A Neverending Summer (II)

Luci soffuse Discoteca

“Palinuro personifica il caro nocchiero di Enea che perde la vita perché il Dio del sonno lo fa addormentare con musica e dolci parole e poi lo butta in acqua.”

 

I freni della Fiesta stridettero nel fermarsi in cima a una piccola salita. Non trovammo parcheggio più a valle perché il piccolo paesino di mare era completamente sommerso di persone. Gianni ed Io, guardandoci negli occhi, impugnammo le maniglie delle relative portiere. – Iniziamo la serata? – dissi e a un suo cenno del capo, scendemmo dalla macchina.
Palinuro si estende su due vie che s’incontrano in due piazze principali. Da un lato s’intravede il mare tra i palazzi e dall’altro vi è una piccola altura. In quelle due strade si concentra il cuore della movida giovanile della costiera. Si radunano lì per passare il preserata, parlare con i PR delle discoteche e bere qualche drink.
Appena arrivati nella piazza, ci trovammo di fronte a una folla incredibile. Ragazzi e ragazze di ogni tipo che si ammassavano e conversavano tra di loro, generando un fitto vociare. Guardai l’orologio, erano le 11,30 di sera.
C’intrufolammo tra la folla nella speranza di raggiungere un bar. Arrivati alla cassa, iniziammo il primo giro di Corona. Ne sarebbero serviti almeno 3.
Guardai la mia birra e pensai a quanto fosse stato facile arrivare fin lì. Il viaggio, grosso modo, era stato divertente, eccetto per le eccessive urla di Gianni. Cosa avremo fatto ora? Mi chiesi, dopo aver preso l’ultimo sorso della mia birra. L’alcol iniziava a sfondare le dure pareti del cervello, bussando con insistenza alla porta della ragione, pregandola di smettere di rompere le palle. La vista, già poca di per sé, iniziò ad offuscarsi, riducendosi a un cerchio sfocato. Cercai Gianni tra la folla. Vidi che era già passato all’azione. Aveva adocchiato una ragazza in un gruppetto di ragazzi. S’era avvicinato, aveva rotto il ghiaccio e ci parlava con disinvoltura. Anche i suoi amici erano simpatici. Così m’avvicinai anch’io.

Circa un’ora dopo eravamo in macchina in direzione della discoteca che ci aveva consigliato un’avvenente PR. Non so come avesse fatto a convincerci… ma aveva davvero due belle tette. Gianni come al solito guidava. Non mi avrebbe mai lasciato guidare nello stato in cui mi ritrovavo. Guardai dietro, nei sedili posteriori e vidi un ragazzo. Distinguevo a fatica i lineamenti a causa dell’alcol. – Piacere, Ciro. – gli dissi. Lui rise pensando che stessi scherzando. – Ci siamo presentati mezz’ora fa! – rispose.
–  Ah… – pronunciai meravigliato.

Mi rivolsi sottovoce a Gianni cercando di non farmi udire dal nostro ospite, come solo un ubriaco in macchina potrebbe pensare.
–  Chi è? E perché è qui? –
–  E’ un amico di Anna… la ragazza che ho conosciuto… voleva venire. –
–  Ma sei matto? Chi lo conosce questo?! Magari volevi anche farlo guidare?? – dissi stizzito.
–  No ragazzi! Non posso ancora guidare… ho 17 anni – disse il ragazzo ridendo dai sedili posteriori.

Gianni ed Io ci guardammo stupiti negli occhi. E la sua faccia mi disse che neanche fosse a conoscenza dell’effettiva età del ragazzo. Insomma, eravamo ubriachi e avevamo la responsabilità di un minorenne sconosciuto sulle spalle.
Mi toccai la fronte e maledissi il momento in cui ho permesso alla ragione di abbandonare la sua sede natale.

