..cuore.. (III)

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tum tum.. tum tum..

Veloce.. battito dopo battito il cuore faceva il suo corso. Il suo “sporco” lavoro andava fatto. A suo modo, al suo ritmo, non curante del dolore che mi provocava nel petto. Lui lo sa. Lui non sgarra come me. Forse è vero, forse sono io.. e qui potrei anche fare a meno dei forse.

Vivo in bilico.. sempre sul filo del rasoio. Sempre a guardare la vita da un’altra posizione. Distaccato dal mondo. Come un’anima di un altro corpo. Come un essere insensibile. Come un fantasma in una camera da letto che veglia affianco al mio cadavere. Guardandomi.. osservandomi.. dicendomi qualcosa che io certamente non starò a sentire.. I consigli.. Come dice il mio vecchio poeta, è meglio tenerseli ognuno per se. È meglio seguire i propri, giusti o sbagliati che siano. Perché la vita è così.. e nessuno può capirla..

Che strano a volte, vivere.

 

Una.. due.. tre.. quattro..

 Le gocce cadono in un bicchiere una dopo l’altra. Lente.. cadenti.. quasi infinite. Segnano il tempo. Troppo uguali tra loro.. eppure così diverse. Così perfette ai nostri occhi.  Noi non ce ne accorgiamo. Continuiamo a vivere comunque. Anche se il nostro cuore a volte non ce lo permette. Ci sentiamo importanti.. ci sentiamo forti e superiori.. ci sentiamo invincibili. Ma a certe cose dobbiamo per forza arrenderci tutti.

Il tempo.

Il tempo un giorno mi ucciderà. Un giorno conoscerà il mio punto debole. Saprà sorprendermi.. entrare silenziosamente e sconfiggermi. Abbattere la fortezza di ossa e polmoni che ho costruito per tutti questi anni. Il tempo lo sento addosso.

Sembra strano alla mia età. Sembra strano sentirsi come se il giorno dopo fosse l’ultimo. Ogni giorno. Ogni maledetto giorno.. ogni maledetta notte passata a contare i minuti. Guardando l’orologio e scommettendo sull’ora in cui mi sarei addormentato e quella che non arriva mai sta vincendo un po’ troppo spesso. Le notti sembrano troppo uguali.. proprio come le gocce nel bicchiere.

 

Cinque.. sei.. sette.. otto..

I secondi scorrono sulle lancette. Descrivono un cerchio immaginario.. lento e preciso. Semplice in un istante e complesso nel suo insieme. Numeri e tempo si mescolano tra gli ingranaggi di un aggeggio inventato dall’uomo. Sembra strano a pensarci. Il tempo in fondo l’abbiamo creato noi. Siamo stati noi a voler contare ciò che non possiamo nemmeno vedere o toccare. Siamo stati noi a immaginare questo essere sconosciuto. Questa forza sovrumana inarrestabile.

A pensarci.. quanto sarebbe bello fermare il tempo. Quanto sarebbe bello pensare al giorno dopo senza rimpiangere il giorno prima. Perché il giorno in se non esiste.

Vivere senza numeri sul calendario.. feste programmate e ricorrenze prestabilite. Insomma sopravvivere senza contare i ticchettii scanditi da un oggetto inutile…

Magari fermare una lancetta fermasse il tempo per davvero.

 

Nove.. dieci… undici.. dodici..

Parole scritte sulla tastiera. Uniche.. diverse.. decise e a volte dolorose. Utili a ricordare.. e spesso difficili da digerire. Sono armi che chiunque possiede. Chiunque può usare per fare del bene o del male. Soprattutto se ad accogliere quelle parole è un cuore malandato. Già martoriato da anni e anni di ferite sensibili. Ferite d’amore.  Ferite di storie ormai andate  che solo le parole possono ricordare.

Pensieri.. frasi.. ordini.. urla.. grida.. si susseguono in un crescendo di emozioni interiore. Ci sono certe frasi che descrivono sentieri di brividi sul cuore. Si diramano come le vene nel corpo e le senti dovunque. Le parole, anche quelle più semplici, come un “ciao” scambiato dopo anni di assenza, come un sms ricevuto in speciali circostanze con notizie dolorose, fanno male. Le parole fanno riflettere. Fanno pensare che forse qualcosa veramente può ucciderti. Qualcosa di cui non puoi farene a meno…

 

  

Tredici.. quattordici.. quindici… sedici…

Lacrime versate su una scogliera. Fino a farsi odiare dal mare. Fino desiderare il giorno che verrà. Urlando e detestando il cielo scuro. Pensando che in fondo la fortuna gira e rigira.. e prima o poi arriverà anche a chi ne ha molto bisogno. E le lacrime fanno da cornice all’impossibilità di donare un po’ di questa fortuna che possiedo. Donerei anche la mia vita se servisse a qualcosa. Strapperei anche il mio cuore per donarlo.. sempre sperando che in un altro corpo funzioni meglio. Ma non posso.. e me ne resto qui in questo “comodo” riparo con la mia Tennent’s quasi fuori dal mondo, lontano dalle luci e dai rumori artificiali. Coccolato dalle onde che s’infrangono e dal profumo di salsedine. Nell’altra mano il cellulare. Questo aggeggio tecnologico che dovrei eliminare come ho fatto per l’orologio. Così da rinviare i pensieri ad un’altra vita. E scoprire che in fondo la solitudine non fa così tanto male.

