Milano 13 Luglio 2013 Ciro Ciro e Rosanna Serata al Siocafé
Una piccola lancia Y era sparata a folle velocità dal piede pesante di mio cugino Ciro. In quella folle notte gli facevo da navigatore, cercando di decifrare nel cerchio sfocato visivo, le strade da seguire sul piccolo schermo del mio cellulare. Dietro era seduta una ragazza che ci aveva prestato la macchina che le aveva “prestato” il suo ragazzo assente.
– Stai andando bene! Vai diritto. – dissi, e Ciro spinse ancora di più sull’acceleratore.
Ma, guardando meglio il navigatore, vidi che la freccetta blu aveva abbandonato la strada da seguire per perdersi nei meandri di strade milanesi sconosciute.
Avvicinai il mio volto al guidatore e, per evitare brusche manovre vista la folle velocità, gli dissi con molta calma: – Ciro, appena puoi, fai una grandissima inversione a U –
Non capì, così gli picchiettai la spalla. Lui si girò distogliendo lo sguardo dalla strada.
– Dobbiamo andare di là! – gli dissi, indicando il lunotto posteriore. – Ah! – rispose e, prontamente, adocchiò una piccola traversa sulla destra.
– Giriamo là! – affermò.
– E’ un maledetto divieto Cì! – risposi.
– Ce lo facciamo in retromarcia! – disse frenando e ingranando la retro.
– Se ci fermano, gli diciamo che stavamo cercando parcheggio… –
– Se ci fermano, Cì, un senso vietato sarà l’ultimo dei nostri problemi! –
Con molta fortuna, il culo della nostra epsilon raggiunse la fine della traversa e sbucò su un viale. Ciro mi chiese: – Ora dove si va? –
Mi guardai intorno disorientato. – Allora?! – m’incalzò.
– Non lo so Cì! Siamo sbucati in retromarcia su un cavolo di viale a doppio senso! Oltretutto siamo ubriachi! Punta il culo di là e andiamo dall’altra parte! Sperando di imboccare almeno il nostro senso di marcia! –
2006/2007
Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.
-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –
Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –
Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
– Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
– Boh… non so… erano di là. –
– Di là dove? –
– Nella camera del tuo coinquilino! –
– …ai piedi del suo letto immagino… –
– Precisamente… –
– Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.
Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
– Che combinate voi due! –
– Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
– Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia. Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
– Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.
2006/2007
Silenziosamente entrò in casa una figura dai tratti femminili. Si aggirò tra le stanze dell’appartamento in apparente ricerca di qualcosa. Il mattino era appena spuntato e la luce del sole volava basso, convogliata da tapparelle semichiuse. In una mano, stringeva un sacchetto di carta bianca che scricchiolava a ogni suo movimento. Vide davanti a se la porta della mia stanza. Accarezzò la maniglia, ma un istante prima di aprirla, si bloccò, come se le fosse venuta in mente qualcosa e, curiosa, si diresse verso la camera di Francesco. Ovviamente Francesco non c’era, ma al suo posto poté ammirare quattro ragazzi arrangiati alla meglio in tre letti. Vide Enrico, il più fortunato di tutti, che da solo occupava un letto intero, tutto per sé. Non potevano dire lo stesso Marta e Cristina, poco più in là, costrette a dividere un letto in due. Vicino alla porta, invece, sopra un divano cigolante, c’era Marco avvolto in una coperta di lana. L’oscura ragazza sorrise alla simpatica scena dell’accampamento domestico e lentamente uscì dalla stanza senza farsi sentire. Ritornò sui suoi passi lentamente, in modo che le scarpe non risuonassero sul pavimento. Tornò alla maniglia e questa volta l’aprì decisa e, come il siparista di un teatro, scoprì la scena tanto attesa. Subito i suoi occhi corsero al mio letto, si arrampicarono sul piumone rosso, per poi adagiarsi sul mio viso. Si avvicinò, domandandosi ad ogni passo sé stessi realmente dormendo. Sentii un peso appoggiarsi di fianco e poco dopo una mano carezzarmi la guancia. – Buongiorno Amore… – mi sussurrò all’orecchio.
A quel punto mi svegliati. Aprii gli occhi fulminandomi la retina con la luce del mattino.
– Amore? – chiesi spaventato. Mi voltai e vidi lei: la ragazza misteriosa era Francesca.
– Come hai fatto a entrare? – chiesi sfregandomi un occhio.
