Bid and Ask

 

 

La cravatta è uno degli indumenti che preferisco di più. Dona quel tocco di eleganza a colui che la indossa che non ha pari. Ovviamente sullo sfondo bisogna avere una giacca dal giusto taglio, una camicia intonata, dei pantaloni in piega e delle belle scarpe, altrimenti tutto è vano. Solo allora la cravatta può sprigionare ciò per cui è stata concepita. E nella sua semplicità, completa il quadro dell’eleganza come l’ultimo tassello di un puzzle. Adoro quando è qualcosa di semplice a produrre un grande effetto. Non solo per i vestiti, ma in tutte le cose.

Ero davanti allo specchio di casa in una fredda mattinata di fine ottobre. Ero quasi pronto per uscire. La mia figura nello specchio aveva qualcosa di diverso dagli altri comuni giorni. I capelli avevano abbandonato la cresta, appianandosi verso il basso, cercando di concedermi un po’ di serietà. Gli occhiali neri rettangolari tanto odiati ma necessari, mi rendevano un intellettuale moderno. Tolsi qualche braccialetto che sbucava inopportunamente dai polsini della camicia. Gli anelli, quelli no, non si toccano. Che vada a un concerto rock, a una cena elegante o a un esame di stato, quelli ci son sempre stati e ci saranno sempre.
Passai la cravatta sotto il colletto e tenendo i due lembi con le mani, cercai di ricordarmi i giusti movimenti per il nodo. Mi guardavo nello specchio come un professore che guarda un alunno impreparato. E agii senza pensare lasciando che l’istinto mi guidasse in questa strana prova. Risultato? Nodo perfetto al primo colpo. Mi specchiai per un secondo cercando di trovare una spiegazione plausibile a un gesto nato con la teoria ma diventato istintivo negli anni. Mi toccai la cravatta e strinsi il nodo ancora un po’ pensando a chissà quanti altri gesti compivo istintivamente senza accorgermene. Magari a volte l’istinto può agire anche sulle parole. Anzi quasi sicuramente. E il mio caratteraccio ne era una prova tangibile. Rassegnato, tornai in camera, presi il soprabito nero e la borsa, e uscii di casa.

Piazza Cordusio, il centro degli affari milanesi. Sede d’importanti banche nazionali e internazionali. Una tra tutte, l’Unicredit. Restavo sempre affascinato nel percorrere quelle strade. A un occhio poco attento potevano sembrare comuni strade, ma io sentivo il profumo di soldi ogni volta che facevo un passo. Guardando le vetrine delle banche, immaginavo che sulla mia testa stessero passando migliaia di euro in azioni, obbligazioni, fondi comuni… che transitavano virtualmente tra una banca e l’altra. E questi fasci immaginari s’imprimevano nella mia testa come ondate di vento caldo. Caldo, perché pensavo all’alternarsi delle quotazioni dei mercati e alla loro isterica frenesia che rendeva incandescente qualsiasi cervello umano. E qualcosa ne sapevo già…
Qualche centinaia di metri più avanti, svoltai per Piazza Affari. Sorrisi per l’ennesima volta nell’osservare il mastodontico dito di Cattelan. “Ancora non l’hanno rimosso…” pensai. “forse perché mette di buon umore!”.
Salii i gradini della borsa desiderando ardentemente di salirli ogni giorno.
Andai al banco informazioni per farmi stampare il badge.
– Nome? –
– Ciro F… –
Mentre la ragazza mi cercava al pc, mi voltai verso destra e intravidi un cartello che recava “ingresso dipendenti”. Un giovane appoggiò il suo badge dorato sul lettore e le sbarre ruotarono al suo passaggio. Guardai quel giovane in completo grigio che non avrà avuto più dei miei anni. Desideravo essere al suo posto. Entrare lì, al piano di sopra, e sedermi a una bella scrivania piena zeppa di monitor e calcolatrici. Chissà… magari un giorno…
– Ecco il suo badge… –
– Grazie! –

