L’articolo 140 (parte VI)

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“Lo studente si girò disorientato. La cercava, ma aveva perso le sue tracce. Dov’era quella ragazza senza nome? Dov’era andata a finire? Non si perse d’animo e iniziò a correre, lungo il buio, verso l’infinito. Il paesaggio non esisteva. Tutto era nero intorno a lui… eccetto per quel corridoio di mattonelle sotto i suoi piedi. Niente mura ne ostacoli. Solo buio e pavimento. Cosa c’era alla fine del corridoio? Dove sarebbe arrivato? E soprattutto… era la strada giusta? Fece un passo in avanti ma una mano gli afferrò la spalla. Lo studente si girò di scatto e la vide. La mente si schiarì e tutto il buio si dipinse di toni accesi come a festeggiare la sua felicità. La guardò negli occhi. Quegli occhi limpidi e belli, così neri da riflettere i suoi. Non ci vollero parole per capire che entrambe le labbra desideravano un bacio.
E si avvicinarono con la lentezza di un respiro profondo… si sfiorarono… e…”

Biiiiiiip Biiiiiiiip Biiiiiip

– Ma chi cazzo è? – Con una mano tastai alla vaga ricerca del cellulare sul mio comodino. Caddero penne quaderni, fogli, libri… di tutto, ma quel dannato cellulare non c’era.

Biiiiiiip Biiiiiiiip

Ascoltai meglio e capii che il suono proveniva dalla tasca dei miei jeans. Infilai una mano in tasca e premetti il tasto di standby. I miei occhi erano ancora pieni di sonno. Crollai di nuovo sul cuscino cercando di riprendere quel magnifico sogno. Ma stavolta niente… era tutto perduto. Mi limitai ad oziare un po’ rigirandomi nel letto e rendendomi conto che avevo dormito completamente vestito. Afferrai un cuscino e lo schiacciai sulla testa perché Milano m’infastidiva con i suoi rumori da orari di punta.
– Voglio… svegliarmi quando voglio… da tutti i miei sogni… voglio trovarti sempre qui… ogni volta che io ne ho bisogno… – iniziai a cantare sotto il cuscino, ancora intontito dal sonno.
“Succeda quel che succeda… ma stamattina non mi va proprio di svegliarmi…”
Tolsi il cuscino dalla faccia e presi una gran bella boccata d’aria.
“Ma perché è scattato un alert se ieri non li ho impostati? Mha…” Dubbioso guardavo il soffitto e pensavo… Pensavo che la doccia era un ricordo preistorico ormai.
“E se non era un alert?” Sgranai gli occhi e tirai fuori all’istante il mio cellulare dalla tasca. Dalla fretta sbagliai più volte il codice di sblocco.
– Cazzo! Oggi è il 15! Devo dare l’esame!! E sono maledettamente in ritardo! –
Scesi dal letto e mi guardai intorno decidendo quale azione compiere per prima. Andai al pc ad osservare la borsa. Era un esame si… ma i soldi vengono sempre prima di tutto.
Male… molto male. Mi morsi un labbro mentre guardavo quelle quotazioni sprofondare sempre più in basso. – Perché? Ditemi perché!? – dissi nervosamente ad uno schermo muto. C’è sempre un perché nelle cose! Soprattutto in finanza! L’unica regola… è conoscerlo prima degli altri. Chiusi tutto e andai verso l’armadio. “Cosa mi metto? La solita mise da bravo ragazzo intellettuale e un po’ sfigato? Ai professori piace tanto… Naaa… che cavolo me ne fotte! Jeans strappati, maglietta nera, polsino, anelli, borchie e un crestone da paura!” Sembrava che dovessi andare a un concerto. Cercai il libretto universitario nella libreria evitando di calpestare i libri per terra e i frammenti di vetro del bicchiere. Misi tutto in una borsa e portai anche una Burn… “Non si sa mai…”

Scesi in strada e arrivai in piazza passando a malincuore davanti al Bar Bahia senza fermarmi. Alla mia destra c’era la metro… a sinistra la stazione dei treni. Guardai l’orologio sul cellulare.
“Non ce la farò mai! Sono troppo in ritardo! Ci vuole qualcosa di più veloce!”
Poco distante c’era una piazzola di taxi. – Bingo! – dissi avvicinandomi velocemente alla prima macchina in fila.
– Libero? –
– Certo… –
Salii in macchina e il tassista mise in moto chiedendomi la destinazione.
– Via…. –
Gli dissi il nome della via e lui per conferma mi chiese: – Dove c’è l’università? –
– Si certo! Sto andando proprio lì! –
– E scusami la domanda… ma ci vai in taxi all’università? – mi chiese.
– Guardi… è una lunga storia… e sono maledettamente in ritardo per un esame! –
Intanto che la macchina andava, cacciai dalla borsa i miei appunti di diritto. Li sfogliai rapidamente mentre il tassista accese la radio.
“Allora… questo lo so… questo anche… questo speriamo che non me lo chieda…”
Presi il cellulare e guardai l’orologio.
“Cavolo! Dai dai dai!” e mentre incitavo mentalmente l’autista focalizzai l’attenzione sulla radio.
Violente proteste in Grecia per la grave crisi che la sta colpendo. Numerose le persone davanti al parlamento che inneggiano alle dimissioni del governo. Il premier Papandreu però, opta per il rimpasto dei ministri, affidando a….
A quelle parole mi s’illuminarono gli occhi. “La Grecia… l’euro… crisi… ma certo!”
Aprii il programma di borsa sul mio cellulare. Mentre caricava pensai a ciò che stavo per fare… vendere!

Vendere in borsa, non ha sempre lo stesso significato che gli diamo noi comuni mortali. Il termine ci porta al concetto che “vendo una cosa che ho, a qualcuno” ma se quella cosa non l’avessi e la vendessi comunque? In borsa si chiama short selling. Ovvero, vendi ciò che non hai. L’unica regola è… che prima o poi devi comprare ciò che hai venduto sperando di comprarlo a un prezzo più basso e guadagnare sulla differenza.
Esempio: vendo a 100… il prezzo scende a 30 e compro = 70.