Little red ball (III) (Marina di Camerota ’09)

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La ricca cena stava volgendo al termine. Elena, la simpatica cameriera, ci stava servendo i secondi. Notavo che aveva non poche difficoltà. I miei fratelli e i miei genitori avevano riempito la tavola di piattini con i contorni presi al buffet… ed Elena, nel servire, cercava il giusto incastro per piazzare il piatto del secondo, stando anche attenta a non far cadere gli altri piatti che portava. E non solo… i tavoli erano messi in posizioni scomode… tra candele per terra, vialetti e aiuole sembrava impossibile non fare danni.
Elena stava servendo i miei fratelli e giunto il mio turno le feci un po’ di spazio sul tavolo. Lei mi ringraziò con un sorriso, prese alcuni piatti vuoti e se ne andò in cucina. Incominciai a mangiare la mia bistecca. Presi forchetta e coltello e ne tagliai il primo boccone. Mentre masticavo, guardavo il vialetto che portava all’interno del ristorante. Mangiavamo fuori sotto un grande ombrellone. Devo dire che il villaggio era progettato bene. Sistemato… accogliente… curato… Un ambiente ottimale per passare una vacanza tranquilla con la propria famiglia. Già, “tranquilla” era il termine adatto quando la descrivevo ai miei amici. Quando mi chiedevano perché ci andassi invece di restare con loro in paese. Pensavo di annoiarmi… che il posto non mi fosse piaciuto e che la tranquillità si fosse trasformata in impulsiva voglia di scappare. Ma dovetti ricredermi… tra tuffi in piscina… gare e tornei… animatori e giochi.. e soprattutto nottate in discoteca… di tempo da dedicare alla noia ne avevo ben poco. Per fortuna direi, il mio cuore ne aveva proprio bisogno… non di tutto ovviamente. Certe volte potevo anche lasciarlo riposare invece di stressarlo con musica house e balli sfrenati. Purtroppo, mente e cuore litigano sempre e non sempre si fa quello che decide la mente.
Continuavo a mangiare e osservavo il vialetto non curante di ciò che si stava svolgendo a tavola. Come spesso mi capita, ero sovrappensiero. Non so perché ma focalizzo la mia attenzione sulle piccole cose… come una mattonella fuori posto o una fiammella che si sta per spegnere… un filo d’erba più lungo degli altri o le scarpe da ginnastica nere di una giovane cameriera. Elena era tornata e s’era messa al suo posto. In piedi vicino a una piccola siepe e osservava i tavoli. Faceva bene il suo lavoro. Precisa e impeccabile. Pantalone nero, camicia bianca, papillon, un filo di trucco e capelli raccolti. Doveva essere dura lavorare d’estate in un villaggio vacanze. Doveva essere dura sacrificare i propri giorni destinati al divertimento. E cosa ne potevo mai sapere io? Che ero lì a mangiare e divertirmi…
La cena era finita. Ci alzammo tutti da tavola e c’incamminammo verso la camera. E quando fummo abbastanza lontani:
– Accidenti! Ho dimenticato una cosa sul tavolo! Corro a prenderla… – dissi.
Mio padre un po’ scocciato disse a mia madre ironicamente.
– Ma come devo fare con questi figli tuoi?! Si scorderebbero anche la testa se non l’avessero attaccata al corpo! –
Andai al mio tavolo. Per fortuna era ancora tutto come l’avevamo lasciato. In realtà non avevo dimenticato niente… volevo solo lasciare qualcosa… a qualcuno.
Presi dei soldi dalla tasca e alzai il bigliettino delle ordinazioni che ogni sera ci lasciavano da compilare sul tavolo. Li misi lì sotto e andai via facendo finta di niente. Sapevo già che il nostro tavolo veniva sparecchiato da Elena. Questa volta magari, lo farà con il sorriso sulle labbra.
Raggiunsi mio fratello.
– Allora? Cosa c’è stasera in anfiteatro? – chiesi.
– Danno le premiazioni per i tornei… poi non so… –
– Cavolo… – dissi.
– Ma cosa avevi dimenticato al tavolo? –
– Ehm… – cercai in tasca e oltre al cellulare trovai… – Questa! –
..La mia pallina rossa..