Quel badge mi permise di entrare nella sala congressi dov’era da poco iniziato il Trading online expo. Sulla soglia, mi sentii come un bambino che stava per entrare in un immenso parco giochi. E proprio come un bambino, mi perdevo con lo sguardo su tutte le attrazioni. Potevo far un giro sulle montagne russe rappresentate dalle società di brokeraggio speculativo; oppure fare un giro sul trenino a vapore come ETF e fondi comuni; c’era poi una bella ruota panoramica stabile e sicura che ti faceva vedere tutto dall’alto, come bot e obbligazioni; c’era il tiro a segno che, anche se non colpisci tutte le lattine, ti regalano qualcosa, come i certificates e i covered warrants; c’erano luci e proiettori… e schermi colorati che mostravano la bellezza delle diverse “giostre”, e tante avvenenti signorine che ti ammaliavano e invitavano a salire su.
Il paradiso per uno speculatore finanziario.

Cercando di attenuare il luccichio dei miei occhi presi il programma della giornata dalla mia borsa.
“Prima il dovere e poi il piacere…” pensai mentre mi dirigevo nella sala blu.
Il reale motivo per cui ero lì, era aggiornarmi sulle nuove tecniche d’investimento, su nuove piattaforme di gioco e su nuovi prodotti finanziari.
Entrai nella sala e una ragazza mi timbrò il badge con un lettore laser. Mi sedetti in un posto. Il relatore aveva già iniziato. Spiegava tecniche che già conoscevo. Tutta la platea era attenta e muta. Qualcuno nelle prime file fece una domanda e il relatore si alterò sentendo che l’astante usava una leva finanziaria troppo elevata.
– Vi brucerete tutto il capitale! – urlò amplificato dal microfono. – Dovete usare leve basse! Massimo 1 a 20! Usare leve alte è rischioso! Certo… si può guadagnare tanto ma non durerete! Una leva da 1 a 200 è un suicidio bello e buono! –
Un sorriso malizioso comparse sul mio volto. Il relatore aveva perfettamente ragione. Una leva alta comporta alti rischi e alti guadagni, e se male usata, potevi anche chiudere bottega.
Si deve partire dalla base e fare piccoli progressi. Ma la smania di ricchezza e d’investire come i grandi portò anche me a usare leve improponibili. I primi tempi, quando mi avvicinai per la prima volta a questo immenso mondo, usavo una leva di 1 a 400. In pratica, come nel più grosso casinò, potevo comprare le mie fiches da 400 al costo di un euro. Con mille euro potevo gestire 400’000 euro e lucrarci su. Ma capii sulle mie spalle e a mie spese ciò che il relatore sosteneva in quel momento. Negli anni ho fatto innumerevoli errori che per fortuna sono serviti tutti a darmi l’esperienza necessaria a sedermi nella sala.
Alla fine del seminario scesi al piano di sotto, dove si articolava un’altra sala con altri stand. Mi colpì subito quello di una banca svizzera. La conoscevo già da tempo ma non potevo permettermi il loro software perché aprire un conto da loro costava un pacco di soldi.
Una donna più alta che bionda mi si avvicinò. I suoi occhi azzurri scrutarono il mio interesse per quella banca d’investimenti.
– Posso aiutarla? – mi chiese.
– Si! Voglio quella piattaforma… e dammi del tu, ti prego. – sorrisi.
– Devi aprire un conto da noi e puoi far tutto ciò che vuoi… –
– Mi prestate anche centomila euro? Dovrebbe essere quello l’importo minimo – dissi pizzicandomi il mento.
– Per la sede in svizzera sì, ma da poco abbiamo aperto un’altra sede per i clienti retail… –
– Ah davvero? – il mio sguardo si posò su di lei e la mia attenzione lasciò per un attimo i grafici sul monitor.
– Sì, l’importo minimo per l’apertura sono 100 euro. –
Mi s’illuminarono gli occhi. – E la piattaforma è la stessa? –
– Sì, la stessa… –
– Spread variabili? –
– Uguale… –
– Posso vedere i volumi? –
– Si certo! –
– Ok… dove devo firmare? – dissi con cercata serietà.
– Mandami un’email con il tuo recapito e poi… –
Mentre la donna in tailleur m’illustrava i passi da fare per aprire il conto, giochicchiavo con il mouse del pc e annuivo col capo per darle sicurezza che la stessi a sentire. Ma la mia attenzione era tutta focalizzata a quel software. La piattaforma di gioco che desideravo da anni. Veloce, istantanea, con un’impressionante liquidità di mercato. “Finalmente un Ecn!” pensai, “Affanculo tutti i market maker che sono al piano di sopra…”
L’irresistibile voglia di giocare mi faceva tremare l’indice sul touchpad. Con il puntatore solleticavo il pulsante compra o vendi, o meglio Bid and Ask.
– Tutto chiaro? – mi domandò la donna.
– Si… tutto chiaro! Grazie delle informazioni, ci sentiremo presto! –

