Diario #1

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La penna dondolava nella mia mano mentre la mente ricercava la soluzione più ovvia per un problema statistico. – Eccolo! Maledetto segno! Sbaglio sempre le cose più banali! Non c’è niente da fare..-
Mi alzai un attimo per staccare dallo studio. Fuori il sole splendeva e la mia moto parcheggiata lì sotto ringhiava come un cane legato da troppo tempo.
Poi lo sguardo cadde sulla mia libreria. Tra i tanti libri accatastati e messi alla rinfusa per mancanza di spazio, mi capitò sottomano una vecchia agenda blu.
La presi e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Sfoglia le pagine; la maggior parte erano vuote; qualcuna, con qualche frase scarabocchiata a penna; qualche disegno… Poi, ruotandola verso il basso, cadde un piccolo foglietto. Era una pagina di un vecchio diario di liceo. Lessi:

bigliettino Carmelina

 

Quello fu l’ultimo giorno che passai in quella scuola. Carmelina, la mia compagna di banco, non lo sapeva.
Avevo scelto di trasferirmi in un’altra. Non vidi più Carmelina… o Luca… o Armando… o Michele…
E non ci volle molto a capire che… avevo appena compiuto l’errore più grande della mia vita.
Avevo lasciato una classe si problematica, ma con persone che mi volevano bene, per buttarmi in un mondo sconosciuto.
Ciò… mi devastò psicologicamente. Avevo perso tutto. Gli amici… i professori…
A quel tempo volevo cambiare vita…
E purtroppo c’ero perfettamente riuscito…

Frugai ancora nell’agenda. In una delle tasche laterali trovai una pagina di un blocco note. Sopra avevo riversato qualche riga:

 

“Coppie di banchetti disposti su tre file, riempivano la lunga aula della 4C del liceo scientifico di …. I raggi del sole che penetravano dalle 3 grandi finestre sulla sinistra, illuminavano le pareti di colore giallastro. Proprio sopra la cattedra era appeso un piccolo crocifisso, a testimonianza di quella fede che molti non avevano. Quella mattina fui il primo a entrare in quest’aula sconosciuta.
Non conoscevo nessuno…
Era la priva volta che entravo in quel liceo.
Tutto sembrava perfetto. Nessuna cartaccia per terra, nessun distributore sfondato, nessun graffito sul muro…
Tutto era perfetto… forse troppo!
[….]
La macchinetta del caffè iniziò a trafficare, facendo strani rumori. Dopo all’incirca 30 secondi, il caffè era pronto e fumante. Tornai nella mia classe ancora vuota, soffiando su quell’intruglio bollente. Mi affacciai alla finestra. Il paesaggio era ben diverso da quello del mio vecchio istituto. Non c’era più il fatiscente campo da calcetto, dove erano soliti radunarsi i ragazzi per la solita partitella extra-scolastica.
Di fronte a me avevo un’altra parte dell’istituto che non mi lasciava molta visuale del panorama. Un malinconico sorriso comparse sul mio volto, pensando alle ragazze del commerciale che passeggiavano indisturbate sotto la mia vecchia aula. Erano solite corteggiare i liceali con sguardi non poco maliziosi…

Un rumore sordo mi fece girare di scatto. Quello che doveva essere un bidello, aveva appena poggiato con poca cura il registro sulla cattedra.
– Tu sei quello nuovo? –
– Sì… –
– Sei capitato proprio nella sezione migliore! – disse ironica e se ne andò.

Poco dopo suonò la campanella.
E una folla di ragazzi entrò dalla porta principale…”

Era l’ottobre del 2004…

 

 

Corsi e Ricorsi Storici (VIII)

Corsi e Ricorsi storici 8 Nino Bixio

(Foto personale)

 

Fu così che mi ritrovai a correre di nuovo, lungo la mia amatissima Nino Bixio. Stanco e sfatto, con un’insopportabile borsa di troppo: la busta di stoffa contenente l’irrinunciabile insalata pronta da condire di Annalisa. Quella ragazza alla fine c’era riuscita a farmela portare a presso. La prossima volta però, non mi frega!
In mano avevo i due cellulari che Lia mi aveva chiesto di consegnare a scuola. I miei “no” alla fine avevano ceduto di fronte alle loro dolci insistenze. Annalisa e Lia avevano un treno da prendere. Il treno che avevamo prenotato qualche ora prima. Forse Lia non sapeva ancora che doveva farsi tutto il viaggio in piedi perché quella pazza di Anna aveva preso i biglietti senza il posto assegnato. Non dissi niente a riguardo, lasciando a Lia il gusto della sorpresa. Dopo averle salutate, presi i cellulari ricevendo qualche vaga indicazione sul luogo, la scuola, i ragazzi e le azioni da compiere. Poi corsi via da loro… “L’orario scolastico” era quasi ultimato e non volevo di certo trovarmi in mezzo ad una baraonda di ragazzi chiassosi.
Ma… rimettendo insieme tutte le informazioni che Lia mi aveva dato frettolosamente, capii che c’erano molti buchi vuoti nel piano. Non conoscevo niente eccetto l’indirizzo della scuola dove dovevo andare. Aule, corridoi, nomi dei ragazzi, i bidelli… Mille domande sbucavano da ogni dove nella mia testa iperprogrammatica, mentre, svoltando a destra, lasciavo Bixio per un’altra strada. Vidi il palazzo della scuola da lontano. Attraversai la strada e mi diressi all’ingresso. Non so, ma avevo la pelle d’oca a entrare in una scuola. Non ero più abituato. Sentivo sulle spalle il peso dei ricordi, come se fosse una pesantissima cartella piena di libri. Ricordai il Ciro adolescente di molti anni prima. Ricordai i piccoli problemi di ogni giorno che rapportati a quelli di adesso sembravano sassolini. Ricordavo tutto, ma non la felicità. Era presente allora?
Ricordo:
 
