Corsi e Ricorsi Storici (IV)

Tram 23

(Foto personale)

Il 23 lo considero il più bel tram di Milano. Lo amo così tanto che non si contano più le volte in cui feci da capolinea a capolinea senza uno scopo preciso. E’ un tram della fine degli anni ‘20 rimasto esteticamente e costruttivamente come allora. L’interno è interamente rivestito in legno come d’uso all’epoca. Niente tecnologismi moderni come quelli dei nuovi serpentoni. Vero e proprio acciaio sferragliante in un’elegante carrozza decorata. Mi emoziono sempre a starci su. Quando chiudevo gli occhi o restringevo il campo alla sola visione dell’interno del tram, sembrava che un secolo di storia non fosse mai passato. Tutto quel legno… le plafoniere dei lampadari decorate… i vecchi avvisi vetusti… e lo stesso cigolare, rumoreggiare, scintillare d’un tempo…
Annalisa era seduta accanto a me sulla panca in legno scuro. Il 23 scricchiolava nelle curve. Le ruote stridevano sui binari d’acciaio e il rumore penetrava da alcuni finestrini aperti.
Eravamo riusciti a prendere l’ultimo tram della notte. Pur sapendo che io odio prendere l’ultimo tram della notte.
L’una era passata da un pezzo e Milano s’era colorata d’arancio con le luci dei lampioni. Annalisa mi raccontava del suo flirt momentaneo, lamentandosi della stronzaggine di certi uomini. Non le davo torto, ma nemmeno ragione. Anche le donne hanno le loro colpe a volte. Lei intanto continuava a raccontare. Ogni tanto però, le elargivo qualche pizzicotto gratuito nel fianco, quando mi diceva di essere caduta in defiance, come spiegazione della sua momentanea “disponibilità” verso M. Le spiegai, (senza mezzi termini che qui userò per non essere volgare) che concedersi a un ragazzo fidanzato era, come dire, da:
–  Zoccola! –
–  Cirooo! Ma come ti permetti! – urlò.
Mi diede un leggero schiaffo sulla guancia.
–  Non è come pensi… in fondo è un ragazzo che mi piace. Vorrei che… –
–  Vorresti cosa?! Tu speri troppo! Quello viene qua a Milano per, come dire, haicapito, e poi se ne va! Senza nemmeno farsi sentire! –
–  Già… come devo fare. Non riesco proprio a dirgli di no… –
–  Aaahhh… –
Il 23 si fermò alla nostra fermata. Casa di Annalisa non era molto lontana. Percorremmo un piccolo tratto di strada a piedi. La zona dove abitava era fantastica. Perfetta per il suo stile da ragazza vintage. Palazzi antichi, mattoni rossi, merlature e balconi caratteristici. Ogni palazzo aveva un suo disegno particolare. Una sua storia…
–  Eccoci qua. –
Annalisa aprì il portone d’ingresso. Era la prima volta che mettevo piede in casa sua.
–  Togliti le scarpe. – mi disse.
–  Cosa? –
–  Hai capito! Qua ci sono le ciabatte per la casa… –
Dovevo aspettarmelo da una ragazza maniaca della pulizia. Indossai a malincuore quelle ciabatte di una misura più piccola e mi avvicinai alla stanza di Annalisa, dando un’occhiata in giro.
La casa era di vecchia costruzione. Pareti alte e finestroni me ne davano la conferma. La cucina era piccola ma accogliente. Girai a sinistra ed entrai nella camera di Annalisa.
–  Prendi Ciro, questo è il tuo pigiama! –
–  Verde? Detesto il verde! –
–  E questi sono i pantaloncini… –
–  Mmm femminili! Mi faranno un bel culo… –
–  Scemo! –
Mi cambiai in bagno e ritornai in stanza, sentendomi leggermente a disagio in quei vestiti.
–  Ecco fatto! – esclamai, – Dove dormo? –
–  Qui! – disse Annalisa indicando un futon.
–  Cosa? Io non vedo letti… quello non è un letto… voglio un letto! –
–  Su, non ti lamentare che è comodissimo! – rispose Annalisa.
Scossi la testa e mi stesi a fianco a lei. Tastai la morbidezza di quella sottospecie di letto con una mano e guardai con aria di rimprovero la mia amica.
–  Domani mi devo svegliare presto perché devo partire. – disse Annalisa, aggiustandosi le coperte.
–  A che ora hai il treno? – domandai con tranquillità.
–  Non ho fatto ancorai il biglietto… – rispose guardandomi con timore.
–  ANNAAAA – gridai mentre lei si copriva le orecchie.
–  Ma sì! Domani troveremo sicuramente qualcosa in stazione! –
–  Troveremo? Io non corro per mezza Milano per la tua irresponsabilità! – le dissi.
–  Dai Cì… Dobbiamo convincere anche Lia a venire. Non vuole partire domani perché lavora.-
–  Aaaaahhhh –

Qualche ora dopo, nel cuore della notte, aprii gli occhi.
Annalisa era lì che dormiva tranquilla di fianco a me.
Il suo volto era rilassato e il respiro lento e costante.
 
Come fai? pensai.
Come fai scrollarti tutte le ansie di dosso in un baleno.
Tutti i pensieri…
Tutti i problemi della vita…
Come fai? Sono anni che ci provo…
T’invidio amica mia…
Invidio quella tua spensieratezza e quella tua aurea sempre raggiante, anche nei momenti più bui. Non lo sai perché non te l’ho mai detto…
Ti urlo contro, ti critico, ti prendo in giro…
Ma vorrei avere almeno un pizzico della tua incoscienza a volte…
Vorrei non pensare e vivere la vita giorno per giorno come fai tu…
Invece, i miei giorni sono programmati fino al 2015…
So sempre cosa fare e penso sempre al piano B.
Sono fatto così… non riesco a cambiare…
Per questo penso che qualcuno lassù mi abbia mandato te a stravolgere tutti i miei piani…
Per rendere la mia vita più curiosa di essere vissuta.
Non lo saprai mai… ma adoro le tue pazzie…
 
Sei la sorella maggiore che non ho mai avuto.