Sorridente me ne andai dallo stand. Ero eccitato all’idea di ottenere quella piattaforma il prima possibile. Mi diressi verso la sala dal nome: Area Scavi. Era una sala interrata ma visibile dal piano di sopra grazie a una balconata. E proprio lì mi fermai ad ascoltare, data l’immensa mole di persone sedute e in piedi. Appoggiai i miei gomiti sul parapetto e aguzzai le orecchie. Il relatore faceva il solito discorso su analisi e scelte da compiere per operare.
– Voi dovrete essere tre persone in una! Fare il lavoro di un analista tecnico, fondamentale e poi essere il braccio che opera come trader. Non è facile questa vita ed è molto sacrificante… –
“Già…” dissi sottovoce rassegnato, mentre il mio ottimismo scendeva sotto le suole. Essere un trader mi ha portato indirettamente ad avere problemi con la società, per non parlare delle ragazze…
Se non ci sei dentro, non riesci a capirlo… dicevo per discolparmi dal solito nervosismo stressante. Guardare i mercati è un’attività che ti porta mille pensieri togliendotene altri. Non ti fa dormire la notte… e sei sempre nervoso e iperattivo… e quando cerchi un po’ di calma devi sentirti le lamentele di chi non hai cercato per tutta la settimana. Avevo già vissuto ciò che diceva quell’uomo. Sapevo cosa significasse stare incollato a un paio di monitor e al cellulare quando eri in giro. Conoscevo lo stress dei grafici e la paura di fallire; l’ansia che ti uccide quando ti giochi anche ciò che non dovresti; la mente che ti brucia cercando tregua e gli occhi asciugati dall’insonnia di molte notti; per non parlare dei tremori alle mani e la voglia di uscire da quella prigione che è diventata la tua casa. Il tempo non conosce più limiti in un mercato aperto 24 ore su 24 e a volte i sogni si confondono con la realtà. Certe notti mi sono svegliato colto dalla paura di non aver chiuso le posizioni e andavo a controllare al pc. Certe notti non erano più notti o almeno lo erano al di fuori di una finestra chiusa a Milano, ma non a Tokyo o a New York.
A volte ho rischiato d’impazzire… e questo è solo l’inizio…

 

Un’isola italiana nel cuore di Parigi (la nouvelle de Paris III)

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(Ultimo giorno)

– Quelle est cette chose? –
– Je ne sais pas… –
Ero in un letto non mio… in un posto sconosciuto alla mia percezione. Cercavo di dormire ma dalla finestra entrava un filo di luce che mi colpiva il viso. Il vetro era aperto e sentivo delle voci provenire da fuori.
– …un bâton en plastique… –
– Comment est arrivé ici? –
C’erano due signori francesi che discutevano davanti all’ingresso di questo palazzo sconosciuto. Si stavano chiedendo chi avesse devastato il loro splendido atrio. Feci un sorriso malizioso e con un braccio tastai la spalla di mio cugino.
– O… che vuoi? –
– Mi sa che abbiamo fatto un gran bel casino ieri… –
– Speriamo che non chiamino la polizia! –
– Già… come faremo a spiegargli che non volevamo fare del male a nessuno? –
– Dormi che è meglio… –
Mi rimisi a dormire. Le voci erano scomparse. Tutto era scomparso… e soprattutto, tutto questo doveva ancora accadere. Era il futuro di una storia ancora tutta da scrivere. Una storia Parigina incredibile che cominciò qualche giorno prima… in una città, ancora inesplorata…


