Se tanto non hai fretta… (parte II)

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Formia

Ripresi il pc e lo arroventai sotto i colpi delle mie dita frenetiche. Calcolavo percorsi, probabilità, eventuali
problemi che i miei fratelli avrebbero potuto incontrare; possibili stazioni in cui fermarmi; traffico, orari, chilometri, deviazioni, mi stava venendo un gran mal di testa!
Il mio cellulare lampeggiò. Sullo schermo comparse una mappa e un punto con la faccina di mio fratello che si spostava. Graziano stava facendo bene il suo dovere, si erano mossi da casa. Io invece, dall’altra parte della mappa, restavo fermo e immobile nei pressi della stazione di Formia. Immaginai che la stessa mappa la stesse guardando mio fratello nel sedile passeggero di un’Audi sparata sulla statale 7. Gli avevo insegnato a usare Google Latitude qualche anno prima. Era Pasqua e giocavamo con i cellulari mentre andavamo a trovare i nonni per i consueti auguri.
– Graziano, guarda quest’applicazione… – gli dissi.
– Cos’è? Una mappa? –
– Molto di più… vedi quest’icona con la mia foto? Indica la mia posizione. Ora accendi anche il tuo cellulare e ti faccio vedere che compari anche tu… –
Graziano cacciò dalla tasca il suo Htc bianco. Attivò la connessione e cliccò su Google maps. Un attimo dopo, accanto alla mia icona lampeggiante, comparse anche la sua.
– Fico! – disse – Ma a che cazzo serve? –
– Per adesso a niente… ma sicuramente verrà un giorno in cui ci servirà… –
E il giorno era proprio quello in cui i miei fratelli erano la mia ultima speranza di salvezza. Guardai l’orologio e fissai per un po’ le lancette che segnavano le nove. Quanti casini che stavo creando. Avevo spedito i miei fratelli fino a Formia! Più di cento chilometri da casa! Di notte! Dovevano attraversare paesi come Giuliano, Castel Volturno, Casal di Principe… zone in cui, a volte, la legge stenta ad arrivare e regna l’anarchia. E mandarci due adolescenti immaturi, non era tanto una buona idea.
Mia madre ucciderà…
Mentre ero assorto nei miei pensieri, il telefono cominciò a squillare. La foto di mia madre apparve sullo schermo nero. – Cazzo! Tempismo perfetto! –
Click
– Ciao Ma’… –
– Ciro! Sei arrivato a casa? –
– No… sono ancora in treno… ci sono stati dei problemi… –
– Ce la fai a prendere la coincidenza? Devo chiamare qualcuno che ti venga a prendere? –
– No Ma’… ho chiamato Graziano e Davide… stanno venendo loro… – bomba sganciata, chiusi gli occhi e allontanai un po’ il cellulare dall’orecchio, in attesa di roventi grida furiose.
– Ah… – disse solamente. – Te lo vedi tutto tu? –
– Certo… li sto guidando da qui… –
– Va bene… allora fammi sapere quando arrivate a casa… Ciao –
– Ciao Ma’ –
Click
Chiusi il cellulare ancora incredulo. Mia mamma che non si preoccupava? Suonava strano pensarlo. O semplicemente non aveva ancora focalizzato con la mente… cosa molto probabile.
Mi adagiai sul sedile appoggiando i piedi su quello di fronte. A intervalli di 5 minuti accendevo la connessione per seguire il tragitto dei miei fratelli. Non avevano ancora oltrepassato la metà del percorso.
Intanto il mio treno restava nell’inamovibilità più assoluta. I passeggeri erano incazzati neri. Un tizio si era impossessato del microfono dell’interfono e con messaggi del tipo “Capotreno! Abbiamo donne e bambini a bordo! Dove sei?” aizzava ancora di più la folla inferocita.
Perché non ho preso il Frecciarossa? Pensai amareggiato.
Mentre roteavo il cellulare tra le dita, sentii un rumore ferroso provenire da lontano. Un treno si stava avvicinando a noi. Possibile?
Andai al finestrino e un regionale mi passo a pochi metri dal viso a tutta velocità. Mandai un messaggio a Enzo:
Ma per caso, sei su quel treno che mi è appena passato a fianco?
Nello stesso istante mi arrivò un suo messaggio che sostanzialmente diceva la stessa cosa. Lo chiamai.
– We! Figlio di puttana! Sei passato e noi no! –
Rise.
– Ciro, come facciamo quando arrivo? –
– Ti passo a prendere con i miei fratelli, tranquillo! –
– In che stazione devo scendere? –
Pensai un attimo e dissi: – Caserta… scendi lì –
Click