..Poco dopo..

Ero seduto tra il pubblico di questa specie di anfiteatro. A fianco a me c’era mio fratello e poco più avanti i miei genitori. Tutti pronti a vedere come il figlio e fratello si sarebbero resi ridicoli su un palco di fronte a tante persone. Vabbè… ora non voglio farla così tragica… in fondo mi dovevano solo consegnare una stupida medaglia. Vinta chissà come in uno stupido torneo. In fondo però era stato divertente… anche se la pallavolo non è lo sport che preferisco. Applaudivo. L’animatore sul palco chiamava a ripetizione nomi di persone che avevano vinto i rispettivi tornei. E applaudivo ancora, perché la situazione lo richiedeva e anche quell’omino simpatico sul palco. Mentre sbattevo le mani cercavo tra la folla i miei occasionali compagni di squadra. Volevo vedere le loro facce. Ma non trovandoli speravo che almeno fossero venuti.
Guardai di soppiatto mio fratello. Era immobile e attento ad osservare il palco. Aveva già avuto la sua medaglia. Vincitore del torneo di ping pong. E mica la categoria ragazzi… no… categoria adulti. Mio fratello aveva stracciato ogni persona che gli si era parata davanti con una racchetta in mano. Era molto bravo… e aimè, anche più del fratello. Si era allenato parecchio al tavolo da ping pong che avevamo in garage. Certe volte, quando lo sfidavo, mi dava vantaggi stratosferici che recuperava in un baleno. Stava diventando bravo quasi in tutto. E lì mi chiesi se sarebbe rimasto ancora qualcosa in cui potevo dimostrare di essere il fratello maggiore.
– Ed ecco il momento dei vincitori del torneo di pallavolo… –
L’animatore parlava dal palco.
– Ecco i nomi della squadra vincitrice… –
Mi preparai al momento…
– Ora tocca a me… – dissi sottovoce a mio fratello.
– ………e Ciro! Venite sul palco! –
Mi alzai, mi sistemai i jeans. Le persone intanto applaudivano. Salii sul palco. La squadra del torneo era al completo. C’era la triestina Paola, il signore col pizzetto, il signore brizzolato e il famoso ragazzino che mi aveva rubato la pallina giorni fa. E se la rideva anche! Il piccoletto però la sapeva lunga. Giocava a pallavolo benissimo. All’inizio  della partita, l’avevo preso un po’ in giro perché l’animatore l’aveva affibbiato alla mia squadra. Dicevo che eravamo in svantaggio perché avevamo solo metà giocatore. Ma lui nonostante l’altezza, sapeva ricevere e battere molto bene. Rimasi quasi allibito quando segnò tre punti di fila sulla battuta. Era un piccolo campione. Dopo averlo disprezzato quasi ringraziavo la sorte di averlo in squadra. Era veramente bravo… io alla sua età ero bravo solo in matematica e facevo disperare l’insegnante d’italiano. Io alla sua età… beh… diciamola tutta… con gli sport ero un po’ negato. E non è che ora brilli in materia… ma il fisico per fare certi mestieri ce l’avrei lo stesso.
La bionda animatrice ci passò davanti con le medaglie. Ce le infilò al collo e tornò dietro. Ci stringemmo tutti per una foto. Da un lato avevo Paola e dall’altro il ragazzino. Che strano che in tutti questi giorni non abbia mai saputo il suo nome. Intanto i vari flash partivano… notavo tra il pubblico mio fratello che applaudiva e i miei genitori poco distanti. Li guardai per un momento. Applaudivano anche loro sorridendo. E tra me e me pensai…

Beh… forse per un attimo… sono stati fieri di me…

Little red ball (I) (Marina di Camerota ’09)

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Ora…

 

 

– Ehi piccoletto… ho saputo che domani parti..-

– Già… –

– Allora ci salutiamo… –

– Si… –

Mi guardò per qualche secondo. Il desiderio di restare ancora, gli si dipingeva in volto con un velo di tristezza. Purtroppo non poteva, la sua vacanza era giunta al termine. Il bambino corse via disperdendosi tra le persone.

