
Mattina…
La macchina correva, la strada era libera. Dovevo passare a prendere i miei amici, per poi partire. La meta era ancora ipotetica. Proprio come piaceva a me… senza vincoli ne barriere, si partiva e via.
Le curve scorrevano veloci, il sole era già alto. Era un po’ tardi per partire per il mare, ma a noi non importava. L’importante, in fondo in fondo, era stare insieme e questo lo sapevamo tutti. Era una di quelle regole non dette che c’erano tra gli amici, contenuto in quel codice segreto che sembrava dar senso alla vita.
Stavo correndo troppo e non solo con i pensieri. Mi fermai. Feci passare un netturbino che sembrava non essersi nemmeno accorto di me. Ingranai la marcia e ripresi la corsa. Sfrecciai davanti a una persona che sembrava Gabriele.
– OOOOOO! Dove cazzo vai!??!? – sentii urlare.
Era Gabriele. Frenai e misi la retro. Salì in macchina.
– Dove vai a quest’ora, Cì? –
– Al mare! Vieni pure tu! –
– No… sono troppo stanco… sono tornato ora dal lavoro.-
– Vabbè.. tranquillo… sarà per la prossima volta! –
Lo accompagnai a fino a casa sua e prima di scendere mi diede due baci.
– Auguri Cì… –
Lo guardai scendere. Avrei voluto tanto che fosse venuto con me. Gli volevo fottutamente bene a quel ragazzo. Anche se a volte mi faceva andare su di giri. Come quella volta che mi spruzzò il profumo negli occhi o quando mi ustionò le mani con la brace del fuoco. Quante litigate che c’eravamo fatti. Finite tutte con il solito giro di scuse ed io che non riuscivo mai a non perdonarlo. Mi odiavo. Certe volte avrei voluto proprio non parlagli più… certe volte, invece, avrei voluto che restasse ancora un altro minuto sulla panchina a raccontare qualche storia assurda per farmi dimenticare dei miei pensieri. Ero un debole… per gli amici avrei fatto di tutto e un loro tradimento mi avrebbe ucciso il cuore peggio di qualsiasi altra cosa. Ripartii.
Altri amici mi attendevano.
Passai a prendere Gianni.
– Dove si va? – gli chiesi
– Non so… –
– Visto che è tardi… solita meta! –
– Campomarino. –
E presa la decisione, passammo a prendere Enzo e gli comunicammo la meta. Lui non fece una piega. Stava bene anche a lui. Campomarino era una decisione jolly. In mancanza d’altro, era sempre un ottima meta. E poi… la strada per arrivarci era una favola. Si correva da Dio! Chissà perché mi piaceva sempre sfidar la sorte su quel manto d’asfalto. Era un’eccitazione strana. Quasi meglio di qualche droga.
Scalo di marcia…
Sorpasso.
La macchina rispondeva bene ai comandi.
Accelerai
BEEEP
Avevo superato i 110. Quello era il bip dell’allarme della velocità. Quanto adoravo quel suono. Era come avere un battito di cuore in più. Dato che la mia norma, era averne uno in meno.
– Ciro rallenta… – mi fece Enzo.
C’era una curva molto stretta. Sterzai ma la macchina non riuscì a girare bene. Invasi l’altra corsia e cercai di rallentare nel modo più dolce possibile. Finita la curva… tornai sulla retta via.
Terza… quarta… beeep… quinta.
E si ricominciava.
120… 130… 140…
La lancetta del tachimetro non voleva fermarsi mentre quella dei giri del motore sembrava soffrire quando superava i 5000.
– Ciro… se continui così, un pieno di diesel non ci basta per arrivare! –
– Non vi preoccupate ragazzi… ditemi solo dove svoltare che non mi ricordo… –
– Tanto devi andare sempre diritto. –
– Aspetta un momento… non ricordo che la strada fosse così! –
– Cosi come? –
– Beh… così ben fatta! –
– Già anche io ho dei dubbi… Enzo accendi il navigatore. –
– Ok… CAVOLO! siamo fuori di 90 chilometri! –
– Cioè abbiamo sbagliato strada?!?! –
– Si! –
– Dannazione!! –
Accostai, feci inversione e ripartii.