Buonanotte Scema…

continua…

Una porta, un’asta e un pulsante (la nouvelle de Paris XI)

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Una nuvola di fumo si alzò dalle nostre teste stanche e sballate dall’intensa nottata. Una cospicua dose di alcol ci girava ancora nelle vene e tormentava i nostri fegati. L’alba sbocciava dal letargo e marcava i profili dei palazzi davanti a noi. Ero seduto accanto a Ciro e Antonio sul bordo del marciapiede. Eravamo seminudi. Io e Antonio sfoggiavamo dei boxer neri, mentre Ciro aveva indosso solo i pantaloni.
– Ehi… passa un po’ qua… – dissi sporgendo il braccio. Ciro sbuffò in cielo un soffio di fumo e mi passò la sigaretta. Aveva allungato le gambe in mezzo alla strada e le sue braccia lo sorreggevano da dietro. Davanti a noi, in una via traversa degli Champs-Élysées, c’era una banca, degli uffici e degli appartamenti di lusso. Più su, tra i tetti dei palazzi, si riusciva quasi a scorgere il cielo. Tutto dava l’idea che quella fosse una via importante, dove viveva e lavorava gente ricca. Dopotutto dietro di noi, a pochi passi, c’erano gli Champs.
– E’ stata una notte fantastica… – dissi sospirando il fumo.
– Già! –
– Voi, poi, che avete fatto? – chiesi ad Antonio.
– Beh… dopo che ci siamo divisi, siamo andati… –
Clap
Un rumore sordo interruppe il racconto di Antonio. Ci girammo tutti in direzione della porta… e tutti, con il terrore negli occhi, dicemmo: – Cazzo! –
Eravamo seduti davanti al portone d’ingresso della casa di Antonio. Il portone era aperto si, ma qualche metro più avanti c’era un’altra porta, di vetro, molto grande, che aveva la funzione di anticamera prima degli appartamenti. E quella porta, o meglio il meccanismo chiusura, aveva prodotto l’odiato “clap”.
Ci alzammo di scatto dal freddo marciapiede. Fui il primo a entrare ed esaminare la situazione.
– Chiusa! Non c’è niente da fare! –
Ciro si avvicinò alla porta. La squadrò alzando lo sguardo al soffitto. Poi i suoi occhi percorsero la lunga siluette di vetro e infine, poggiando una mano sul pomello, diede una fortissima strattonata che fece tremare ogni cosa. Ne seguì un’altra, poi un’altra e poi un’altra fino a quando non lo afferrai per un braccio pregandolo di smettere.
– Non serve a niente! È chiusa! –
Ciro non proferì parola e mi guardò con uno sguardo assente e pensieroso. Antonio era irritato, incazzato, girovagava nell’ingresso come un toro in gabbia. Dopo che Ciro si fu allontanato si avvicinò alla porta. Afferrò il pomello con entrambe le mani.
– Questa ora la sfondo! – disse in un impeto di rabbia.
Il suo corpo, temprato da anni di palestra, era diventato un pulsare di vene e muscoli. Strattonò la porta con una forza inaudita. Faceva un casino micidiale. Un casino che non potevamo permetterci in quel palazzo alle 5 di mattina. Le lastre di vetro si allontanavano sempre di più. Immaginai la scena dell’immensa porta che crollava al suolo. Non poteva accadere…
– Antonio fermati! Basta! Qui chiamano la polizia! –
– Li pago io i danni! –
– Non essere idiota! Dai Basta! –
Riuscii a calmare Antonio e diedi un occhio a Ciro che fissava attraverso i vetri il tasto per aprire la serratura elettronica della porta. La semplice pressione di quel tasto avrebbe risolto i nostri problemi. Purtroppo tra noi e lui c’era una lastra di vetro temperato che lo rendeva tanto desiderabile quanto ad un barbone il suo rum. – Se solo riuscissimo ad arrivarci… – disse.
– E’ impossibile… vedi dove si trova? – dissi indicandolo ma non mi ascoltò.
– Ci serve qualcosa… –
Lasciai Ciro ai suoi vagheggiamenti e vidi Antonio smanettare con il citofono. Anche quell’aggeggio, tecnicamente, avrebbe potuto salvarci. Se non fosse stato che quelle teste bacate di Alberto e Rafael dormivano come sassi di fiume.
Antonio iniziò a suonare. Il suono era così forte che si sentiva fin qui. Come facevano quei due a non sentirlo a 5 metri di distanza?
– Non ci sperare Antonio… Alberto è più morto che vivo… Rafael invece? Che ha fatto insieme a voi? –
– Abbiamo continuato a bere litri di birra! Abbiamo trovato uno che vendeva una birra di 10 gradi! –
– Cavolo! E che era, vino?! –
– Peggio! Saliva in testa che era una bellezza! Non ho idea di quante ne ha bevute Rafael… ma non ci sperare che si svegli… – concluse Antonio lasciando il dito incollato al tasto.
Ciro invece era scomparso. Mi affacciai in strada e lo vidi tornare con una lunga asta di plastica. Non volevo nemmeno immaginare dove l’avesse trovata. Mi passò a fianco dicendo: – Ora l’apriamo! –
Tornati dentro passammo accanto ad Antonio che nel frattempo si era steso per terra. Era distrutto e aveva serrato gli occhi e abbandonato questo mondo.
– Allora… tu tira la porta in fuori. Infilo l’asta nello spazio che si crea e cerchiamo di premere quel maledetto pulsante! –
– È una pazzia! Ma va bene… –
Tirai con tutte le mie forze la lastra di vetro che fungeva da porta. Ciro infilò subito l’asta nella fessura tra porta e battente. Lo spazio era poco e l’asta non scorreva. Colpo dopo colpo e centimetro dopo centimetro arrivò dall’altro lato. Le mie dita si erano pietrificate dallo sforzo e i muscoli del braccio stavano cedendo.
– Cì… lascio un secondo… tanto l’asta è passata… –
Ripresi forza e sgranchii le dita della mano. Iniziavo a sentire freddo per la mancanza dei vestiti. Ciro intanto non la smetteva di ingegnarsi. Si vedeva da un miglio che discendevamo dallo stesso ceppo familiare. Entrambi siamo cresciuti con un forte istinto di sopravvivenza che ci ha salvato in molte situazioni. Ricordo di quella volta da piccoli… eravamo in viaggio verso il Trentino. Avevo una televisione portatile ma non prendeva il segnale… e alle tre della notte, su sedile posteriore di una vecchia Hyundai, costruimmo una mini parabola con pezzi di cartone e argento. Chissà dove saremmo ora se avessimo vissuto più tempo insieme… Avremmo potuto costruire una bomba atomica con pezzi di legno e chiodi! O anche un carro armato con lattine usate! Niente poteva fermarci… ma quella porta però, ci riusciva molto bene!
Tornai dal mondo dei ricordi e vidi Ciro che devastava un elenco telefonico.
– Che cazzo stai facendo! –
– Ci serve uno spessore! Così l’asta non s’inceppa… aiutami. –
Tornai a tirare la porta. Ciro infilò nella fessura metà dell’elenco telefonico. Con qualche difficolta, a botte e spinte, l’elenco fu posto nel mezzo. Le mie dita ebbero un po’ di sollievo. La pressione diminuì e potei mollare la presa. Ciro si concentrò sull’asta. Afferrò la parte che restava dalla nostra parte e cercò di dirigerla sul tasto. Sembrava il gioco della pesca nei bar e come quel gioco la situazione si prospettava molto lunga.
– Ciro… quindi poi che avete fatto ieri? – gli chiesi per ammazzare il tempo.
– Mah… niente… abbiamo bevuto un sacco. Pensa che Rafael ha perso la fotocamera e per fortuna che siamo tornati indietro! L’aveva tenuta quello del bar. Quel brasiliano non la smetteva di bere… L’abbiamo portato a spalla fino a casa. É caduto sulle scale della metro, sugli Champs, qui davanti… era proprio conciato male! –
Intanto l’asta continuava a battere sul muro intorno al bottone. Ciro si sforzava di essere preciso nei colpi non riuscendoci. L’asta di plastica era troppo lunga e ogni tanto si piegava. Nell’ingresso si sentiva un rumore incessante di colpi.
– Ciro dobbiamo smetterla… pensa se arriva qualcuno e ci vede così! Qui non è casa nostra… è la Francia cazzo! Non credo si facciano tanti problemi a chiamare la polizia… –
– Dammi un minuto e te la apro! – e continuò a picchiettare il muro per un’altra mezz’ora. Poi buttammo tutto a terra e ci sedemmo a fianco ad Antonio che dormiva tranquillamente sul tappeto d’ingresso. Tra me e il pavimento c’erano solo i miei boxer in nylon. Osservai la porta. Piena d’impronte di mani, rimasugli di plastica e pezzi di carta.
– Rassegnati Ciro… non entreremo. Almeno non adesso. –
– Se quei due idioti fossero meno morti! Ma Alberto con te che cazzo ha combinato?! –
– Ciro… se te lo raccontassi non ci crederesti mai! È una storia che ha dell’incredibile! Manco nei film mi è capitato di vedere una situazione del genere. Adesso ti spiego. Quando ci siamo separati e voi ve ne siete andati, Alberto ed io abbiamo preso un taxi per… cavolo! Siamo salvi! –