Il piccolo anfiteatro era gremito di gente. Alcuni ballavano i balli di gruppo vicino al palco, altri chiacchieravano sulle panchine. Molti si salutavano, di lì a poco avrebbero lasciato tutto questo. Ed io ero lì ad osservarli, seduto comodamente su una delle panchine. Come se in scena si svolgesse l’ultimo atto di quella vacanza. L’ultimo per gli altri, il giro di boa per me. Un’altra settimana mi attendeva…

E chissà come sarebbe andata…

 


Qualche giorno prima…

 

Camminavo lungo un sentiero asfaltato in direzione della piscina. Sentivo uno strano odore di pittura confondersi a quello degli oleandri e degli ulivi. L’inserviente del villaggio stava dipingendo il cartello che indicava la direzione per il bar e il ristorante. Gli passai di fianco per andare in piscina. Mi sorrise come per strappare un attimo di pausa al duro lavoro. Gli sorrisi anche io, mi dispiaceva sapere che lui era lì a lavorare ed io qui a rilassarmi.

Da lontano si sentivano le urla dei bambini che scendevano sull’acquascivolo e si scaraventavano nella piscina. Sembrava divertente guardarli. Non ricordavo nemmeno l’ultima volta che andai su un acquascivolo. Era stato un bel po’ di tempo fa… un bel po’ di anni fa. A quei tempi sì che correvo sulle scale per salire su quegli aggeggi… e dovevano tirami con forza per farmi tornare a casa. Proprio come ora facevano questi bambini davanti a me.

Scelsi una sdraio. C’era molta gente. Mi stesi… mi misi al sole. Avevo bisogno di rinvigorire la mia abbronzatura.

Guardavo le persone… chi si tuffava.. chi schizzava.

Arrivò mio fratello che poggiò l’asciugamano a fianco al mio. M’invitò a fare un bagno ma non ne avevo voglia. Si allontanò.

Il mio fratellino. E’ più piccolo di me di età… ma fisicamente quasi mi batteva. Era cresciuto in altezza e aveva messo su un bella massa muscolare. A volte le persone ci scambiavano per gemelli… ma pronunciando le nostre età restavano allibiti. Il dubbio era: ero io che sembravo più piccolo o lui che sembrava più grande? Di certo un po’ d’invidia ce l’avevo… avessi ancora 17 anni. Non so cosa farei… ma di certo sentirei meno il peso degli anni, come in quel momento…

In passato non avrei mai detto di no a un tuffo. Sarei stato io a chiederlo a lui. E se avesse risposto di no, lo avrei gettato in acqua con tutto lo sdraio. E poi mi sarei gettato anche io… e tra gare di nuoto e lotta in acqua… tra corse e tuffi, le lancette degli orologi ci correvano dietro… e una vita ci bastava e come… ma la mattinata no di certo.

Comunque vada, gli anni passano… sta solo a noi cercare di goderceli.

La pallina rossa sbucò dalla mia borsa, come un essere vivente che vorrebbe vedere la luce ogni tanto. Presi gli occhiali da sole, le cuffie e non seppi dire di no anche a lei.

Mi sdraiai di più… Mi godevo il sole che batteva sulla mia pelle. Osservavo la mia abbronzatura. Intanto giocavo con la pallina facendola passare tra le dita… e la musica correva…

Do you know what’s worth fighting for,

When it’s not worth dying for?

Does it take your breath away

And you feel yourself suffocating?

Does the pain weigh out the pride?

And you look for a place to hide?

