Soldi… e il resto, è solo conversazione (parte V)

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Tick Tack..

L’orario si avvicinava. Non riuscivo a guardare l’orologio. Presi un antistress e iniziai a passeggiare nervosamente per la stanza. In testa avevo mille ragionamenti, seguiti da mille ripensamenti e mille schiaffi mentali sulle mie insicurezze. Non si deve mai perdere la fiducia! Cambiare idea in borsa spesso non è sintomo d’intelligenza. Perché quella decisione che hai preso è frutto di mille riflessioni, studi e sacrifici. Quindi, solo altri mille studi, riflessioni e sacrifici possono mettere in crisi quella decisione. Cambiare idea con uno schiocco di dita, spinto magari da paura e incertezza, è sbagliato. “Un Trader domina i suoi sentimenti!” c’era scritto i uno dei tanti libri che avevo letto.

Biiiiip Biiiiip Biiiiip

Partiti. Ore 14 e 30. Uscirono i dati sull’occupazione. Negativi! Il cuore a mille… le quotazioni iniziarono a schizzare all’impazzata. Afferrai una lattina e la finii. La tenni in mano vicino alla bocca a mo’ di microfono di un telecronista calcistico.
– Fischio d’inizio… e la partita è aperta! Il Dollaro perde terreno mentre l’euro segna goal a raffica. L’oro salta in vantaggio guadagnando terreno come una Ferrari in un campionato di minimoto. Il petrolio segue a ruota ma non sembra molto motivato oggi, la mamma gli ha negato la merendina. L’S&P invece ha imboccato un’unica direzione, il profondo abisso, oggi immersione tra i coralli. Sembra voler sfondare lo schermo tanto che va giù! Il resto del fronte valutario sventola bandiera bianca e si arrende alla imprescindibile forza di gravità. Giù, giù e ancora giù! Tutto giù!! La parola di oggi è Giù… seguita da porcaputtana! –
La mia telecronaca improvvisata continuò per almeno un paio di ore. I miei occhi si stavano asciugando. Erano incollati allo schermo per non perdere il minimo movimento. Il mio cervello sembrava impazzito. Ragionavo, calcolavo, prevedevo. Mi mordevo le mano per non agire impulsivamente. Le cose si stavano mettendo male.
– La calcolatrice… dove cazzo è quella maledetta calcolatrice! – Dissi nervosamente buttando all’aria lattine vuote e cartacce appallottolate. Le mie tempie pulsavano all’inverosimile… la testa sembrava scoppiarmi. Volevo urlare e prendere a pugni qualcuno. Stringevo l’antistress fino a quasi romperlo. Stavo perdendo la sfida. Cercavo i miei errori e non trovandoli mi arrabbiavo ancora di più.
Poi improvvisamente il mercato si girò come una mandria di gazzelle che incontra sulla strada una tigre. Iniziò a correre nell’altro senso, dirigendosi in pratica verso i miei guadagni. Respiravo. Il mercato mi stava dando una boccata (economica) d’ossigeno. Mi stavo aggrappando alla speranza. La speranza che quel movimento incerto di prima fosse dettato dall’enfasi della notizia. Accade spesso che i trader o le grandi banche speculino in modo aggressivo in momenti come questo. Ma tutto deve tornare per forza alla normalità. Un po’ come quando si butta un sasso in un fiume.
“Sarà così?” mi chiedevo mentre, in piedi, guardavo lo schermo. In finanza c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde. Nessuno può sottrarsi a questa inesorabile ruota. Ed io da che parte stavo? Vincitori o perdenti? Che fine avrebbero fatto i miei soldi? Mi diedi un pugno in testa perché mi stavo facendo troppe domande inutili. C’era il mercato da seguire. Non dovevo perdere il minimo movimento.
Mi sedetti e restai incollato a guardare quelle quotazioni salire e scendere… salire e scendere.
Vuotai un’altra lattina e non contento ne vuotai ancora un’altra. Il mio corpo era un fascio di nervi in tensione. Aspettavo la mossa giusta. Aspettavo come un pescatore paziente che aspetta il suo galleggiante andar giù… però con la carica di un pugile all’ultima ripresa.
I minuti si sommavano generando ore. Il tempo lì fuori cedeva all’oscurità…
Avevo perso la cognizione del tempo. Chissà da quanto ero incollato a guardare quel monitor. Ero ipnotizzato. Fissavo da ore una linea che saliva e scendeva. I miei occhi non ne potevano più… il mio cervello chissà dov’era andato a finire. Ero in trance… letteralmente in trance. Immobile. Con una miriade di grafici lampeggianti che ormai non avevano più nome. Non m’importava più come si chiamassero. Volevo solo che l’andamento imboccasse la direzione giusta oltrepassando quella maledetta linea verde che segnava la mia posizione. Mi alzai in piedi e bevvi un’altra lattina…
La guardai… qualcosa non andava… i miei muscoli tremarono e sentii la terra cedermi sotto i piedi…
Il mio corpo non ne voleva più sapere di me… si stava ribellando. La testa mi girava. Barcollavo per la stanza come in una delle mie migliori sbornie. Ma non ero ubriaco. Mi appoggiai alla libreria. Qualche libro cadde a terra. Non ci stavo più. Il mio equilibrio era fottuto. Picchiai con un ginocchio contro il tavolino e un bicchiere pieno d’acqua rovinò a terra frantumandosi in mille pezzi… Mi avvicinai al letto e ci crollai su…