– Hai dimenticato di chiudere la porta… –
Mi grattai la testa ammettendo che la sera prima avevamo sorvolato su molte imprudenze. Ma la conversazione con Francesca non era finita perché, improvvisamente, mi afferrò un orecchio e iniziò a torcerlo con violenza. – Perché non hai risposto al telefono ieri sera?! –
– Ahia! Ahia! Non l’ho sentito! Ahia! –
– Certo! Che cosa stavi facendo? –
– Se te lo dicessi, non ci crederesti… –
Per la gioia del mio orecchio mi lasciò andare. Vedendomi dolorante, mi diede un bacio a mo’ di scuse e mi porse il sacchetto bianco.
– Ci sono dei cornetti dentro. Ne ho presi 5… siete in 5 giusto? –
– Sì… siamo cinque. Sono tutti nella stanza di Francesco. –
Svogliato e sonnolento mi alzai trascinando inavvertitamente un lembo delle lenzuola. Il letto non voleva lasciarmi andar via. Andai verso la stanza in cui dormivano i ragazzi.
– Sveglia ciurmaglia! – esclamai.
Seguirono mugugni e rantoli di vario genere. Nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
– Ci sono i cornetti… – proseguii sventolando il sacchetto bianco.
Ad uno ad uno i piccoli occhietti dei miei amici sbocciarono come fiori a primavera. Mi fissarono per controllare l’esistenza effettiva dei cornetti e dopo averla valutata plausibile, lentamente, si alzarono.
Presentai i miei amici a Francesca aggiungendo che era stata lei a portare le brioches.
– Grazie Francesca… non dovevi… ce n’è uno alla crema? – disse Marco con il suo solito charme. Anche Enrico non fu da meno, fiondandosi subito a rovistare nel sacchetto dopo una fugace presentazione.
– …E queste sono Marta e Cristina… – dissi timoroso delle conseguenze.
Invece, Francesca si mostrò subito affabile e cordiale. Cristina era partita con un discorso impostato sullo scusarsi dell’improvvisata in casa mia. Marta continuò col dire che non erano a conoscenza del mio status di fidanzato né tantomeno che avessi una ragazza lì a Milano. A quel punto tutte e tre, si girarono e mi guardarono male.
– Non gli avevi ancora detto che sei fidanzato?! – sbottò Francesca velatamente incitata dalle altre due.
Non c’era niente da fare, toccava solo arrendersi. La solidarietà femminile aveva ancora una volta scaricato la colpa sul solito maschio di turno. Mi svincolai con una mossa repentina, fiondandomi nel porto sicuro dei miei amici maschi, ancora intenti a mangiucchiare il cornetto.
2006/2007
Appena la porta si aprì, Marco mi saltò al collo urlando il mio nome. Era proprio entusiasta di vedermi. Seguì Enrico, la cui emozione si limitò a un sorriso e una stretta di mano. Dopo di loro, mi affacciai subito fuori dalla porta. Vidi le due ragazze che attendevano d’entrare e con fare perentorio esclamai:
– Stop! Voi chi siete? Da dove venite? E perché siete qui? –
Marco rispose per loro – Ci siamo incontrati in viaggio. Erano a Perugia e le ho invitate a venire a Milano anche loro. Ho fatto male? –
– Dovevi avvertirmi! –
– Scusa Cì – rispose Marco con aria fintamente affranta.
Le ragazze ancora timidamente in silenzio e ancora immobilizzate sul pianerottolo ripeterono in coro: – Scusa Cì –
– Ahh… niente scuse! Forza entrate! –
La casa sembrò animarsi di colpo. Il solito silenzio tra le stanze si trasformò in un perpetuo vociare. Mostrai velocemente la casa ai ragazzi. Piacque molto, compresa la camera di Francesco.
– Qui non si entra! – precisai, spingendo tutti fuori.
– E noi dove dormiamo? –
– Non so… in un modo ci arrangeremo… – risposi.
– Perché non possiamo dormire in questa camera? Ci sono tre letti! – disse Marta.
– Marta… le donne non hanno facoltà di parola in questa casa! – ironizzai.
Nel frattempo, Marco ed Enrico entrarono nella camera, stendendosi uno sul letto e l’altro sul divano.
– Ehi! Che fate voi due?! –
– Siamo stanchi Cì… lasciaci riposare un po’… –
– Qui no! –
– Ma perché? Dov’è il tuo coinquilino? – chiese Marco.
– E’ sceso a Benevento… –
– Quindi vorresti dire che questa camera sarà vuota almeno per una settimana? –
– Sì, ma… –
– Yuppie! Allora io dormo qui! –
– Ed io qui… – continuò Enrico stropicciando letto e cuscino.