 

Diciassette… diciotto… diciannove… venti…

Righe su uno specchio pulito. In cui la mia faccia si riflette nel centro. A volte mi chiedo se sono davvero io quello li. Se davvero il ragazzo di sempre sa quello che sta facendo. Perché la consapevolezza degli errori a volte arriva un po’ troppo tardi e nell’istante del delirio i limiti sembrano scomparire.  

Il corpo sembra immune e immortale. La mente spazia nell’irrealtà. Il cuore sembra battere decentemente. Le mani tremano insicure. Le labbra insensibili e la voglia di correre all’infinito condiscono il tutto. Il viaggio non è importante. Luoghi e persone ci siano purché casuali. Ho tutto.. e penso che forse mi manca qualcosa. Forse un po’ di sana ragione che mi faccia rigare diritto..

..a messo che questa non sia una delle mie solite battute…

 

 

..tum tum..

..tum tum..

 

 

 

 

 

 

Delirio irreale di una mente distorta…

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Macchie di sangue sul freddo pavimento disegnano piccoli ruscelli rossi. Una mano insanguinata pende da un lato del divano malconcio. Dalla mano, cadono una alla volta le gocce rosse che finiscono sulle mattonelle bianche.
Uno spreco…
Così tanta vita che se ne va inutilmente. C’è chi pagherebbe oro per avere quel sangue buttato lì sul pavimento. C’è chi invece pagherebbe per altre cose.. come una dose o una bottiglia di rum.
Chi paga per la vita e chi paga per la morte.
E’ questo il mondo…
È uno strano modo per affrontare le cose. Chissà la mente di cosa ha bisogno per ragionare in modo corretto. Per fare scelte accurate… per non cadere in tentazione. Per morire nel modo migliore possibile. Si può scegliere di morire a questo mondo? Senza sentire il rumore di quel battito di ali che ti urla nella testa e ti dice “vivi”… “sopravvivi”…

Ma torniamo al nostro corpo sopra al divano che gocciola sangue. Lentamente sposto la visuale e scopro piccoli particolari ad ogni movimento. Un tavolino in vetro… quattro bottiglie di birra riverse tra pezzi di carta e sporcizia. C’è del vomito per terra vicino al divano. Ha il colore giallo e una puzza nauseabonda. Forse regalo di quel corpo ancora caldo. E’ notte fonda… e nessuno passerà di lì. Un lampione in strada alterna il suo fascio di luce. Lo si nota da una saracinesca verde quasi tutta abbassata. E’ giusto che le cose finiscano così? E’ giusto che non ci sia una via d’uscita? Un piccolo varco tra la folla che ti porti di nuovo al punto di partenza… Cosa c’è in fondo di così difficile nello stare in vita…

Questa macchina così perfetta chiamata corpo umano vacilla sotto i colpi di una semplice lama. Ed eccola lì l’arma in questione… tutta insanguinata. Non c’è bisogno di fare domande… di cercare i colpevoli… di chiedere confessioni o alibi. Una fotografia basta e avanza per capire lo svolgimento dei fatti. Una fotografia di quel corpo silenzioso adagiato per il lungo sul divano. Con le gambe ritte e i piedi che sbucano dal bracciolo. Ai piedi le sue solite Nike tutte impolverate segno di una lunga corsa in motorino. La tentazione di girarmi e guardare il suo viso è troppo forte ma riesco a mantenermi…
È ancora troppo presto per sapere il suo volto. E’ ancora troppo presto per sapere chi sia. Non voglio ancora voltarmi… Ho paura di ciò che vedrò.
Faccio un giro… Torno dietro e mi siedo per terra, a fianco al vomito, con la mano insanguinata che mi penzola a pochi centimetri dalla faccia. Piccola ed esile… con le dita affusolate. Sul pollice ha un anello e lungo l’indice un rivolo di sangue che rovina nel vuoto.