Quella volta che, ad occhi spenti e verso il basso…
Pioveva…
Sulle spalle una cartella pesantissima…
e nelle orecchie le cuffiette di un walkman grigio.
Aspettavo mia madre che venisse a prendermi.
Solo.
La pioggia mi aveva inzuppato tutto.
Lasciavo scendere le gocce insieme alle mie lacrime.
Dicevano che l’adolescenza doveva essere la stagione dei primi amori e della spensieratezza.
Tutte balle…
Soffrivo col cuore a pezzi
Nel mio piccolo giubbino di jeans ormai di una tonalità più scura.
Quel giorno una ragazza mi aveva lasciato.
Non seppi nemmeno bene il perché…
Ma guardai per la prima volta la mia scuola, odiandola.
Odiavo quel posto per avermi portato così tanto dolore.
E volevo fuggir via.
 
Una macchina si fermò.
Scese una donna.
“Ti avevo detto di portarti l’ombrello!”
Non risposi…
perché l’ombrello era nella mia pesantissima cartella.
Quel giorno… io volevo la pioggia.
 
Guardai il cielo nuvoloso. Anche quel giorno si apprestava a piovere. Misi la mano sulla maniglia della porta d’ingresso della scuola media di Porta Venezia. Feci un respiro e tirai la maniglia verso il basso.
Non si apre!
Provai più e più volte ma niente. La porta era chiusa. Mi allontanai leggermente.
Come avrei fatto ad entrare? Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Notai poco distante una ulteriore porta d’ingresso. Mi avvicinai a quella ma era chiusa anche lei.
Cavolo!
Cercai qualche pulsante o citofono nei paraggi, non sapendo nemmeno cosa dire per entrare.
Improvvisamente qualcuno uscì da quella porta. Mi avvicinai e appena quella che doveva essere una professoressa fu uscita, mi avvicinai e afferrai la maniglia prima che la porta si chiudesse. Fatta! Ero dentro. Guardai a destra: corridoio. Guardai avanti: corridoio. Guardai a sinistra: corridoio. Dove cavolo vado?! Cercai di ricordare la sezione che mi aveva detto Lia. Doveva essere la E o la D. Detesto la mia memoria corta! Seguii le indicazioni per entrambe e arrivai al secondo piano. Nei corridoi non c’era nessuno eccetto una bidella anzianotta che puliva il pavimento. Mi fissava ed io fissavo lei. Mi avvicinai timoroso.
–       Salve, io dovrei consegnare questi cellulari a due studenti da parte della professoressa Lia ****** –
–       Ah, sì! La signorina *******? So che è dovuta uscire per un’urgenza. Non è niente di grave vero? – mi disse la bidella preoccupata.
–       Beh… si spera che non sia nulla di grave… – dissi restando nel vago.
–       Guardi, i ragazzi sono in quell’aula lì ora glieli chiamo. –
–       No, ascolti, li tenga lei e glieli consegni alla fine della lezione. Così io vado. –
–       Va bene e mi saluti la signorina ********. –

Appena fuori dalla scuola tirai un sospiro di sollievo.
Forse ora posso davvero tornare a casa.

continua…

Weekend finanziario (V)