Un uomo di colore con un casco bianco in testa sembrava un angelo in quel momento. Quando ci vide però, si spaventò. Ci fissava con aria incredula e stupita. Dopotutto, vedere tre ragazzi seminudi nell’ingresso del palazzo non è cosa da tutti i giorni. Mi avvicinai con le mani alzate in segno di resa.
– Don’t worry man! We live on the first floor and we have forgotten the key… – dissi sperando che non chiamasse la polizia. Aprì con qualche esitazione ed entrò nell’atrio. Ciro aveva svegliato Antonio a suon di schiaffi. Il ragazzo nero ci aprì la porta della nostra prigione. La serratura elettrica scattò e la porta a vetri si aprì all’improvviso. Erano due ore che desideravamo sentire quel suono. Ringraziammo il ragazzo che, visibilmente scioccato, prese l’ascensore. Ciro diede un pugno al pulsante della porta che si aprì di nuovo. Ci fiondammo nell’appartamento…
E finalmente ci buttammo in un letto caldo…

 

 

L’articolo 140 (parte VI)

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“Lo studente si girò disorientato. La cercava, ma aveva perso le sue tracce. Dov’era quella ragazza senza nome? Dov’era andata a finire? Non si perse d’animo e iniziò a correre, lungo il buio, verso l’infinito. Il paesaggio non esisteva. Tutto era nero intorno a lui… eccetto per quel corridoio di mattonelle sotto i suoi piedi. Niente mura ne ostacoli. Solo buio e pavimento. Cosa c’era alla fine del corridoio? Dove sarebbe arrivato? E soprattutto… era la strada giusta? Fece un passo in avanti ma una mano gli afferrò la spalla. Lo studente si girò di scatto e la vide. La mente si schiarì e tutto il buio si dipinse di toni accesi come a festeggiare la sua felicità. La guardò negli occhi. Quegli occhi limpidi e belli, così neri da riflettere i suoi. Non ci vollero parole per capire che entrambe le labbra desideravano un bacio.
E si avvicinarono con la lentezza di un respiro profondo… si sfiorarono… e…”

Biiiiiiip Biiiiiiiip Biiiiiip

– Ma chi cazzo è? – Con una mano tastai alla vaga ricerca del cellulare sul mio comodino. Caddero penne quaderni, fogli, libri… di tutto, ma quel dannato cellulare non c’era.

Biiiiiiip Biiiiiiiip

Ascoltai meglio e capii che il suono proveniva dalla tasca dei miei jeans. Infilai una mano in tasca e premetti il tasto di standby. I miei occhi erano ancora pieni di sonno. Crollai di nuovo sul cuscino cercando di riprendere quel magnifico sogno. Ma stavolta niente… era tutto perduto. Mi limitai ad oziare un po’ rigirandomi nel letto e rendendomi conto che avevo dormito completamente vestito. Afferrai un cuscino e lo schiacciai sulla testa perché Milano m’infastidiva con i suoi rumori da orari di punta.
– Voglio… svegliarmi quando voglio… da tutti i miei sogni… voglio trovarti sempre qui… ogni volta che io ne ho bisogno… – iniziai a cantare sotto il cuscino, ancora intontito dal sonno.
“Succeda quel che succeda… ma stamattina non mi va proprio di svegliarmi…”
Tolsi il cuscino dalla faccia e presi una gran bella boccata d’aria.
“Ma perché è scattato un alert se ieri non li ho impostati? Mha…” Dubbioso guardavo il soffitto e pensavo… Pensavo che la doccia era un ricordo preistorico ormai.
“E se non era un alert?” Sgranai gli occhi e tirai fuori all’istante il mio cellulare dalla tasca. Dalla fretta sbagliai più volte il codice di sblocco.
– Cazzo! Oggi è il 15! Devo dare l’esame!! E sono maledettamente in ritardo! –
Scesi dal letto e mi guardai intorno decidendo quale azione compiere per prima. Andai al pc ad osservare la borsa. Era un esame si… ma i soldi vengono sempre prima di tutto.
Male… molto male. Mi morsi un labbro mentre guardavo quelle quotazioni sprofondare sempre più in basso. – Perché? Ditemi perché!? – dissi nervosamente ad uno schermo muto. C’è sempre un perché nelle cose! Soprattutto in finanza! L’unica regola… è conoscerlo prima degli altri. Chiusi tutto e andai verso l’armadio. “Cosa mi metto? La solita mise da bravo ragazzo intellettuale e un po’ sfigato? Ai professori piace tanto… Naaa… che cavolo me ne fotte! Jeans strappati, maglietta nera, polsino, anelli, borchie e un crestone da paura!” Sembrava che dovessi andare a un concerto. Cercai il libretto universitario nella libreria evitando di calpestare i libri per terra e i frammenti di vetro del bicchiere. Misi tutto in una borsa e portai anche una Burn… “Non si sa mai…”

