(Ultimo giorno)
– Quelle est cette chose? –
– Je ne sais pas… –
Ero in un letto non mio… in un posto sconosciuto alla mia percezione. Cercavo di dormire ma dalla finestra entrava un filo di luce che mi colpiva il viso. Il vetro era aperto e sentivo delle voci provenire da fuori.
– …un bâton en plastique… –
– Comment est arrivé ici? –
C’erano due signori francesi che discutevano davanti all’ingresso di questo palazzo sconosciuto. Si stavano chiedendo chi avesse devastato il loro splendido atrio. Feci un sorriso malizioso e con un braccio tastai la spalla di mio cugino.
– O… che vuoi? –
– Mi sa che abbiamo fatto un gran bel casino ieri… –
– Speriamo che non chiamino la polizia! –
– Già… come faremo a spiegargli che non volevamo fare del male a nessuno? –
– Dormi che è meglio… –
Mi rimisi a dormire. Le voci erano scomparse. Tutto era scomparso… e soprattutto, tutto questo doveva ancora accadere. Era il futuro di una storia ancora tutta da scrivere. Una storia Parigina incredibile che cominciò qualche giorno prima… in una città, ancora inesplorata…
(Primo giorno)
Ero a Parigi!
Davvero! Ero a Parigi!
Ero nell’aeroporto di Orly. Avevo seguito il fiume di passeggeri fino al punto in cui si era dissolto diramandosi nelle varie direzioni. Ero al centro di una grande sala rettangolare. Imponenti lastroni di vetro ci dividevano dall’esterno, dove lo spettacolo era fantastico. Aerei provenienti da tutto il mondo atterravano e decollavano su chilometri sterminati di asfalto. Ero solo, ero ancora solo perché i miei amici dovevano ancora arrivare. Ero solo, e avevo un po’ di tempo per sognare…
Avevo superato quel confine. Ero riuscito a saltare nel vuoto. Il vuoto che per me era un bianco sterminato… e i luoghi erano solo storie di libri e un mucchio di geografia. Potevo vedere, sentire, toccare quel qualcosa che avevo ascoltato dalle spiegazioni dei professori liceali o visto in documentari e quadri d’arte. La mia percezione era obbligata a limitarsi al confine stretto tra inchiostro e fantasia. Il rumore delle pagine e il suo sfrigolio era l’unico suono che sentivo quando immaginavo. Li vedevo nella mia mente quei personaggi storici che avevano cambiato l’Europa. Vedevo Napoleone, alla testa del suo immenso esercito. Vedevo Luigi XIV, il re sole, immaginandolo con una lunga parrucca nera riccioluta. Vedevo la rivoluzione e quando la Senna si dipinse di rosso per tutto il sangue versato. Non potevo credere di essere nella città più importante del ‘700. Ero eccitato e impaziente. L’ansia del volo si era trasformata in ansia positiva… in ansia curiosa. Volevo vedere…
Brrrrr
Il mio stomaco brontolò come quando un bambino ti tira il pantalone perché vuole qualcosa. Scollai gli occhi dalla pista e cercai un posto dove rifocillarmi. Erano le 3 e non avevo ancora mangiato qualcosa. La mia ricerca terminò quasi subito quando vidi un’emme dorata in fondo alla sala.
Ringraziai il Dio delle multinazionali ed entrai. Era pieno di gente. Persone in fila e persone alla cassa, responsabili e inservienti… e io che mi guardavo intorno sentendomi per un attimo disorientato. Nemmeno una parola amica risuonava al mio orecchio. Mi sentivo strano… come qualcosa di esterno.
Che ci faccio qui? Mi domandai quasi dimenticandomi del mio stomaco.
Osservai il primo della fila che sciorinava un francese perfetto. Il cassiere non fece nemmeno una domanda e iniziò a preparare la sua ordinazione. La mia mente era così impegnata nella decisione della lingua da adottare che la fame era svanita. Fu il mio turno e one cheeseburger e one coke fu la scelta più adatta. Il cassiere capì e mi rispose con una domanda incomprensibile. Annuii col capo due volte e mi ritrovai con una salsetta inutilizzabile perché non avevo le patatine. Mi sedetti in un posto e mangiai il mio panino. Mi accorsi che vicino al tavolo c’era uno sportellino rotondo. Lo aprii perché le mie dita sono sempre state curiose.