“Vendere vendere vendere!”
Puntai il massimo. Tutto quello che avevo… fino all’ultimo centesimo. Prima di premere invio pesai che una mossa contraria mi avrebbe polverizzato il capitale. Chiusi gli occhi… e schiacciai.
– Eccoci qua… – disse il tassista fermando la macchina. – Sono 14 euro e 30 –
Controllai il tassametro e aprii il portafoglio. Dissi addio ai miei tanto amati 15 euro.
– Tenga il resto… – dissi e scesi frettolosamente.
Entrai nell’atrio e corsi verso la bacheca per sapere in che aula dovevo andare.
“Aula 9”
Mi ci fiondai e spiai dai vetri prima di entrare. C’erano un centinaio di studenti disposti a caso nei banchi. La commissione non c’era ancora. “Bene!”
Entrai e mi sedetti. Tirai fuori i miei appunti. Volevo ripetere qualcosa ma non ci riuscivo. Chiusi il blocco e cacciai la mia Burn. Iniziai a bere.
Entrò la commissione dalla porta sulla destra. I professori sembravano allegri a giudicare dal loro parlottio cordiale. Si sedettero dietro le cattedre ed ognuno cominciò a chiamare il suo gruppo di studenti.
Accanto a me sedeva una ragazza. Era molto nervosa e continuava a ripetere e ripetere. Era rossa in viso e si sfregava le mani. Era ansiosa e vederla metteva ansia anche a me. Guardai la mia professoressa che esaminava un ragazzo. Non sembrava “cattiva” ma le sue domande a volte potevano esserlo. Il ragazzo tentennava. Biascicava definizioni a volte campate per aria. La professoressa sorrideva e riferiva all’assistente a fianco le minchiate che stava sparando il ragazzo. Non riuscivo a sentire bene, ma l’argomento era la magistratura. Infine la professoressa lo congedò restituendogli il libretto in bianco. Fu la volta di una ragazza. Questa andò un po’ meglio e il suo esame durò una ventina di minuti. Bevvi l’ultimo goccio della mia Burn. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla cattedra. Era il suo turno. Aveva un volto quasi terrorizzato come se la professoressa fosse stata una delle peggiori torturatrici uscite da un film di Tarantino. Matricole… Presi il cellulare e guardai l’orologio era quasi un ora che aspettavo. Aprii il software di borsa ma non feci in tempo ad osservarlo che sentii pronunciare il mio nome. Alzai la testa e risposi:
– Eccomi! – Misi il cellulare in vibrazione e avanzai verso la cattedra.
– Vada dalla mia assistente… la esaminerà lei… – mi disse la professoressa.
Mi sedetti di fronte a questa mora di mezz’età.
– Allora? Cominciamo? – dissi. Volevo togliermi di mezzo questo impiccio.
– Certo! Mi parli della Costituzione… –
“Fantastico” pensai. Della Costituzione sapevo ogni cosa. Merito dello studio… ma anche dei miliardi di telegiornali e dibattiti politici che fui “costretto” a vedere per colpa del monopolio televisivo di mio padre quando ero piccolo.
– La Costituzione italiana fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Entrò in vigore dal primo gennaio del ’48 e… –
Parlavo speditamente. Ma a un certo punto sentii la mia tasca vibrare. Qualcosa in borsa era successo. Avevo piazzato gli alerts e uno di questi mi stava avvertendo.
– Chi è che può cambiare una legge della Costituzione? –
– Il parlamento attraverso un procedimento aggravato di revisione costituzionale… –
Mi vibrò ancora la tasca. Pensai agli alerts che avevo piazzato e a che livello fossero.
– Perché aggravato? –
– Perché è necessaria una doppia votazione da entrambe le camere a distanza non inferiore a tre mesi… –
“Ma certo! Avevo piazzato gli alert solo per avvertirmi dei guadagni! All’eventuale perdita non c’avevo nemmeno pensato!
– Ecco, ora mi dica di cosa parla l’articolo 140 della Costituzione. –
Sorrisi a quella domanda. Quella professoressa mi piaceva.
– Mi spiace prof… ma la mia Costituzione si fermava al 139… se il 140 l’hanno approvato stamattina, prima che venissi qui… beh.. non sono aggiornato! –
La professoressa sorrise perché avevo scoperto la sua domanda trabocchetto. Prese il mio libretto, scrisse il voto e mi mandò via.

Uscii fuori con il cellulare in mano. Digitai la password per entrare nel programma. Guardai il mio portafoglio virtuale e mi trattenni dall’urlare dalla felicità.
– Si cazzo! Il mio istinto aveva ragione! –
Chiusi tutte le posizioni e trasferii i soldi sul mio conto di risparmio. Chiusi il programma e mi sentii sollevato. Composi un numero di telefono.
– Pronto Enzo… –
– We Ciro! Che fine hai fatto? Sono secoli che non ti fai sentire! –
– Eh, lo so… è che in questi giorni ho avuto un po’ da fare… ma lasciamo perdere… pensiamo a cose importanti invece…
dove andiamo in vacanza? –

 

Soldi… e il resto, è solo conversazione (parte V)

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Tick Tack..

L’orario si avvicinava. Non riuscivo a guardare l’orologio. Presi un antistress e iniziai a passeggiare nervosamente per la stanza. In testa avevo mille ragionamenti, seguiti da mille ripensamenti e mille schiaffi mentali sulle mie insicurezze. Non si deve mai perdere la fiducia! Cambiare idea in borsa spesso non è sintomo d’intelligenza. Perché quella decisione che hai preso è frutto di mille riflessioni, studi e sacrifici. Quindi, solo altri mille studi, riflessioni e sacrifici possono mettere in crisi quella decisione. Cambiare idea con uno schiocco di dita, spinto magari da paura e incertezza, è sbagliato. “Un Trader domina i suoi sentimenti!” c’era scritto i uno dei tanti libri che avevo letto.

