Diario #4

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Ho scovato tra i miei ricordi questo corto dal titolo “il Sorriso di Diana”.
Questo video ha ispirato lo stile narrativo di molte delle mie storie…
Lo vidi all’incirca nel 2005 e lo salvai sul pc…

Buona visione (astenersi se insettofobici)

 

“Incapace di muoversi, di reagire, lui, il più coraggioso tra tutti si sentiva spento, inutile. I suoi pensieri erano scossi e agitati come le onde spinte contro la scogliera dalla forza terribile di un uragano, il cui fragore era una ripetuta ed ossessiva domanda: “Perché, perché non mi ha ucciso?”.

E come tutti gli innamorati volle sognare. Negò qualsiasi evidenza, ingigantì casualità, vide oltre la logica e soprattutto si illuse. La passione si nutre di certezze e disdegna i dubbi.

Nessuno avrebbe potuto risvegliare Agenore. Nessuno, eccetto la cruda realtà.

Fu buio e luce. Il caldo ed il gelo. Fu il niente ed il tutto. Un gioco troppo esagerato e spietato perché il cuore di Agenore potesse contenerlo senza esplodere. E se i ragni possono piangere, lui piangeva. Piangeva perché l’amore sa anche far male e le ferite che lascia solo il tempo a volte può guarirle. Ma Agenore non aveva più tempo.

A cosa importava il passato? Era stato un valoroso e nobile guerriero. Ora non era più nulla. Amava e basta. Ma quanti amori sono appassiti e quanti non sono neppure sbocciati a causa di culture troppo diverse, di come alti picchi creano una innaturale barriera al volo dei sogni?

I sogni di Agenore volavano via come i sentimenti incompresi, come accade alle nostre emozioni quando calpestiamo, quando veniamo calpestati nel gioco dell’amore che a volte ci fa uomini e a volte ci rende insetti”…

Diario #1

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La penna dondolava nella mia mano mentre la mente ricercava la soluzione più ovvia per un problema statistico. – Eccolo! Maledetto segno! Sbaglio sempre le cose più banali! Non c’è niente da fare..-
Mi alzai un attimo per staccare dallo studio. Fuori il sole splendeva e la mia moto parcheggiata lì sotto ringhiava come un cane legato da troppo tempo.
Poi lo sguardo cadde sulla mia libreria. Tra i tanti libri accatastati e messi alla rinfusa per mancanza di spazio, mi capitò sottomano una vecchia agenda blu.
La presi e mi sedetti a gambe incrociate sul letto. Sfoglia le pagine; la maggior parte erano vuote; qualcuna, con qualche frase scarabocchiata a penna; qualche disegno… Poi, ruotandola verso il basso, cadde un piccolo foglietto. Era una pagina di un vecchio diario di liceo. Lessi:

bigliettino Carmelina

 

Quello fu l’ultimo giorno che passai in quella scuola. Carmelina, la mia compagna di banco, non lo sapeva.
Avevo scelto di trasferirmi in un’altra. Non vidi più Carmelina… o Luca… o Armando… o Michele…
E non ci volle molto a capire che… avevo appena compiuto l’errore più grande della mia vita.
Avevo lasciato una classe si problematica, ma con persone che mi volevano bene, per buttarmi in un mondo sconosciuto.
Ciò… mi devastò psicologicamente. Avevo perso tutto. Gli amici… i professori…
A quel tempo volevo cambiare vita…
E purtroppo c’ero perfettamente riuscito…

Frugai ancora nell’agenda. In una delle tasche laterali trovai una pagina di un blocco note. Sopra avevo riversato qualche riga:

 