Le due ragazze invece presero possesso dell’ultimo letto rimasto. – Noi qui! –
Tutti i miei buoni tentativi di farli desistere da quella scelta non vennero nemmeno ascoltati. Nemmeno con la forza riuscii a tirarli fuori dalla camera. Appena riuscivo a cacciare qualcuno, subito ne rientrava un altro. Dovevo cedere alle loro decisioni. Come l’avrebbe presa, Francesco, al suo ritorno? Non doveva saperlo e per farlo intimai i miei amici di non toccare niente e di creare meno disordine possibile. Mi risposero di stare tranquillo. Ma “tranquillo” era l’ultima cosa che mi poteva passare per la mente. Stavo per far dormire dei casinisti patentati in una camera non mia, a cui non osavo nemmeno avvicinarmi per rispetto delle regole di convivenza.
Mentre i miei amici s’ambientavano lanciandosi vestiti, andai in cucina a lavare i piatti che avevo lasciato dalla sera prima. Quand’è che squillò il mio cellulare.
“Francesca”
“Ed ora che le dico?”
– Pronto amore… –
– Tesoro… come stai? Non ti ho proprio sentito oggi… –
– Beh… Bene… –
– Tutto a posto? I tuoi amici sono arrivati? –
– Sì… diciamo di sì… –
Intanto alle mie spalle arrivò Cristina con in mano un vestito nero con strane striature colorate. – Ciro hai mica una stampella per… –
Mi girai immediatamente verso di lei e le feci cenno di tacere. Cristina, imbarazzata si ammutolì all’istante.
– Chi era? – chiese la mia ragazza al telefono.
– Niente… –
– Niente un corno! Ho sentito la voce di una ragazza! –
– Era… Cristina… –
– Chi cavolo è Cristina?!? –
– Un’amica di Marta… –
– Chi cavolo è Marta?!?! –
– La sorella di Marco… –
– E perché sono in casa del MIO ragazzo? –
– Si sono aggiunte al gruppo… –
– Quindi dormiranno da te? –
– Beh… tecnicamente… sì… –
Tuuu tuuu tuuu
Mi attaccò il telefono in faccia. Era decisamente incazzata. Non sapevo cosa fare eccetto lasciarla sbollire.
Intanto, a pochi metri da me, Cristina mi fissava con una faccia colpevole, con ancora in mano il suo vestito nero.
2006/2007
Qualche giorno dopo, la febbre passò. Avevo trascorso gran parte del tempo disteso sul letto a pensare. Volevo tirare le somme dei mesi passati lontano da casa ma non riuscivo a dare un voto positivo alla mia dipartita universitaria. I giorni passati in malattia mi avevano costretto a saltare parecchie ore di corsi e non sapevo se sarei riuscito a tornare di nuovo in pari con gli altri. Tutto sembrava così fragile ai miei occhi e di certo era solo la mia delusione. Ancora una volta, la salute cagionevole, mi stava dando problemi con l’andamento della vita. Già in passato soffrii di questo problema. Ero preoccupato che, pur mettendocela tutta, non sarei riuscito a dare gli esami come avrei voluto.
Mi alzai dal letto e trascinai i miei passi verso la porta; e nel momento in cui stavo attraversando l’atrio della casa, vidi entrare Francesco dal portone.
– Ciao! –
– Ciao… – rispose.
Entrò subito in camera. La maggior parte delle nostre conversazioni si limitavano a semplici saluti. Chissà se si è accorto che sono stato male questi giorni? Pensai.
La cucina era rimasta come l’avevo lasciata. Sembrava che Francesco non avesse toccato niente, oppure era stata la mia ragazza a pulire diligentemente ogni cosa, prima di andarsene.
Osservai l’insolito cielo scuro delle cinque del pomeriggio dalla portafinestra del balconcino della cucina. Riempii la teiera e la poggiai sul fornello ardente.
Misi in infusione la bustina di tè. Scelsi una delle tazze blu dalla credenza. Mi fermai un attimo a riflettere su quante mani e padroni avevano visto quelle tazze da tè. Tutte mostravano i segni del tempo e dell’usura: un’ammaccatura lungo il bordo, un graffio, una botta sulla ceramica… a qualcuna mancava il manico ed erano sempre quelle che restavano sul fondo del ripiano in attesa di essere scelte per ultime. Mi sedetti al tavolo con la tazza tra le mani. Il calore mi riscaldava le dita giacciate.
Mentre ero intento a contemplare il mio tè, sbucò dalla sua camera il mio coinquilino taciturno e con aria affranta si rivolse a me.
– Ciro… –
– Dimmi Francesco… – gli chiesi.
Prima di rispondere si sedette con estrema lentezza. Spostò la sedia come se fosse qualcosa di molto prezioso e, dopo essersi seduto, mi guardò negli occhi tirando un respiro profondo.
