streaming. Una donna corvina iniziò a commentare l’apertura in calo di Wall Street. Sentivo la sua voce mentre dall’altro lato sistemavo finestre e indicatori. Intanto pensavo ad una strategia da adottare. La vecchia strategia di giocare su valute incrociate non era molto proficua. Era come scommettere su un cavallo in una corsa a due. Se il tuo cavallo perde, non buttare via la schedina ma scommetti su quello che sta vincendo, così le vincite appianeranno le perdite. Ma non sempre filava tutto liscio. Questa volta volevo optare per una strategia che veniva usata spesso sul mercato azionario. “Il portafoglio”. Ora tutti starete pensando a quell’oggetto di pelle che contiene soldi. Ma digitalizziamo il vocabolo e al posto dei soldi mettiamoci dentro “pezzi di carta” con nomi difficili. In pratica, un contenitore di titoli variegato. La strategia del portafoglio, detta con la rozzezza di un contadino, è che comprando un sacco di patate, qualcuna dovrà pur esser buona no? Ovvero, qualche titolo dovrà pur andare bene no? Beh… non è così semplice come le patate… La scelta di cosa comprare può richiedere anche ore. Erano le 3 del pomeriggio quando mi ero seduto su quella sedia, ora, il 17 lampeggiava da un po’ sullo schermo. La piattaforma era pronta. La lista degli strumenti disponibili a portata di mano. Dovevo solo scegliere. Cominciamo!
Definiamo prima il termine di giocatore di borsa. Anche un vecchio che, con i risparmi di una vita, compra un considerevole pacchetto di azioni tenendole in cassetto, è, tecnicamente, un giocatore di borsa. Però io non sono quello. Io faccio parte della schiera di speculatori che comprano e vendono all’istante. In mano solo soldi! Niente pezzi di carta con scritto Azioni! “A lungo termine saremo tutti morti!” diceva un grande economista. Quindi… vendere appena si può e battere cassa.
Il problema però è cosa comprare. Chiedendo alla gente comune spesso ti fai di quelle risate… “Compra le Apple che l’Iphone ormai ce l’hanno tutti” oppure: “guarda le google come salgono! Secondo me bisogna comprare”
Ecco… uno degli errori più frequenti è comprare quando le cose salgono di prezzo sperando che salgano ancora. È un errore banalissimo e comunissimo! Ma scusate… quando dal pescivendolo il pesce sale di prezzo, voi lo continuate a comprare? O aspettate che scende e lo comprate? Un concetto banale… peccato che non l’osservi nessuno. Devo ammettere però, che anche io sono caduto frequentemente in questo errore. Si chiama febbre del gioco. Vorrei vedere voi davanti a delle quotazioni che schizzano alle stelle cosa pensereste. “Cavolo! Perché non ho comprato! Compro adesso!” E pfiuuuuuuuu giù nell’abisso! Fuori dai giochi! Ritenta sarai più fortunato!
Traendo spunto dagli innumerevoli errori che ho commesso in passato, avevo stilato una serie di regole da seguire. E ironicamente la prima regola era: Non giocare!
Quindi la prima regola era bella che andata. Quale sarà stata la prossima?
Mi facevano un po’ male gli occhi. La donna mora continuava a dire che in quel giorno le borse avevano perso tutte. Per chi ha capito l’esempio di prima, era una bene. Continuavo ad analizzare cosa scegliere per il mio portafoglio. Avevo riempito una pagina con appunti di vario genere. Andavano dal “No! Questo no!” al “Ma ti sei ammattito?” oppure “Te lo scordi che ti compro”, tutti riferiti a vari prodotti finanziari.
Ecco… ci siamo.
La mia lista era completa, o quasi. Comprendeva innanzitutto le due star del secolo: l’oro e il petrolio. Poi si andava in America con l’S&P 500 (l’indice della borsa americana), il FTSE 100 (Borsa di Londra), un po’ di Dax che non guastava mai (non il detersivo ma il Future sulla Borsa Tedesca) e per finire qualche cambio valutario per rendere lo scontro più equilibrato. Primo fra tutti il Dollaro, re incontrastato di tutti i rapporti finanziari internazionali. Ovviamente sto parlando di Dollaro contro Euro. Poi si passa alla Sterlina, la vecchia moneta mai abbandonata da quei bevitori di Tè. Infine lo Yen per non scontentare gli amici orientali. “Un gran bel portafoglio” pensai soddisfatto. Guardai l’orologio… era quasi mezzanotte.
Guardai per un ultima volta i grafici e impostai gli “alerts”.