Ora dovevo solo sperare che il mio treno riprendesse la corsa. Se il treno di Enzo era passato, perché il mio era ancora fermo? Nessuno lo sapeva. Intanto avevo socializzato con una signora di Salerno. Stando nella mia stessa cabina aveva ascoltato tutte le mie chiamate e quindi seguito la mia vicenda. Le chiesi consiglio su dove scendere nel caso in cui il treno fosse ripartito.
– Aversa… E’ abbastanza vicina a Napoli ed è la fermata successiva a Formia… e soprattutto non è lontana da Caserta! – mi disse con estrema calma e tornò a leggere la sua rivista. Non sembrava per niente preoccupata dalla situazione. Sfogliava il suo Gente proprio come se fosse nella sala d’attesa di un parrucchiere. Invidiavo la sua calma.
Improvvisamente qualcosa si smosse. Sentii vibrare il sedile sotto il culo. Il macchinista aveva acceso i motori. Le persone si calmarono. Il vociare si ammutolì per un istante come in attesa di qualcosa.
E quel qualcosa avvenne: le ganasce dei freni lasciarono libere le ruote che cigolarono sui binari muovendosi in avanti. Tutti tirarono un respiro di sollievo… tranne io che avevo riaperto il pc per ricalcolare i percorsi. Mandai un messaggio a Graziano:
Cambio di programma, il mio treno è ripartito, andate alla stazione di Aversa!

Porcaputtana! Deciditi un po’! Mi rispose un po’ incazzato…

<—Parte I                                                         Parte III –>

 

Ci siamo persi ma… (parte I)

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Milano, Stazione Centrale

Due occhi color nocciola mi osservavano dal finestrino. Appartenevano a una ragazza in un elegante vestitino blu che aspettava che il mio treno partisse. Voci d’interfono, rumori confusi e un gran scalpitio di persone, passeggeri in attesa e molti che partivano. Osservavo quegli occhi seduto al mio posto 64. Sapevo che al di là del vetro c’era un cuore che batteva, ansioso e malinconico per la mia partenza. E anche il mio si associava al suo. Per un istante pensai di non partire più. Di gettare il biglietto che avevo tra le mani e fuggire con lei ovunque… lontano da qui. Quella ragazza respirava con parsimonia, intravedevo una lacrima e gli angoli della bocca tendevano al basso. La sua espressione triste si rifletteva su di me. Mi entrava dentro e mi spolpava, frammentando l’orgoglio. Quelle labbra un tempo amate e quelle guance che solo le mie mani accarezzavano con piacere. Tutto perso… tutto finito nell’oblio di una fredda scatola.

E il mio cuore? Anch’esso giace tra lettere e fotografie dimenticate? Lo ritroverò un giorno. Batterà come prima. Dimenticherò tutto… riuscirò a non farti più del male… Pensami… Ed anch’io lo farò. Prometto di pensare alla nostra storia o quello che n’è rimasto. Ora che s’interrotta per un mio capriccio. Per quella testa bacata che governa il mio corpo, comanda l’anima e ripudia il cuore. Vedrai che un giorno i tuoi occhi torneranno a specchiarsi nei miei; sentirai il mio respiro sulle labbra che anticiperà un casto bacio; e le mani stringere le tue come il tempo in cui solo con quelle ci amavamo già. Baciami mia bella. Vorrei un bacio ora, prima che il treno parta. Vorrei sfondare il finestrino e raccogliere i tuoi capelli tra le mani. Vorrei averti per sempre e non rimpiangere gli attimi in cui eravamo felici. A volte penso che ormai non sia più in grado di amare. Poi vedo te… e dimmi come cavolo faccio a non amarti? Come faccio a dimenticarti? Solo la distanza può sbrigare questo compito… e questo treno è il mezzo che mi porterà lontano. Questo treno mi separerà da te… e dal mio cuore che resta chiuso in una scatola della mia camera. Resta il mio corpo freddo che si riscalda solo con la sua presenza.