“Coppie di banchetti disposti su tre file, riempivano la lunga aula della 4C del liceo scientifico di …. I raggi del sole che penetravano dalle 3 grandi finestre sulla sinistra, illuminavano le pareti di colore giallastro. Proprio sopra la cattedra era appeso un piccolo crocifisso, a testimonianza di quella fede che molti non avevano. Quella mattina fui il primo a entrare in quest’aula sconosciuta.
Non conoscevo nessuno…
Era la priva volta che entravo in quel liceo.
Tutto sembrava perfetto. Nessuna cartaccia per terra, nessun distributore sfondato, nessun graffito sul muro…
Tutto era perfetto… forse troppo!
[….]
La macchinetta del caffè iniziò a trafficare, facendo strani rumori. Dopo all’incirca 30 secondi, il caffè era pronto e fumante. Tornai nella mia classe ancora vuota, soffiando su quell’intruglio bollente. Mi affacciai alla finestra. Il paesaggio era ben diverso da quello del mio vecchio istituto. Non c’era più il fatiscente campo da calcetto, dove erano soliti radunarsi i ragazzi per la solita partitella extra-scolastica.
Di fronte a me avevo un’altra parte dell’istituto che non mi lasciava molta visuale del panorama. Un malinconico sorriso comparse sul mio volto, pensando alle ragazze del commerciale che passeggiavano indisturbate sotto la mia vecchia aula. Erano solite corteggiare i liceali con sguardi non poco maliziosi…

Un rumore sordo mi fece girare di scatto. Quello che doveva essere un bidello, aveva appena poggiato con poca cura il registro sulla cattedra.
– Tu sei quello nuovo? –
– Sì… –
– Sei capitato proprio nella sezione migliore! – disse ironica e se ne andò.

Poco dopo suonò la campanella.
E una folla di ragazzi entrò dalla porta principale…”

Era l’ottobre del 2004…

 

 

Galleria d’Arte ##33

Down Brown Libri

Fantastico, come sempre…

Scrivere…

si ricomincia…

(buffo, come a volte un’immagine dica più di quello che si vuol comunicare)

Galleria d’Arte ##21

Il cervello umano è una macchina così complessa, così perfetta, così inspiegabile che a volte va temuta. Alcuni dedicano questo straordinario marchingegno naturale, alla violenza. Uccidono, torturano e violentano con cognizione, nella maniera più spietata.
Altri invece, spinti anche da un qualcosa che chiamiamo anima, dedicano le proprie facoltà a un buon fine. Osservano, studiano, creano… danno il meglio per raggiungere un obiettivo che non appaghi solo se stessi, ma l’intera umanità.
Realtà…
E se questo potere potesse essere amplificato? Migliorato… gestito a pieno. Quali poteri potrebbe avere un essere super intelligente?
Passare dalla mediocrità di una vita comune al top della migliore civiltà. Sentirsi carichi ogni giorno… senza paure o timori. Affrontare con tenacia ogni ostacolo, ogni imprevisto. Avere il pieno controllo del proprio corpo… e della propria anima.
Fantasia…
E se potesse diventare realtà grazie a una spinta, una droga. Un farmaco particolare; studiato per aumentare la percentuale d’utilizzo del nostro cervello; che, come sappiamo bene, resta bloccato al 20%.
Sarei sicuro che questa sostanza sarebbe ambita da molti mille volte più dell’oro. E quando un qualcosa diventa così estremamente raro, l’indole umana abbandona ogni limite alla malvagità delle azioni che potrebbe compiere. Saremmo capaci di passare dal bene al male con la stessa facilità con cui cambiamo canale della tv. Il mondo si mescolerebbe come una soluzione chimica assumendo i volti più spregevoli e le astuzie più cattive.
Possibilità
Per fortuna tutto ciò è stato solo il parto di un bravo regista e dello scrittore di una bella trama. Tutto però si basa su un qualcosa di vero. La smania e il desidero di avere anche solo un pizzico di quelle capacità. Compreso me… forse uno dei più pazzi. Dei più scellerati drogati di energizzanti, anfetamine e integratori. Ho devastato il mio corpo con ogni genere di sostanza, per avere quel briciolo di potere. Non sugli altri, ma su me stesso, la persona più intransigente che conosca.
Concentrazione, riflessi, istinto erano i miei obiettivi… e per essi avrei fatto di tutto. Dimenticando ogni mio limite, volendo sempre di più. Quello che per altri era troppo per me era la normalità. E la normalità mi annoiava fino a spingermi a osare, a volere, a toccare un confine immaginario quasi letale. Per poi uscirne con violenza, di netto, senza guardarmi indietro, per non ricadere.
Che sia stato uno sbaglio ancora non so dirlo…
Ma ci sono stati dei momenti in cui sono stato
maledettamente bene…