Biiiiip Biiiiip Biiiiip

Partiti. Ore 14 e 30. Uscirono i dati sull’occupazione. Negativi! Il cuore a mille… le quotazioni iniziarono a schizzare all’impazzata. Afferrai una lattina e la finii. La tenni in mano vicino alla bocca a mo’ di microfono di un telecronista calcistico.
– Fischio d’inizio… e la partita è aperta! Il Dollaro perde terreno mentre l’euro segna goal a raffica. L’oro salta in vantaggio guadagnando terreno come una Ferrari in un campionato di minimoto. Il petrolio segue a ruota ma non sembra molto motivato oggi, la mamma gli ha negato la merendina. L’S&P invece ha imboccato un’unica direzione, il profondo abisso, oggi immersione tra i coralli. Sembra voler sfondare lo schermo tanto che va giù! Il resto del fronte valutario sventola bandiera bianca e si arrende alla imprescindibile forza di gravità. Giù, giù e ancora giù! Tutto giù!! La parola di oggi è Giù… seguita da porcaputtana! –
La mia telecronaca improvvisata continuò per almeno un paio di ore. I miei occhi si stavano asciugando. Erano incollati allo schermo per non perdere il minimo movimento. Il mio cervello sembrava impazzito. Ragionavo, calcolavo, prevedevo. Mi mordevo le mano per non agire impulsivamente. Le cose si stavano mettendo male.
– La calcolatrice… dove cazzo è quella maledetta calcolatrice! – Dissi nervosamente buttando all’aria lattine vuote e cartacce appallottolate. Le mie tempie pulsavano all’inverosimile… la testa sembrava scoppiarmi. Volevo urlare e prendere a pugni qualcuno. Stringevo l’antistress fino a quasi romperlo. Stavo perdendo la sfida. Cercavo i miei errori e non trovandoli mi arrabbiavo ancora di più.
Poi improvvisamente il mercato si girò come una mandria di gazzelle che incontra sulla strada una tigre. Iniziò a correre nell’altro senso, dirigendosi in pratica verso i miei guadagni. Respiravo. Il mercato mi stava dando una boccata (economica) d’ossigeno. Mi stavo aggrappando alla speranza. La speranza che quel movimento incerto di prima fosse dettato dall’enfasi della notizia. Accade spesso che i trader o le grandi banche speculino in modo aggressivo in momenti come questo. Ma tutto deve tornare per forza alla normalità. Un po’ come quando si butta un sasso in un fiume.
“Sarà così?” mi chiedevo mentre, in piedi, guardavo lo schermo. In finanza c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde. Nessuno può sottrarsi a questa inesorabile ruota. Ed io da che parte stavo? Vincitori o perdenti? Che fine avrebbero fatto i miei soldi? Mi diedi un pugno in testa perché mi stavo facendo troppe domande inutili. C’era il mercato da seguire. Non dovevo perdere il minimo movimento.
Mi sedetti e restai incollato a guardare quelle quotazioni salire e scendere… salire e scendere.
Vuotai un’altra lattina e non contento ne vuotai ancora un’altra. Il mio corpo era un fascio di nervi in tensione. Aspettavo la mossa giusta. Aspettavo come un pescatore paziente che aspetta il suo galleggiante andar giù… però con la carica di un pugile all’ultima ripresa.
I minuti si sommavano generando ore. Il tempo lì fuori cedeva all’oscurità…
Avevo perso la cognizione del tempo. Chissà da quanto ero incollato a guardare quel monitor. Ero ipnotizzato. Fissavo da ore una linea che saliva e scendeva. I miei occhi non ne potevano più… il mio cervello chissà dov’era andato a finire. Ero in trance… letteralmente in trance. Immobile. Con una miriade di grafici lampeggianti che ormai non avevano più nome. Non m’importava più come si chiamassero. Volevo solo che l’andamento imboccasse la direzione giusta oltrepassando quella maledetta linea verde che segnava la mia posizione. Mi alzai in piedi e bevvi un’altra lattina…
La guardai… qualcosa non andava… i miei muscoli tremarono e sentii la terra cedermi sotto i piedi…
Il mio corpo non ne voleva più sapere di me… si stava ribellando. La testa mi girava. Barcollavo per la stanza come in una delle mie migliori sbornie. Ma non ero ubriaco. Mi appoggiai alla libreria. Qualche libro cadde a terra. Non ci stavo più. Il mio equilibrio era fottuto. Picchiai con un ginocchio contro il tavolino e un bicchiere pieno d’acqua rovinò a terra frantumandosi in mille pezzi… Mi avvicinai al letto e ci crollai su…

Svenni…

Solo per gli addetti ai lavori! (parte IV)

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Aspettavo… e forse, un po’ troppo.

La luce del sole si faceva largo nella mia stanza minuto dopo minuto, seguendo l’andamento dell’alba. Le tende spostate, facilitavano l’impresa. Il letto era sfatto con le coperte che toccavano terra. Le ciabatte, che giocavano a nascondersi nella notte, erano nel solito posto con qualche centimetro di differenza. La scrivania in legno, larga e spaziosa da contenere quanto più disordine possibile, ora conteneva qualcosa in più: la testa di uno studente assonnato che aveva ceduto all’odiata fisiologia del corpo umano. Lo schermo grande lampeggiava diversi avvisi ma non produceva alcun rumore. Gli alerts sarebbero dovuti essere reimpostati perché una volta scattati venivano eleminati dal programma. Così, quello studente dormiva tranquillo senza che nessuno potesse disturbarlo. Sognava quella stessa donna del giorno prima. La strana dote che a volte hanno i sogni, è quella di poter continuare se spezzati nei momenti più belli. Ora aveva capito dov’era. Era in una di quelle isole da favola dell’America del sud. E c’era lei, la misteriosa donna dagli occhi limpidi. La vedeva bene. Ora il suo volto era chiaro ma non sapeva associarla a nessun nome. “Come ti chiami” le chiese lo studente. Lei gli sorrise… e lui capì che quel sorriso era il più bello che avesse mai visto. Non servivano più nomi ora. La bellezza non ha bisogno di essere chiamata. Lei si allontanava lungo la spiaggia e lui la rincorse. Non voleva perderla di vista. “Perché scappi?” Le chiese lui. E lei girandosi gli rispose: “Perché adesso… devi svegliarti!”