La guardavo cercando di capire i suoi pensieri.
Un fischio destò l’attenzione di entrambi poi tornammo su di noi. Strinsi le labbra in un misero sorriso mentre il treno lentamente si smuoveva. Con due dita le lanciai un piccolo bacio. Lei mi salutò delicatamente con una mano. E non la vidi più… perché il treno, incurante dei sentimenti, abbandonò la stazione.
– È la tua ragazza? – mi chiese un tipo a fianco a me che aveva osservato la scena.
– No… o meglio, non più… –
– Strano… –
– Già… è una strana storia… –
Il treno viaggiava veloce. Le stazioni cambiavano nome in tempi costanti. Lodi, Piacenza, Parma…
“Ho fatto bene a prendere l’intercity…” pensai, “così ho più tempo per riflettere sulla mia vita…”.
Presi un libro dalla borsa e ne lessi qualche pagina. M’immersi nella storia estraniandomi dal mondo. Ma lentamente mi assopivo sulle parole. Le frasi scorrevano lente, fino a quando chiusi gli occhi e mi addormentai…
– Che cosa è successo? –
– Perché siamo fermi? –
– Il treno è guasto? –
– Capotreno! Chiamate il Capotreno! –
Con gli occhi chiusi e ancora assonnato, ascoltavo delle voci che si facevano sempre più vicine. Non capivo ancora cosa stesse succedendo. Ero tra sogno e realtà. Aprii gli occhi e vidi un treno in fermento. Persone che andavano e venivano. Chi urlava, chi parlava, chi si lamentava. Cercai di capire e notai che eravamo fermi. Niente stazioni, nel bel mezzo del nulla. Mi destai alla svelta e presi piena conoscenza di me. Mi alzai e uscii dalla cabina scostando le persone sedute. Intravidi dal finestrino alcuni passeggeri che erano scesi sui binari. Chiesi informazioni a un ragazzo che passava dietro di me e sinteticamente mi disse che c’era un treno rotto davanti a noi. Non potevamo passare. Guardai l’orologio.

20:30

Troppo tardi per prendere il regionale che mi avrebbe portato fino a casa. Dovevo darmi da fare e organizzare qualcosa. Cacciai il mio netbook dalla borsa.
– Dov’è quel maledetto cavo usb! –
Con il cavo attaccai il cellulare ed ebbi la connessione. Cercai di capire dov’ero.
– Formia… 100 chilometri da Napoli… –
Mi grattai la testa pensieroso. Chi poteva darmi una mano? I miei genitori erano beatamente in vacanza e i miei amici erano chissà dove. L’ultima speranza erano i miei fratelli. Quei due marmocchi viziati che non sanno fare un cavolo. Sarebbero riusciti a fare tutti quei chilometri per venirmi a prendere?
Sbuffai e sentii il mio cellulare vibrare.
Un messaggio, era Enzo:
We Ciro dove sei? Io sto tornando da Roma con Eva!
Risposi: A meno che il tuo treno non abbia le ali da Formia non si passa…
Io sono in treno bloccato qui…

Intanto un gruppo di napoletani aveva alzato il volume delle loro proteste. Cercavano il controllore per cantagliene quattro. Erano stufi dell’attesa, un po’ come tutti. Per quell’ora dovevamo essere già arrivati da un pezzo e invece…

Messaggio, Enzo:
Cazzo! Vuol dire che perderemo la coincidenza? Come si fa?
Risposi: Non ti preoccupare… penso a tutto io!

Chiamai mio fratello più piccolo. Rispose svogliato e un po’ nervoso.
– Graziano! Mi serve una mano. –
– Dai Cì… devo uscire mo’ –
– No! Mi devi venire a prendere! Ti ricordi quando ti ho insegnato a usare Google Latitude col cellulare? –
– Certo… –
– Ecco… usalo per trovare la mia posizione e poi col navigatore raggiungimi… –
– Che palle Cì! –
– Muoviti! E fai guidare Davide! –
Click
Strinsi in mano il cellulare. Guardai gli alberi dal finestrino ondeggiare al suon di un vento caldo. La sera calava lentamente sulle nostre teste in attesa.

Questo viaggio sarà più lungo del previsto… pensai mentre riaprivo lo schermo del mio pc.

Parte II –>

Un amore ghiacciato…

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“…perché c’era una sorta di magia nei suoi occhi…
…quella magia che mi aveva fatto innamorare…
…ed ora era lì…
…che danzava inesperta sul ghiaccio…”

Ore 12
Avevo da prendere un treno per Lodi e non dovevo fare tardi, ma soprattutto, non dovevo dimenticarmene. A volte mi succede di distrarre un po’ troppo la mia attenzione vagando nel vuoto dei pensieri. Ok… dov’ero rimasto? Ah sì. Come dicevo, dovevo prepararmi. Maglietta, jeans, scarpe, una pettinata ai capelli, profumo. E invece ero ancora sul letto ad oziare beatamente. Fino a che non mi feci coraggio e spensi la tv.
Ok… si parte!
Il cielo era grigio e tirava un leggero venticello che faceva sentire perfettamente che eravamo all’11 dicembre. Potevo portarmi i guanti, ma le tasche servivano solo a metterci le  chiavi di casa e il resto del caffè. Così, leggermente infreddolito, aspettavo il mio treno alla solita stazione… ed anche al solito binario… con persone indifferenti e annunciatori distratti.
“Il treno per Verona è in ritardo di 48 ore.”
Poveri passeggeri. Mai affidare il proprio sedere a Trenitalia. Perché sanno fin troppo bene cosa farsene!
Beh, menomale che il mio treno era diretto in tutt’altra direzione. Ammesso che arrivasse.
Arrivò.
Nell’attesa, rivolsi il mio sguardo a ciò che mi proponeva il finestrino. Il mio Ipod vagava in modalità casuale tra le sue innumerevoli canzoni. Ogni tanto chiudevo gli occhi, convinto che forse quella bellezza non esisteva. La bellezza della vita. La bellezza della natura.
Pensavo alle complicazioni che avvenivano sempre in momenti sbagliati. In cui desideri un attimo infinitesimo di stabilità mentre tutto il mondo ti avvolge. E ti chiudi in te stesso per avere un senso di protezione irrisorio regalato dal chiassoso silenzio del gongolio del treno.