Rimini ruota panoramica-56

Foto: Ruota Panoramica Rimini 2013

La fresca aria di fine maggio entrava da uno spicchio di finestrino lasciato aperto dal signore in taxi seduto davanti a me. Il tassista spense la radio e con fare calmo si districò da un piccolo ingorgo all’incrocio con la via principale. Di solito i tassisti son di due tipi: estremamente loquaci o estremamente silenziosi. Quello che mi era capitato quel giorno era del secondo tipo. Quindi, sia io che lui apprezzavamo il per niente imbarazzante silenzio che si era venuto a creare. Purtroppo però, non era dello stesso avvisto il signore a cui avevo dato, per modo di dire, un passaggio. Il nostro silenzio veniva continuamente stralciato con i suoi commenti futili o il continuo descrivere di ogni suo movimento.
Questo qui ha proprio voglia di parlare. Pensai mentre giochicchiavo con il cellulare.
–       Mi chiamo Alberto. – disse rivolgendosi dietro, verso di me, per darmi la mano.
–       Ciro… piacere. –
–       Anche tu all’ITforum? Come sei giovane! –
–       Mi porto bene i miei 26 anni… che non sono pochi… –
–       Beh… rispetto ai miei 56. Ce ne passa! –
–       Li porta bene anche lei. – ora faccio il galantuomo con tutti?
Alberto seguitò a parlare chiedendomi di sfornargli qualche dettaglio in più sulla mia alquanto breve vita. Capii che le sue erano semplici domande di cortesia quando, di punto in bianco, nel bel mezzo di una mia risposta, iniziò a parlare di sé.
Raccontò che la passione per il trading gli era venuta da qualche anno, quando un fantomatico professorone di una nota città gli aveva fatto conoscere i Certificates.
Quanto sentii quella parola portai gli occhi al cielo, scuotendo la testa in senso di disapprovazione. Approdare nella finanza con prodotti, in apparenza semplici ma dalle dubbie qualità, non la ritengo una scelta saggia. Ovviamente Alberto, seduto sul sedile passeggero, non vide il mio gesto e seguitò a decantare le qualità del prodotto all’ignaro tassista che annuiva compiaciuto. Alberto gli stava trasmettendo la speranza di ricchezza che gli aveva trasmesso qualche guida letta per caso su internet.
Quando iniziò a elencare i diversi Certificates che aveva intenzione di comprare o peggio, che aveva già comprato, trovai la conferma alla mia sempre presente teoria che la borsa dovrebbe essere interdetta agli incapaci, un po’ come si vieta di guidare ai ciechi.
Alberto era inarrestabile e il tassista sempre più incuriosito.
Ma alla frase: – Non capisco perché le persone non acquistino questi prodotti sicuri invece di altri… – decisi di intervenire.
–       Signor Alberto, mi scusi se mi permetto, ma per il mio modestissimo parere, i Certificates, sono un grande specchietto per le allodole, nella maggioranza dei casi. –
Alberto si girò per guardarmi in faccia e scrutare qualche smorfia di scherno. Invece ero serissimo e stavo cercando di evitargli qualche errore finanziario futuro.
–       Ad esempio quel Certificates sull’indice FTSE che se tocca i 18000 entro settembre e bla bla bla, è una grossa presa per il culo! Se uno guarda un minimo il grafico dell’indice, può capire subito che l’Italia dovrebbe fare i salti mortali per arrivare a quella cifra! Quindi quel Certificates non pagherà mai! –
Alberto continuava a fissarmi stranito e anche il tassista l’avrebbe fatto se avesse potuto. Continuai il mio discorso con:
–       …per non parlare dei Certificates sul prezzo delle azioni! Ah… quelli sì che mi fanno sganasciare! Cioè, LEI Banca mi vende un Certificates sul prezzo delle SUE azioni, quando a LEI banca basta uno starnuto per influenzare la quotazione e quindi annullare tutto? –
Il taxi era arrivato a destinazione. Il signor Alberto guardò la stazione di Rimini davanti a se. Era visibilmente rimasto scioccato dalle mie dure parole di critica. Voleva controbattere per continuare il discorso. Purtroppo il tassametro scorreva ed io continuavo a fissarlo.
–       Dia retta a me… lasci perdere quei cosi… – gli dissi mentre stava per scendere.
–       Mah… – pronunciò flebilmente.
–       …e buon viaggio! – lo congedai e il taxi ripartì.

Il tassista, trovatosi ormai in confidenza, scambiò con me ulteriori commenti sull’economia in generale, sulla recessione e sull’incerto futuro italiano. Ovviamente anche lui aveva la solita visione distorta e amplificata dai media che porta tutti al malcontento. Mi limitai ad assecondarlo per non alimentarla, cercando disperatamente una scorciatoia per cambiare discorso.
–       Dove posso andare stasera? – gli chiesi, – Dato che sono da solo qui a Rimini? –
–       Beh… un posto molto carino e molto vicino al tuo Hotel è il Coconuts… –
–       Interessante… cos’è? – chiesi
–       Una discoteca molto famosa. E’ sempre pieno la sera, ci va parecchia gente, anche in questi periodi. –
Vidi il profilo del mio albergo sempre più vicino. Il taxi era giunto a destinazione. Afferrai la borsa e pagai il tassista.
– Tieni, prendi questo, è il bigliettino del locale… così non ti perderai! –

Weekend finanziario (III)

Weekend finanziario 3-46-2

Foto: Piattaforma multimonitors Banca Sella

Rosso… Tutto decisamente e profondamente in rosso!

Giornata negativa.

E la colpa non era nemmeno nostra. Il vento di negatività arrivava dall’oriente. Dal Giappone. Tokio ci stava dando delle belle grane. Lei e la sua politica monetaria “stampaechissenefrega”. Davvero cazzuti i Giapponesi. In barba a qualsiasi teoria economica si son messi a stampare banconote come se non ci fosse un domani, nel vero senso della parola. Dall’altra parte del mondo, invece, gli Americani impiegarono mesi e mesi per definire il loro Quantitative Easing e finalmente elargire liquidità gratis a tutti. Noi invece, indovinate un po’? Una manovra del genere non ce la possiamo nemmeno sognare. Sembra che la strategia della nostra ripresa sia improntata sull’attendere il fallimento degli altri.

Purtroppo però, l’effetto contrario del far piovere soldi dal cielo, oltre la sicura inflazione, è che la borsa, prima o poi ti risponde con un ancora più cazzutissimo -7%, come quella mattina. Forse per i Giapponesi potrebbe essere normale, ma da noi, già un -3% è da panico generale con titolone in prima pagina.

Vista la giornata negativa, immaginai le varie ipotesi di gioco che avrebbero potuto intraprendere i traders. Scrutai i loro volti e capii che avevano già iniziato ad operare.
L’avevo intuito dalle loro espressioni facciali mutate. Lo studio del linguaggio del corpo mi ha aiutato parecchio a capire le persone. Il trader polacco continuava a strizzare le labbra, tipico segnale di stress.  L’italiano a fianco si grattava il mento e l’altro, con molta enfasi, sbadigliava e si stiracchiava. La regia, dietro di me, mandava le immagini dei monitors dei vari trader sul proiettore. Molti erano in negativo, altri in positivo. il polacco aveva messo a segno una buona operazione e una bella freccia verde era stampata accanto alla sua immagine. Un ragazzo italiano stava rischiando grosso, -13%, chissà quanto sarà stato, in percentuale sul suo conto. Una bella botta comunque.