– Beh, vedi… non so se starò a Milano fino Settembre prossimo. –
Ecco, l’aveva detto. Si era tolto il peso dalla coscienza. Sembrava quasi sollevato. Aveva lanciato un masso nello stagno e ora attendeva le reazioni…
– … e quando andresti via? –
– Beh… molto probabilmente starò qui fino a Giugno… –
– Bene. – risposi abbassando lo sguardo sul tavolo.
E invece non andava affatto bene. Pensai
Tornai al mio tè mentre Francesco tornò nella sua stanza più velocemente di quanto avessi preveduto. Il mio coinquilino aveva aggiunto un altro problema al mucchio. Perché non me l’ha detto prima?! Mi chiesi. Avrebbe potuto dirmelo all’inizio, almeno non avrei contato su di lui. Avrei cercato un’altra casa… Avrei cercato un’altra persona… Avrei… Avrei… Non avrei potuto far niente in realtà. Era il destino che si divertiva a torcere il fil di ferro che mi legava alla vita.
Quindi, mi toccava cercare un sostituto che affittasse la camera di Francesco, altrimenti tutto l’affitto della casa, sarebbe ricaduto su di me.
Mio padre mi ucciderà… pensai rassegnato. Beh… è meglio che inizi a scavarmi la fossa…
Tutto a un tratto il telefono squillò. Guardai lo schermo come un professore che osserva il compito dell’ultimo della classe, certo di trovarci qualche errore; e come il professore pregiudizioso, cercavo l’ennesimo imprevisto della giornata, nascosto tra i caratteri di un messaggio.
“Ciro! Eravamo qui che ci chiedevamo se per caso il nostro amico milanese potesse…”
2006/2007
La casa era vuota, scura, spenta. Solo il nostro parlottio cercava di rianimare l’ambiente.
– Eccoci qua… questa è la mia casa! – dissi con fare da maggiordomo.
Francesca penetrò silenziosa nella penombra. Il rumore dei tacchi riecheggiava sulle pareti. Chiusi la porta e accesi la luce. Si voltò e mi sorrise. La presi per mano e la portai a visitare tutte le stanze. Sembrò entusiasta alla vista della cucina. Si sedette sul tavolo e prese a dondolare ingenuamente le gambe, racchiuse da una minigonna di jeans.
– Carina la cucina, piccola ma carina… –
– Di certo non ho intenzione di dare ricevimenti… –
– Dovrai prima farti degli amici… –
– Per adesso ho solo una persona che potrei invitare… –
Mi avvicinai a lei senza perdere per un istante i suoi occhi nocciola. Lentamente la mia mano percorse il suo fianco e affondò nei suoi capelli morbidi. Inclinai la testa e le mie labbra coincisero con le sue in un armonico bacio… e poi un altro… e un altro ancora. Finché lei si divincolò da me e, con un risolino malizioso, tornò nell’ingresso.
– … e la tua camera qual è? Questa? –
– No, quella è la camera di Francesco. La mia è quella. –
L’indirizzai verso la porta giusta e senza il bisogno del mio permesso entrò. Girovagò sulle mattonelle scure, incurante del rumore sordo dei tacchi. Solo il tappeto appiattì la risonanza e lì, proprio al centro della stanza, fece un giro completo su se stessa per osservare ogni cosa.
– Bella, ma spenta… bisogna arredarla un po’… –
– Mi aiuterai tu… –
– Carina l’idea dei cartoncini sulle ante della vetrinetta, da dove ti è venuta… –
– Fantasia… –
Era bella e raggiante di gioia. Lo leggevo sui suoi occhi vissuti, che attendeva da tanto un momento come quello. Ovvero, il momento in cui tutto sembrava girare per il verso giusto. Sapevo che non era una ragazza dalla vita facile. Ogni giorno per lei era costellato di sudore e sacrifici. Era ingiusto che una ragazza di sedici anni dovesse guadagnarsi anche il semplice sorriso giornaliero sulle labbra. Quel sorriso che ora vedevo stampato sul suo volto che continuava a sfornare ipotesi d’arredo. La guardavo divertito nel suo maglioncino viola e la sua minigonna di jeans che sapevo che non avrebbe mai messo se non fosse stato per me. Era una ragazza semplice. L’amavo, perché i suoi occhi m’intenerivano e conquistare il suo sorriso era ciò di più bello che potessi ottenere dalla vita.