Scesi in strada e arrivai in piazza passando a malincuore davanti al Bar Bahia senza fermarmi. Alla mia destra c’era la metro… a sinistra la stazione dei treni. Guardai l’orologio sul cellulare.
“Non ce la farò mai! Sono troppo in ritardo! Ci vuole qualcosa di più veloce!”
Poco distante c’era una piazzola di taxi. – Bingo! – dissi avvicinandomi velocemente alla prima macchina in fila.
– Libero? –
– Certo… –
Salii in macchina e il tassista mise in moto chiedendomi la destinazione.
– Via…. –
Gli dissi il nome della via e lui per conferma mi chiese: – Dove c’è l’università? –
– Si certo! Sto andando proprio lì! –
– E scusami la domanda… ma ci vai in taxi all’università? – mi chiese.
– Guardi… è una lunga storia… e sono maledettamente in ritardo per un esame! –
Intanto che la macchina andava, cacciai dalla borsa i miei appunti di diritto. Li sfogliai rapidamente mentre il tassista accese la radio.
“Allora… questo lo so… questo anche… questo speriamo che non me lo chieda…”
Presi il cellulare e guardai l’orologio.
“Cavolo! Dai dai dai!” e mentre incitavo mentalmente l’autista focalizzai l’attenzione sulla radio.
Violente proteste in Grecia per la grave crisi che la sta colpendo. Numerose le persone davanti al parlamento che inneggiano alle dimissioni del governo. Il premier Papandreu però, opta per il rimpasto dei ministri, affidando a….
A quelle parole mi s’illuminarono gli occhi. “La Grecia… l’euro… crisi… ma certo!”
Aprii il programma di borsa sul mio cellulare. Mentre caricava pensai a ciò che stavo per fare… vendere!

Vendere in borsa, non ha sempre lo stesso significato che gli diamo noi comuni mortali. Il termine ci porta al concetto che “vendo una cosa che ho, a qualcuno” ma se quella cosa non l’avessi e la vendessi comunque? In borsa si chiama short selling. Ovvero, vendi ciò che non hai. L’unica regola è… che prima o poi devi comprare ciò che hai venduto sperando di comprarlo a un prezzo più basso e guadagnare sulla differenza.
Esempio: vendo a 100… il prezzo scende a 30 e compro = 70.

“Vendere vendere vendere!”
Puntai il massimo. Tutto quello che avevo… fino all’ultimo centesimo. Prima di premere invio pesai che una mossa contraria mi avrebbe polverizzato il capitale. Chiusi gli occhi… e schiacciai.
– Eccoci qua… – disse il tassista fermando la macchina. – Sono 14 euro e 30 –
Controllai il tassametro e aprii il portafoglio. Dissi addio ai miei tanto amati 15 euro.
– Tenga il resto… – dissi e scesi frettolosamente.
Entrai nell’atrio e corsi verso la bacheca per sapere in che aula dovevo andare.
“Aula 9”
Mi ci fiondai e spiai dai vetri prima di entrare. C’erano un centinaio di studenti disposti a caso nei banchi. La commissione non c’era ancora. “Bene!”
Entrai e mi sedetti. Tirai fuori i miei appunti. Volevo ripetere qualcosa ma non ci riuscivo. Chiusi il blocco e cacciai la mia Burn. Iniziai a bere.
Entrò la commissione dalla porta sulla destra. I professori sembravano allegri a giudicare dal loro parlottio cordiale. Si sedettero dietro le cattedre ed ognuno cominciò a chiamare il suo gruppo di studenti.
Accanto a me sedeva una ragazza. Era molto nervosa e continuava a ripetere e ripetere. Era rossa in viso e si sfregava le mani. Era ansiosa e vederla metteva ansia anche a me. Guardai la mia professoressa che esaminava un ragazzo. Non sembrava “cattiva” ma le sue domande a volte potevano esserlo. Il ragazzo tentennava. Biascicava definizioni a volte campate per aria. La professoressa sorrideva e riferiva all’assistente a fianco le minchiate che stava sparando il ragazzo. Non riuscivo a sentire bene, ma l’argomento era la magistratura. Infine la professoressa lo congedò restituendogli il libretto in bianco. Fu la volta di una ragazza. Questa andò un po’ meglio e il suo esame durò una ventina di minuti. Bevvi l’ultimo goccio della mia Burn. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla cattedra. Era il suo turno. Aveva un volto quasi terrorizzato come se la professoressa fosse stata una delle peggiori torturatrici uscite da un film di Tarantino. Matricole… Presi il cellulare e guardai l’orologio era quasi un ora che aspettavo. Aprii il software di borsa ma non feci in tempo ad osservarlo che sentii pronunciare il mio nome. Alzai la testa e risposi:
– Eccomi! – Misi il cellulare in vibrazione e avanzai verso la cattedra.
– Vada dalla mia assistente… la esaminerà lei… – mi disse la professoressa.
Mi sedetti di fronte a questa mora di mezz’età.
– Allora? Cominciamo? – dissi. Volevo togliermi di mezzo questo impiccio.
– Certo! Mi parli della Costituzione… –
“Fantastico” pensai. Della Costituzione sapevo ogni cosa. Merito dello studio… ma anche dei miliardi di telegiornali e dibattiti politici che fui “costretto” a vedere per colpa del monopolio televisivo di mio padre quando ero piccolo.
– La Costituzione italiana fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Entrò in vigore dal primo gennaio del ’48 e… –
Parlavo speditamente. Ma a un certo punto sentii la mia tasca vibrare. Qualcosa in borsa era successo. Avevo piazzato gli alerts e uno di questi mi stava avvertendo.
– Chi è che può cambiare una legge della Costituzione? –
– Il parlamento attraverso un procedimento aggravato di revisione costituzionale… –
Mi vibrò ancora la tasca. Pensai agli alerts che avevo piazzato e a che livello fossero.
– Perché aggravato? –
– Perché è necessaria una doppia votazione da entrambe le camere a distanza non inferiore a tre mesi… –
“Ma certo! Avevo piazzato gli alert solo per avvertirmi dei guadagni! All’eventuale perdita non c’avevo nemmeno pensato!
– Ecco, ora mi dica di cosa parla l’articolo 140 della Costituzione. –
Sorrisi a quella domanda. Quella professoressa mi piaceva.
– Mi spiace prof… ma la mia Costituzione si fermava al 139… se il 140 l’hanno approvato stamattina, prima che venissi qui… beh.. non sono aggiornato! –
La professoressa sorrise perché avevo scoperto la sua domanda trabocchetto. Prese il mio libretto, scrisse il voto e mi mandò via.

