
Calma. Relax.
Disteso sul letto pensavo al mio piccolo gruzzoletto da poco guadagnato in borsa.
“Non devo spenderlo in vestiti e puttanate tecnologiche” pensavo, mentre guardavo la mia mini-tastiera Bluetooth che soggiornava inutilizzata sul mio tavolino. Avevo un leggero mal di testa che da qualche giorno mi tormentava. Non voleva proprio lasciarmi in pace. Avevo bisogno di riposare. Dovevo recuperare tutte le ore perse nelle nottate passate davanti al pc. Chiusi gli occhi e cercai di dormire. Erano le otto di sera. Un orario molto insolito per dormire ma dovevo riuscirci. Cercai di non pensare a niente. Certi pensieri, a volte, mi tormentano fino all’alba. Abbracciai il cuscino e mi girai su un lato.
“Voglio starmene un po’ in pace… voglio dormire per tre giorni consecutivi… voglio…”
Biiiip…
“No… perché non spengo mai il pc?!”
Sporsi una mano dal letto cercando per terra il netbook nero. Lo afferrai e lo misi di fianco a me. Lo schermo s’illuminò e mi mostrò una finestra di chat.
Parigi… vuoi venire? Diceva il messaggio.
Presi gli occhiali per leggere meglio. Magari era uno scherzo. No, c’era scritto davvero Parigi sullo schermo.
Ed io dovevo rispondere…
Ho quasi 24 anni…
Ho quasi ventiquattro anni e non sono mai stato al di fuori dall’Italia. Sembra strano, sembra insolito, pensatela come volete, e non saprei nemmeno spiegarvi il perché.
A sentire tutti questi ragazzini che hanno già volato in ogni dove, quasi mi vergogno a dirlo. Alcuni di loro conoscono a stento il proprio indirizzo di casa e sono stati a Londra, Dublino, Barcellona… hanno viaggiato insomma. Viaggiato… senza nemmeno conoscere il loro punto di partenza.
A volte l’invidio quando raccontano le loro storie… e le mie storie (italiane) sembrano quasi briciole in confronto alle loro. Mi sento così piccolo… mi sento come un bambino che non è mai uscito di casa. Ed in parte è vero… perché porto addosso le stesse paure e gli stessi timori di quell’innocente ignoranza.
Ho paura…
Mi tormenta la paura dell’ignoto. Il timore di trovarmi in un posto sconosciuto… di perdermi e non ritrovarmi mai più. Mi spaventa il pensiero di essere “straniero”, di non riuscire a comunicare e magari infrangere qualche regola che non conosco. Per me il mondo finisce oltre l’orizzonte del mare che ho impresso nella mente sulle spiagge della Calabria… o sulle dolomiti del Trentino dove la fredda neve mi bruciava il viso. Non sono mai andato oltre. Ho visto tutto quello che c’era da vedere in questo pezzo di casa… o quasi… mi manca qualche isola e qualche regione, ma l’Italia la conosco bene. È come se conoscessi ogni stanza di una casa… una bella casa. Ho ammirato i quadri appesi e i lunghi corridoi… ho mangiato nelle diverse cucine e dormito nei diversi letti… ho conosciuto le persone che l’abitano e comunicato con i diversi accenti… ma un giorno mi sono affacciato al balcone di questa casa immaginaria e, guardando il mondo, ho capito che c’erano altre case da vedere, altre stanze da esplorare e altri sapori e profumi da gustare… non c’è un confine come la mia mente immaginava… è un tutt’uno… il mondo è un tutt’uno. Ma in passato, questo mi spaventava… come quella volta che…
Estate ‘06
Eravamo davanti al liceo nei giardinetti antistanti. Passavamo interi pomeriggi su quelle panchine di pietra nelle giornate d’estate. Faceva caldo, ma si stava bene all’ombra della grande magnolia al centro della piazza.
– Dai Ciro! Vieni anche tu! –
– No ragazzi! Ho detto di no! – Risposi a Mario per l’ennesima volta. Andava avanti così da almeno un paio d’ore. I miei amici si alternavano nel farmi la stessa identica richiesta: andare con loro in giro per l’Europa.
– Eddai… guarda che sei ancora in tempo a fare il biglietto… andiamo di corsa alla stazione e… –
– Ho detto di NO! Basta! – risposi con stizza ad Enzo seduto di fianco a me.
Luca stava fumando una sigaretta appoggiato al palo del gazebo in pietra. Guardava la scena divertito.
– Lasciatelo sta’! Se non vuole venire sono cazzi suoi! Chi se ne frega! –
Lo guardai con odio. Lui si divertiva a stuzzicarmi ma quella volta non gli diedi corda. Pensavo ad altro. La mia ostinazione cresceva ad ogni continua domanda e, se avessi ceduto, il mio orgoglio ne avrebbe risentito. A quei tempi avevo la testa più dura della roccia. Se prendevo una decisione, anche sbagliata, persistevo su quella strada fino alla morte. Niente poteva farmi cambiare idea. Niente…
– Va bene… ragazzi, che si fa? Andiamo? Fra poco dobbiamo partire… – disse Mario agli altri due.
– Si andiamo! Ciro, ci accompagni tu alla stazione? –
– Certo, salite in macchina. –
Cinque minuti dopo arrivammo alla stazione. I ragazzi presero gli zaini da campeggio dal bagagliaio e l’indossarono. Erano pronti. Iniziai a salutare Enzo con una stretta di mano e una botta sulla spalla.
– Divertiti… – gli dissi.
Salutai Luca stringendogli la mano e guardandolo negli occhi quasi volessi sfidarlo. Lui face un grosso sorriso seguito da una grossa boccata di fumo.
– Ritorna tutto intero… – gli raccomandai. Era uno stronzo, ma gli volevo infinitamente bene.