(Primo giorno)

Ero a Parigi!
Davvero! Ero a Parigi!
Ero nell’aeroporto di Orly. Avevo seguito il fiume di passeggeri fino al punto in cui si era dissolto diramandosi nelle varie direzioni. Ero al centro di una grande sala rettangolare. Imponenti lastroni di vetro ci dividevano dall’esterno, dove lo spettacolo era fantastico. Aerei provenienti da tutto il mondo atterravano e decollavano su chilometri sterminati di asfalto. Ero solo, ero ancora solo perché i miei amici dovevano ancora arrivare. Ero solo, e avevo un po’ di tempo per sognare…
Avevo superato quel confine. Ero riuscito a saltare nel vuoto. Il vuoto che per me era un bianco sterminato… e i luoghi erano solo storie di libri e un mucchio di geografia. Potevo vedere, sentire, toccare quel qualcosa che avevo ascoltato dalle spiegazioni dei professori liceali o visto in documentari e quadri d’arte. La mia percezione era obbligata a limitarsi al confine stretto tra inchiostro e fantasia. Il rumore delle pagine e il suo sfrigolio era l’unico suono che sentivo quando immaginavo. Li vedevo nella mia mente quei personaggi storici che avevano cambiato l’Europa. Vedevo Napoleone, alla testa del suo immenso esercito. Vedevo Luigi XIV, il re sole, immaginandolo con una lunga parrucca nera riccioluta. Vedevo la rivoluzione e quando la Senna si dipinse di rosso per tutto il sangue versato. Non potevo credere di essere nella città più importante del ‘700. Ero eccitato e impaziente. L’ansia del volo si era trasformata in ansia positiva… in ansia curiosa. Volevo vedere…

Brrrrr
Il mio stomaco brontolò come quando un bambino ti tira il pantalone perché vuole qualcosa. Scollai gli occhi dalla pista e cercai un posto dove rifocillarmi. Erano le 3 e non avevo ancora mangiato qualcosa. La mia ricerca terminò quasi subito quando vidi un’emme dorata in fondo alla sala.
Ringraziai il Dio delle multinazionali ed entrai. Era pieno di gente. Persone in fila e persone alla cassa, responsabili e inservienti… e io che mi guardavo intorno sentendomi per un attimo disorientato. Nemmeno una parola amica risuonava al mio orecchio. Mi sentivo strano… come qualcosa di esterno.
Che ci faccio qui? Mi domandai quasi dimenticandomi del mio stomaco.
Osservai il primo della fila che sciorinava un francese perfetto. Il cassiere non fece nemmeno una domanda e iniziò a preparare la sua ordinazione. La mia mente era così impegnata nella decisione della lingua da adottare che la fame era svanita. Fu il mio turno e one cheeseburger e one coke fu la scelta più adatta. Il cassiere capì e mi rispose con una domanda incomprensibile. Annuii col capo due volte e mi ritrovai con una salsetta inutilizzabile perché non avevo le patatine. Mi sedetti in un posto e mangiai il mio panino. Mi accorsi che vicino al tavolo c’era uno sportellino rotondo. Lo aprii perché le mie dita sono sempre state curiose.
Alla vista restai sbigottito. Era una presa elettrica francese. Formata da due buchi e un perno di ferro che fuoriusciva quasi al centro. Era completamente diversa da una normale presa.
“Cazzo! Calma Ciro… stai calmo… respira… Il tuo amico Antonio è italiano… casa sua sarà italiana… avrà delle prese italiane…”
Rigirai più volte il cellulare in mano con il pensiero fisso di chiamarlo e appiattire la mia paranoia. Se non fossi stato in grado di ricaricare il mio cellulare o il mio pc mi sarei impiccato con il cavo dell’alimentatore.
Mi alzai e buttai i rifiuti nel cestino. Una signora anziana mi si avvicinò e in un francese molto stretto mi chiese qualcosa…
– Excusez-moi, madame… Je suis italien! – le dissi.
“L’ho detta bene? Come sono andato? Dammi un voto da uno a dieci…” pensai mentre la fissavo.
La signora mi fece un mezzo sorriso e se ne andò. La guardai un po’ deluso come quando studi tutta la notte e il giorno dopo vai male all’interrogazione.
Fa niente… sarà per la prossima volta.
Tornai nella sala centrale e il grosso divano a forma di serpente o di S arancione, allettò la mia stanchezza. Appoggiai il mio trolley e mi distesi sopra. Avevo bisogno di dormire. Avevo passato la notte in bianco e non avevo ancora preso un maledetto caffè. Chiusi gli occhi… ma non entrambi, uno solo, l’altro restò vigile e in guardia. Come solo un ansioso paranoico riesce a fare.