Uscii fuori con il cellulare in mano. Digitai la password per entrare nel programma. Guardai il mio portafoglio virtuale e mi trattenni dall’urlare dalla felicità.
– Si cazzo! Il mio istinto aveva ragione! –
Chiusi tutte le posizioni e trasferii i soldi sul mio conto di risparmio. Chiusi il programma e mi sentii sollevato. Composi un numero di telefono.
– Pronto Enzo… –
– We Ciro! Che fine hai fatto? Sono secoli che non ti fai sentire! –
– Eh, lo so… è che in questi giorni ho avuto un po’ da fare… ma lasciamo perdere… pensiamo a cose importanti invece…
dove andiamo in vacanza? –

 

Solo per gli addetti ai lavori! (parte IV)

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Aspettavo… e forse, un po’ troppo.

La luce del sole si faceva largo nella mia stanza minuto dopo minuto, seguendo l’andamento dell’alba. Le tende spostate, facilitavano l’impresa. Il letto era sfatto con le coperte che toccavano terra. Le ciabatte, che giocavano a nascondersi nella notte, erano nel solito posto con qualche centimetro di differenza. La scrivania in legno, larga e spaziosa da contenere quanto più disordine possibile, ora conteneva qualcosa in più: la testa di uno studente assonnato che aveva ceduto all’odiata fisiologia del corpo umano. Lo schermo grande lampeggiava diversi avvisi ma non produceva alcun rumore. Gli alerts sarebbero dovuti essere reimpostati perché una volta scattati venivano eleminati dal programma. Così, quello studente dormiva tranquillo senza che nessuno potesse disturbarlo. Sognava quella stessa donna del giorno prima. La strana dote che a volte hanno i sogni, è quella di poter continuare se spezzati nei momenti più belli. Ora aveva capito dov’era. Era in una di quelle isole da favola dell’America del sud. E c’era lei, la misteriosa donna dagli occhi limpidi. La vedeva bene. Ora il suo volto era chiaro ma non sapeva associarla a nessun nome. “Come ti chiami” le chiese lo studente. Lei gli sorrise… e lui capì che quel sorriso era il più bello che avesse mai visto. Non servivano più nomi ora. La bellezza non ha bisogno di essere chiamata. Lei si allontanava lungo la spiaggia e lui la rincorse. Non voleva perderla di vista. “Perché scappi?” Le chiese lui. E lei girandosi gli rispose: “Perché adesso… devi svegliarti!”

Aprii gli occhi e sentii la mia guancia spiaccicata sul legno. Davanti a me, un cumulo di cartacce, penne e pastelli tra cui s’insinuava un fiumiciattolo di bava sgorgato dalla mia bocca.
– Cazzo! Mi sono addormentato! – pensai subito.
Alzai la testa e vidi lo schermo che cercava di svegliarmi con i suoi piccoli lampeggii. Ma senza rumori, gli effetti visivi erano inutili. Spostai un paio palle di carta e trovai il mouse. Cliccai un paio di “Ok” e aprii la piattaforma di gioco. Una semi-catastrofe era avvenuta. Il mio triangolo aveva rotto al di sotto mentre prevedevo una mossa rialzista dell’euro. “Avrei potuto intervenire se fossi stato sveglio!” pensai incazzato. Ma il tempo dei ripianti, in borsa, ha vita breve. Mai rimpiangere il passato perché il futuro è sempre pieno di occasioni. Ora la situazione era sostanzialmente stabile. Il danno era stato fatto e dubitavo che l’apertura di Londra avrebbe potuto sistemare le cose. C’era solo d’aspettare. Il mio portafoglio segnava una cifra rossa con un bel meno davanti. Ecco i rischi del mercato. Mi sentivo come un camionista che si era addormentato al volante e aveva centrato un muro.
Dovevo smettere di guardare lo schermo. La negatività mi demoralizzava.
Guardai la mia tazza di tè ancora mezza piena. Con rammarico capii che il mio corpo, ormai, era avvezzo a quasi genere di stimolante.
“Non deve accadere più!” pensai battendo un pugno sul legno facendo traballare tutto. Non potevo addormentarmi di fronte a una azione del mercato. Dovevo restare sveglio… a costo di prendermi a schiaffi da solo!
Mi buttai sul letto e accesi la tv. Feci zapping sui soliti programmi inutili della mattina. Niente d’interessante. Abbandonai la ricerca lasciando Italia Uno in sottofondo. Guardavo il soffitto con le braccia incrociate dietro al collo. “Non posso commettere errori… non devo sbagliare…” Gli sbagli si pagano e lo sapevo bene. Ma perché abbiamo bisogno di dormire? Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza e non credo che lui abbia bisogno di riposarsi… Mah… i misteri della vita…