Gli alerts, per chi fortunatamente non ne ha mai avuto bisogno, sono delle odiosissime sveglie che scattano quando il titolo raggiunge un prezzo preimpostato da te. Insomma ti avvertono se stai vincendo o perdendo. Avevo ancora impresso nella testa quell’odioso suono. Lasciai quindi il computer acceso e sperai che quella notte nulla avrebbe disturbato il mio sonno…

Ma chi conosce le regole della finanza, sa che…

The Money… Never Sleeps!

Solo un giorno… (parte I)

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Ero steso sul letto a guardare il soffitto. Il mio comodo piumone bordeaux aveva lasciato il posto ad una semplice coperta a righe scure. Niente cuscini sotto la mia testa. Volevo starmene così, steso, rilassato… Abbandonato da tutte le forze e sconnesso dalla mente. Era uno stato piacevole: occhi socchiusi, ventre molle, piedi a V e dita curve. Niente poteva distrarmi… niente poteva interrompere quello stato di calma inflitta al mio corpo. Solo il mio respiro aleggiava nell’aria. Sembrava quasi di vederlo. Che strana sensazione… In casa non c’era nessuno. Le mie coinquiline erano fuori città e ci sarebbero restate per una settimana intera. Silenzio. Niente musiche, passi o conversazioni telefoniche. Oltre la porta della mia stanza non c’era niente. Il vuoto.. il buio totale. A volte amo la solitudine… a volte la detesto… a volte la rincorro… a volte mi opprime. Quante volte ho sperato che qualcuno mi cercasse? Quante volte ho sperato in quegli amici troppo impegnati nelle loro vite? Quante volte mi sono arreso all’evidenza che Ciro è solo, e solo lui può fargli compagnia… Solo le sue braccia, le sue gambe, la sua pelle e le sue ossa… il suo cuore… che batte ancora… lentamente… ma continua il suo lavoro.

La porta del balcone era semiaperta. Cinque piani più giù, una strada fermentava di vita. Macchine e passanti scorrevano come le acque di un fiume. Questa Milano è sempre viva… e a volte, un po’ rumorosa.

Peeeeeeee Peeeeeeeeee

Il forte clacson di una macchina mi destò dal mio stato di riposo. Aprii gli occhi e mi misi a sedere. Erano solo le 3 del pomeriggio. Non potevo dormire dato che c’era ancora metà libro da studiare lì, sulla mia scrivania. Giorni addietro avevo fatto pulizia. Avevo riordinato il caos che regnava indisturbato su quel tavolo da sala che usavo come scrittoio. Avevo ammucchiato i libri in un angolo, messo la stampate a portata di mano e spostato il grande schermo che non usavo da tempo. Il mio portatile bianco era su un lato. Di solito occupava la posizione centrale ma adesso vi era un grosso libro di diritto pubblico. Accanto, una serie di matite e pastelli. Detesto gli evidenziatori. Adoro sottolineare le frasi con i pastelli colorati e a ogni capitolo dedicare un colore diverso. A volte ci penso anche per più di dieci minuti a quale colore scegliere. Di solito leggo il titolo dell’argomento trattato e m’immagino nella mente che colore possa avere. E così per “Regioni ed Enti locali” uso il grigio, per “il Parlamento” uso il rosso, “Forme di stato e forme di governo” il giallo, e così via… un capitolo, un pastello. Guardando il libro sperai che finisse prima lui dei colori disponibili. Mi buttai sulla poltrona con le ruote nera. Appoggiai i piedi davanti al mio pc. Guardai la scrivania. Era troppo ordinata, quasi non la riconoscevo. Sulla mia destra era appoggiato il mio portafoglio. Era uno di quelli in pelle che si aprono a metà e in mezzo hanno la molletta per le banconote. Sulle due “ali” erano disposte le mie carte. Lo presi in mano. Lo rigirai tra le dita e lo aprii. Una banconota da dieci e una da cinque scivolarono via perché la molletta non era più abituata a contenere così pochi soldi. Osservai le mie carte. Presi la patente e la buttai sulla scrivania… così come la tessera sanitaria, la scheda della Feltrinelli e l’abbonamento ATM. Toccava ora all’altra “ala”. Presi il bancomat e lo rigirai tra pollice e indice prima di buttarlo sul mucchio. Gli seguirono un paio di Postepay e il badge dell’università. Vuoto… guardai quei quindici euro e mi fecero un po’ pena. Cercai in tasca qualche amico per fargli compagnia. Dieci centesimi, il resto del caffè da Rocco.
Quindici euro e 10 centesimi. Incrociai le mani dietro la testa pensando ironicamente: “Dove potrei andare in vacanza?”, mentre guardavo la parola Giugno scritta sul calendario. Volevo andare all’estero quell’estate. Ma con quindici euro non avrei comprato manco la carta con cui stampare il biglietto dell’aereo.