Aprii gli occhi e sentii la mia guancia spiaccicata sul legno. Davanti a me, un cumulo di cartacce, penne e pastelli tra cui s’insinuava un fiumiciattolo di bava sgorgato dalla mia bocca.
– Cazzo! Mi sono addormentato! – pensai subito.
Alzai la testa e vidi lo schermo che cercava di svegliarmi con i suoi piccoli lampeggii. Ma senza rumori, gli effetti visivi erano inutili. Spostai un paio palle di carta e trovai il mouse. Cliccai un paio di “Ok” e aprii la piattaforma di gioco. Una semi-catastrofe era avvenuta. Il mio triangolo aveva rotto al di sotto mentre prevedevo una mossa rialzista dell’euro. “Avrei potuto intervenire se fossi stato sveglio!” pensai incazzato. Ma il tempo dei ripianti, in borsa, ha vita breve. Mai rimpiangere il passato perché il futuro è sempre pieno di occasioni. Ora la situazione era sostanzialmente stabile. Il danno era stato fatto e dubitavo che l’apertura di Londra avrebbe potuto sistemare le cose. C’era solo d’aspettare. Il mio portafoglio segnava una cifra rossa con un bel meno davanti. Ecco i rischi del mercato. Mi sentivo come un camionista che si era addormentato al volante e aveva centrato un muro.
Dovevo smettere di guardare lo schermo. La negatività mi demoralizzava.
Guardai la mia tazza di tè ancora mezza piena. Con rammarico capii che il mio corpo, ormai, era avvezzo a quasi genere di stimolante.
“Non deve accadere più!” pensai battendo un pugno sul legno facendo traballare tutto. Non potevo addormentarmi di fronte a una azione del mercato. Dovevo restare sveglio… a costo di prendermi a schiaffi da solo!
Mi buttai sul letto e accesi la tv. Feci zapping sui soliti programmi inutili della mattina. Niente d’interessante. Abbandonai la ricerca lasciando Italia Uno in sottofondo. Guardavo il soffitto con le braccia incrociate dietro al collo. “Non posso commettere errori… non devo sbagliare…” Gli sbagli si pagano e lo sapevo bene. Ma perché abbiamo bisogno di dormire? Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza e non credo che lui abbia bisogno di riposarsi… Mah… i misteri della vita…

“Red bull ti mette le aliiii!” qualcuno urlava alla tv.
Girai la testa incuriosito da quella pubblicità. Conoscevo la Red Bull ma non l’avevo mai assaggiata. Dicevano che avesse particolari caratteristiche stimolanti.
“Stimola la mente e il corpo…” concluse lo spot.
Allettato da quei principi, mi vestii in un baleno e scesi le scale. Percorsi quei pochi metri che mi separavano dal piccolo Carrefour all’angolo. Entrai e mi diressi al reparto degli alcolici. Mi fermai un attimo ad osservare la mia amata Tennent’s. “Lo so amore… ti sto trascurando…” pensai accarezzando la forma della bottiglia. A fianco c’era la famosa Red Bull. Ne presi una lattina e lessi gli ingredienti: Saccarosio, glucosio, caffeina… “Bene, non è male. Sempre meglio di bere una valangata di caffè.” Feci per prendere altre lattine quando mi accorsi della presenza di una schiera di lattine nere con sopra disegnata una fiamma ardente. Spinto dalla curiosità ne presi una e ne lessi gli ingredienti. Oltre a tutti quelli già presenti nella Red Bull ve ne erano molti altri, tra cui l’estratto di Guaranà. Avevo letto da qualche parte le proprietà eccitanti di quella pianta e si diceva che fosse più potente della caffeina e della teina messe insieme. “Mi spiace Red Bull ma questa… mmm… Burn, ti ha battuto!”
Con un braccio afferrai una decina di lattine e le misi nel carrello. “Forse sto esagerando?”
Ne presi altre cinque solo per il gusto di contraddire ai miei scrupoli. (li odio) Andai alla cassa e depositai il carico sul tappeto scorrevole. Il cassiere mi fece un sorriso malizioso nell’osservare quell’immensa distesa di lattine. Pagai con la carta e tornai a casa.
Mi sedetti sulla poltrona e accesi lo schermo. Aprii una lattina…
“Vediamo che sai fare…” dissi guardandola.
Versai quel succo rossastro in un bicchiere e lo mandai giù in un sol colpo. Intanto mi dedicai ai miei grafici cercando una possibile via d’uscita dal guaio finanziario in cui mi ero cacciato. Bevvi un altro bicchiere e finii una lattina. Guardai l’orologio, erano le due del pomeriggio. Attendevo con ansia l’apertura di Wall Street. La borsa più importante del mondo. Perché è in quella strada, tra quei palazzoni, che avvengono i colpi di mano più importanti nella finanza.
Avevo ancora un po’ di stanchezza addosso. Aprii un’altra lattina e la bevvi all’istante e dopo 10 minuti ne avevo già in mano un’altra. L’ora dell’apertura si stava avvicinando. Guardavo l’orologio digitale come un corridore pronto alla partenza. Il mio cuore batteva. Bevvi un’altra lattina. Tutti i mercati erano stabili. Anche loro attendevano l’apertura di New York. Aprii sullo schermo tutti i grafici che m’interessavano e posizionai le finestre in modo da poterli vedere tutti contemporaneamente. Controllai il calendario economico per conoscere i dati che sarebbero stati svelati all’apertura. Vendita di case… Interesse dei consumatori… Mercato automobilistico… niente di rilevante fino a quando non scorsi nell’elenco il famoso No-farm pay roll.
– Porca putt… –
Quel dato era uno dei principali dell’economia Americana. Sostanzialmente indica la percentuale di occupazione. Ossia, lavoratori e disoccupati. Un dato che di per se sembrerebbe, in via ipotetica, non influire molto su azioni, futures o derivati. E invece, quel solo dato, può avere effetti anche devastanti nel mondo finanziario.

– Ci sarà da ballare… – pensai sorridendo, mentre mi aprivo un’altra lattina.

E’ solo una questione di soldi… (parte II)

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“Ricordati! Solo un giorno…”

La mia coscienza continuava a ripetermi quella frase. Quando avrebbe smesso, era un’incognita. Tutto era pronto ormai. Mancava solo che il mio dito cliccasse il tasto giusto e che un po’ di fortuna entrasse da quella porta a farmi compagnia. Mi sedetti sulla poltroncina e guardai lo schermo. Si comincia.

Cercai tra i programmi il software per fare trading online. Non l’avevo ancora disinstallato. Era riuscito a superare indenne la crisi di astinenza da gioco che mi aveva colpito. L’avevo combattuta con successo e mi ero creato vari modo per non pensarci. Modi per distrarmi dal correre rischi inutili. Da quel rischio continuo che rappresenta il mercato finanziario. Mi ero disintossicato, come si fa per la peggiore delle droghe. Avevo iniziato a giocare appena finito il liceo. Avevo iniziato a studiare, leggere, capire… ad appassionarmi a quel mondo misterioso fatto di prezzi, nomi, codici, percentuali e soprattutto, soldi. Già… è sempre stata una questione di soldi. Il vile ma indispensabile denaro.