(Dal film: Limitless)

Storia di una casa (intro.)

 

Introduzione

Negli anni dell’università, divisi in lunghi mesi passati a ottenere una sudatissima laurea, condussi la mia vita in un piccolo ma discreto appartamento nella zona est di Milano. Il tempo, nonostante la sua estenuante lentezza, sembrò volare in un soffio; e la mia vita, come una piuma in assenza di vento, smise di volteggiare nell’aria e si poggiò al suolo. Un suolo fantastico e per anni solo sognato. Quella città tanto in vista e tanto in alto nelle cartine che da piccolo non riuscivo nemmeno a indicarla, ora era mia.
Non ho mai saputo se fosse stato un errore o meno sradicarmi dal suolo materno. Forse le cose sarebbero state diverse, ma di certo non avrei acquisito tutta quell’esperienza che ora mi permette di affermare di essere totalmente indipendente. E tutto grazie a un desiderio avverato: una nuova città e una nuova casa.
Ma non fu tutto rose e fiori. I periodi brutti e quelli belli si alternarono come i tasselli di una scacchiera. La vita mi riservò strane sorprese, a volte quasi incomprensibili. Sembrava che qualcuno stesse giocando con il mio destino; che volesse farmi tentennare sulle mie decisioni. Assurdo… ma sottilmente vero; e ve ne accorgerete leggendo questa storia. Una storia che racconta di una casa e tutto ciò che avvenne al suo interno negli anni a seguire. Una storia che non sconfinerà mai il portone d’ingresso. Perché attraversato il quale, tutto cambierebbe, gli orizzonti si allargherebbero e con essi la storia in sé perderebbe di significato.
Questo sarà il solo confine delle mie parole. Le mie frasi si fermeranno sulla soglia di un verde portone d’ingresso e non usciranno mai….
E perché uscire, se tutto quello di cui ho narrativamente bisogno è successo lì?

 

 

 

Galleria d’Arte ##2

 

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Si viene si va… cercandoci un senso (I)

