Calabria Coast to Coast 2016 #21

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La macchina arranca tra le strette e buie strade calabresi…
Abbandoniamo la statale 106 per arrampicarci sulla montagnella che ospita il piccolo borgo di Cirò

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E questa è l’ultima tappa di questo strano viaggio estivo.
Non pensavo di poter visitare cosi tante mete in cosi poco tempo.
Ho voluto terminare qui il mio percorso, in questa città che si chiama come me (e aquistare un buon vino che si chiama come me!)

Finalmente sono riuscito a bermi un cirò a cirò!

Spero che il foto/video racconti vi sia piaciuto…

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Arrivederci Cirò…
Arrivederci CALABRIA…

Calabria Coast to Coast 2016 #20

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La macchina corre in questo strano deserto calabrese. Le lingue d’asfalto tagliano le campagne…

Finalmente raggiungiamo la civiltà.
Prossima tappa: Crotone

La città di Crotone fu fondata da coloni greci, provenienti dalla regione dell’Acaia nel terzo quarto dell’VIII secolo a.C., nel luogo di un preesistente insediamento indigeno e rappresentò uno dei centri più importanti della Magna Grecia. La città vecchia si sviluppa in un dedalo di stretti vicoli e piazzette fino al duomo e alla centrale piazza Pitagora, punto di contatto tra città “vecchia” e “nuova”. (Wikipedia)

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La cittadina ha quel suo fascino antico che conserva strettamente nel suo centro storico. Le viuzze sono innmerevoli e intricate. Difficile non perdersi!

Poi ci dirigiamo al Castello di Carlo V

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E infine, stanchi, ripartiamo verso la prossima tappa.

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Arrivederci Crotone.

Diario #2

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Spulciando per il pc. E’ saltato fuori un vecchio screenshot del blog.
Erano i bei tempi di Messenger.
Era frequente nascondersi dietro degli avatar e dei nick. La privacy era ancora qualcosa di sacro… Qualcosa da rispettare…
…e i blog naquero cosi. Puri.. semplici… un pò nascosti.. Non si ricercava la popolarità ma solo ritagliarsi un pezzo di mondo… un proprio spazio digitale.
Era l’unico modo per dire: “Ci sono anch’io qui”…

Era all’incirca nel 2005

 

Qui ho raccolto l’evoluzione che ha avuto il blog nel corso degli anni…

Diario #1

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La penna dondolava nella mia mano mentre la mente ricercava la soluzione più ovvia per un problema statistico. – Eccolo! Maledetto segno! Sbaglio sempre le cose più banali! Non c’è niente da fare..-
Mi alzai un attimo per staccare dallo studio. Fuori il sole splendeva e la mia moto parcheggiata lì sotto ringhiava come un cane legato da troppo tempo.
Poi lo sguardo cadde sulla mia libreria. Tra i tanti libri accatastati e messi alla rinfusa per mancanza di spazio, mi capitò sottomano una vecchia agenda blu.
La presi e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Sfoglia le pagine; la maggior parte erano vuote; qualcuna, con qualche frase scarabocchiata a penna; qualche disegno… Poi, ruotandola verso il basso, cadde un piccolo foglietto. Era una pagina di un vecchio diario di liceo. Lessi:

bigliettino Carmelina

 

Quello fu l’ultimo giorno che passai in quella scuola. Carmelina, la mia compagna di banco, non lo sapeva.
Avevo scelto di trasferirmi in un’altra. Non vidi più Carmelina… o Luca… o Armando… o Michele…
E non ci volle molto a capire che… avevo appena compiuto l’errore più grande della mia vita.
Avevo lasciato una classe si problematica, ma con persone che mi volevano bene, per buttarmi in un mondo sconosciuto.
Ciò… mi devastò psicologicamente. Avevo perso tutto. Gli amici… i professori…
A quel tempo volevo cambiare vita…
E purtroppo c’ero perfettamente riuscito…

Frugai ancora nell’agenda. In una delle tasche laterali trovai una pagina di un blocco note. Sopra avevo riversato qualche riga:

 

“Coppie di banchetti disposti su tre file, riempivano la lunga aula della 4C del liceo scientifico di …. I raggi del sole che penetravano dalle 3 grandi finestre sulla sinistra, illuminavano le pareti di colore giallastro. Proprio sopra la cattedra era appeso un piccolo crocifisso, a testimonianza di quella fede che molti non avevano. Quella mattina fui il primo a entrare in quest’aula sconosciuta.
Non conoscevo nessuno…
Era la priva volta che entravo in quel liceo.
Tutto sembrava perfetto. Nessuna cartaccia per terra, nessun distributore sfondato, nessun graffito sul muro…
Tutto era perfetto… forse troppo!
[….]
La macchinetta del caffè iniziò a trafficare, facendo strani rumori. Dopo all’incirca 30 secondi, il caffè era pronto e fumante. Tornai nella mia classe ancora vuota, soffiando su quell’intruglio bollente. Mi affacciai alla finestra. Il paesaggio era ben diverso da quello del mio vecchio istituto. Non c’era più il fatiscente campo da calcetto, dove erano soliti radunarsi i ragazzi per la solita partitella extra-scolastica.
Di fronte a me avevo un’altra parte dell’istituto che non mi lasciava molta visuale del panorama. Un malinconico sorriso comparse sul mio volto, pensando alle ragazze del commerciale che passeggiavano indisturbate sotto la mia vecchia aula. Erano solite corteggiare i liceali con sguardi non poco maliziosi…