“Red bull ti mette le aliiii!” qualcuno urlava alla tv.
Girai la testa incuriosito da quella pubblicità. Conoscevo la Red Bull ma non l’avevo mai assaggiata. Dicevano che avesse particolari caratteristiche stimolanti.
“Stimola la mente e il corpo…” concluse lo spot.
Allettato da quei principi, mi vestii in un baleno e scesi le scale. Percorsi quei pochi metri che mi separavano dal piccolo Carrefour all’angolo. Entrai e mi diressi al reparto degli alcolici. Mi fermai un attimo ad osservare la mia amata Tennent’s. “Lo so amore… ti sto trascurando…” pensai accarezzando la forma della bottiglia. A fianco c’era la famosa Red Bull. Ne presi una lattina e lessi gli ingredienti: Saccarosio, glucosio, caffeina… “Bene, non è male. Sempre meglio di bere una valangata di caffè.” Feci per prendere altre lattine quando mi accorsi della presenza di una schiera di lattine nere con sopra disegnata una fiamma ardente. Spinto dalla curiosità ne presi una e ne lessi gli ingredienti. Oltre a tutti quelli già presenti nella Red Bull ve ne erano molti altri, tra cui l’estratto di Guaranà. Avevo letto da qualche parte le proprietà eccitanti di quella pianta e si diceva che fosse più potente della caffeina e della teina messe insieme. “Mi spiace Red Bull ma questa… mmm… Burn, ti ha battuto!”
Con un braccio afferrai una decina di lattine e le misi nel carrello. “Forse sto esagerando?”
Ne presi altre cinque solo per il gusto di contraddire ai miei scrupoli. (li odio) Andai alla cassa e depositai il carico sul tappeto scorrevole. Il cassiere mi fece un sorriso malizioso nell’osservare quell’immensa distesa di lattine. Pagai con la carta e tornai a casa.
Mi sedetti sulla poltrona e accesi lo schermo. Aprii una lattina…
“Vediamo che sai fare…” dissi guardandola.
Versai quel succo rossastro in un bicchiere e lo mandai giù in un sol colpo. Intanto mi dedicai ai miei grafici cercando una possibile via d’uscita dal guaio finanziario in cui mi ero cacciato. Bevvi un altro bicchiere e finii una lattina. Guardai l’orologio, erano le due del pomeriggio. Attendevo con ansia l’apertura di Wall Street. La borsa più importante del mondo. Perché è in quella strada, tra quei palazzoni, che avvengono i colpi di mano più importanti nella finanza.
Avevo ancora un po’ di stanchezza addosso. Aprii un’altra lattina e la bevvi all’istante e dopo 10 minuti ne avevo già in mano un’altra. L’ora dell’apertura si stava avvicinando. Guardavo l’orologio digitale come un corridore pronto alla partenza. Il mio cuore batteva. Bevvi un’altra lattina. Tutti i mercati erano stabili. Anche loro attendevano l’apertura di New York. Aprii sullo schermo tutti i grafici che m’interessavano e posizionai le finestre in modo da poterli vedere tutti contemporaneamente. Controllai il calendario economico per conoscere i dati che sarebbero stati svelati all’apertura. Vendita di case… Interesse dei consumatori… Mercato automobilistico… niente di rilevante fino a quando non scorsi nell’elenco il famoso No-farm pay roll.
– Porca putt… –
Quel dato era uno dei principali dell’economia Americana. Sostanzialmente indica la percentuale di occupazione. Ossia, lavoratori e disoccupati. Un dato che di per se sembrerebbe, in via ipotetica, non influire molto su azioni, futures o derivati. E invece, quel solo dato, può avere effetti anche devastanti nel mondo finanziario.

– Ci sarà da ballare… – pensai sorridendo, mentre mi aprivo un’altra lattina.

..giornata tipo..

Una%2520giornata%2520tipo.

 

Il cellulare sul comodino suonava come un forsennato la melodia della sveglia. “Dovrei cambiarla” pensai mentre con la mano cercavo di stopparlo alla ceca. Restai ancora un po’ nel letto. Oziavo… Mi piaceva oziare. Un altro giorno era cominciato… e speravo che non fosse stato uguale a tutti gli altri…
Dalla finestra entrava un po’ di luce ma a guardar meglio il cielo era nuvoloso. Sentivo qualche goccia cadere… riuscivo quasi a percepire l’odore della pioggia attraverso i vetri. Quell’odore intenso e sottile di strade bagnate.
Godetti un altro po’ del caldo tepore del letto. Guardai il soffitto e pensai che era l’ora di alzarmi..
Spostai le coperte e poggiai i piedi sul freddo pavimento. Alzai le tapparelle facendomi ammirare dai vicini in tutto il mio splendore mattutino. Chissà se mi odiano per questo? Io non mi sarei odiato. Anzi… sarei stato divertito dalla cosa.. e forse mi sarei anche preso un po’ in giro.
 
Splashh
L’acqua freddain faccia mi mostrò un po’ di sana e vera realtà. Purtroppo non era servita a contrastare la crescente sonnolenza che si abbatteva sui miei occhi.
Mi vestii…
Preparai i libri… il notebook. Presi l’ombrello…
Uscii.
Il senso d’attenzione e i riflessi erano in modalità minima. Vi siete mai trovati nello stato in cui il corpo sembra sveglio ma il cervello no? Lo stato in cui gli arti viaggiano per inerzia, i sensi ammutoliti e le azioni copiate da anni di ripetitività?
Ecco… quello ero io… in un ascensore con una spalla poggiata alla parete mentre i piani scorrevano sopra di me. Piano terra.
Salutai la portinaia con un gesto della mano aspettandomi che mi consegnasse la solita posta pubblicitaria. Niente… neanche la pubblicità mi calcolava più.
Aprii il portone e maledissi Milano e le ore di punta. Un fiume di persone davanti a me viaggiava in senso contrario. Ed io, come un pesce che tenta di risalire la corrente, schivavo i passanti cercando un varco per entrare nella metro.
 
 
La metro..
Questo strano essere dalla forma squadrata. Dal colore univoco deciso in partenza. Dalle finestre chiuse e dall’aria viziata. Dalle strisce gialle e passeggeri impazienti. Dalle voci incomprensibili e i cartelli minatori. Dalle scale mobili a ciclo continuo e i varchi frettolosi. Dai murales colorati e i cartelloni pubblicati.
Questa è la vita metropolitana…
Sembrava un altro mondo. Un mondo in un mondo. A volte pensavo che ci si potrebbe vivere qui sotto senza mai uscire. E forse gli autisti facevano così… si nutrivano del cibo delle macchinettee dormivano nei gabbiotti di controllo. La mattina prendevano il caffè e leggevano il city per sapere del mondo esterno. Chiacchieravano con i controllori e gli addetti alle pulizie. Non fumavano.. a parte quando dovevano farsi la doccia. Allora lì, accendevano una sigaretta e facevano scattare l’allarme antincendio. E quando finivano di lavarsi si asciugavano con i grandi ventilatori del ricircolo dell’aria.
Che storia che m’ero fatto in testa mentre stavo stipato insieme a un centinaio di persone su un vagone malconcio. Per fortuna che il tragitto durava poco. Dovevo scendere e cambiare metro. Questa volta rossa. Questa volta meno persone.
Mi sedetti… e mi addormentai…
 