Biiip…
Mi arrivò un messaggio. Era di mio cugino Ciro e diceva che erano arrivati ad un certo imbarco B ad Orly ouest. Scattai sugli attenti come un soldato di fanteria. Presi il mio trolley e scesi le scale. Inclinai il capo in alto. Centinaia di cartelli distraevano la mia attenzione.
“Orly ouest! Eccolo lì…”
Camminai in quella direzione. Camminavo e camminavo ma non raggiunsi nessun arrivo di voli. Arrivai ad un punto morto. Vidi un altro cartello…
“Orly ouest! Allora è dall’altra parte!”
Ritornai sui miei passi e raggiunsi l’altro lato dell’aeroporto. Niente. I miei amici non erano lì. Avevo perlustrato ogni dove. Chiamai Ciro.
– We! Dove cavolo siete? Vi sto cercando da un quarto d’ora! –
– Orly Ouest! Tu dove sei? –
– Beh… io sono a Or… –
Mi venne un dubbio. Possibile che i terminal potrebbero essere due? Cercai qualche cartello che me lo dicesse… e infatti…
“Orly sud!”
– Cazzo! Sono a Orly Sud! –
– Ve bene… non ti preoccupare… veniamo noi la… ciao! –
Attaccai il telefono e lo lasciai scivolare in tasca. Mi sovvenne un po’ di timore che non sarebbero riusciti a trovarmi. I miei amici, presi singolarmente, sono intelligenti e responsabili. Ma chissà perché quando si mettono insieme, tutto l’acume svanisce. In quel momento contavo su di loro. Sapevo che non mi avrebbero abbandonato.
Biiip messaggio:
Siamo fuori Orly sud, ci stiamo fumando una sigaretta.
Normale. Il lavoro di ricerca toccava ancora a me, ma almeno avevano fatto un passettino. Sorrisi. I miei amici non cambieranno mai… e del resto nemmeno io.
Percorrevo il corridoio interno osservando l’esterno dalle porte a vetri. Avanzavo svelto e ad un certo punto sentii picchiettare sul vetro.
Erano quei due che tranquillamente fumavano. Li salutai e cercai la porta più vicina. Ero felice. Mi fiondai all’esterno e li abbracciai.
– Come va Antonio? –
– Tutto a posto. –
– E tu Ciro? –
– Mha… il volo è stato un po’ traumatico. –
– Davvero? Vabbè… però siete qui sani e salvi! –
– Già! Ora andiamo a casa mia! – disse Antonio capeggiando la fila.
– Ah! Antonio scusa un attimo… ma le prese della corrente a casa tua come sono? –
Antonio fece un sorriso e guardò mio cugino… poi con una faccia come per dire “ma che domande sono” mi rispose:
– Italiane Ciro… sono italiane! –

Solo per gli addetti ai lavori! (parte IV)

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Aspettavo… e forse, un po’ troppo.