Svenni…

Solo per gli addetti ai lavori! (parte IV)

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Aspettavo… e forse, un po’ troppo.

La luce del sole si faceva largo nella mia stanza minuto dopo minuto, seguendo l’andamento dell’alba. Le tende spostate, facilitavano l’impresa. Il letto era sfatto con le coperte che toccavano terra. Le ciabatte, che giocavano a nascondersi nella notte, erano nel solito posto con qualche centimetro di differenza. La scrivania in legno, larga e spaziosa da contenere quanto più disordine possibile, ora conteneva qualcosa in più: la testa di uno studente assonnato che aveva ceduto all’odiata fisiologia del corpo umano. Lo schermo grande lampeggiava diversi avvisi ma non produceva alcun rumore. Gli alerts sarebbero dovuti essere reimpostati perché una volta scattati venivano eleminati dal programma. Così, quello studente dormiva tranquillo senza che nessuno potesse disturbarlo. Sognava quella stessa donna del giorno prima. La strana dote che a volte hanno i sogni, è quella di poter continuare se spezzati nei momenti più belli. Ora aveva capito dov’era. Era in una di quelle isole da favola dell’America del sud. E c’era lei, la misteriosa donna dagli occhi limpidi. La vedeva bene. Ora il suo volto era chiaro ma non sapeva associarla a nessun nome. “Come ti chiami” le chiese lo studente. Lei gli sorrise… e lui capì che quel sorriso era il più bello che avesse mai visto. Non servivano più nomi ora. La bellezza non ha bisogno di essere chiamata. Lei si allontanava lungo la spiaggia e lui la rincorse. Non voleva perderla di vista. “Perché scappi?” Le chiese lui. E lei girandosi gli rispose: “Perché adesso… devi svegliarti!”