Una signora fece cadere l’ombrello a terra. Il rumore non fu forte ma l’impatto mi svegliò. Per fortuna direi. Mancava poco all’arrivo. Cominciai ad alzarmi ed andare verso le porte. La metro si fermò. Scesi e andai al solito bar.
Entrai quasi per istinto seguendo quel bisogno primario di caffeina mattutina. E il barista colse al volo il mio bisogno d’aiuto, comprendendo subito la mia voglia di caffè.  Intanto presi una brioche dalla vetrinetta sul bancone. La solita brioche ai frutti di bosco. La mangiavo mentre disegnavo strane forme con il cucchiaino nel caffè. Alzai la tazzina per il piccolo manico in ceramica. Feci scendere lentamente il liquido scuro cercando di immaginare il sapore di un buon caffè. Pagai il mio solito euro e mezzo e saltai fuori da questo mondo sotterraneo.
Sarebbe stato bello se il viaggio mattutino fosse finito lì ma un tram mi aspettava. Il tram sette..
Aspettai alla fermata aprendo il mio sole24ore. E mentre leggevo qualche notizia pensando al solito capitalismo corrotto, arrivò il tram.
Presi posto tra la folla di studenti e osservavo, da spettatore distratto, lo svolgimento di questa giornata tipo…
 
 
 

 

Pezzi di racconto di quel lungo viaggio di quest’estate… (Milano Torino Rimini ’08)

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Peeeeeeeeeeeeeeee
– Dannazione! –
– Da qua… ora tocca a me. –
 
L’orologio, appeso in alto sulla parete destra della casa, segnava le due e mezza di notte. La lancetta dei secondi scandiva ogni piccolo scatto, lungo il suo interminabile percorso. Eravamo tutti e tre seduti attorno ad una tavola di legno. La luce elettrica illuminava artificialmente i nostri volti presi e concentrati sul gioco. Eravamo io, Enzo e Mario. Compagni inseparabili di questo viaggio senza mete precise. E proprio questo viaggio indefinito, ci aveva portato fin qui. Eravamo a Torino… ospiti di un nostro amico che gentilmente aveva aperto le porte di casa a questi tre scapestrati.
 
Peeeeeeeeeeeeee
– No… un’altra volta! Cavolo… –
– Dai pesca una carta… –
 
Il nostro amico aveva preso una casa in affitto nella periferia sud di Torino. Abitava lì da poco tempo, tanto che la proprietaria aveva lasciato tutte le proprie cose dov’erano, per poi tornare a prenderle e spostarle nella nuova casa. Infatti, sui mobili della credenza erano disposte varie fotografie che raffiguravano una giovane donna dai capelli castani. Una piccola foto raffigurava invece, il volto di una bambina che giocava con un palloncino rosso. Aveva i tratti molto simili alla donna delle altre foto e ipotizzai che fosse sua figlia. Alcuni libri erano disposti ordinatamente su un ripiano. Trattavano tutti temi religiosi come: “ritrovare la fede in se stessi” o “credere aiuta l’anima”. E ce n’erano abbastanza da capire che quella donna era una “brava” cattolica.
 
– Enzo fai piano… dai che ce la puoi fare! –
– Shhhh… mi fai deconcentrare! –
 
Enzo aveva lo sguardo fisso sul gioco. Cercava di non far tremare le mani perché al minimo urto avrebbe perso. Mario lo osservava silenzioso trattenendo a volte il respiro per non disturbare. Io percorrevo con gli occhi i bordi della scatola. Guardavo le figure colorate e le grandi scritte. E nell’angolo in basso mi colpì una dicitura. Enzo stava quasi per estrarre il pezzo con la massima calma…
– Ragazzi… ma qua c’è scritto da 6 a 12 anni! –
 
Peeeeeeeeeeeeeee
 
Scoppiammo a ridere mentre il naso dell’allegro chirurgo s’illuminava. Enzo era stato distratto dalle nostre risate e aveva toccato con le pinzette i bordi metallici del gioco.
Eravamo tre ventenni che stavano giocando a un gioco per bambini trovato in una delle stanze della casa. Precisamente era la stanza dove dormivo io che un tempo doveva essere la cameretta di una certa Manuela. Conoscevo il suo nome perché aveva scritto il suo nome un po’ dappertutto con lettere adesive.
Il gioco continuò indisturbato fino a quando il Dottor Ciro non riuscì a mettere a posto il tendine del tallone, l’ultimo e più difficile pezzo del gioco.
Ci abbandonammo sulle sedie con un bel respiro profondo. Guardavo il soffitto che a poco a poco si faceva più lontano per la crescente stanchezza. Enzo e Mario erano pensierosi. I loro sguardi erano distratti e vaghi. Sicuramente stavano pensando al prossimo passatempo per ammazzare la noia. Le loro menti, però, faticavano a generare idee a quest’ora .
Passarono una decina di minuti e una voce tediosa interruppe il favoloso silenzio.
– Ciro… – mi chiamò Mario… – Che si fa? –
Non seppi rispondergli subito. Il mio sguardo s’era soffermato sulla grande cassettiera alle sue spalle. Doveva per forza contenere qualcosa. E la mia anima curiosa che sempre mi accompagnava, mi spingeva a volerne scoprire il contenuto.
– A cosa giocare non lo so… intanto che ci pensiamo, vediamo cosa c’è in quella cassettiera. –
Ci avvicinammo tutti e tre al mobile. Aveva sei o sette cassetti abbastanza ampi disposti uno sopra l’altro. Aprimmo il primo e le nostre teste quasi si scontrarono nell’involontaria gara a “voler vedere per primo”.
Il cassetto era semi pieno e conteneva una po’ di tutto. C’erano lampadine… penne biro… fogli con appunti… e un orologio.
– Caspita! Questo è un Rolex! –
– Non credo… se fosse stato un Rolex non stava buttato in un cassetto insieme con una lente d’ingrandimento e un cacciavite! –
– Mio! –
– No… Enzo posalo dai. –
– No! Questo va diretto su Ebay… –
Enzo cominciò ad atteggiarsi per la stanza con al polso quel simil-Rolex. Mario lo seguiva cercando di capire se fosse autentico. Ma il fortunato possessore alzava il polso per non farselo afferrare.
E mentre loro bisticciavano per l’orologio, aprii il secondo cassetto. Questo conteneva un mucchio di fogli sparsi di vario genere. C’erano bollette del gas… della luce… estratti conti… versamenti… bollettini in bianco.
Mi girai verso Enzo e Mario che si contendevano quell’aggeggio.
– E’ mio! –
– No! È mio… l’ho trovato prima io! –
– Ehi ragazzi smettetela! Venite a vedere. –
 