Un rumore sordo mi fece girare di scatto. Quello che doveva essere un bidello, aveva appena poggiato con poca cura il registro sulla cattedra.
– Tu sei quello nuovo? –
– Sì… –
– Sei capitato proprio nella sezione migliore! – disse ironica e se ne andò.

Poco dopo suonò la campanella.
E una folla di ragazzi entrò dalla porta principale…”

Era l’ottobre del 2004…

 

 

Frammenti di Parigi #3

Montmartre

 

Tra vicoli antichi e boutique eleganti, girovagamo alla ricerca di Montmartre. Mappe e cellulari avevano difficoltà a indicarci la corretta via in quel groviglio di viuzze; e, quindi, avevamo abbandonato l’idea di tracciare un percorso preciso, dedicandoci alla pura ricerca “a naso”.

Intorno a noi, turisti di ogni nazionalità. Si sentiva un bruyant di un misto di lingue, parole, espressioni…. Eravamo alla ricerca d’informazioni e non sapevamo quale lingua utilizzare per poterle ottenere.

Fin quando, dopo aver attraversato una strada, una flebile voce che si confondeva con il sottofondo rumoroso delle strade, ci chiese:

– Vous cherchez quelque chose? –

Ci girammo vedemmo questa bella vecchina vestita di tutto punto. Impeccabile e truccata leggermente come a voler conservare la sua femminilità.
– Montmartre madame…- risposi senza pensare.
La vecchina mi guardò incredula e aggiunse: – Vous etez a Montmartre! –
Sorrisi intendendo la confusione tra quartiere e chiesa.

– L’eglise de Sacre Coeur… –

La vecchina sorrise e mi avvicinai con la testa per ascoltarla meglio.
– Ecoutez moi, vous allez tout droit… vous encontrez une eglise et une place, depuis… non a gauche, non a droit, mais tout droite! E vous arrivez a l’eglise. –

Sorrisi e annui a quello che sembrava uno scioglilingua francese.
Salutammo la tenera vecchina… e percorremmo la nostra strada.

 

La Coinquilina Perfetta #3

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La casa era un fermento di andirivieni dal bagno. Le ragazze si stavano preparando per la serata che di lì a poco stava per cominciare. Stranamente ero partecipe anche io di questo avvenimento. Mi avevano invitato ad un aperitivo per festeggiare la fine delle vacanze estive e il ritorno in terra milanese di tutti e tre. Carmen si stava truccando davanti allo specchio nell’ingresso; Sara era nel bagno a far la medesima cosa con lo specchio sul lavabo; ed io ero seduto in cucina, già pronto per uscire.

“Scrivigli Sara!” dissi.
“Noo!” rispose.
“Dai scrivigli… si aspetta quello…” incalzai.
“No! Ho detto di no e no!”

Il tema della serata però, non era l’uscita: una vecchia fiamma di Sara era tornata a Milano e lei, anche se non l’avrebbe ammesso mai apertamente, voleva incontrarlo e parlargli.
“Carmen tu cosa ne pensi? Dovrebbe scrivergli?”
“Ehm… sì… perché no… alla fine non ti costa niente…” rispose dalla camera da letto.

Come si nota la confidenza reciproca era aumentata. Con i coinquilini passati non mi ero mai intromesso in queste situazioni. Lasciavo che i problemi degli altri rimanessero di proprietà dei legittimi proprietari. A me non importava. Con quelle ragazze invece, stava mutando tutto… Io stavo cambiando. In particolare, Sara (Carmen un po’ meno…) si fermava spesso in cucina a parlare con me. Mi raccontava tutto. Ero diventato un suo confidente. Non c’avrei mai scommesso il primo giorno che l’ho vista. Pensavo perfino che non lo avesse proprio un cuore una persona così pragmatica e decisa. E invece s’era infatuata, qualche mese prima, di questo ragazzo milanese, e ho sempre cercato di darle qualche consiglio da buon amico.