Aprii la piattaforma di gioco. Comparvero tutte le piccole finestrelle dei grafici e dei prezzi che avevo impostato circa un anno fa. Sorrisi nel vedere i vecchi studi. Le linee tracciate, a suo tempo, sugli andamenti dei titoli, o le annotazione scritte nelle finestre dei grafici. Erano una sorta di malinconici ricordi del passato. Come foto e canzoni, quelle linee, avevano i loro perché. Cancellai tutto. Muoviti! Disse perentoria la mia coscienza. Non stiam qui a perdere tempo… il tempo è denaro! Ricordi quel film? Il film che ti ha fatto sognare… e ti fa sognare il solo pensiero… e lo so che lo stai pensando… perché lo pensi ogni volta che senti la parola “azione” o “mercato”… e lo so, perché non scordarti, che io sono te!
“Già… aveva (o avevo) ragione. Dovevo muovermi!”
La prima cosa da fare, era impostare una strategia di gioco. Molti si concentrano solo su uno strumento finanziario; altri usano solo l’analisti tecnica (studio dei grafici); altri invece usano unicamente l’analisi fondamentale (analisi di notizie e dati). Io per non scontentare nessuno, faccio un misto di ogni cosa. È difficile da comprendere, ma le materie sono molto diverse. È un po’ come un dottore che sa fare anche l’avvocato e che ogni tanto, va in bicicletta. Nell’analisi tecnica sono concentrate matematica e statistica; nell’analisi fondamentale è assolutamente necessario conoscere le nozioni di base dell’economia, sapere tutti i termini e il relativo impatto sul mercato, quando vengono pronunciati dal TG.
“A proposito di notizie”
Aprii sull’altro schermo il canale ClassCNBC in streaming. Una donna corvina iniziò a commentare l’apertura in calo di Wall Street. Sentivo la sua voce mentre dall’altro lato sistemavo finestre e indicatori. Intanto pensavo ad una strategia da adottare. La vecchia strategia di giocare su valute incrociate non era molto proficua. Era come scommettere su un cavallo in una corsa a due. Se il tuo cavallo perde, non buttare via la schedina ma scommetti su quello che sta vincendo, così le vincite appianeranno le perdite. Ma non sempre filava tutto liscio. Questa volta volevo optare per una strategia che veniva usata spesso sul mercato azionario. “Il portafoglio”. Ora tutti starete pensando a quell’oggetto di pelle che contiene soldi. Ma digitalizziamo il vocabolo e al posto dei soldi mettiamoci dentro “pezzi di carta” con nomi difficili. In pratica, un contenitore di titoli variegato. La strategia del portafoglio, detta con la rozzezza di un contadino, è che comprando un sacco di patate, qualcuna dovrà pur esser buona no? Ovvero, qualche titolo dovrà pur andare bene no? Beh… non è così semplice come le patate… La scelta di cosa comprare può richiedere anche ore. Erano le 3 del pomeriggio quando mi ero seduto su quella sedia, ora, il 17 lampeggiava da un po’ sullo schermo. La piattaforma era pronta. La lista degli strumenti disponibili a portata di mano. Dovevo solo scegliere. Cominciamo!
Definiamo prima il termine di giocatore di borsa. Anche un vecchio che, con i risparmi di una vita, compra un considerevole pacchetto di azioni tenendole in cassetto, è, tecnicamente, un giocatore di borsa. Però io non sono quello. Io faccio parte della schiera di speculatori che comprano e vendono all’istante. In mano solo soldi! Niente pezzi di carta con scritto Azioni! “A lungo termine saremo tutti morti!” diceva un grande economista. Quindi… vendere appena si può e battere cassa.
Il problema però è cosa comprare. Chiedendo alla gente comune spesso ti fai di quelle risate… “Compra le Apple che l’Iphone ormai ce l’hanno tutti” oppure: “guarda le google come salgono! Secondo me bisogna comprare”
Ecco… uno degli errori più frequenti è comprare quando le cose salgono di prezzo sperando che salgano ancora. È un errore banalissimo e comunissimo! Ma scusate… quando dal pescivendolo il pesce sale di prezzo, voi lo continuate a comprare? O aspettate che scende e lo comprate? Un concetto banale… peccato che non l’osservi nessuno. Devo ammettere però, che anche io sono caduto frequentemente in questo errore. Si chiama febbre del gioco. Vorrei vedere voi davanti a delle quotazioni che schizzano alle stelle cosa pensereste. “Cavolo! Perché non ho comprato! Compro adesso!” E pfiuuuuuuuu giù nell’abisso! Fuori dai giochi! Ritenta sarai più fortunato!
Traendo spunto dagli innumerevoli errori che ho commesso in passato, avevo stilato una serie di regole da seguire. E ironicamente la prima regola era: Non giocare!
Quindi la prima regola era bella che andata. Quale sarà stata la prossima?
Mi facevano un po’ male gli occhi. La donna mora continuava a dire che in quel giorno le borse avevano perso tutte. Per chi ha capito l’esempio di prima, era una bene. Continuavo ad analizzare cosa scegliere per il mio portafoglio. Avevo riempito una pagina con appunti di vario genere. Andavano dal “No! Questo no!” al “Ma ti sei ammattito?” oppure “Te lo scordi che ti compro”, tutti riferiti a vari prodotti finanziari.
Ecco… ci siamo.
La mia lista era completa, o quasi. Comprendeva innanzitutto le due star del secolo: l’oro e il petrolio. Poi si andava in America con l’S&P 500 (l’indice della borsa americana), il FTSE 100 (Borsa di Londra), un po’ di Dax che non guastava mai (non il detersivo ma il Future sulla Borsa Tedesca) e per finire qualche cambio valutario per rendere lo scontro più equilibrato. Primo fra tutti il Dollaro, re incontrastato di tutti i rapporti finanziari internazionali. Ovviamente sto parlando di Dollaro contro Euro. Poi si passa alla Sterlina, la vecchia moneta mai abbandonata da quei bevitori di Tè. Infine lo Yen per non scontentare gli amici orientali. “Un gran bel portafoglio” pensai soddisfatto. Guardai l’orologio… era quasi mezzanotte.
Guardai per un ultima volta i grafici e impostai gli “alerts”.

