Je vois la vie en rose (la nouvelle de Paris XII)

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– Vado a comprare una bottiglietta d’acqua… –
– Ce la smezziamo? –
– Certo! –

Ciro si alzò dal suo posto. Mise il suo trolley a fianco a me in modo che potessi controllarlo. Lo vidi scorrere via nel corridoio dell’aeroporto nei suoi jeans a pinocchietto e la maglietta di Hilfigher. Si guardava in giro curioso, come un cane che perlustra l’area; o semplicemente cercava il prossimo spunto per un’idea ingegnosa. Era un mistero sapere cosa girasse in testa a quel “vecchio” adolescente. È sempre stato un modello per me. Un modello di vita e di pensiero. A volte ho copiato la sua pazzia mescolandola con un po’ di ragione condendola con un pizzico di responsabilità. Qualche anno fa, quando l’uno precedeva lo scorrere delle unità nei nostri anni, e i giorni del liceo si facevano più duri, scappavo da scuola per andare a rintanarmi nella sua soffitta. Non mi diceva niente… non chiedeva il come e il perché fossi lì… forse lo immaginava e sapeva che era meglio non domandare. Lo osservavo mentre giocava al pc o curiosavo tra la sua roba. Tra l’immenso disordine delle sue cose. A volte mi affacciavo dal balcone. Si vedeva tutto il paese da lì. Era bello abitare al centro…
E ora siamo cresciuti. Su due strade diverse che ogni tanto s’intrecciano, generano storie e poi ognuno dalla sua parte. Ognuno verso la propria meta…
A questo pensavo mentre lo guardavo scomparire in un negozio dell’aeroporto di Orly. Ero solo… Solo in mezzo ad altri passeggeri che, come me, attendevano il diretto per Milano Linate. Ero solo perché i restanti membri della compagnia avevano preso il volo per altre mete. Antonio, che gentilmente ci aveva ospitato in quel di Parigi, era partito per Roma. Rafael e Alberto invece, erano tornati a Cambridge a raccogliere le loro cose per poi fuggire in altre città lontane. Ciro invece, a sorpresa mi aveva detto: – vengo con te a Milano… mi fermo qualche giorno -. Per questo motivo era insieme a me. Altrimenti sarei partito da solo come avevo fatto all’andata.
Mi alzai e andai di fronte ad una grossa finestra di vetro. Si vedeva la pista e qualche aereo pronto in partenza. Forse c’era anche il mio tra quelli. L’aereo che mi avrebbe riportato a casa decretando la fine del mio viaggio. Più in là, oltrepassando gli alberi, con un po’ d’immaginazione, c’era Parigi.
Chiusi gli occhi per un istante e vidi scorrere davanti a me l’intera vacanza come capita a colui che è in punto di morte.
Vidi il mio viaggio e l’aero che atterrava lì, ed io che scendevo con un carico di ansie e paranoie. Vidi la casa di Antonio con i letti sfatti e le cene a base di vino. Ricordai i sogni nelle notti apparenti di ore improbabili. Ripensai alla poca voglia di socializzare che si era trasformata in due splendide amicizie.
Rafael, il brasiliano strampalato con un fegato senza fondo e un accento divertente. Alberto, l’inglese-napoletano-piacione-logorroico, che occupava tutti i nostri silenzi e a volte anche i nostri pensieri. Chissà se li avrei più rivisti.
Il mio viaggio mentale, tra pensieri e ricordi, si alzò sopra le cime delle case, sui comignoli e le antenne. Superò ogni cosa e si fermò in alto. La vista era stupenda. Si vedeva la Tour Eiffel che scintillava sotto i colpi del sole; l’Arco di Trionfo che proiettava la sua ombra sugli Champs-Élysées e il Louvre, poco più giù, con la sua elegante piramide di vetro. Scesi più in basso con la fantasia. Mi adagiai sulla cima di uno dei campanili di Notre-Dame e desiderai restare lì in eterno come un Gargoyle in pietra. Vidi il Quartiere Latino sulla destra, pulsare di vita e festosa frenesia. Quante storie potevano scriversi tra i suoi vicoli se solo avessimo avuto più tempo per viverle. E ne avremo vissute altre con infinita gioia. Di più belle, di più impensabili, di più incredibili. Storie che solo la pazzia della giovinezza può creare e la mano di uno scrittore descrivere. Persino la mia fervente fantasia cede sotto i colpi della soave realtà. E una lacrima mi scese. Lì, nella mia mente, nel mio magico viaggio, sulla cresta di Notre-Dame. E la piccola goccia cadde nel vuoto bucando il sogno, annerendo tutto, lasciando il buio dietro di se.
Aprii gli occhi e ricordai di essere nell’aeroporto di Orly in attesa del mio volo. Appoggiai una mano al vetro, come a voler toccare quel luogo straniero per imprimere la sensazione nella mente, e regalare anche al tatto qualcosa.
Mi girai e tornai al mio posto. Sprofondai nella poltroncina e poggiai i piedi sul Trolley. Spostai la mano e solleticai il portatile che avevo cacciato dalla borsa cercando un’ispirazione.
Aprii lo schermo e iniziai a scrivere. Di getto, senza pensare… Lasciai scorrere le dita tra i tasti neri. Lasciai che le lettere formassero parole e le parole frasi…
e le frasi racconti…
Camminai tra i sentieri dei ricordi. Corsi per non farmene sfuggire nemmeno uno. E più correvo e più scrivevo. E più scrivevo e più si avvicinava la fine. Incastonavo pezzi di storia con pezzi di vita. Ammorbidivo i dettagli rendendo meno noiose le vicissitudini. Descrivevo i luoghi e le sensazioni sulla mia pelle con una sperata maestria. E scrivevo… e non mi fermavo. Perché ce n’era ancora da raccontare. E la voglia che partiva da dentro non ancora si arrestava.
E arrivò, attesa e sperata come un’eclissi di Luna, la fine della mia storia parigina.