Presi il telefono che aveva poggiato in cucina e lo portai in bagno da lei. Glielo misi davanti agli occhi e dissi perentorio: “Scrivigli… almeno ti metti l’anima in pace… e sai se ci tiene ancora a te…. O no!”
Sara smise di truccarsi. Sospirò guardando il telefono e disse rassegnata: “Ok… gli scrivo…”

Più tardi, tra una corona e una ceres eravamo seduti sull’asfalto di piazza San Lorenzo. Le famosissime colonne a fare da sfondo e intorno, un mare di gente, seduta a terra come noi.
Sara aveva uno sguardo triste, era giù di tono. Non aveva la solita parlantina logorroica che faceva da sottofondo alle nostre serate. Si vedeva che era pensierosa; e il pensiero lo conoscevamo bene anche Carmen ed Io li vicino: “Non ha ancora risposto?” chiese Carmen.
“No… ma non ci spero più… mi avrà ignorata…” disse Sara.
“Ma dai… quello starà in giro con gli amici… vedrai che appena prende in mano il telefono ti risponde…”

Poco dopo ci spostammo in direzione della metro. Arrivammo a S. Agostino e scendemmo le scale. Ci sedemmo. Ero assorto nelle solite pubblicità di vestiti appese ai muri della metro.
Improvvisamente mi accorsi che Sara, accanto a me, aveva in mano il cellulare e stava leggendo un lunghissimo messaggio. Capii subito che non era niente di buono. Poi le lacrime di Sara me ne diedero la conferma. Fu una botta al cuore anche per me. Rimasi a bocca aperta. Quasi shoccato. Vedere quegli occhi glaciali trasformarsi in fragili cristalli mi devastò.

“Sara… cosa….”
“Niente… non dovevo scrivergli… non dovevo!”
Mi parlava con le lacrime agli occhi. Non sapevo che fare… volevo aiutarla ma…

forse avevo già fatto troppi danni.

 

Continua…

Corsi e Ricorsi Storici (VIII)

Corsi e Ricorsi storici 8 Nino Bixio

(Foto personale)

 

Fu così che mi ritrovai a correre di nuovo, lungo la mia amatissima Nino Bixio. Stanco e sfatto, con un’insopportabile borsa di troppo: la busta di stoffa contenente l’irrinunciabile insalata pronta da condire di Annalisa. Quella ragazza alla fine c’era riuscita a farmela portare a presso. La prossima volta però, non mi frega!
In mano avevo i due cellulari che Lia mi aveva chiesto di consegnare a scuola. I miei “no” alla fine avevano ceduto di fronte alle loro dolci insistenze. Annalisa e Lia avevano un treno da prendere. Il treno che avevamo prenotato qualche ora prima. Forse Lia non sapeva ancora che doveva farsi tutto il viaggio in piedi perché quella pazza di Anna aveva preso i biglietti senza il posto assegnato. Non dissi niente a riguardo, lasciando a Lia il gusto della sorpresa. Dopo averle salutate, presi i cellulari ricevendo qualche vaga indicazione sul luogo, la scuola, i ragazzi e le azioni da compiere. Poi corsi via da loro… “L’orario scolastico” era quasi ultimato e non volevo di certo trovarmi in mezzo ad una baraonda di ragazzi chiassosi.
Ma… rimettendo insieme tutte le informazioni che Lia mi aveva dato frettolosamente, capii che c’erano molti buchi vuoti nel piano. Non conoscevo niente eccetto l’indirizzo della scuola dove dovevo andare. Aule, corridoi, nomi dei ragazzi, i bidelli… Mille domande sbucavano da ogni dove nella mia testa iperprogrammatica, mentre, svoltando a destra, lasciavo Bixio per un’altra strada. Vidi il palazzo della scuola da lontano. Attraversai la strada e mi diressi all’ingresso. Non so, ma avevo la pelle d’oca a entrare in una scuola. Non ero più abituato. Sentivo sulle spalle il peso dei ricordi, come se fosse una pesantissima cartella piena di libri. Ricordai il Ciro adolescente di molti anni prima. Ricordai i piccoli problemi di ogni giorno che rapportati a quelli di adesso sembravano sassolini. Ricordavo tutto, ma non la felicità. Era presente allora?
Ricordo:
 
Quella volta che, ad occhi spenti e verso il basso…
Pioveva…
Sulle spalle una cartella pesantissima…
e nelle orecchie le cuffiette di un walkman grigio.
Aspettavo mia madre che venisse a prendermi.
Solo.
La pioggia mi aveva inzuppato tutto.
Lasciavo scendere le gocce insieme alle mie lacrime.
Dicevano che l’adolescenza doveva essere la stagione dei primi amori e della spensieratezza.
Tutte balle…
Soffrivo col cuore a pezzi
Nel mio piccolo giubbino di jeans ormai di una tonalità più scura.
Quel giorno una ragazza mi aveva lasciato.
Non seppi nemmeno bene il perché…
Ma guardai per la prima volta la mia scuola, odiandola.
Odiavo quel posto per avermi portato così tanto dolore.
E volevo fuggir via.
 