Ero arrivato e aspettavo la mia ragazza all’ingresso della stazione.
Eccola lì… in tutto il suo splendore.
– Che facciamo?..-
– Beh… non so… –
– Hai fame? –
– Si un po’… –
– Allora ci mangiamo qualcosa! E poi vediamo! –
– Ok! –
Entrammo in un bar e ci sedemmo a un tavolino. Finalmente eravamo un po’ al caldo. Lei aveva le mani ghiacciate così gliele strinsi cercando di riscaldarle.
Ordinammo dei panini. Due per me, uno per lei. Perché non avevo fame!
Conto… caffè… e passeggiata nella piazza centrale.
Guardavamo le vetrine.
Lei le scarpe…
Io i telefonini…
Lei i vestiti..
Io i manichini…

– Ahia! Dai! Ma è un manichino! –
– …di una donna! –
– Appunto! –
– Ahia! Ok ok… pace! –
Arrivammo al parchetto tra battute e schiaffi che volavano a destra e manca. Sopravvivendo entrambi senza troppi rimorsi ma con qualche sorrisetto furbetto ancora da calmare.
In lontananza si vedeva la pista da pattinaggio allestita all’aperto in mezzo alla piazza.
Non avevo mai pattinato in vita mia. Tutto quello che avevo fatto e che poteva somigliare al pattinaggio era sciare ed andare sui roller. Pesavo che fosse un misto tra i due con  qualcosa in più… ma non lo sapevo ancora…
E nemmeno lei…
– Pattiniamo? – le proposi.
– Dai… non so pattinare! –
– Nemmeno io! Impariamo! –
– Ma guarda quelle due come sono brave! Lo so già che cadrò e tu riderai! –
– Può darsi che cada prima io? No? –
E dopo vari convincimenti… ricatti e seduzioni di vario tipo, presi due biglietti e due paia di scarponi.
– Gli scarponi sono simili a quelli per gli sci… aspetta… quello devi metterlo lì… –
– So fare benissimo da sola! –
Non ci potevo fare niente, purtroppo me l’ero scelta testarda.
– Dai… lascia fare a me che ti aiuto. –

E un attimo dopo eravamo dentro. Io in mezzo alla pista, lei chiaramente attaccata al bordo come un bambino alla sua mamma.
Dopotutto era la sua prima volta. Quindi la lasciai un po’ tranquillizzare, anche perché le sue parole avevano una cattiva intonazione!
– Vattene via!! – mi rispondeva appena provavo ad avvicinarmi.
Dopo un po’ mi abituai ad avere ai piedi quei cosi. Bastava portare un po’ il peso in avanti e via… si scivolava da Dio. Con qualche incertezza riuscivo ad andare anche abbastanza veloce. Facevo il giro della pista e ritornavo da lei che aveva percorso solo un paio di metri.
– Dai…  prendimi la mano… e vieni via con me… –
E come nell’amore reale, un piccolo gesto di fiducia risvegliava i nostri cuori. Gli occhi erano impegnati a fissare il ghiaccio per il timore di cadere. Le nostre mani si tenevano l’una all’altra… sfiorandosi e stringendosi… allontanandosi per qualche istante per poi riprendersi e ritrovarsi. Era come un gioco. Come una sfida… e lei era bravissima, quasi meglio di me. Danzava, mentre la musica ci cullava e ci trasportava in questo girotondo di persone. Era stupendo pattinare insieme a lei. Abbracciandola e sorreggendola ogni volta che aveva bisogno. Punzecchiandola ogni tanto cercando di farla cadere. Guidandola… portarla vicino al bordo e baciarla… con le labbra che sapevano d’amore.
E la sera scendeva… mentre le luci ci tenevano compagnia… con la folla che ci osservava curiosa.

…In un giostra infinita…
…che girava in una sera di un amore ghiacciato…

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