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Scesi dalla macchina e sentii l’inconfondibile rumore delle pietruzze del vialetto davanti casa.
– Graziano, aiutami con la valigia… –
Mio fratello sembrava contento di vedermi, anche se non mostrava nessun segno di gioia… ma già aver accompagnato papà per venirmi a prendere alla stazione di Napoli voleva dire molto. Era una dura impresa sopportare papà da soli in macchina. Con lui invece la sopportazione s’era dimezzata.
– Mamma! – urlai appena entrai in cucina.
Mamma non c’era. Poggiai il mio trolley nella mia ex camera. Sentii dei passi e poi comparve una quarantenne con i bigodini in testa e gli occhiali da vista sul naso.
– Mamma! –
– Figlioletto mio! – disse sarcastica. L’abbracciai.
– Hai fatto un buon viaggio? –
– Certo! Un ottimo viaggio! –
Mio padre andò a sedersi in cucina. Entrai per mettere il cellulare sotto carica.
– Senti qua, giovanotto, anche quando non ci sei fai qualche danno! –
Guardai il soffitto leggermente terrorizzato.
– Che sarà mai! –
– M’è arrivata una carta dell’autostrada… dice che sei passato sotto un casello senza pagare… –
– Mha… non so come sia successo! – Ovviamente lo sapevo, ma era inutile star lì a raccontare favole o assurde verità.
Tornai in camera mia. Finalmente anche Davide si fece vedere. I suoi capelli crescevano sempre di più e lui non accennava a tagliarli.
– Ciao Davidù! –
– Ciao scemo. –
Mamma ci vide mentre ci salutavamo.
– Ciro, chiedigli scusa… – disse e se ne andò.
Sapevo a cosa si riferisse. tutti gli anni: per un motivo o per un altro mi dimenticavo sempre del compleanno di mio fratello.
– Scusami Davide! Lo sai che non lo faccio apposta! –
– Sese… però quello di Graziano te lo ricordi! –
Presi il mio giubbotto di pelle e tornai nel vialetto. Con le chiavi cercavo di aprire la Fiat Idea di mia madre, ma ero troppo lontano. Papà mi vide e mi chiese dove andassi.
– Da Antonio papà… devo tagliarmi i capelli… –
Misi le mani sul volante. Girai la chiave e il motore si accese. Quando non guidi da tanto ti senti onnipotente. Hai quella sensazione elettrizzante che ti porta la velocità di un mezzo che si muove più veloce delle tue gambe e, soprattutto, che comandi tu!
Colpo di retromarcia ed ero già in strada. Mariella mi fece uno squillo. La richiamai mentre con l’altra mano reggevo il volante.
– Ciao Mariè! –
– Ciao scemo… –
– Come va? –
– Male… ho la febbre… mi sa che non possiamo vederci… –
Non vedevo quella ragazza da almeno sei mesi, ma ci sentivamo spesso.
Mentre la consolavo mi venne un’idea. Accelerai per fare in fretta. Feci una curva a pelo del muro della Griglia. Superai un paio di macchine e…
– Affacciati Mariè… così ti saluto… –
– Ma come affacciati?! Ho la febbre! Sono in pigiama… ho… –
– Affacciati!! –
Ero sotto casa sua. Si affacciò alla finestra e la intravidi. Aveva un pantalone bianco e una maglietta rossa. Mostrarsi così era una dura prova per lei… una ragazza che non esce se non ha i capelli in ordine o le giuste scarpe. Mi salutò agitando la mano mentre le parlavo al telefono.
– Ciao scema! –
– Ciao scemo… –
– Ora scappo! Stammi bene! –
Click

