Calabria Coast to Coast 2016 #13

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La prossima tappa ci porterà sulle montagne… diretti a visitare la famosa Stilo!
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Guidati dal vento.. ci siamo intrufolati con la macchina nei piccoli vialetti del paese. Mi decido a parcheggiarla per evitare di restare incastrato tra due case, e proseguiamo a piedi..

La piccola chiesetta è fantastica.
Da lì si gode di un’ottima vista su tutta la vallata…

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Saltiamo di nuovo in macchina.. e cercando di non fare incidenti torniamo sulla statale 106 per la prossima tappa!

Arrivederci Stilo!

Storia di una casa (#1)

2006/2007

– 1 –

Tutto cominciò in una notte insonne. Uno stato d’ansia mi attanagliava la mente generando pensieri che occupavano minuti e ore. Guardavo un soffitto bianco, puro, perfetto. Un soffitto dove i pensieri potevano disegnarsi a loro piacimento e tingersi di colori nuovi. Pensavo al futuro, alla mia vita e alle scelte che stavo per compiere; pensavo alla mia famiglia e a tutti i miei amici… lontani più che mai dal mio destino.
Scostai le coperte e scesi dal letto, costatando che ottobre era più freddo di quanto pensassi. Mi avvicinai alla piccola finestra che dava in strada. Scostai delicatamente le tende, quasi non volessi farmi sentire. Quasi che quel gesto di guardare fuori, fosse proibito. Sulla finestra, le luci tenui di un lampione giallo allargavano il riflesso del mio volto. La mia immagine mi fissava e rispecchiava ciò che non vedevo, ma sentivo. Un volto preoccupato, con mille sogni e duemila speranze; due occhi neri ingordi di curiosità per qualcosa di nuovo; e un sorriso che sussurrava perentorio: ce la posso fare.
Al di la di me, c’era un palazzo… e accanto un altro… e poi un altro ancora. Fino a disegnare quasi un muro tra me e l’orizzonte. Sotto, una piccola strada con macchine parcheggiate ai lati, in ogni buco.
Quanto tempo sarebbe passato prima che mi fossi abituato a tutto ciò? Pensai con una goccia di rimpianto. Per anni il mio orizzonte era stato frastagliato di colline e tappezzato di verdi campagne. Di macchine parcheggiate nemmeno l’ombra, eccetto quella di mio padre nel vialetto di casa. Il lampione però, quello c’era, ed era giallo uguale. Mi fissava anche lui dalla finestra della mia cameretta nella casa natia. Strana casualità e dolce coincidenza che mi legava al ricordo delle notti insonni adolescenziali. Al tempo in cui quel lampione mi teneva sveglio proiettando sul letto le righe della persiana, e contandole mi addormentavo. Venti… e poi altre venti… e lentamente chiudevo gli occhi gustandomi l’ultimo spiraglio di luce prima del sonno. Sorridevo perché mi sentivo protetto, in quella stanza, in quella casa, tra quelle mura…
che ora fisseranno un letto vuoto e mille ricordi di un bambino ormai grande.

Un forte suono di clacson strimpellò i miei timpani come un batterista con la cassa di un rullante. Spalancai gli occhi. Sulla guancia sentivo il segno del bordo del davanzale. Mossi le dita dei piedi e scoprii che erano diventati dei piccoli ghiaccioli. Avevo dormito su una sedia davanti alla finestra. Distesi le gambe ancora addormentate e il formicolio si arrampicò nelle vene. Guardai il letto sfatto con un po’ di rancore. Avrei potuto dormire su un materasso, coperto da una calda coperta, invece di restare lì, accanto alla malinconia.
La mia stanza d’albergo era piccolissima. Più lunga che larga. C’entravano a stento il letto e una scrivania su un lato. La finestra era in fondo e sul lato opposto la porta. Sulla destra il bagno e a sinistra un armadio, dove il mio trolley occupava la maggior parte dello spazio.
La cella di un prigioniero sarebbe stata più spaziosa, pensai mentre m’infilavo le scarpe.
Era mattina e invece del sole sorsero le nuvole. Col passare dei giorni davo sempre più peso a ciò che diceva la gente di quella città. Triste e ombrosa.
Scesi le scale e fui nella hall di quel minuscolo alberghetto. Il signor Luca, il fratello del proprietario, mi preparò un caffè, affiancandoci un cornetto alla crema.
– Buongiorno signor F. dormito bene? –
– Buongiorno, si… dormito bene. – dissi con aria stanca.
– Come va la ricerca? – mi chiese interessato, mentre controllava qualcosa sul registro degli ospiti.
– Mah… non tanto bene. Ancora niente. Mi sa che resterò qui ancora per qualche giorno… –
– Mmm… devo controllare se c’è posto, la settimana prossima è la settimana della moda e ho molte prenotazioni… vedo cosa posso fare… – mi disse dispiaciuto.
– Grazie signor Luca, mi faccia sapere… e grazie del caffè… Mi rimetto all’opera anche oggi! Buona giornata! –

Uscii in strada e mi specchiai in quel muro di palazzi. Cercai di vedere il cielo e di trovarci qualcosa di familiare, ma era talmente lontano e grigio che pensai di essere su un altro pianeta.