Pensai. Possibile sbagliare strada così? Campomarino era un po’ la nostra seconda casa… e scordarsi la via di casa non era una buona cosa. Sarà stata la velocità… la distrazione… o che cavolo ne so! Fatto era, che dovevamo recuperare.
Mi concentrai sulla guida. I ragazzi intanto cantavano le canzoni che passava la radio. Sorrisi… nel frattempo feci un paio di sorpassi azzardati insieme ad una Fiat Bravo davanti a me, che mi faceva da apripista. Ormai era diventata quasi una sfida. Lui staccava la freccia… ed io pure… Sorpassava e aspettavo che mi facesse spazio. Ad un certo punto lui sorpassò in una curva ed io lo seguii.
– Ciro quello è un camion! –
– Lo vedo… – dissi con calma.
Ero a fianco alla macchina che stavo sorpassando. Dovevo decidere quale pedale schiacciare. Se rallentare… o accelerare. La Bravo era ormai lontana. Il camion si faceva sempre più vicino e mi lampeggiava. Rallentai… e tornai dietro alla Punto bianca. Questa volta aveva vinto il camion rosso… anche se dubitavo che avrebbe perso nel caso di un incidente. Sorrisi. Eravamo quasi arrivati. Vedevo già il mare alla mia destra. E il profumo di brezza marina si faceva sentire.
Lo sapevamo che Campomarino non era un posto d’élite. Se tutti noi non ci avessimo passato l’infanzia, non lo conosceremmo nemmeno. Di spiagge belle ne esistono e come… con mari più puliti e divertimenti più vari. Ma questo posto non lo abbandonerò mai… è una scatola di ricordi.
– Guarda Enzo… la piazzetta! Ti ricordi quando la sera andavamo a giocare alla sala giochi? E quando tutte le mattine facevamo quel pezzo di strada per andare a lido Mare Chiaro… Mamma quanto è cambiato. Di anno in anno si è accaparrato un pezzo di spiaggia libera. Quindici anni fa, aveva solo pochi ombrelloni, ed era anche il lido più piccolo. Ed ora c’è addirittura il bagnino stile baywatch… quante cose che sono cambiate! –
E’ già… il tempo passa anche qui… e persone e cose si trasformano. Ma ero curioso di vedere una cosa..
– Ciro perché giri di qua?.. ah.. ho capito! vuoi vedere la vecchia casa… –
Esatto… Enzo mi aveva capito al volo. La vecchia casa in cui trascorsi la mia infanzia.
La casa che affittavamo d’estate per passare le vacanze. Sempre lì…
Mi fermai.
Quanta malinconia sprigionava quel luogo. E come era cambiato. Il piccolo giardino era stato tutto cementato. Erano sparite le aiuole dove giocavo dopo mangiato in mancanza della sabbia marina. Il cancello aveva cambiato colore e sopra avevano messo un arco con l’edera rampicante. Purtroppo, l’interno della casa non riuscivo a vederlo anche se la porta era semiaperta. Ero proprio curioso di sapere se esistevano ancora quei divani richiudibili dove io e mio cugino giocavamo sempre. Quante storie c’inventavamo prima di andare a dormire. Quanti bei ricordi…
E pensare che allora, piccolo com’ero, avevo difficoltà ad aprire la porta di quel cancello in ferro… ed ora invece, mi basterebbe una mano. Caspita… ho ventidue anni. Ed ero lì da solo… senza mia madre che mi urlava dietro perché non dovevo uscire in strada. Ricordavo che con le manine mi appoggiavo alle sbarre del cancello e guardavo fuori. Guardavo esattamente nel punto in cui in quel momento ero con la mia macchina. Guardavo e sognavo. Giocavo a fare il grande. Perché un po’ mi sentivo grande. E guardavo mia madre con gli occhi dolci sperando che mi facesse uscire per andare al mare. Ed ora ho ventidue anni… e non mi serve più chiedere niente…
– Ciro… su… andiamo… –
I ragazzi mi chiamavano…
Guardai un ultima volta quel cancello…
salutai me stesso da piccolo…
sperando di rivederlo nel prossimo giro…

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