Did someone break your heart inside?

You’re in ruins

 

One, 21 guns

Lay down your arms

Give up the fight

One, 21 guns

Throw up your arms into the sky,

You and I

 

I Green Day suonavano la loro musica. Quella canzone la amavo. Sembrava seguire attentamente i battiti del mio cuore. La pallina, intanto, continuava a girare tra le mie dita. Bella amica di sempre… la mia rossa sfera gommosa. Sembrava non staccarsi mai… anche se a volte vacillava, riuscivo comunque a recuperarla. Non la guardavo neanche più… solo sentirla tra le mani mi faceva stare bene.

Un signore con gli occhiali da sole stava facendo un video alla propria figlia. Lei era in acqua che schizzava alcuni compagni. Si stavano divertendo. Dall’altro lato della piscina, l’animatore faceva strane smorfie a dei bambini. All’improvviso, una ragazza in bikini mi passò davanti. Aveva un fisico longilineo interrotto a tratti da un costume azzurro. Continuavo a guardarla voltando la faccia da una lato e questa invitante distrazione mi fece perdere la concentrazione sulla pallina che cadde rotolando verso il bordo della piscina. Mi alzai lentamente come se non fosse successo niente. Velocemente un bambino uscì dall’acqua. Sicuramente aveva osservato tutta la scena e soprattutto la mia pallina rossa. Me ne preoccupai poco, ma quando lo vidi afferrare la pallina e scappare via, sgranai gli occhi:

– EHI! TORNA QUI!! Quella è mia!! –

Il bambino si girò indietro mi guardò e sorrise. Voleva che io stessi al suo gioco. Forse nemmeno immaginava quanto tenevo a quella cosa. Forse pensava che era una semplice e stupida pallina rossa. Un oggetto per giocare. No! Quella era la mia pallina rossa! Dovevo riaverla.

Cominciai a correre dietro al bambino, evitando persone, saltando tra le sdraio cercando di non scivolare. Insomma, un vero e proprio inseguimento rocambolesco tra un ventenne e un tredicenne. Cercavo di non immaginare l’ilarità che provocavo nella gente che mi guardava, mentre tentavo come un disperato di acciuffare quel ragazzo.

– Ehi! Ridammela! –

– No! Questa viene via con me! –

Dannazione! Quel bambino era fermamente ostinato a non cedere. Per certi versi mi ricordava qualcuno, ma non c’era tempo per pensare. Il piccoletto voltò in un vicolo dietro la piscina. Lo seguii…

– Sono qui! Non mi prendi! – e corse su per delle scale di ferro.

Ed io gli andai dietro.

Gradino dopo gradino fui in cima. In pratica era la torretta da dove partivano gli acquascivoli che finivano in piscina. Era abbastanza alta da vedere quasi tutto il villaggio. Era abbastanza alta da poter buttar giù una pallina e non ritrovarla mai più.  Un brivido mi scosse, al solo pensiero.

Cercai il bambino tra le persone che aspettavano di scendere. Eccolo.. era in piedi vicino all’acquascivolo blu e mi faceva le smorfie.

– Se ti prendo… –

Cercai di andargli vicino ma una mano mi bloccò. Era il bagnino che mi fece segno di aspettare il mio turno. Il bambino l’aveva ancora vinta. E mentre aspettavo, fremendo per l’impazienza. Il piccoletto non si tuffava ancora. Sembrava volermi aspettare e quando il bagnino mi diede l’ok, lui subito si gettò dentro l’acquascivolo blu. Gli piombai dietro ma non feci in tempo ad acciuffarlo che scese giù. Ed ora toccava a me. Scendere o non scendere… buttarmi o non buttarmi… la mia pallina rossa era con lui. Le persone dietro aspettavano.. il bagnino mi face un fischio col fischietto. Mi buttai…

Ciro… sull’acquascivolo.. questa era proprio da non perdere…

 

 

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