Se tanto non hai fretta… (parte II)

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Formia

Ripresi il pc e lo arroventai sotto i colpi delle mie dita frenetiche. Calcolavo percorsi, probabilità, eventuali
problemi che i miei fratelli avrebbero potuto incontrare; possibili stazioni in cui fermarmi; traffico, orari, chilometri, deviazioni, mi stava venendo un gran mal di testa!
Il mio cellulare lampeggiò. Sullo schermo comparse una mappa e un punto con la faccina di mio fratello che si spostava. Graziano stava facendo bene il suo dovere, si erano mossi da casa. Io invece, dall’altra parte della mappa, restavo fermo e immobile nei pressi della stazione di Formia. Immaginai che la stessa mappa la stesse guardando mio fratello nel sedile passeggero di un’Audi sparata sulla statale 7. Gli avevo insegnato a usare Google Latitude qualche anno prima. Era Pasqua e giocavamo con i cellulari mentre andavamo a trovare i nonni per i consueti auguri.
– Graziano, guarda quest’applicazione… – gli dissi.
– Cos’è? Una mappa? –
– Molto di più… vedi quest’icona con la mia foto? Indica la mia posizione. Ora accendi anche il tuo cellulare e ti faccio vedere che compari anche tu… –
Graziano cacciò dalla tasca il suo Htc bianco. Attivò la connessione e cliccò su Google maps. Un attimo dopo, accanto alla mia icona lampeggiante, comparse anche la sua.
– Fico! – disse – Ma a che cazzo serve? –
– Per adesso a niente… ma sicuramente verrà un giorno in cui ci servirà… –
E il giorno era proprio quello in cui i miei fratelli erano la mia ultima speranza di salvezza. Guardai l’orologio e fissai per un po’ le lancette che segnavano le nove. Quanti casini che stavo creando. Avevo spedito i miei fratelli fino a Formia! Più di cento chilometri da casa! Di notte! Dovevano attraversare paesi come Giuliano, Castel Volturno, Casal di Principe… zone in cui, a volte, la legge stenta ad arrivare e regna l’anarchia. E mandarci due adolescenti immaturi, non era tanto una buona idea.
Mia madre ucciderà…
Mentre ero assorto nei miei pensieri, il telefono cominciò a squillare. La foto di mia madre apparve sullo schermo nero. – Cazzo! Tempismo perfetto! –
Click
– Ciao Ma’… –
– Ciro! Sei arrivato a casa? –
– No… sono ancora in treno… ci sono stati dei problemi… –
– Ce la fai a prendere la coincidenza? Devo chiamare qualcuno che ti venga a prendere? –
– No Ma’… ho chiamato Graziano e Davide… stanno venendo loro… – bomba sganciata, chiusi gli occhi e allontanai un po’ il cellulare dall’orecchio, in attesa di roventi grida furiose.
– Ah… – disse solamente. – Te lo vedi tutto tu? –
– Certo… li sto guidando da qui… –
– Va bene… allora fammi sapere quando arrivate a casa… Ciao –
– Ciao Ma’ –
Click
Chiusi il cellulare ancora incredulo. Mia mamma che non si preoccupava? Suonava strano pensarlo. O semplicemente non aveva ancora focalizzato con la mente… cosa molto probabile.
Mi adagiai sul sedile appoggiando i piedi su quello di fronte. A intervalli di 5 minuti accendevo la connessione per seguire il tragitto dei miei fratelli. Non avevano ancora oltrepassato la metà del percorso.
Intanto il mio treno restava nell’inamovibilità più assoluta. I passeggeri erano incazzati neri. Un tizio si era impossessato del microfono dell’interfono e con messaggi del tipo “Capotreno! Abbiamo donne e bambini a bordo! Dove sei?” aizzava ancora di più la folla inferocita.
Perché non ho preso il Frecciarossa? Pensai amareggiato.
Mentre roteavo il cellulare tra le dita, sentii un rumore ferroso provenire da lontano. Un treno si stava avvicinando a noi. Possibile?
Andai al finestrino e un regionale mi passo a pochi metri dal viso a tutta velocità. Mandai un messaggio a Enzo:
Ma per caso, sei su quel treno che mi è appena passato a fianco?
Nello stesso istante mi arrivò un suo messaggio che sostanzialmente diceva la stessa cosa. Lo chiamai.
– We! Figlio di puttana! Sei passato e noi no! –
Rise.
– Ciro, come facciamo quando arrivo? –
– Ti passo a prendere con i miei fratelli, tranquillo! –
– In che stazione devo scendere? –
Pensai un attimo e dissi: – Caserta… scendi lì –
Click

Ora dovevo solo sperare che il mio treno riprendesse la corsa. Se il treno di Enzo era passato, perché il mio era ancora fermo? Nessuno lo sapeva. Intanto avevo socializzato con una signora di Salerno. Stando nella mia stessa cabina aveva ascoltato tutte le mie chiamate e quindi seguito la mia vicenda. Le chiesi consiglio su dove scendere nel caso in cui il treno fosse ripartito.
– Aversa… E’ abbastanza vicina a Napoli ed è la fermata successiva a Formia… e soprattutto non è lontana da Caserta! – mi disse con estrema calma e tornò a leggere la sua rivista. Non sembrava per niente preoccupata dalla situazione. Sfogliava il suo Gente proprio come se fosse nella sala d’attesa di un parrucchiere. Invidiavo la sua calma.
Improvvisamente qualcosa si smosse. Sentii vibrare il sedile sotto il culo. Il macchinista aveva acceso i motori. Le persone si calmarono. Il vociare si ammutolì per un istante come in attesa di qualcosa.
E quel qualcosa avvenne: le ganasce dei freni lasciarono libere le ruote che cigolarono sui binari muovendosi in avanti. Tutti tirarono un respiro di sollievo… tranne io che avevo riaperto il pc per ricalcolare i percorsi. Mandai un messaggio a Graziano:
Cambio di programma, il mio treno è ripartito, andate alla stazione di Aversa!

Porcaputtana! Deciditi un po’! Mi rispose un po’ incazzato…

<—Parte I                                                         Parte III –>

 

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