– Ehi! Che fai? Sul tappeto… –
– Si… sul tappeto… voglio baciarti qui… –
E adagiati per terra, l’uno sopra l’altra, la strinsi in caldi abbracci e teneri baci. Non mi stancavo mai delle sue labbra. Il leggero contatto con le mie mi estasiava. Erano soffici e dolci. Desiderai di non staccarmi mai da lei ma un suono inaspettato troncò ogni speranza.
– Cavolo sono già qui sotto… –
– Devi andare? –
– Si… scendo… non posso farli aspettare… –
L’accompagnai fin giù al palazzo e la vidi scorrere via nella macchina dei suoi amici. Pensieroso tornai su.
Avevo un po’ di timore ad addentrarmi in un amore complicato. Ma la precedente storia con la classica reginetta della scuola, mi aveva fatto capire che il genere di ragazza tutta apparenza, non era fatto per me. Avevo bisogno di stimoli e di una ragazza che mi guardasse come il suo principe azzurro… e forse, l’avevo trovata.
Sei evasivo anche con il tuo subconscio! La morte non è interessante… Per te conta solo ciò che è interessante: Rompicapo, idee, analisi… La morte… è il contrario di un bel rompicapo! La morte è un eterno nulla… Ma… per te la vita non è più interessante…
(DrHouse, Stagione 8, ultima puntata)
2006/2007
Abbassai gli occhi tristi e rassegnati che speravano che un cielo clemente consegnasse alla vista qualche stella. Era tutto troppo luminoso perché la notte fosse davvero buia e il panorama migliore. E quasi invidiavo ciò che un tempo trovavo normale mentre tornavo tardi nella mia villetta di campagna. Lì il cielo mi coccolava, animando il tragitto con un tappeto di stelle sopra la mia cresta; e ogni volta che tornavo, magari stanco, ubriaco, disilluso, puntavo il naso all’insù e mi gustavo qualche istante dello spettacolo di ogni notte; e ogni notte mi promettevo che la notte successiva mi sarei fermato qualche momento in più; ma più i giorni passavano e più vicende alterate si sommavano al quadro generale… e rimandavo quel momento in eterno…
TRiiiiiiiinnnnnnn TRiiiiiiiiiiinnnn
Un suono squillante mi fece voltare di scatto verso la porta della mia stanza. Rientrai dal balcone e mi diressi nell’atrio. Capii subito che era il citofono ma aspettai un altro squillo per averne la conferma. Nell’attesa mi domandai chi mai potesse essere a quell’ora.
TRiiiiiiinnnn
– Si? –
– Ciao Ciro, sono Francesco! –
– Ah Francesco! Che sorpresa! Ora ti apro… Aspetta che capisco come si fa… –
Schiacciai a caso alcuni tasti finché dalla cornetta non sentii il rumore metallico del pistoncino che scattava. Restai ancora ad ascoltare sperando che Francesco non incorresse in nessun intoppo nel suo ingresso nel palazzo. Poi, quando sentii il portone chiudersi, appesi la cornetta e crebbe in me un’ansia spropositata dominata dalla curiosità morbosa di sapere che aspetto avesse questo futuro coinquilino.
Con la mano tremolante girai la chiave per aprire il portone. Di fronte, un ascensore silenzioso attendeva il suo passeggero. Ma i minuti passavano e niente si muoveva. La strana attesa mi fece pensare che quel ragazzo odiasse i piccoli ascensori degli anni settanta. Così mi affacciai sulla tromba delle scale nell’intento di scrutare l’ombra di Francesco. Niente. Nel palazzo sembrava che nessuno fosse entrato. Deserto. Nessun rumore, nessuna voce, nessun suono. Stavo dubitando che quel ragazzo fosse effettivamente entrato ma ecco che la lucina dell’ascensore si posizionò su occupato e il motore iniziò a girare. Qualcuno stava salendo, doveva essere lui.
Tornai in casa lasciando il portone aperto per far capire al nuovo inquilino la corretta via da seguire. Sull’uscio, nel frattempo, osservai il portone della casa di fronte. Ancora non sapevo chi ci abitasse e feci diverse congetture, immaginando un’arzilla vecchietta con una torta fumante tra le mani; o un gruppetto di ragazzi scalmanati che, in una nuvola di fumo, si davano al poker texano; e per concludere, la solita filmesca fantasia di una vicina libertina che apriva la porta in asciugamano per prendere la posta.
Come corre a volte la mia immaginazione, non come questo catorcio di ascensore! Pensai.
E finalmente intravidi dalle porte le luci dell’interno dell’ascensore. Mi trattenni dallo sbirciare all’interno e rimasi sull’uscio. Ne uscì all’indietro il tanto atteso coinquilino. Si girò, mi vide e disse, porgendomi la mano:
– Piacere, io sono Francesco. –