So bene cosa vuol dire aprire una posizione e poi questa ti va in perdita. Succede ad ogni trader. E qui che entra in gioco la vera bravura del trader che, non sta tanto nel guadagnare soldi, (a farlo siam bravi tutti, basta comprare a poco e vendere a tanto, come mele al mercato) quanto nel saper uscire da situazioni difficili. Quando il mercato ti va contro, e le tue mele sono marce. Cosa fai? Tutto sta nel riuscire a piazzare un buon prezzo di vendita, mele o azioni che siano. Intanto però, ti ritrovi lì, a fissare il tuo bel segno meno davanti ai tuoi soldi. Quanta freddezza ci vuole a mantenere il sangue freddo per prendere la giusta decisione? Tanta! E l’ho imparato a mie spese.

Per ammazzare il tempo e distogliere un po’ l’attenzione dalla sfida, sfogliai il depliant del programma della sala in cui mi trovavo. Lessi che il trader polacco dava un seminario sulle sue teorie basate sui cicli lunari. Ma che cazz..? pensai con evidente scetticismo. Come era possibile associare l’andamento dei mercati con le fasi della Luna? Che riferimenti ci possono essere? Certo… a me viene un po’ di mal di testa quando siamo in plenilunio, ma non esageriamo! Povera Luna… se vogliamo addossarle anche la colpa della crisi economica non ne usciremo proprio più!

Din din

Suonò la campana. I giudici salirono sul ring per controllare i conti. Subito decretarono il vincitore del round: un tedesco seduto dall’altra parte. Approfittai della pausa per fare un giro tra gli stand. Uscii dalla sala e la luce mi strinse gli occhi. Pian piano mi abituai mentre percorrevo il lungo corridoio.

C’era molta gente. Molti ragazzi e pochissime ragazze, escluse hostess e promoters. Trovare una donna che faccia trading è quasi impossibile. Non ho ancora ben capito il perché. Dopotutto non è una pratica difficile. Ci son cose ben più difficili. Tipo la medicina, con le sue mille nozioni da tenere a mente e i giusti casi in cui poterle applicare. L’economia, per me, è molto più elastica e soprattutto non muore nessuno se sbagli. C’è sempre un rimedio economico per i tuoi errori. Anche la crisi è fra di essi e con una buona cura dovremmo uscirne.

Dicono. 

Per come la penso, essendo entrati nella situazione di mercati concorrenziali tra stati, non se ne uscirà mai. Alcuni giornali l’hanno chiamata guerra economica o guerra delle valute. Si combatte con la svalutazione della propria moneta, per poter offrire al mondo prodotti a prezzi stracciati. Tradotto: scordiamocela la ripresa.

Se sotto i nostri bicchieri, posate, piatti, ecc… troviamo scritto “made in china” significa che l’azienda italiana che li produceva è fallita e ci vorranno almeno 10 anni prima che ritorni. A noi consumatori sta bene spendere di meno ma non lamentiamoci se poi, il ciclo economico si sposta dal nostro paese a un altro. Se le aziende chiudono o delocalizzano lasciando migliaia di cittadini senza lavoro.

Il bello di tutto, è che la colpa la danno alla finanza, che l’unica colpa che ha avuto, è stato far credere alle persone di potersi permettere ciò che non si poteva…

Una gran bella illusione…

E ci siamo cascati tutti, in pieno…

Storia di una casa (#34)

2006/2007

– 34 –

Le ore e i giorni passarono in un lampo e il silenzio tornò a essere il mio coinquilino più presente. Gli amici erano appena partiti per tornare a casa: Marco, Enrico, Marta e Cristina. Li salutai alla stazione con quella punta di malinconia che crebbe fino al mio ritorno a casa. Mi buttai subito sul letto come se le forze fossero partite anche loro. Pensavo… Pensavo a quei giorni in cui non provavo tristezza nel salutare un amico. Erano bei giorni allora. Giorni carichi di voglia di vivere, di scoprire insieme le sfaccettature di questo mondo sconosciuto. Trascorrevo così tanto tempo insieme a loro, da diventar loro la mia seconda famiglia: proteggendomi, assistendomi e consolandomi, per non parlare di tutte quelle volte che mi riportarono a casa, sano e salvo. Devo molto a quei ragazzi… e non lo immaginano nemmeno.

Voltai la testa verso la sedia in mezzo alla stanza. Sorrisi. Era ancora lì con il cordone dell’accappatoio che ciondolava indisturbato. “Povero Marco” pensai. “Se l’è meritato però!” E quante volte se l’era meritato! Aveva compiuto così tante cazzate nella sua cronologia che avrei dovuto odiarlo per sempre. Ma la sua generosità e la sua bontà ti scioglievano, disarmandoti. Non avrei mai potuto tenergli il broncio per più di cinque minuti. Era un ragazzo con molti pregi; come quello di farti apprezzare le cose semplici, di tralasciare il valore dei soldi, sempre troppo importanti per me. Enrico invece era diverso. Facevamo a gara a chi era più introverso. Parlavamo sempre poco di noi e sempre troppo degli altri. C’era sempre un profondo rispetto tra noi due. Non saprei dire se lo conosca abbastanza, nonostante sia il mio migliore amico.