Gli alerts, per chi fortunatamente non ne ha mai avuto bisogno, sono delle odiosissime sveglie che scattano quando il titolo raggiunge un prezzo preimpostato da te. Insomma ti avvertono se stai vincendo o perdendo. Avevo ancora impresso nella testa quell’odioso suono. Lasciai quindi il computer acceso e sperai che quella notte nulla avrebbe disturbato il mio sonno…

Ma chi conosce le regole della finanza, sa che…

The Money… Never Sleeps!

Solo un giorno… (parte I)

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Ero steso sul letto a guardare il soffitto. Il mio comodo piumone bordeaux aveva lasciato il posto ad una semplice coperta a righe scure. Niente cuscini sotto la mia testa. Volevo starmene così, steso, rilassato… Abbandonato da tutte le forze e sconnesso dalla mente. Era uno stato piacevole: occhi socchiusi, ventre molle, piedi a V e dita curve. Niente poteva distrarmi… niente poteva interrompere quello stato di calma inflitta al mio corpo. Solo il mio respiro aleggiava nell’aria. Sembrava quasi di vederlo. Che strana sensazione… In casa non c’era nessuno. Le mie coinquiline erano fuori città e ci sarebbero restate per una settimana intera. Silenzio. Niente musiche, passi o conversazioni telefoniche. Oltre la porta della mia stanza non c’era niente. Il vuoto.. il buio totale. A volte amo la solitudine… a volte la detesto… a volte la rincorro… a volte mi opprime. Quante volte ho sperato che qualcuno mi cercasse? Quante volte ho sperato in quegli amici troppo impegnati nelle loro vite? Quante volte mi sono arreso all’evidenza che Ciro è solo, e solo lui può fargli compagnia… Solo le sue braccia, le sue gambe, la sua pelle e le sue ossa… il suo cuore… che batte ancora… lentamente… ma continua il suo lavoro.

La porta del balcone era semiaperta. Cinque piani più giù, una strada fermentava di vita. Macchine e passanti scorrevano come le acque di un fiume. Questa Milano è sempre viva… e a volte, un po’ rumorosa.

Peeeeeeee Peeeeeeeeee

Il forte clacson di una macchina mi destò dal mio stato di riposo. Aprii gli occhi e mi misi a sedere. Erano solo le 3 del pomeriggio. Non potevo dormire dato che c’era ancora metà libro da studiare lì, sulla mia scrivania. Giorni addietro avevo fatto pulizia. Avevo riordinato il caos che regnava indisturbato su quel tavolo da sala che usavo come scrittoio. Avevo ammucchiato i libri in un angolo, messo la stampate a portata di mano e spostato il grande schermo che non usavo da tempo. Il mio portatile bianco era su un lato. Di solito occupava la posizione centrale ma adesso vi era un grosso libro di diritto pubblico. Accanto, una serie di matite e pastelli. Detesto gli evidenziatori. Adoro sottolineare le frasi con i pastelli colorati e a ogni capitolo dedicare un colore diverso. A volte ci penso anche per più di dieci minuti a quale colore scegliere. Di solito leggo il titolo dell’argomento trattato e m’immagino nella mente che colore possa avere. E così per “Regioni ed Enti locali” uso il grigio, per “il Parlamento” uso il rosso, “Forme di stato e forme di governo” il giallo, e così via… un capitolo, un pastello. Guardando il libro sperai che finisse prima lui dei colori disponibili. Mi buttai sulla poltrona con le ruote nera. Appoggiai i piedi davanti al mio pc. Guardai la scrivania. Era troppo ordinata, quasi non la riconoscevo. Sulla mia destra era appoggiato il mio portafoglio. Era uno di quelli in pelle che si aprono a metà e in mezzo hanno la molletta per le banconote. Sulle due “ali” erano disposte le mie carte. Lo presi in mano. Lo rigirai tra le dita e lo aprii. Una banconota da dieci e una da cinque scivolarono via perché la molletta non era più abituata a contenere così pochi soldi. Osservai le mie carte. Presi la patente e la buttai sulla scrivania… così come la tessera sanitaria, la scheda della Feltrinelli e l’abbonamento ATM. Toccava ora all’altra “ala”. Presi il bancomat e lo rigirai tra pollice e indice prima di buttarlo sul mucchio. Gli seguirono un paio di Postepay e il badge dell’università. Vuoto… guardai quei quindici euro e mi fecero un po’ pena. Cercai in tasca qualche amico per fargli compagnia. Dieci centesimi, il resto del caffè da Rocco.
Quindici euro e 10 centesimi. Incrociai le mani dietro la testa pensando ironicamente: “Dove potrei andare in vacanza?”, mentre guardavo la parola Giugno scritta sul calendario. Volevo andare all’estero quell’estate. Ma con quindici euro non avrei comprato manco la carta con cui stampare il biglietto dell’aereo.

Ciro…
“Chi è che parla?”
Sono la tua coscienza idiota!
“Non è possibile! La mia coscienza sono io”
Certo… ma io sono quella parte di te che fa azioni avventate… vive e commette errori… Tu sei quello che se ne pente e che scrive. E se posso darti un parere, anche pessimamente!
“Ah grazie! Autostima! Dove sei finita? Perché mi hai lasciato solo con lui?”
Smettila… ho un idea… Perché questa volta non fai scrivere la storia direttamente a me? Perché non mi fai essere il regista invece del solito attore di cui narri l’esistenza? Ci divertiremo… ho in mente un piano… e forse non dovrai chiedere soldi ai tuoi genitori per le vacanze. Sai bene che tua madre ti urlerà dietro e tuo padre ti aprirà la testa in due se gli chiederai un altro centesimo. Quindi… lasciami fare… ho qualcosa in mente…
“Ok… ti do carta bianca… ma spiegami, cosa vuoi fare?”
Idiota! Cosa ho in mente lo sai già! È la tua!
“No! No, no, no e poi no! Ricordi cos’è successo l’ultima volta? C’ho quasi rimesso una coronaria e quel tick agli occhi c’è voluto un mese per farlo scomparire!”
Dai… non andrà così… te lo pometto… Sarà solo un giorno…
“Ok… ma solo un giorno!”