Le delicate mani di Antonio inforcavano forbici e pettine. Era molto bravo nel suo mestiere. Così bravo che poteva farlo ad occhi chiusi. E infatti ogni tanto, staccava gli occhi dalla mia testa per osservare chi passava in strada dalla sua porta a vetri.
Mi guardavo allo specchio. Stavo cambiando volto. Era da 3 mesi che non tagliavo i capelli e la mia cresta era cresciuta un po’ troppo, lasciando svanire la mia aria da serio studentello.
Franco, il secondo barbiere, si avvicinò.
– Ma l’hai saputo di quel vecchio investito? –
– No! Quando è successo? –
– Verso le tre di oggi… c’era un casino di gente! Tutti fermi a guardare… –
– Sta gente proprio non riesce a farsi i cazzi suoi! E chi è stato? –
– Non si sa! Uno della zona però… si dice che correva… –
– Corrono sempre con ‘ste macchine! –
Sorridevo, guardando la scena dallo specchio. Pensavo che se ci fosse stato un sito Ansa del nostro paese sarebbe di certo stato meno aggiornato del mio barbiere. Quando vado da lui involontariamente mi faccio una cultura su gossip locali, morti, news bizzarre e, se per caso mi capita di andare nel fine settimana, non posso sfuggire all’immancabile resoconto delle partite di calcio.
La Gazzetta dello Sport, buttata sui divanetti blu, non manca mai.
– Ciro, quando sei sceso a Milano? –
– Un’oretta fa sono arrivato alla stazione di Napoli… poi papà m’è venuto a prendere… e sono corso subito a tagliarmi i capelli perché in settimana non ci sono… –
– Ah davvero? Dove le passi le vacanze? –
– I miei genitori festeggiano 25 anni di matrimonio, e hanno organizzato una vacanza sul lago di Garda… –
– Ah bene bene, e che giorno è l’anniversario? –
– Il 20… –
Antonio smise di tagliare i capelli sorpreso dalla mia affermazione.
– Il 20? –
– Sì il 20, mercoledì… –
– Io e mia moglie festeggiamo 20 anni il 20… –
Antonio sorrise e chiamò suo figlio. Il ragazzetto sbucò da chissà dove.
– Vai a prendere una lacca per capelli e mettila in quella busta… – poi si rivolse a me:
– Questa la dai a tua mamma e le fai gli auguri da parte mia. Poi se riesco la chiamo… –
– Grazie Antò, sempre gentilissimo! –
Antonio mi tolse la copertina che copriva i vestiti e mi spazzolò con la spazzola al talco. Mi osservai soddisfatto allo specchio, mentre anche lui mi osservava e annuiva col capo. Gli feci un sorriso per rassicurarlo della riuscita del lavoro.
Presi il giubbotto dallo stanzino e pagai Antonio.
– Ciao Antonio, grazie! –
– Saluti a casa! –
Mi diressi a passo svelto verso la macchina. Non serviva nemmeno che la cercassi. Era l’unica parcheggiata trasversalmente sulle strisce: proprio non ho pazienza con i parcheggi. Salii in macchina e partii.
Presi il cellulare e cercai Enzo nella rubrica, mentre con un occhio controllavo il traffico davanti a me.
– Pronto, Enzo! Allora che si fa stasera? –
– Ciruuu, ci manchi solo tu! Io ho dato già un paio di botte al Pampero… –
– E no, Enzo! Non si fa! È maleducazione non aspettare gli amici! –
– Scusa scusa! Allora a che ora vieni? –
– Ceno con i miei e poi parto… ci vediamo da te verso le 22 –
– Ok, dai che stasera ci divertiamo! Ah a proposito! Sulla strada che devi fare, ricordati che… –

Ci si legge.. (25 marzo 2011)