Ciro…
“Chi è che parla?”
Sono la tua coscienza idiota!
“Non è possibile! La mia coscienza sono io”
Certo… ma io sono quella parte di te che fa azioni avventate… vive e commette errori… Tu sei quello che se ne pente e che scrive. E se posso darti un parere, anche pessimamente!
“Ah grazie! Autostima! Dove sei finita? Perché mi hai lasciato solo con lui?”
Smettila… ho un idea… Perché questa volta non fai scrivere la storia direttamente a me? Perché non mi fai essere il regista invece del solito attore di cui narri l’esistenza? Ci divertiremo… ho in mente un piano… e forse non dovrai chiedere soldi ai tuoi genitori per le vacanze. Sai bene che tua madre ti urlerà dietro e tuo padre ti aprirà la testa in due se gli chiederai un altro centesimo. Quindi… lasciami fare… ho qualcosa in mente…
“Ok… ti do carta bianca… ma spiegami, cosa vuoi fare?”
Idiota! Cosa ho in mente lo sai già! È la tua!
“No! No, no, no e poi no! Ricordi cos’è successo l’ultima volta? C’ho quasi rimesso una coronaria e quel tick agli occhi c’è voluto un mese per farlo scomparire!”
Dai… non andrà così… te lo pometto… Sarà solo un giorno…
“Ok… ma solo un giorno!”

Tolsi i piedi dalla scrivania e afferrai il monitor dall’angolo. Soffiai via il velo di polvere che lo circondava e con una mano tolsi una chiazza dura a volar via. Spostai il libro. Monitor in posizione centrale. Raccolsi il filo e attaccai il monitor da 24 pollici al mio portatile. Ora avevo due schermi e il mio mouse si sentiva come un centometrista in una maratona. Andai alla mia libreria e cercai la mia calcolatrice. Era una vecchissima calcolatrice scientifica Casio. La usava mio padre quando andava all’università. Avrà più di trent’anni ma è ancora perfetta e funzionante. Non ne fanno più così. Aveva i tasti morbidi al tatto e la digitazione era molto scorrevole. Dove cazzo è? Spostai il libro di Statistica e la trovai. La tolsi dal suo guscio e l’appoggiai davanti al monitor. Cos’altro mi serve? Blocco appunti, penna, post-it. Guardai il mio router wifi lampeggiare. No… non va bene! Voglio la sicurezza di un cavo. Se perdo anche solo una manciata di dati potrebbe essere la fine. Tirai fuori da una scatola un vecchio cavo Lan. Lo attaccai al router e poi al mio pc. Sfiorai il tasto wifi e si spense. Finito? Cazzo il cellulare! Devo configurarlo. Il mio HTC Wildfire aveva un desktop con varie pagine. In una misi gli orari di tutte le maggiori città mondiali. In un’altra i link ai preferiti dei maggiori quotidiani economici e infine installai il programma per controllare l’oscillazione dei prezzi.

Pronto…

Ero pronto… per giocare in borsa.

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