Alla vista restai sbigottito. Era una presa elettrica francese. Formata da due buchi e un perno di ferro che fuoriusciva quasi al centro. Era completamente diversa da una normale presa.
“Cazzo! Calma Ciro… stai calmo… respira… Il tuo amico Antonio è italiano… casa sua sarà italiana… avrà delle prese italiane…”
Rigirai più volte il cellulare in mano con il pensiero fisso di chiamarlo e appiattire la mia paranoia. Se non fossi stato in grado di ricaricare il mio cellulare o il mio pc mi sarei impiccato con il cavo dell’alimentatore.
Mi alzai e buttai i rifiuti nel cestino. Una signora anziana mi si avvicinò e in un francese molto stretto mi chiese qualcosa…
– Excusez-moi, madame… Je suis italien! – le dissi.
“L’ho detta bene? Come sono andato? Dammi un voto da uno a dieci…” pensai mentre la fissavo.
La signora mi fece un mezzo sorriso e se ne andò. La guardai un po’ deluso come quando studi tutta la notte e il giorno dopo vai male all’interrogazione.
Fa niente… sarà per la prossima volta.
Tornai nella sala centrale e il grosso divano a forma di serpente o di S arancione, allettò la mia stanchezza. Appoggiai il mio trolley e mi distesi sopra. Avevo bisogno di dormire. Avevo passato la notte in bianco e non avevo ancora preso un maledetto caffè. Chiusi gli occhi… ma non entrambi, uno solo, l’altro restò vigile e in guardia. Come solo un ansioso paranoico riesce a fare.
Biiip…
Mi arrivò un messaggio. Era di mio cugino Ciro e diceva che erano arrivati ad un certo imbarco B ad Orly ouest. Scattai sugli attenti come un soldato di fanteria. Presi il mio trolley e scesi le scale. Inclinai il capo in alto. Centinaia di cartelli distraevano la mia attenzione.
“Orly ouest! Eccolo lì…”
Camminai in quella direzione. Camminavo e camminavo ma non raggiunsi nessun arrivo di voli. Arrivai ad un punto morto. Vidi un altro cartello…
“Orly ouest! Allora è dall’altra parte!”
Ritornai sui miei passi e raggiunsi l’altro lato dell’aeroporto. Niente. I miei amici non erano lì. Avevo perlustrato ogni dove. Chiamai Ciro.
– We! Dove cavolo siete? Vi sto cercando da un quarto d’ora! –
– Orly Ouest! Tu dove sei? –
– Beh… io sono a Or… –
Mi venne un dubbio. Possibile che i terminal potrebbero essere due? Cercai qualche cartello che me lo dicesse… e infatti…
“Orly sud!”
– Cazzo! Sono a Orly Sud! –
– Ve bene… non ti preoccupare… veniamo noi la… ciao! –
Attaccai il telefono e lo lasciai scivolare in tasca. Mi sovvenne un po’ di timore che non sarebbero riusciti a trovarmi. I miei amici, presi singolarmente, sono intelligenti e responsabili. Ma chissà perché quando si mettono insieme, tutto l’acume svanisce. In quel momento contavo su di loro. Sapevo che non mi avrebbero abbandonato.
Biiip messaggio:
Siamo fuori Orly sud, ci stiamo fumando una sigaretta.
Normale. Il lavoro di ricerca toccava ancora a me, ma almeno avevano fatto un passettino. Sorrisi. I miei amici non cambieranno mai… e del resto nemmeno io.
Percorrevo il corridoio interno osservando l’esterno dalle porte a vetri. Avanzavo svelto e ad un certo punto sentii picchiettare sul vetro.
Erano quei due che tranquillamente fumavano. Li salutai e cercai la porta più vicina. Ero felice. Mi fiondai all’esterno e li abbracciai.
– Come va Antonio? –
– Tutto a posto. –
– E tu Ciro? –
– Mha… il volo è stato un po’ traumatico. –
– Davvero? Vabbè… però siete qui sani e salvi! –
– Già! Ora andiamo a casa mia! – disse Antonio capeggiando la fila.
– Ah! Antonio scusa un attimo… ma le prese della corrente a casa tua come sono? –
Antonio fece un sorriso e guardò mio cugino… poi con una faccia come per dire “ma che domande sono” mi rispose:
– Italiane Ciro… sono italiane! –