I ragazzi si avvicinarono al cassetto. Ad una ad una presero in rassegna le varie bollette. Tra le varie cose scorsi un piccolo quadernetto. La copertina era un po’ ingiallita, segno che aveva passato un bel po’ di tempo chiuso lì. Lo presi e lo aprii. Su alcune pagine c’erano degli appunti di calcoli. Per lo più spese monetarie. Molto vecchie dato che le cifre erano in lire. In particolare mi colpii la dicitura “spese di avvocato” accanto ad una cifra. Subito pensai che quando si trattava di avvocati sorgevano i problemi. Chissà quale sarà stato il suo. Magari qualcosa di grave… magari aveva ucciso qualcuno che aveva curiosato tra le sue cose. Sorrisi…
– Ehi Ciro… guarda un po’ qui! Un estratto conto! –
Posai il quadernetto attirato da qualcosa di nuovo.
– Vediamo vediamo! –
Scorrevano sotto i nostri occhi cifre di vario genere. Leggemmo distrattamente quel foglio interessandoci solo alla parte finale dove c’era l’importo totale del conto.
I miei amici iniziarono a fare commenti spropositati e da lì iniziai a comprendere che ciò che stavamo facendo non era molto giusto nei riguardi della padrona di casa del nostro amico. D’altro canto, se lei aveva lasciato lì tutti quei documenti, un po’ se ne infischiava della propria privacy. Dovrebbe saperlo che l’uomo è l’essere più curioso dell’universo e la tendenza a farsi i cazzi propri è molto bassa. Soprattutto se in casa aveva dei ventenni annoiati che non avevano voglia di andare a letto.
I ragazzi mi passarono il foglio. Ormai per loro non aveva più nessuna importanza. Lo lessi più attentamente. C’erano alcune cifre che non mi erano chiare. Per lo più si ripetevano sempre uguali nel corso dei mesi. Vidi meglio, erano dei versamenti fatti con una cadenza regolare e sempre dello stesso importo. Feci notare la cosa ai miei amici… e subito iniziarono a partire le ipotesi..
– Sarà un mutuo…-
– No… è troppo poco… sarà una finanziaria.-
– No… vedi… in un mese ha versato anche più di una volta.-
– Bo… il mistero si sta infittendo! Apriamo un altro cassetto! –
 
Aprimmo il terzo cassetto che non conteneva nulla d’interessante. Robaccia di ogni tipo. Cose rotte, matite spezzate, cancelleria di vario genere. Solo Mario trovò qualcosa che gli piaceva. Un vecchio paio di occhiali da sole molto rovinati. Se li mise e aprimmo il prossimo cassetto. C’erano alcune decorazioni di natale e ricordai che nella camera dove quella sera avrei dovuto dormire, c’era un piccolo alberello vicino alla finestra. Presi alcune decorazioni e dissi ironicamente:
– Wow… posso addobbare l’albero che c’è in camera mia! –
Così andai di là da solo. Misi alcuni nastri e un paio di palline sull’alberello e mi sedetti sul letto a osservarlo. La mia mente s’isolò per qualche istante. Avevo uno sguardo assente come di chi osserva senza riflettere. Guardavo la stanza. Aveva qualcosa di mistico e spirituale. Il tempo sembrava essersi bloccato. C’era quell’albero di natale, pur essendo appena iniziato agosto. Mi sentivo come imprigionato in una foto in cui tutte le cose erano nel proprio giusto ordine. Tutti i peluche e i giocattolini erano disposti sulle mensole. Orsacchiotti, bambole e piccoli pupazzetti. Di fronte al letto c’era la scrivania. Sopra, in un angolo, erano ancora riposti i colori che la bambina usava per disegnare. E la perfezione dei dettagli creava questa strana illusione nella mia mente. La notte era inoltrata e gli occhi erano stanchi. Iniziai a immaginare la bambina seduta su quella poltroncina rossa che, con la lingua in un angolo della bocca, disegnava il suo sogno più misterioso. Una visione… una visione immateriale di una persona a me sconosciuta. E pure era lì e ora s’era alzata per riporre i suoi disegni in un cassetto… lo richiuse.. mi sorrise.. e sparì.
– Cirooo! Corri di qua! Ci sono novità! – Enzo mi chiamò distogliendomi dalle mie visioni. Scossi un po’ la testa e ripresi conoscenza.
– Arrivo arrivo… che c’è? –
– Guarda qui! Foto! –
I ragazzi avevano aperto l’ultimo cassetto del mobile. Era pieno di fotografie, piccoli raccoglitori e molti negativi. Sfogliammo distrattamente tutte le foto. Ognuno di noi aveva un bel malloppo in mano e ci scambiavamo quelle più interessanti senza trattenerci dalle battute più inopportune.
– Ciro, guarda questa, sembra tua mamma! –
– Fa vedere. Ma dai! Non è vero… scemo! Su… posiamo tutto… s’è fatto tardi… io sono stanchissimo! –
– No! Dobbiamo ancora finire di vedere! –
– Vabbè… fate un po’ come volete… io me ne vado a nanna! –
E tornai nell’altra stanza. Chiusi la porta e mi buttai sul letto. Cercai di dormire ma i miei occhi non avevano voglia di chiudersi nonostante la stanchezza. La curiosità mi stava invadendo. Non potevo lasciare i miei amici di là a scoprire chissà cosa senza di me. Mi girai su un lato. “Tanto tra poco andranno a dormire anche loro” pensai. Ma dalla porta a vetri della mia camera non vedevo spegnersi la luce. Anzi, sentivo ancora rumori di spostamenti e di borbottii. “Quelle due teste matte… fammi andare a vedere che cosa stanno combinando” pensai, ma in fondo in fondo era solo un pretesto per tornare curiosare in giro per quella casa misteriosa.
Riaprii la porta e vidi Enzo e Mario seduti al tavolo che sfogliavano un album.
Mi guardarono.
– Allora… che avete scoperto? –
chiesi rimettendomi in gioco.
 
 
 
 
 

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