E scese la notte. Più pesante del solito. In casa ero solo. Le stanze vuote mi facevano eco. Curioso, decisi di dare una controllata alla camera di Francesco. Aprii lentamente la porta, come a non voler disturbare una persona che non c’era. Sorrisi pensando con meraviglia che anche in quella stanza era notte. Avevo la strana concezione che quella parte di casa era un mondo distinto. Un qualcosa che non mi apparteneva, di non mio. Quest’atteggiamento derivava dal profondo rispetto per le cose, inculcatomi da mio padre. Accesi la luce. I letti erano in ordine. Merito sicuramente delle mie due ospiti femminili. Persino le ciabatte del mio coinquilino erano tornate al loro posto. Il divano, doveva aveva dormito Marco, non aveva niente che non andava. Dovrei dare più fiducia a quel ragazzo.

Notai che la finestra era aperta. Qualcuno dei ragazzi aveva pensato bene di far arieggiare la stanza prima di andarsene. Andai a chiuderla e sentii un rumore provenire dal bagno. Pensai che la corrente d’aria avesse chiuso d’impeto l’altra finestra. Andai in bagno a chiudere anche quella. Qualcosa però, stranamente, la bloccava. Provai più volte a chiuderla ma non ci riuscii. Ispezionai i bordi della cornice scoprendo un inghippo metallico che impediva la chiusura. Tirai fuori l’oggetto dalla guarnizione. Era una monetina. Una cento lire del ‘78 sulla cui faccia risaltava la testa dell’Italia laureata che rifletteva la luce della lampadina a incandescenza del bagno. Come un flash, mi tornò alla mente l’immagine di Marco che faceva ruotare quella moneta tra le dita, dicendo: “Questa è il mio portafortuna!” Gli sarà sicuramente caduta in quella serata brava che scappò dal bagno alla ricerca dell’ultimo goccio di Jack. Scossi la testa disapprovando quei momenti. Afferrai il cellulare.
“Marco, ho qui con me la tua cento lire… Appena ci vediamo te la rendo.”
“Bene! Ma tienila tu… così ti porterà un po’ di fortuna, che ne hai bisogno!”
…e ci sperai, e spero ancora, che quella tanto amata fortuna, un giorno arrivi.

Fine Seconda Parte

Storia di una casa (#33)

2006/2007

– 33 –

Era come essere davvero a casa. Gli amici arricchivano l’atmosfera turbata da molti mesi di solitudine. Con loro, sentivo questa città più vicina. Il freddo inizio, si stava pian piano accendendo, sotto i colpi di giorni piacevoli. Ero ostinato ad abbattere la malinconia della lontananza da casa, ma da solo non ce l’avrei mai fatta. Servivano sorrisi, facce felici, qualche battuta qua e là; e i miei amici erano molto bravi in questo.

-… e poi salì sul treno inaspettatamente! –
– Il solito Ciro! –
-..non mi sarei mai aspettata una cosa del genere! Poi quel giorno ero pure un disastro… –

Seduta sul mio letto, Francesca snocciolava i risvolti più minuziosi del nostro primo incontro. Marta e Cristina bramavano dettagli come se si fossero perse la più importante delle puntate di una telenovela. Avevo condiviso con parecchie serate con le mie amiche e avevo sempre mostrato il mio lato duro. Ora per loro, venire a conoscenza del mio lato “tenero” era un’occasione unica.
-… e poi? –
– Poi quello stronzo fece anche l’offeso! Se né andò nell’altra carrozza! –
– Che scemo… –
– Dovetti rincorrerlo… –

Alla scrivania invece, Marco mi stava mostrando l’ultimo video più cliccato della rete. Ne conosceva una più del diavolo quel ragazzo. Osservai il video divertito, quando improvvisamente entrò in camera Enrico. Sentii un rumore inconsueto, di suole di gomma dura, provenire esattamente dai suoi piedi. Con tono indagatore chiesi:
–       Enrico, dove hai preso quelle ciabatte? –
–       Boh… non so… erano di là. –
–       Di là dove? –
–       Nella camera del tuo coinquilino! –
–       …ai piedi del suo letto immagino… –
–       Precisamente… –
–       Togliti immediatamente quelle ciabatte!! – gli urlai.
Enrico tornò nell’altra stanza borbottando. Marco rise alzandosi dalla sedia per seguirlo. Lo fermai sulla porta chiedendogli il perché abbandonasse la nostra sessione di video a caso. Mi rispose: – Anch’io indosso qualcosa del tuo coinquilino… ma non saprai mai cos’è! –
Non volli saperlo e lo lasciai andare di là sperando che quei due non combinassero altri guai.
Mi diressi in cucina. Qualcuno doveva pur fare i doveri domestici. C’erano pentole e piatti accumulati nel lavello da più giorni. Mi rimboccai le maniche controvoglia e scardinai la montagna, piatto dopo piatto.

Tornato in stanza, notai Marco confabulare qualcosa con la mia ragazza. Appena accortisi della mia presenza, mi fissarono silenziosi. Trattennero a stento un risolino malizioso.
–       Che combinate voi due! –
–       Niente… –
Guardai in giro sospettoso. Quei due non la raccontavano giusta. Alzai lo sguardo e scoprii l’arcano. Sulla maglietta del mio cantante preferito erano spuntati due baffi artificiali.
–       Che cosa avete combinato! – dissi, prendendo una sedia per rimuovere il pezzo di carta. Quando però, avvicinai la mano alla maglietta appesa al quadro, notai che, dopotutto, non stavano cosi tanto male, sorrisi e scesi dalla sedia.  Guardai ancora la maglietta con aria divertita.
–       Li toglierò quando ve ne andrete via! –
Dissi, ma quei baffi appesi maldestramente alla faccia del mio cantante, stettero lì per molti anni a seguire.