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18.30

Ero seduto in metro. Ero seduto e avevo un libro tra le mani.
Era ancora chiuso nella busta rossa della Feltrinelli. Lo rigiravo e tastavo la sua forma come per cercare di capirne il contenuto che già conoscevo. Mi guardavo in giro. A fianco a me dormiva un ciccione e dall’altra parte un giapponese giocava col suo cellulare. Di fronte, una signora dal naso sottile e i capelli castani mi guardava di sfuggita.
No… lei non va bene… pensai.
Mi alzai e scesi alla fermata successiva. Stavo girando casualmente per Milano. Non avevo una meta precisa… ma solo un obbiettivo. Dare quel libro alla persona “giusta”. Era la giornata del regala un libro a uno sconosciuto e quando mi fu proposto di partecipare ne fui entusiasta. Da un lato perché mi piace leggere e mi piace chi legge, dall’altro, perché mi piacciono le strane iniziative. C’è anche da dire che la vedevo come una sfida. Battere la mia misantropia e introversione. Uscire un po’ dagli schemi. Evadere dalla prigione della mia mente. Respirare la società e viverla con tutti i suoi difetti, le sue noie e le sue stupidità.
Potevo farcela? Beh.. ci stavo provando.
Arrivai al parco di Porta Venezia. Varcai il grande cancello e una ragazza dai capelli corti mi sfiorò mentre faceva jogging.
Lei poteva andare bene.. peccato che sia sfuggita via troppo in fretta!
Mentre camminavo osservavo le panchine. La maggior parte erano vuote.. mentre quelle piene erano occupate da coppiette che si scambiavano tenere effusioni.
Non posso di certo disturbarli!
Non c’era nessuno di particolare. Nessuno che m’incuriosisse. Nessuno che meritasse il regalo. Stavo per perdere le speranze. Scesi in metro e salii su quella che mi avrebbe portato verso casa. Guardavo il mio libro.
Possibile che sia così difficile fare un regalo?
Alzai la testa per vedere a che fermata ero arrivato e intravidi una ragazza in cappotto beige e leggings neri. Guardava distrattamente il soffitto. Certo, era carina ma non andava bene per me. Avevo paura che non avrebbe apprezzato il gesto.
Arrivò la mia fermata. Si aprirono le porte e mentre scendevo e mi dirigevo verso la mia rampa di scale, vidi una ragazza con la coda dell’occhio. Lasciai stare. C’erano molte altre persone. Così.. rassegnato e deluso mi apprestai a salire le scale per tornarmene a casa. Misi un piede sul primo gradino e qualcosa mi bloccò. Rimasi immobile per un istante, indeciso sul da farsi. Volsi la testa indietro come per istinto. Qualcosa mi attirava. Ora non so spiegarlo.. ma tornai indietro.
La ragazza di prima era seduta sulla panca di marmo della banchina. Sembrava stesse aspettando il mezzo successivo. Leggeva. Mi sedetti accanto a lei ma non troppo vicino. Le diedi una rapida occhiata. Era una ragazza molto semplice. I capelli ricci le cadevano sulla maglietta bianca attillata ma non troppo provocante. Leggeva un libro poggiato sulle ginocchia mentre con una mano mangiucchiava qualcosa da una busta di patatine. Il mio sguardo indagatore aveva dato il via libera all’azione. Quella ragazza era perfetta perché semplicità, spontaneità e naturalezza avevano avuto il segno di spunta sulla mia scheda immaginaria.
Ma mentre mettevo in ordine le parole da dire sentii il fruscio del vento che preludeva l’arrivo della metro.
Cavolo.. ora si alzerà.. salirà sulla metro e addio ragazza “perfetta”
La metro arrivò. Si fermò davanti a noi. Varie persone scesero e alcune salirono.
Abbassai gli occhi e li chiusi per un attimo. Mi stavo già immaginando mentre aprivo la porta di casa, poggiavo il libro sulla scrivania e mi buttavo sul letto deluso e amareggiato.
Aprii gli occhi e mi girai nella direzione della ragazza convinto di osservare il pezzo di panca vuoto, il cestino bianco della carta, la macchinetta del caffè, la mappa della…
Lei era ancora lì…
Leggeva il suo silenzioso libro e mangiava il suo snack rumoroso.
Questo è un segno del destino..
Feci un respiro profondo la guardai e:
– Scusami.. posso rubarti un minuto?-
Lei alzò la testa un po’ stupita.
– Certo.. dimmi..-
– Beh.. il libro che ho tra le mani devo regalarlo a una persona sconosciuta..-
Piccola pausa, lei fece un impercettibile e sincero sorriso.
-…partecipo a questa iniziativa che promuove la lettura. E quindi…. questo è tuo!-
Le porsi il libro.
– Ma dici davvero?..- mi chiese sorpresa della cosa.
– Certo! Tieni! Prendilo! È tuo!-
Lei lo prese e mi guardò. Non ancora aveva realizzato.
Le sorrisi..
– Beh.. allora ciao..- le dissi..
– Ciao..- mi rispose.. ma forse voleva sapere di più.
Mi allontanai senza voltarmi indietro. Mi sentivo sereno e sollevato, ma soprattutto felice di aver fatto qualcosa di buono. Forse quella ragazza leggerà quel libro, o forse no.. chi lo sa?
Voglio pensare in positivo… voglio pensare che al mondo ci siano ancora persone capaci di sognare e di sapersi raccontare.
Forse un giorno quella ragazza passerà anche di qui. Leggerà queste quattro frasi messe sbadatamente in ordine logico e si riconoscerà pensando che il mondo non sia poi così tanto infinito.

Ci si legge..

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