Adieu mes amis…

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Ciro tornò dal negozio. Si sedette accanto a me con la bottiglietta in mano.
– Che scrivi? – mi chiese.
– Mah… niente. Tu piuttosto, perché ci hai messo tutto sto tempo? –
– Ho comprato un souvenir… vuoi vederlo? –
– Si… fammi vedere. –
– Eccolo… Che ne dici? –
– Con sincerità? –
– Si, parla! –
– Fa cagare… –

FINE

Notre-Dame de Paris (la nouvelle de Paris IV)

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Salimmo sulla Rer B, una sorta di treno-passante che taglia in due Parigi. Arrivammo a Châtelet, il cuore pulsante della Parigi sotterranea. Scendemmo infine alla fermata George V… sugli Champs Élysées.

Con gli occhi sognanti e il cuore impaziente, ad ogni gradino della scalinata che fuoriusciva dalla metro, vedevo delinearsi una città del tutto nuova. E mi sentii come Dante che, uscito dall’inferno, guardò per la prima volta uno spiraglio di luce.
Respirai, prima di salire l’ultimo gradino; respirai un profumo diverso… straniero… insolito. Mi riempii i polmoni di un’aria non mia… di un’aria che non conoscevo… e vidi finalmente la Francia. Ero nel suo cuore, nel centro di Parigi, sulla rinomata Avenue des Champs Élysées. E in fondo, sotto un sole che batteva, vedevo il mastodontico Arc de Triomphe. Un grosso arco in stile neoclassico-romano fatto costruire da Napoleone dopo la vittoriosa battaglia di Austerlitz. Una battaglia fantastica e strategicamente perfetta. Quell’omino era basso sì, ma avrà avuto un cervello grosso quanto un melone. Al suo tempo sarà passato proprio sotto quell’arco; avrà visto quelle figure scolpite alla perfezione; e ammirato lo stile romano che tanto lo affascinava. Che meraviglia…

– Dobbiamo attraversare. La casa è dall’altra parte della strada. – disse Antonio.
– Abiti da Luis Vuitton? – scherzai, guardando l’altro lato della strada.
Antonio si girò e con un sorriso disse sicuro di se: – No, dietro! –
Arrivammo davanti al portone della casa. Era una via molto lussuosa. Immersa tra banche e negozi di alta moda. Osservai il citofono e già da quello capii che in quel palazzo vivevano persone che non volevano essere disturbate. Non c’erano nomi ma solo numeri; e la porta si apriva con un portachiavi magnetico rotondo. Entrammo nell’anti-atrio. Un fine tappeto coccolava i miei piedi e una splendida porta a vetri ci separava dagli appartamenti. La casa era al primo piano. Niente scale o ascensori. Molto comodo.
Giro di chiavi…
– Eccoci qua! Casa mia! –
Entrai in quell’appartamentino seguendo mio cugino Ciro. C’era odore di chiuso e polvere in giro. Era evidente che quella casa non vedeva luce da tempo. Era un monolocale parquettato con due eleganti divani-letto in fondo alla stanza. La cucina era in un angolo e ovviamente non mancavano armadi e Tv.
Antonio si diede subito da fare. Aprì le finestre e spazzò per terra. Io e Ciro aprimmo i trolley e sistemammo qualche vestito spiegazzato. Salutai la mia pallina rossa che, ovviamente, avevo portato con me in questa insolita trasferta. Mi sedetti sul divano e feci due conti osservando quella casa. Antonio tra una battuta e l’altra aveva rivelato che valeva 13000 euro al metro quadro. Ebbi una strana sensazione nel pensare che il mio culo fosse poggiato su così tanti soldi. Feci una rapida moltiplicazione per le dimensioni dell’intera casa. Deglutii al risultato. Beh… del resto… eravamo sugli Champs Élysées!