Storia di una casa (#32)

2006/2007

– 32 –

Silenziosamente entrò in casa una figura dai tratti femminili. Si aggirò tra le stanze dell’appartamento in apparente ricerca di qualcosa. Il mattino era appena spuntato e la luce del sole volava basso, convogliata da tapparelle semichiuse. In una mano, stringeva un sacchetto di carta bianca che scricchiolava a ogni suo movimento. Vide davanti a se la porta della mia stanza. Accarezzò la maniglia, ma un istante prima di aprirla, si bloccò, come se le fosse venuta in mente qualcosa e, curiosa, si diresse verso la camera di Francesco. Ovviamente Francesco non c’era, ma al suo posto poté ammirare quattro ragazzi arrangiati alla meglio in tre letti. Vide Enrico, il più fortunato di tutti, che da solo occupava un letto intero, tutto per sé. Non potevano dire lo stesso Marta e Cristina, poco più in là, costrette a dividere un letto in due. Vicino alla porta, invece, sopra un divano cigolante, c’era Marco avvolto in una coperta di lana. L’oscura ragazza sorrise alla simpatica scena dell’accampamento domestico e lentamente uscì dalla stanza senza farsi sentire. Ritornò sui suoi passi lentamente, in modo che le scarpe non risuonassero sul pavimento. Tornò alla maniglia e questa volta l’aprì decisa e, come il siparista di un teatro, scoprì la scena tanto attesa. Subito i suoi occhi corsero al mio letto, si arrampicarono sul piumone rosso, per poi adagiarsi sul mio viso. Si avvicinò, domandandosi ad ogni passo sé stessi realmente dormendo. Sentii un peso appoggiarsi di fianco e poco dopo una mano carezzarmi la guancia. – Buongiorno Amore… – mi sussurrò all’orecchio.
A quel punto mi svegliati. Aprii gli occhi fulminandomi la retina con la luce del mattino.
–       Amore? – chiesi spaventato. Mi voltai e vidi lei: la ragazza misteriosa era Francesca.
–       Come hai fatto a entrare? – chiesi sfregandomi un occhio.
–       Hai dimenticato di chiudere la porta… –
Mi grattai la testa ammettendo che la sera prima avevamo sorvolato su molte imprudenze. Ma la conversazione con Francesca non era finita perché, improvvisamente, mi afferrò un orecchio e iniziò a torcerlo con violenza. – Perché non hai risposto al telefono ieri sera?! –
–       Ahia! Ahia! Non l’ho sentito! Ahia! –
–       Certo! Che cosa stavi facendo? –
–       Se te lo dicessi, non ci crederesti… –
Per la gioia del mio orecchio mi lasciò andare. Vedendomi dolorante, mi diede un bacio a mo’ di scuse e mi porse il sacchetto bianco.
–       Ci sono dei cornetti dentro. Ne ho presi 5… siete in 5 giusto? –
–       Sì… siamo cinque. Sono tutti nella stanza di Francesco. –
Svogliato e sonnolento mi alzai trascinando inavvertitamente un lembo delle lenzuola. Il letto non voleva lasciarmi andar via. Andai verso la stanza in cui dormivano i ragazzi.

–       Sveglia ciurmaglia! – esclamai.
Seguirono mugugni e rantoli di vario genere. Nessuno sembrava intenzionato ad alzarsi.
–       Ci sono i cornetti… – proseguii sventolando il sacchetto bianco.
Ad uno ad uno i piccoli occhietti dei miei amici sbocciarono come fiori a primavera. Mi fissarono per controllare l’esistenza effettiva dei cornetti e dopo averla valutata plausibile, lentamente, si alzarono.
Presentai i miei amici a Francesca aggiungendo che era stata lei a portare le brioches.
–       Grazie Francesca… non dovevi… ce n’è uno alla crema? – disse Marco con il suo solito charme. Anche Enrico non fu da meno, fiondandosi subito a rovistare nel sacchetto dopo una fugace presentazione.
–       …E queste sono Marta e Cristina… – dissi timoroso delle conseguenze.
Invece, Francesca si mostrò subito affabile e cordiale. Cristina era partita con un discorso impostato sullo scusarsi dell’improvvisata in casa mia. Marta continuò col dire che non erano a conoscenza del mio status di fidanzato né tantomeno che avessi una ragazza lì a Milano. A quel punto tutte e tre, si girarono e mi guardarono male.
–       Non gli avevi ancora detto che sei fidanzato?! – sbottò Francesca velatamente incitata dalle altre due.
Non c’era niente da fare, toccava solo arrendersi. La solidarietà femminile aveva ancora una volta scaricato la colpa sul solito maschio di turno. Mi svincolai con una mossa repentina, fiondandomi nel porto sicuro dei miei amici maschi, ancora intenti a mangiucchiare il cornetto.