Tolsi i piedi dalla scrivania e afferrai il monitor dall’angolo. Soffiai via il velo di polvere che lo circondava e con una mano tolsi una chiazza dura a volar via. Spostai il libro. Monitor in posizione centrale. Raccolsi il filo e attaccai il monitor da 24 pollici al mio portatile. Ora avevo due schermi e il mio mouse si sentiva come un centometrista in una maratona. Andai alla mia libreria e cercai la mia calcolatrice. Era una vecchissima calcolatrice scientifica Casio. La usava mio padre quando andava all’università. Avrà più di trent’anni ma è ancora perfetta e funzionante. Non ne fanno più così. Aveva i tasti morbidi al tatto e la digitazione era molto scorrevole. Dove cazzo è? Spostai il libro di Statistica e la trovai. La tolsi dal suo guscio e l’appoggiai davanti al monitor. Cos’altro mi serve? Blocco appunti, penna, post-it. Guardai il mio router wifi lampeggiare. No… non va bene! Voglio la sicurezza di un cavo. Se perdo anche solo una manciata di dati potrebbe essere la fine. Tirai fuori da una scatola un vecchio cavo Lan. Lo attaccai al router e poi al mio pc. Sfiorai il tasto wifi e si spense. Finito? Cazzo il cellulare! Devo configurarlo. Il mio HTC Wildfire aveva un desktop con varie pagine. In una misi gli orari di tutte le maggiori città mondiali. In un’altra i link ai preferiti dei maggiori quotidiani economici e infine installai il programma per controllare l’oscillazione dei prezzi.

Pronto…

Ero pronto… per giocare in borsa.

Pezzi di racconto di quel lungo viaggio di quest’estate… (Milano Torino Rimini ’08)

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Peeeeeeeeeeeeeeee
– Dannazione! –
– Da qua… ora tocca a me. –
 
L’orologio, appeso in alto sulla parete destra della casa, segnava le due e mezza di notte. La lancetta dei secondi scandiva ogni piccolo scatto, lungo il suo interminabile percorso. Eravamo tutti e tre seduti attorno ad una tavola di legno. La luce elettrica illuminava artificialmente i nostri volti presi e concentrati sul gioco. Eravamo io, Enzo e Mario. Compagni inseparabili di questo viaggio senza mete precise. E proprio questo viaggio indefinito, ci aveva portato fin qui. Eravamo a Torino… ospiti di un nostro amico che gentilmente aveva aperto le porte di casa a questi tre scapestrati.
 
Peeeeeeeeeeeeee
– No… un’altra volta! Cavolo… –
– Dai pesca una carta… –
 
Il nostro amico aveva preso una casa in affitto nella periferia sud di Torino. Abitava lì da poco tempo, tanto che la proprietaria aveva lasciato tutte le proprie cose dov’erano, per poi tornare a prenderle e spostarle nella nuova casa. Infatti, sui mobili della credenza erano disposte varie fotografie che raffiguravano una giovane donna dai capelli castani. Una piccola foto raffigurava invece, il volto di una bambina che giocava con un palloncino rosso. Aveva i tratti molto simili alla donna delle altre foto e ipotizzai che fosse sua figlia. Alcuni libri erano disposti ordinatamente su un ripiano. Trattavano tutti temi religiosi come: “ritrovare la fede in se stessi” o “credere aiuta l’anima”. E ce n’erano abbastanza da capire che quella donna era una “brava” cattolica.
 
– Enzo fai piano… dai che ce la puoi fare! –
– Shhhh… mi fai deconcentrare! –
 
Enzo aveva lo sguardo fisso sul gioco. Cercava di non far tremare le mani perché al minimo urto avrebbe perso. Mario lo osservava silenzioso trattenendo a volte il respiro per non disturbare. Io percorrevo con gli occhi i bordi della scatola. Guardavo le figure colorate e le grandi scritte. E nell’angolo in basso mi colpì una dicitura. Enzo stava quasi per estrarre il pezzo con la massima calma…
– Ragazzi… ma qua c’è scritto da 6 a 12 anni! –
 
Peeeeeeeeeeeeeee
 
Scoppiammo a ridere mentre il naso dell’allegro chirurgo s’illuminava. Enzo era stato distratto dalle nostre risate e aveva toccato con le pinzette i bordi metallici del gioco.
Eravamo tre ventenni che stavano giocando a un gioco per bambini trovato in una delle stanze della casa. Precisamente era la stanza dove dormivo io che un tempo doveva essere la cameretta di una certa Manuela. Conoscevo il suo nome perché aveva scritto il suo nome un po’ dappertutto con lettere adesive.
Il gioco continuò indisturbato fino a quando il Dottor Ciro non riuscì a mettere a posto il tendine del tallone, l’ultimo e più difficile pezzo del gioco.
Ci abbandonammo sulle sedie con un bel respiro profondo. Guardavo il soffitto che a poco a poco si faceva più lontano per la crescente stanchezza. Enzo e Mario erano pensierosi. I loro sguardi erano distratti e vaghi. Sicuramente stavano pensando al prossimo passatempo per ammazzare la noia. Le loro menti, però, faticavano a generare idee a quest’ora .
Passarono una decina di minuti e una voce tediosa interruppe il favoloso silenzio.
– Ciro… – mi chiamò Mario… – Che si fa? –
Non seppi rispondergli subito. Il mio sguardo s’era soffermato sulla grande cassettiera alle sue spalle. Doveva per forza contenere qualcosa. E la mia anima curiosa che sempre mi accompagnava, mi spingeva a volerne scoprire il contenuto.
– A cosa giocare non lo so… intanto che ci pensiamo, vediamo cosa c’è in quella cassettiera. –
Ci avvicinammo tutti e tre al mobile. Aveva sei o sette cassetti abbastanza ampi disposti uno sopra l’altro. Aprimmo il primo e le nostre teste quasi si scontrarono nell’involontaria gara a “voler vedere per primo”.
Il cassetto era semi pieno e conteneva una po’ di tutto. C’erano lampadine… penne biro… fogli con appunti… e un orologio.
– Caspita! Questo è un Rolex! –
– Non credo… se fosse stato un Rolex non stava buttato in un cassetto insieme con una lente d’ingrandimento e un cacciavite! –
– Mio! –
– No… Enzo posalo dai. –
– No! Questo va diretto su Ebay… –
Enzo cominciò ad atteggiarsi per la stanza con al polso quel simil-Rolex. Mario lo seguiva cercando di capire se fosse autentico. Ma il fortunato possessore alzava il polso per non farselo afferrare.
E mentre loro bisticciavano per l’orologio, aprii il secondo cassetto. Questo conteneva un mucchio di fogli sparsi di vario genere. C’erano bollette del gas… della luce… estratti conti… versamenti… bollettini in bianco.
Mi girai verso Enzo e Mario che si contendevano quell’aggeggio.
– E’ mio! –
– No! È mio… l’ho trovato prima io! –
– Ehi ragazzi smettetela! Venite a vedere. –
 