Tac… tac… tac…

Conto le gocce una ad una. Sembrano tutte uguali… e sembrano non finire mai. Con un dito sfioro il suo indice e raccolgo un po’ di sangue interrompendo la lunga catena. Lo porto alla bocca e l’assaggio sperando che sia solo ketchup frutto di un banale scherzo infantile. Ma le speranze sono illuse quando sento il sapore metallico e la lingua pizzicarmi. E ora l’aria è cambiata… un brivido mi percorre la schiena… sento freddo… forse più di lui… forse più del freddo stesso. E lo stomaco si chiude… non solo per il vomito… e non per il suo sangue ma per il mio che pompa nelle vene a ritmi incredibili.
Il cuore batte. Segue la scena da una posizione nascosta. Sarà solo il mio a battere in questa stanza? Mi chiedo. E attendo una risposta da questo tizio sconosciuto. Fosse solo un segno… fosse solo un attimo… fosse anche un movimento involontario. Lo attendo paziente seduto con le gambe incrociate. Fermo, con gli occhi fissi ed attenti su quella mano immobile. Quella mano aperta come a chiedere pietà. Pietà di una vita dal sapore troppo amaro… con schizzi di follia e botte di felicità. E’ troppo facile scivolare così in basso. Il difficile è restare a galla… magari con l’acqua alla gola e il respiro affannato. Non è sempre facile lo so… sono gli errori che la fanno da padrone in questo mondo. Non c’è una soluzione… e se c’è, di certo non è questa.
Una lacrima mi scorre lungo la guancia. Quella lacrima sembra chiedere perché? E cadendo si unisce alle gocce di sangue sul pavimento.
Non lo so… in questo momento non riesco a spiegarmelo.
Qui con la vita non si può mai dire..
arrivi quando sembri andata via..
Chi sei?
E perché io sono qui?
Ad ascoltare il tuo sangue. Non voglio sapere… Non ho il coraggio di alzarmi. Distolgo lo sguardo ma non fermo le lacrime. Quelle non riesco a reggerle.
Con gli occhi arrossati e la vista annebbiata, le lacrime fanno da lente d’ingrandimento ai sentimenti.
Improvvisamente sobbalzo all’indietro. Spaventato da un movimento istantaneo della mano penzolante. Ho il cuore a mille che cerca di calmarsi.
Era solo un tic nervoso. Solo una scarica di nervi sulla carne e i muscoli hanno fatto il loro dovere.
È La vita… la semplice vita che si muove.
Mi rialzo.
Il volto è coperto da un bracciolo. Non lo vedo. Vedo il suo corpo… le sue gambe.. e il braccio con la mano che termina sul bordo del divano. Faccio un passo ed urto una bottiglia che rotolando finisce conto il muro producendo un rumore infernale in quest’ora tarda. Mi giro e controllo le spalle con la paura che qualcuno mi stia dietro… fosse solo un alito di vento entrato da chissà dove.
Faccio un altro passo, questa volta con più attenzione. Oltrepasso il coltello sul pavimento insanguinato. Lo guardo con ammirazione. Mi sembra di conoscerlo. Ma sarà solo un dettaglio. Un po’ tutto qui mi è familiare e non riesco a capire il perché. E mentre le domande si affollano, percorro lentamente la linea del divano. Fino a voltare l’angolo…
E’ giunto il momento…
Voglio sapere chi sei!
Questa è la fine di questa strana storia.
Respiro profondo…
Mi giro…
Spalanco gli occhi…
Un grido soffocato mi muore in gola e con la mano mi tappo la bocca come per evitare di dire qualcosa. L’altra mano si stringe in un pugno quasi a farsi male. Quasi a conficcare le unghie nella pelle. Spero con tutto me stesso che quello adagiato sul divano sia solo uno specchio che riflette il mio volto. Ma non è così… Perché quel corpo ha le mie stesse sembianze. Ha i miei capelli… i miei occhi… la mia pelle. E quello per terra credo che sia il mio sangue. Non posso crederci… non riesco a concepirlo. Che ci faccio lì?
E perché sono quasi in fin di vita?
Sono allibito… Ma la forza piano piano si riprende i miei muscoli, al momento invasi dalla paura. E subentra la rabbia…
Salto sul divano…
Prendo le spalle di questo corpo e cerco di rianimarlo scuotendolo.
“Svegliati cavolo! Svegliati!”
“Dimmi perché??”
Non risponde. Ha gli occhi bianchi. Le pupille sembrano sparite. E non fa nessun cenno di resistenza. L’anima sembra aver abbandonato questo corpo. Il mio corpo.
“Svegliatiii!!”

Boomm boomm boomm

Sento bussare fortemente alla saracinesca. Mi volto di scatto… e…

E mi sveglio all’improvviso…
Apro gli occhi e guardo il mio solito soffitto bianco. La mia tenda che scende da un lato… e i miei poster appesi alle pareti. Respiro forte… Ho la fronte sudata e il mio corpo è tutto un tremore.
Sono nel mio letto. E soprattutto…

Sono ancora vivo…

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