Storia di una casa (#31)

2006/2007

– 31 –

– Tenetelo! –
– Dai Marco su! Non fare il difficile! –
– Voi siete i miei migliori amici… –
– Si Marco… certo… tutto quello che vuoi… ma adesso torniamo a casa! –

L’ascensore non tardò ad arrivare. Enrico ed io, ficcammo alla meglio Marco all’interno. Marta e Cristina preferirono aspettare a salire. Per mancanza di spazio, fu la loro scusa ma era evidente che non volevano stare troppo vicine a Marco che era diventato ingestibile. L’alcool ci aveva mandato tutti un po’ su di giri ma lui quella sera aveva esagerato oltre ogni modo. Arrivammo al piano, cercando difficilmente di tenere in piedi Marco che non voleva saperne di restare schiacciato contro la parete dalle nostre mani.
Aprii le porte e feci segno ad Enrico di portarlo fuori. Marco sembrava disorientato. Guardava la luce dell’ascensore vaneggiando su strane ipotesi di morte. Enrico lo spinse fuori ma inavvertitamente un lembo del jeans gli s’incastrò nelle porte e Marco rovinò al suolo. Fu fortunato però, davanti a lui c’ero io che gli avevo attutito la caduta.
–       Aiutami Enrico! Aiutami! –
I miei lamenti si diffusero come un tuono nella tranquillità notturna del pianerottolo del quinto piano. Enrico accorse redarguendo un Marco assente. Mi rialzai e cercai le chiavi nella tasca. Dopo averle trovate con qualche difficoltà, tentai di infilarle in una delle due porte che vedevo davanti a me. Stranamente la chiave non girava. Dietro di me, si aprirono le porte dell’ascensore e comparvero le ragazze.
–       Ciro, perché stai cercando di infilare le chiavi nel campanello? – disse Marta ridendo.
–       Oh… ecco perché… –
Mi aiutò a trovare la serratura e finalmente entrammo in casa. I problemi però non erano finiti. Marco stava diventando irrequieto. Era finita la fase del “vedo la luce, vai verso la luce” ed era passato al “Dov’è l’alcool! Dove cazzo è l’alcool!”
Enrico lo teneva a stento. Anche lui era brillo dopotutto. Le ragazze cercarono di farlo ragionare. Specialmente Marta, sua sorella.
–       Voglio un’altra pinta! Signorina, una bionda doppio malto, grazie! – chiese Marco in
preda al delirio. Marta lo schiaffeggiò e gli ordinò di smetterla.
–       Ahia! Ma in questo locale si trattano così i clienti?! –
–       Marco… sei a casa mia! – gli dissi pacatamente.
–       Siamo già tornati a casa?! No! Adesso scendo e mi cerco un bar più gentile di voi! –
–       Smettila Marco!  Sei ubriaco! Se vuoi c’è un po’ di Jack Daniel’s in cucina… – risposi,
incosciente di aver commesso un grave errore. Marco non doveva bere più e gli avevo appena detto dove trovare dell’alcol. Tutti mi fissarono in silenzio, anche Marco. Il tempo sembrò bloccarsi per un secondo. Sembrava uno di quei duelli western, dove vince chi estrae per primo la pistola. Marco scattò dalla sedia e corse in cucina alla ricerca della tanto amata bottiglia di Jack.
–       Prendetelo! – urlò la sorella.
Ci fiondammo tutti in cucina e lo trovammo a rovistare negli stipetti come un barbone fa con i cestini dei rifiuti.
–       Bingo! – disse appena vide il suo “tesoro”.
–       Cazzo l’ha trovata! Prendiamolo! –
Marco nascose la bottiglia sotto la maglia e corse fuori dalla cucina. Lo rincorremmo per tutta la casa. Sembrava più in forma di noi. Le ragazze gli sbarrarono la strada per la stanza da letto e noi lo accerchiammo da dietro. Lui, sentendosi in trappola, tirò fuori la bottiglia e tentò di berla. Glielo impedimmo e gli strappammo via il Jack. Marco iniziò a scalciare mentre Enrico lo teneva per le spalle.
–       Fermo Marco… Fermo! –
Non c’era verso di farlo smettere. Finché non mi venne un’idea. Andai in bagno e ritornai con il cordoncino dell’accappatoio. Guardai Enrico e dissi con decisione: – Leghiamolo! –
Con molta fatica lo trascinammo a sedere su una sedia in legno della casa. Enrico lo teneva fermo, mentre gli fermavo le mani dietro lo schienale. Quando finii di annodare Marco iniziò subito a cercare di liberarsi.
–       Dai ragazzi! Si trattano così gli amici? – disse, cercando d’impietosirci.
–       Sì! Quelli molesti si legano alle sedie! –
–       Volevo solo farmi l’ultimo bicchierino… –
–       Per stasera basta! –
–       Ok… ma adesso devo andare in bagno… –
–       Certo… ed io ci credo! –
–       Se non credi a me, tra poco crederai alla pipì che si diffonderà sul pavimento della tua stanza da letto! –
Mi consultai con Enrico e giungemmo alla conclusione che, il nostro amico, era abbastanza decerebrato da poter compiere un’azione tanto estrema quanto quella di urinarsi addosso.
Lo slegammo e lo scortammo alla porta del bagno come un detenuto di massima sicurezza.
Chiudemmo la porta e tornammo in stanza. Le ragazze non erano tanto avvezze a questo genere di cose e iniziarono a preoccuparsi. Le tranquillizzammo raccontando qualche passata esperienza adolescenziale simile a questa, dove tutto, alla fine, si era risolto con un gran mal di testa mattutino.
Improvvisamente:
–       Aiuto! Aiuto! – sentimmo urlare dal bagno e accorremmo tutti.
–       Marco! Ti senti bene? Marco? – dissi, attraverso la porta chiusa.
Vedendo che Marco non rispondeva iniziammo a domandarci se abbattere la porta o meno poiché era chiusa a chiave dall’interno. Poteva essere successo di tutto e il nostro amico poteva essere in gravi condizioni. Le ragazze dietro di noi, cominciarono a spaventarsi. Specialmente Marta, la sorella, che continuava a chiamare Marco in attesa di risposta.
–       E se fosse svenuto?… –
Improvvisamente sentimmo dei rumori provenienti dalla mia stanza da letto. Tornammo velocemente tutti lì e sorprendemmo Marco mentre tentava di arrivare alla bottiglia di Jack che avevo prudentemente piazzato in alto, sopra una libreria.
–       Gran figlio di una… vieni qui!! –
Lo rincorremmo, lui scappò sul balcone e tornò in bagno attraverso la finestra dalla quale era scappato. “Che mente diabolica!” pensai sorridendo.