La luce del sole si faceva largo nella mia stanza minuto dopo minuto, seguendo l’andamento dell’alba. Le tende spostate, facilitavano l’impresa. Il letto era sfatto con le coperte che toccavano terra. Le ciabatte, che giocavano a nascondersi nella notte, erano nel solito posto con qualche centimetro di differenza. La scrivania in legno, larga e spaziosa da contenere quanto più disordine possibile, ora conteneva qualcosa in più: la testa di uno studente assonnato che aveva ceduto all’odiata fisiologia del corpo umano. Lo schermo grande lampeggiava diversi avvisi ma non produceva alcun rumore. Gli alerts sarebbero dovuti essere reimpostati perché una volta scattati venivano eleminati dal programma. Così, quello studente dormiva tranquillo senza che nessuno potesse disturbarlo. Sognava quella stessa donna del giorno prima. La strana dote che a volte hanno i sogni, è quella di poter continuare se spezzati nei momenti più belli. Ora aveva capito dov’era. Era in una di quelle isole da favola dell’America del sud. E c’era lei, la misteriosa donna dagli occhi limpidi. La vedeva bene. Ora il suo volto era chiaro ma non sapeva associarla a nessun nome. “Come ti chiami” le chiese lo studente. Lei gli sorrise… e lui capì che quel sorriso era il più bello che avesse mai visto. Non servivano più nomi ora. La bellezza non ha bisogno di essere chiamata. Lei si allontanava lungo la spiaggia e lui la rincorse. Non voleva perderla di vista. “Perché scappi?” Le chiese lui. E lei girandosi gli rispose: “Perché adesso… devi svegliarti!”

Aprii gli occhi e sentii la mia guancia spiaccicata sul legno. Davanti a me, un cumulo di cartacce, penne e pastelli tra cui s’insinuava un fiumiciattolo di bava sgorgato dalla mia bocca.
– Cazzo! Mi sono addormentato! – pensai subito.
Alzai la testa e vidi lo schermo che cercava di svegliarmi con i suoi piccoli lampeggii. Ma senza rumori, gli effetti visivi erano inutili. Spostai un paio palle di carta e trovai il mouse. Cliccai un paio di “Ok” e aprii la piattaforma di gioco. Una semi-catastrofe era avvenuta. Il mio triangolo aveva rotto al di sotto mentre prevedevo una mossa rialzista dell’euro. “Avrei potuto intervenire se fossi stato sveglio!” pensai incazzato. Ma il tempo dei ripianti, in borsa, ha vita breve. Mai rimpiangere il passato perché il futuro è sempre pieno di occasioni. Ora la situazione era sostanzialmente stabile. Il danno era stato fatto e dubitavo che l’apertura di Londra avrebbe potuto sistemare le cose. C’era solo d’aspettare. Il mio portafoglio segnava una cifra rossa con un bel meno davanti. Ecco i rischi del mercato. Mi sentivo come un camionista che si era addormentato al volante e aveva centrato un muro.
Dovevo smettere di guardare lo schermo. La negatività mi demoralizzava.
Guardai la mia tazza di tè ancora mezza piena. Con rammarico capii che il mio corpo, ormai, era avvezzo a quasi genere di stimolante.
“Non deve accadere più!” pensai battendo un pugno sul legno facendo traballare tutto. Non potevo addormentarmi di fronte a una azione del mercato. Dovevo restare sveglio… a costo di prendermi a schiaffi da solo!
Mi buttai sul letto e accesi la tv. Feci zapping sui soliti programmi inutili della mattina. Niente d’interessante. Abbandonai la ricerca lasciando Italia Uno in sottofondo. Guardavo il soffitto con le braccia incrociate dietro al collo. “Non posso commettere errori… non devo sbagliare…” Gli sbagli si pagano e lo sapevo bene. Ma perché abbiamo bisogno di dormire? Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza e non credo che lui abbia bisogno di riposarsi… Mah… i misteri della vita…