I ragazzi si avvicinarono al cassetto. Ad una ad una presero in rassegna le varie bollette. Tra le varie cose scorsi un piccolo quadernetto. La copertina era un po’ ingiallita, segno che aveva passato un bel po’ di tempo chiuso lì. Lo presi e lo aprii. Su alcune pagine c’erano degli appunti di calcoli. Per lo più spese monetarie. Molto vecchie dato che le cifre erano in lire. In particolare mi colpii la dicitura “spese di avvocato” accanto ad una cifra. Subito pensai che quando si trattava di avvocati sorgevano i problemi. Chissà quale sarà stato il suo. Magari qualcosa di grave… magari aveva ucciso qualcuno che aveva curiosato tra le sue cose. Sorrisi…
– Ehi Ciro… guarda un po’ qui! Un estratto conto! –
Posai il quadernetto attirato da qualcosa di nuovo.
– Vediamo vediamo! –
Scorrevano sotto i nostri occhi cifre di vario genere. Leggemmo distrattamente quel foglio interessandoci solo alla parte finale dove c’era l’importo totale del conto.
I miei amici iniziarono a fare commenti spropositati e da lì iniziai a comprendere che ciò che stavamo facendo non era molto giusto nei riguardi della padrona di casa del nostro amico. D’altro canto, se lei aveva lasciato lì tutti quei documenti, un po’ se ne infischiava della propria privacy. Dovrebbe saperlo che l’uomo è l’essere più curioso dell’universo e la tendenza a farsi i cazzi propri è molto bassa. Soprattutto se in casa aveva dei ventenni annoiati che non avevano voglia di andare a letto.
I ragazzi mi passarono il foglio. Ormai per loro non aveva più nessuna importanza. Lo lessi più attentamente. C’erano alcune cifre che non mi erano chiare. Per lo più si ripetevano sempre uguali nel corso dei mesi. Vidi meglio, erano dei versamenti fatti con una cadenza regolare e sempre dello stesso importo. Feci notare la cosa ai miei amici… e subito iniziarono a partire le ipotesi..
– Sarà un mutuo…-
– No… è troppo poco… sarà una finanziaria.-
– No… vedi… in un mese ha versato anche più di una volta.-
– Bo… il mistero si sta infittendo! Apriamo un altro cassetto! –
 
Aprimmo il terzo cassetto che non conteneva nulla d’interessante. Robaccia di ogni tipo. Cose rotte, matite spezzate, cancelleria di vario genere. Solo Mario trovò qualcosa che gli piaceva. Un vecchio paio di occhiali da sole molto rovinati. Se li mise e aprimmo il prossimo cassetto. C’erano alcune decorazioni di natale e ricordai che nella camera dove quella sera avrei dovuto dormire, c’era un piccolo alberello vicino alla finestra. Presi alcune decorazioni e dissi ironicamente:
– Wow… posso addobbare l’albero che c’è in camera mia! –
Così andai di là da solo. Misi alcuni nastri e un paio di palline sull’alberello e mi sedetti sul letto a osservarlo. La mia mente s’isolò per qualche istante. Avevo uno sguardo assente come di chi osserva senza riflettere. Guardavo la stanza. Aveva qualcosa di mistico e spirituale. Il tempo sembrava essersi bloccato. C’era quell’albero di natale, pur essendo appena iniziato agosto. Mi sentivo come imprigionato in una foto in cui tutte le cose erano nel proprio giusto ordine. Tutti i peluche e i giocattolini erano disposti sulle mensole. Orsacchiotti, bambole e piccoli pupazzetti. Di fronte al letto c’era la scrivania. Sopra, in un angolo, erano ancora riposti i colori che la bambina usava per disegnare. E la perfezione dei dettagli creava questa strana illusione nella mia mente. La notte era inoltrata e gli occhi erano stanchi. Iniziai a immaginare la bambina seduta su quella poltroncina rossa che, con la lingua in un angolo della bocca, disegnava il suo sogno più misterioso. Una visione… una visione immateriale di una persona a me sconosciuta. E pure era lì e ora s’era alzata per riporre i suoi disegni in un cassetto… lo richiuse.. mi sorrise.. e sparì.
– Cirooo! Corri di qua! Ci sono novità! – Enzo mi chiamò distogliendomi dalle mie visioni. Scossi un po’ la testa e ripresi conoscenza.
– Arrivo arrivo… che c’è? –
– Guarda qui! Foto! –
I ragazzi avevano aperto l’ultimo cassetto del mobile. Era pieno di fotografie, piccoli raccoglitori e molti negativi. Sfogliammo distrattamente tutte le foto. Ognuno di noi aveva un bel malloppo in mano e ci scambiavamo quelle più interessanti senza trattenerci dalle battute più inopportune.
– Ciro, guarda questa, sembra tua mamma! –
– Fa vedere. Ma dai! Non è vero… scemo! Su… posiamo tutto… s’è fatto tardi… io sono stanchissimo! –
– No! Dobbiamo ancora finire di vedere! –
– Vabbè… fate un po’ come volete… io me ne vado a nanna! –
E tornai nell’altra stanza. Chiusi la porta e mi buttai sul letto. Cercai di dormire ma i miei occhi non avevano voglia di chiudersi nonostante la stanchezza. La curiosità mi stava invadendo. Non potevo lasciare i miei amici di là a scoprire chissà cosa senza di me. Mi girai su un lato. “Tanto tra poco andranno a dormire anche loro” pensai. Ma dalla porta a vetri della mia camera non vedevo spegnersi la luce. Anzi, sentivo ancora rumori di spostamenti e di borbottii. “Quelle due teste matte… fammi andare a vedere che cosa stanno combinando” pensai, ma in fondo in fondo era solo un pretesto per tornare curiosare in giro per quella casa misteriosa.
Riaprii la porta e vidi Enzo e Mario seduti al tavolo che sfogliavano un album.
Mi guardarono.
– Allora… che avete scoperto? –
chiesi rimettendomi in gioco.
 
 
 
 
 

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