Dopo circa un’ora di corse e rincorse, la situazione si calmò. Riuscimmo ad impedire a Marco di vuotare la mia bottiglia di Jack. Ci abbandonammo tutti sui nostri letti, io nella mia stanza e i miei amici in quella del mio coinquilino momentaneamente assente. Come l’avrebbe presa Francesco se avesse visto la sua stanza invasa di ragazzi? In quel momento però, tutte le preoccupazioni riguardo l’ordine e il rispetto delle cose altrui erano annegate in circa un litro di birra che avevo in corpo. Le palpebre erano diventate pesantissime. Colpa forse, dell’attività ginnica che Marco ci aveva costretto a fare. Chiusi gli occhi sperando in una notte tranquilla anche se, in lontananza, avvertivo un fastidioso ronzio che la rovinava.
Era il mio cellulare, ma ormai, ero già tra le braccia di Morfeo.

Storia di una casa (#30)

2006/2007

– 30 –

Cristina non sapeva che fare. Aveva sentito tutta la mia conversazione telefonica. Forse non s’era mai trovata nella situazione di essere la causa di litigio di una coppia. Restava immobile, con i suoi occhi azzurri fissi su di me. Tentennò qualche parola di cortesia e di sincero rammarico.
–       Ciro, mi dispiace… se posso fare qualcosa… –
–       Tranquilla… non è colpa tua… –
–       Non dovevamo venire qua… –
Qualche secondo dopo, comparì Marco alle spalle della ragazza che, col suo fare sempre inopportuno mi chiese:
–       Cì, ma perché, in bagno, al posto dello sciacquone c’è una maniglia? –
Sorrisi scuotendo il capo. Diedi un ultimo sguardo a Cristina cercando difficilmente di rassicurarla sull’accaduto e accompagnai Marco in bagno per svelargli l’oscuro mistero. Cristina ci seguì, ma all’ultimo svoltò per la camera da letto.

–       Vedi Marco, si fa così. – gli dissi girando la maniglia dello scarico.
–       Oh… come siete strani qui “alNord”. –
–       Beh… diciamo che è più comodo… –
–    Sì certo… ma io preferisco il sano e vecchio bottone! Non so… vedere tutta quell’acqua che scende in un colpo solo è come se completasse il mio senso di liberazione! –
Guardai Marco pizzicandomi il mento e dissi in modo serio ma ironico:
–       Le tue argomentazioni non sono del tutto trascurabili! –

Uscimmo dal bagno e tornammo in stanza dagli altri. Le ragazze nel vedermi, smisero di parlare tra di loro e mi fissarono. Marta aveva appena appreso dall’amica Cristina i risvolti della mia breve telefonata tra me e la mia fidanzata. Aveva sicuramente chiesto a lei, che mi conosceva da più tempo come avrebbero dovuto comportarsi in quella strana situazione.
Mi sedetti su una sedia e fissai il cellulare per ignorare i loro sguardi pesanti.
–       Ciro… – Marta ruppe il silenzio. – Se è un problema restare qui, andiamo via… –
–       No ragazze, non ci pensate nemmeno! – risposi di getto.
–       Ma che sta succedendo? – chiese Marco stranito.
–       La ragazza di Ciro s’è incazzata perché noi siamo qui… –
–       La tua ragazza è gelosa di loro due?!? Ma come si fa? –
–       Sei sempre un gentiluomo, Marco! – disse una delle ragazze.
–       …Senza offesa! – aggiunse Marco un po’ in ritardo.
Discutemmo a lungo della faccenda. Ognuno propose la propria soluzione. I miei amici sembravano più ansiosi di me di risolvere la situazione. Marco continuava con la tesi, sempre più inopportuna, che non si poteva essere gelosi di Cristina e Marta. Io contraccambiavo con l’assioma assoluto dell’impossibilità per una ragazza di non essere gelosa di un’altra donna. Era una situazione di stallo e le situazioni di stallo si risolvevano con:
–       Falla venire qua… – disse Enrico, che fino allora aveva solo ascoltato i nostri discorsi.
Tutti lo fissammo come credo che fissarono Alessandro Volta quando mostrò la pila ai suoi amici scienziati.
Era una buona idea. Magari Francesca, conoscendo le ragazze, e vedendo il rapporto che avevo con loro, poteva tranquillizzarsi. Erano solo delle amiche in fondo, ed anche di vecchia data. Non c’era da allarmarsi. Così le mandai un messaggio invitandola a venire da me. Ovviamente non rispose. Pensieroso mi abbandonai sul letto.
Poco dopo, Marco, mi pizzicò una spalla.
–       Cì, allora? –
–       Non risponde… –
–       No, intendevo, dove si va stasera! –
–       Dove volete… –
–       Andiamo in un pub e ci sbronziamo di brutto… Visto che ora hai anche un bel motivo per farlo! –

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