“Red bull ti mette le aliiii!” qualcuno urlava alla tv.
Girai la testa incuriosito da quella pubblicità. Conoscevo la Red Bull ma non l’avevo mai assaggiata. Dicevano che avesse particolari caratteristiche stimolanti.
“Stimola la mente e il corpo…” concluse lo spot.
Allettato da quei principi, mi vestii in un baleno e scesi le scale. Percorsi quei pochi metri che mi separavano dal piccolo Carrefour all’angolo. Entrai e mi diressi al reparto degli alcolici. Mi fermai un attimo ad osservare la mia amata Tennent’s. “Lo so amore… ti sto trascurando…” pensai accarezzando la forma della bottiglia. A fianco c’era la famosa Red Bull. Ne presi una lattina e lessi gli ingredienti: Saccarosio, glucosio, caffeina… “Bene, non è male. Sempre meglio di bere una valangata di caffè.” Feci per prendere altre lattine quando mi accorsi della presenza di una schiera di lattine nere con sopra disegnata una fiamma ardente. Spinto dalla curiosità ne presi una e ne lessi gli ingredienti. Oltre a tutti quelli già presenti nella Red Bull ve ne erano molti altri, tra cui l’estratto di Guaranà. Avevo letto da qualche parte le proprietà eccitanti di quella pianta e si diceva che fosse più potente della caffeina e della teina messe insieme. “Mi spiace Red Bull ma questa… mmm… Burn, ti ha battuto!”
Con un braccio afferrai una decina di lattine e le misi nel carrello. “Forse sto esagerando?”
Ne presi altre cinque solo per il gusto di contraddire ai miei scrupoli. (li odio) Andai alla cassa e depositai il carico sul tappeto scorrevole. Il cassiere mi fece un sorriso malizioso nell’osservare quell’immensa distesa di lattine. Pagai con la carta e tornai a casa.
Mi sedetti sulla poltrona e accesi lo schermo. Aprii una lattina…
“Vediamo che sai fare…” dissi guardandola.
Versai quel succo rossastro in un bicchiere e lo mandai giù in un sol colpo. Intanto mi dedicai ai miei grafici cercando una possibile via d’uscita dal guaio finanziario in cui mi ero cacciato. Bevvi un altro bicchiere e finii una lattina. Guardai l’orologio, erano le due del pomeriggio. Attendevo con ansia l’apertura di Wall Street. La borsa più importante del mondo. Perché è in quella strada, tra quei palazzoni, che avvengono i colpi di mano più importanti nella finanza.
Avevo ancora un po’ di stanchezza addosso. Aprii un’altra lattina e la bevvi all’istante e dopo 10 minuti ne avevo già in mano un’altra. L’ora dell’apertura si stava avvicinando. Guardavo l’orologio digitale come un corridore pronto alla partenza. Il mio cuore batteva. Bevvi un’altra lattina. Tutti i mercati erano stabili. Anche loro attendevano l’apertura di New York. Aprii sullo schermo tutti i grafici che m’interessavano e posizionai le finestre in modo da poterli vedere tutti contemporaneamente. Controllai il calendario economico per conoscere i dati che sarebbero stati svelati all’apertura. Vendita di case… Interesse dei consumatori… Mercato automobilistico… niente di rilevante fino a quando non scorsi nell’elenco il famoso No-farm pay roll.
– Porca putt… –
Quel dato era uno dei principali dell’economia Americana. Sostanzialmente indica la percentuale di occupazione. Ossia, lavoratori e disoccupati. Un dato che di per se sembrerebbe, in via ipotetica, non influire molto su azioni, futures o derivati. E invece, quel solo dato, può avere effetti anche devastanti nel mondo finanziario.

– Ci sarà da ballare… – pensai sorridendo, mentre mi aprivo un’altra lattina.

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