Mi girai verso Mario e lo guardai negli occhi.
– Ciro… – disse con aria delusa e mi abbracciò. – Vieni con noi… –
Sorrisi…
In quel preciso istante un pezzo di me crollò. La mia barriera cedette… avrei voluto urlare un si secco e conciso, senza pensarci. Volevo andare con loro… volevo partire… in quel momento gli avrei risposto di si. Qualcosa si stava muovendo nel mio stomaco e il mio cuore cambiò rotta. Solo la bocca doveva intervenire.
Mario mi guardò negli occhi:
– Ok… scusa se continuo ad insistere… c’ho provato… – Si girò e raggiunse gli altri che stavano entrando in stazione. Li guardai allontanarsi. In quel momento sentii un vuoto dentro. Un vuoto incolmabile, un vuoto che dovevo riempire al più presto… Un vuoto che forse non avrei mai compensato… Avevo perso quella opportunità per sempre… perché non avrei mai più avuto diciott’anni…
Tornai a casa con l’anima in panne e il cuore infelice.
Scrissi su un foglio: Non ripeterò mai più quest’errore…
Il portatile era sul letto. Passeggiavo per la stanza con la mia pallina rossa in mano. La conversazione era ancora aperta e un’icona lampeggiava. Dovevo scrivere qualcosa…
Andare a Parigi? In Francia… non riuscivo nemmeno ad immaginarlo. Non sapevo cosa rispondere. Stringevo la pallina nella mano. Misuravo la stanza con i miei passi. Su e giù, su e giù… balcone, porta… scrivania, letto. Andare o non andare? Partire o non partire? Mi sedetti su un cuscino per terra. Guardai la mensola davanti a me. C’era una foto appesa con un magnete. Mi ritraeva sotto una neve pesante. Me l’aveva fatta mio padre con una vecchia Pentax a pellicola. Allora non esistevano ancora le macchinette digitali. Mi piaceva tanto quella foto… perché mi ricordava quella volta che…
Inverno ‘99
Nevicava. Il freddo cercava di penetrare la mia pesante tuta da sci. Ero sulla seggiovia, solo. I miei genitori e i miei cugini mi stavano aspettando in cima. Come al solito, nella confusione della fila, mi ero perso. Salivo lentamente. Il cigolio del cavo d’acciaio a cui ero appeso mi rilassava, mi faceva dimenticare che sotto di me c’erano almeno cento metri di vuoto. Non ho mai avuto paura dell’altezza. Anzi… ho sempre voluto sfidarla. Tutto ciò di cui potrei aver paura mi piace sfidarlo. Ero quasi arrivato. Misi la maschera sugli occhi e abbassai il cappello. Impugnai i bastoncini. La seggiovia arrivò al capolinea. Scesi cercando di non cadere. Non volevo sembrare un dilettante. Ero in vetta a circa 3000 metri di quota. La neve era fantastica. Tirava un vento fortissimo. Se non avessi avuto la maschera non sarei riuscito ad aprire gli occhi. Mi spinsi avanti con i bastoncini. Arrivai ad uno spiazzo con un bivio di piste. Nevicava e non riuscivo a vedere bene le persone intorno a me. Cercavo i miei parenti ma riuscivo a vedere solo facce di gente sconosciuta. Sciai un po’ più avanti e mi trovai di fronte ad un cartello.
C’era una bandiera rossa con una croce bianca al centro e la scritta Svizzera sotto. Una freccia indicava la direzione. Davanti a me c’era il bordo d’inizio pista. Ero praticamente davanti a un confine. Se fossi sceso per quella pista sarei arrivato in Svizzera. Puntai i bastoncini nella neve come una sorta di ancora per le navi. Cercai di scrutare l’orizzonte. Tutto infinitamente bianco. Così indistintamente bianco che pensai che la Svizzera fosse tutta bianca. Dove giravano mandrie di mucche viola Milka e un’immensa fabbrica di cioccolato Novi. Ero curioso di vederla. Volevo vedere com’era fatto questo Paese tanto rinomato. Feci un altro passo in avanti. La pista stava per iniziare. Le punte dei miei sci erano staccate da terra per via della pendenza della pista. Volevo buttarmi… volevo sciare in un posto inesplorato. Volevo andare dove mi andava… volevo vedere e sentire… e anche io volevo raccontare di esser stato al di fuori dell’Italia.
Staccai i bastoncini dalla neve. Feci un gran respiro profondo e…
Una mano mi fermò la spalla…
– Dove cavolo vorresti andare?! – disse mio padre dietro di me.
– Da questa parte! –
– Di là si va in Svizzera… –
– Quindi? –
– Quindi una volta sceso, non saresti più potuto risalire con la seggiovia! Saresti rimasto lì… ed io ti avrei lasciato lì! Perché non mi stai mai a sentire quando parlo! –
Guardai di nuovo quel vuoto mentre mio padre mi faceva la ramanzina. Mi risuonarono in testa quelle parole: “non saresti più potuto tornare indietro!”
Ebbi paura e ritirai i miei sci. Dissi addio alla Milka e al cioccolato pensando che, in fondo, il cioccolato e il formaggio italiano non erano male. Dissi addio a quel bianco infinito. Restai con la curiosità insoddisfatta di sapere com’era il mondo al di fuori di questo confine…
Mi sedetti sul letto con la foto tra le mani.
“Quanto ero piccolo e ingenuo… Quanti problemi che mi facevo… e quanti guai che ho combinato! Quanti rimorsi…”
Guardai il pc sul letto.
Bip
Allora?
Feci un respiro profondo. Presi il portatile e lo misi sulle gambe.
– Allora… quand’è che si parte? – risposi senza battere ciglio.



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