Una macchina si fermò.
Scese una donna.
“Ti avevo detto di portarti l’ombrello!”
Non risposi…
perché l’ombrello era nella mia pesantissima cartella.
Quel giorno… io volevo la pioggia.
 
Guardai il cielo nuvoloso. Anche quel giorno si apprestava a piovere. Misi la mano sulla maniglia della porta d’ingresso della scuola media di Porta Venezia. Feci un respiro e tirai la maniglia verso il basso.
Non si apre!
Provai più e più volte ma niente. La porta era chiusa. Mi allontanai leggermente.
Come avrei fatto ad entrare? Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Notai poco distante una ulteriore porta d’ingresso. Mi avvicinai a quella ma era chiusa anche lei.
Cavolo!
Cercai qualche pulsante o citofono nei paraggi, non sapendo nemmeno cosa dire per entrare.
Improvvisamente qualcuno uscì da quella porta. Mi avvicinai e appena quella che doveva essere una professoressa fu uscita, mi avvicinai e afferrai la maniglia prima che la porta si chiudesse. Fatta! Ero dentro. Guardai a destra: corridoio. Guardai avanti: corridoio. Guardai a sinistra: corridoio. Dove cavolo vado?! Cercai di ricordare la sezione che mi aveva detto Lia. Doveva essere la E o la D. Detesto la mia memoria corta! Seguii le indicazioni per entrambe e arrivai al secondo piano. Nei corridoi non c’era nessuno eccetto una bidella anzianotta che puliva il pavimento. Mi fissava ed io fissavo lei. Mi avvicinai timoroso.
–       Salve, io dovrei consegnare questi cellulari a due studenti da parte della professoressa Lia ****** –
–       Ah, sì! La signorina *******? So che è dovuta uscire per un’urgenza. Non è niente di grave vero? – mi disse la bidella preoccupata.
–       Beh… si spera che non sia nulla di grave… – dissi restando nel vago.
–       Guardi, i ragazzi sono in quell’aula lì ora glieli chiamo. –
–       No, ascolti, li tenga lei e glieli consegni alla fine della lezione. Così io vado. –
–       Va bene e mi saluti la signorina ********. –

Appena fuori dalla scuola tirai un sospiro di sollievo.
Forse ora posso davvero tornare a casa.

continua…

Corsi e Ricorsi Storici (I)

Via Nino Bixio Milano

(Foto personale)

Epilogo Parte 1

Nino Bixio fu un personaggio chiave per il Risorgimento italiano. Strinse rapporti con Mazzini, partecipò ai moti carbonari, fu al fianco di Garibaldi, partecipò a tutte e tre le guerre d’indipendenza… Un curriculum impeccabile, disegnato su un uomo spavaldo e arrogante.
“Arrendetevi! Altrimenti domattina si chiederanno dove fu Civitavecchia!” disse alla testa dei suoi uomini, irritato dall’ostinazione che la città stava opponendo al suo passaggio.Era tenace, testardo… che Italia sarebbe stata senza di lui? Forse non sarebbe nemmeno esistita. Bei tempi quando si lottava per unire.
Ora invece, le guerre servono solo a macinar soldi e il nome di Nino Bixio (la cui storia chissà in quanti la conoscono) serve solo a dar indicazioni ai passanti, col suo nome in bella vista su un’effigie marmorea.

E di fronte a quel pezzo di marmo, su un palazzo all’angolo della via omonima, c’ero io, che leggevo e rileggevo il suo nome per occupare la mente e distrarre i sensi dal freddo di mezzodì, di un giorno di dicembre. Aspettavo un tram, il 23, tra l’insegna arancione della fermata e un cestino verde bottiglia. Il sole sfoggiava i suoi deboli raggi, utili solo a rischiarare l’ambiente, invece di compiere il ruolo di calorifero naturale. Ero solo. Non avevo nessuno intorno con cui poter scambiare i “classici commenti metereologici da fermata del bus”.
“Menomale” pensai. Altrimenti avrei dovuto condividere anche la mia sfattezza fisica, i miei abiti stropicciati e la mia pettinatura a dir poco vergognosa. La similitudine con uno straccio usato credo che renda l’idea del mio aspetto obbrobrioso. In aggiunta, su una spalla, avevo una di quelle buste di stoffa che andavano molto di moda tra le persone con la mania del risparmio o tra quelle con sani principi ambientalistici. All’interno vi era una busta d’insalata pronta da condire che boccheggiava la freschezza del cassetto per le verdure di un qualsiasi frigorifero. Ecco, per ora, accettate come spiegazione di questa insolita busta “l’insistenza femminile di evitare uno spreco di cibo”. Più in là, nel corso della storia, la vostra curiosità verrà di certo soddisfatta.

continua…

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

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