Cacciai dalla borsa la cartina di Parigi che avevo comprato alla Feltrinelli. Antonio aveva da poco finito le pulizie e si era seduto sul divano.
– Guarda Antò! –
– Grande! –
Aprii quella cartina che a dimensioni faceva invidia al catasto comunale. La stesi per terra e ci sedemmo ai lati ad osservare la città.
– Allora, vediamo se mi ricordo qualcosa… – disse Antonio, sforzandosi di ricordare delle sue precedenti vacanze con i genitori.
– Noi siamo qui: Champs Élysées, qui c’è l’Arc de Triomphe, qui vicino c’è la Tour Eiffel, non è lontano… ci possiamo andare anche a piedi. Qui c’è Notre dame e il Louvre, anche lì potremo andare a piedi… poi… –
Mentre osservavo Antonio che indicava luoghi e percorsi sentii picchiettare sul muro.
– Di chi è la pallina? – chiese Ciro che stava giocando.
Lo osservai con terrore.
– È mia! Posala subito! – gli intimai.
– Ok ok! Calma! La poso! – rispose Ciro.
– Ragazzi! Allora usciamo o no? –

Scendemmo in strada; tre ragazzi improvvisati turisti. Percorremmo tutta Avenue des Champs Élysées con la stessa tranquillità delle passeggiate in corso Buenos Aires o Vittorio Emanuele a Milano. Tutta la mia ansia era svanita… e mi stavo preoccupando… mi stavo preoccupando di non avere ansia! Che buffa la vita.
Arrivammo in una strada che costeggiava les Jardin de Tuileries, dall’altro lato invece avevamo la Senna. Più avanti, dopo aver oltrepassato il Louvre con un immenso desiderio di entrarci, arrivammo al Pont Neuf, che a discapito del nome, (Ponte nuovo) è uno dei ponti più antichi della città. Collega le due rive della Senna passando per l’Île de la Cité. E proprio quest’ultima era la nostra meta. La mitica isola nel cuore della città. Vista dalla cartina sembrava così piccola ma appena fui dentro mi sembrò immensa.
E mi fermai un attimo… quando da lontano vidi le due immense torri della cattedrale di Notre-Dame.
Che fantastico spettacolo! La mia mente abbandonò il mondo reale per catapultarsi in un medioevo ancora agli albori. Quando le case a stento superavano i due piani e le macchine e il frastuono dei motori non tormentavano la città. Solo lo scalpitio di zoccoli e carrozze poteva essere udito per le strade; e le voci delle persone… i viandanti e i mercanti con le loro bancarelle; e i preti… che, con i loro canti gregoriani, riempivano le immense navate delle chiese. Quanta storia hai visto Notre Dame? Quante guerre e sangue piangesti? E chissà cosa pensasti quando Napoleone s’incoronò re dei Francesi tra le tue mura… Quante storie hai visto raccontarsi? Come quella dei Gargoyles, quelle strane creature che spuntano in alto dalle tue pareti esterne. E perché non ricordare Quasimodo, comunemente detto il gobbo di Notre Dame, che Victor Hugo descrisse nel suo celeberrimo romanzo.
Notre Dame de Paris.

Entrammo. Il grande Rosone nero, che dominava la facciata esterna, all’interno si dipingeva di colori. Le sue vetrate raccontavano le più comuni storie Bibliche. Sembrava un immenso diamante dalle sfaccettature colorate. Ero incantato nel vedere una così grande e minuziosa opera d’arte. Mi girai e i miei occhi spaziarono nell’immensa navata centrale. Guardai in alto e notai le croci che formavano gli archi a sesto acuto che sorreggevano il soffitto. Ed anche vedendo e toccando quelle mura non riuscii a spiegarmi come delle persone con semplici utensili e nessuna gru, avessero potuto costruire una volta così alta, sorretta solo da massicce colonne e archi rampanti… che, per di più, ha resistito per quasi un millennio, mentre al giorno d’oggi i palazzi con più di 100 anni son da demolire.
Percorremmo la navata laterale. Eravamo nella penombra di candele e qualche faretto. Camminando tenevo d’occhio il centro della chiesa, e la mia mente, come al solito, viaggiò nella fantasia. M’immaginai di essere tra gli spettatori che assistevano all’incoronazione di Napoleone come nel dipinto di David. Vedevo la scintillante corona tra le mani del futuro re; il papa, seduto dietro, che osservava la scena con un po’ di rancore. L’immenso mantello rosso… la corona d’alloro… e la moglie Giuseppina inginocchiata. Stemmi ovunque e tantissime persone. Candele… tante candele… e alla fine, un immenso applauso…
Che magica scena… avrei desiderato viverla in prima persona. Avrei rinunciato a tecnologia e mondo moderno per vivere in quel tempo; e magari essere uno dei generali di Napoleone per avere un posto nella storia. E invece la mia storia è ben diversa… è una storia da spettatore che si diletta a descriverne qualche pagina quando ha tempo. Ma il tempo sembra non bastare mai…

Biiiip
Il cellulare di Antonio squillò. Era un messaggio.
– Ragazzi! Fra poco avremo compagnia! –

 

 

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