Aprii gli occhi e sentii la mia guancia spiaccicata sul legno. Davanti a me, un cumulo di cartacce, penne e pastelli tra cui s’insinuava un fiumiciattolo di bava sgorgato dalla mia bocca.
– Cazzo! Mi sono addormentato! – pensai subito.
Alzai la testa e vidi lo schermo che cercava di svegliarmi con i suoi piccoli lampeggii. Ma senza rumori, gli effetti visivi erano inutili. Spostai un paio palle di carta e trovai il mouse. Cliccai un paio di “Ok” e aprii la piattaforma di gioco. Una semi-catastrofe era avvenuta. Il mio triangolo aveva rotto al di sotto mentre prevedevo una mossa rialzista dell’euro. “Avrei potuto intervenire se fossi stato sveglio!” pensai incazzato. Ma il tempo dei ripianti, in borsa, ha vita breve. Mai rimpiangere il passato perché il futuro è sempre pieno di occasioni. Ora la situazione era sostanzialmente stabile. Il danno era stato fatto e dubitavo che l’apertura di Londra avrebbe potuto sistemare le cose. C’era solo d’aspettare. Il mio portafoglio segnava una cifra rossa con un bel meno davanti. Ecco i rischi del mercato. Mi sentivo come un camionista che si era addormentato al volante e aveva centrato un muro.
Dovevo smettere di guardare lo schermo. La negatività mi demoralizzava.
Guardai la mia tazza di tè ancora mezza piena. Con rammarico capii che il mio corpo, ormai, era avvezzo a quasi genere di stimolante.
“Non deve accadere più!” pensai battendo un pugno sul legno facendo traballare tutto. Non potevo addormentarmi di fronte a una azione del mercato. Dovevo restare sveglio… a costo di prendermi a schiaffi da solo!
Mi buttai sul letto e accesi la tv. Feci zapping sui soliti programmi inutili della mattina. Niente d’interessante. Abbandonai la ricerca lasciando Italia Uno in sottofondo. Guardavo il soffitto con le braccia incrociate dietro al collo. “Non posso commettere errori… non devo sbagliare…” Gli sbagli si pagano e lo sapevo bene. Ma perché abbiamo bisogno di dormire? Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza e non credo che lui abbia bisogno di riposarsi… Mah… i misteri della vita…

“Red bull ti mette le aliiii!” qualcuno urlava alla tv.
Girai la testa incuriosito da quella pubblicità. Conoscevo la Red Bull ma non l’avevo mai assaggiata. Dicevano che avesse particolari caratteristiche stimolanti.
“Stimola la mente e il corpo…” concluse lo spot.
Allettato da quei principi, mi vestii in un baleno e scesi le scale. Percorsi quei pochi metri che mi separavano dal piccolo Carrefour all’angolo. Entrai e mi diressi al reparto degli alcolici. Mi fermai un attimo ad osservare la mia amata Tennent’s. “Lo so amore… ti sto trascurando…” pensai accarezzando la forma della bottiglia. A fianco c’era la famosa Red Bull. Ne presi una lattina e lessi gli ingredienti: Saccarosio, glucosio, caffeina… “Bene, non è male. Sempre meglio di bere una valangata di caffè.” Feci per prendere altre lattine quando mi accorsi della presenza di una schiera di lattine nere con sopra disegnata una fiamma ardente. Spinto dalla curiosità ne presi una e ne lessi gli ingredienti. Oltre a tutti quelli già presenti nella Red Bull ve ne erano molti altri, tra cui l’estratto di Guaranà. Avevo letto da qualche parte le proprietà eccitanti di quella pianta e si diceva che fosse più potente della caffeina e della teina messe insieme. “Mi spiace Red Bull ma questa… mmm… Burn, ti ha battuto!”
Con un braccio afferrai una decina di lattine e le misi nel carrello. “Forse sto esagerando?”
Ne presi altre cinque solo per il gusto di contraddire ai miei scrupoli. (li odio) Andai alla cassa e depositai il carico sul tappeto scorrevole. Il cassiere mi fece un sorriso malizioso nell’osservare quell’immensa distesa di lattine. Pagai con la carta e tornai a casa.
Mi sedetti sulla poltrona e accesi lo schermo. Aprii una lattina…
“Vediamo che sai fare…” dissi guardandola.
Versai quel succo rossastro in un bicchiere e lo mandai giù in un sol colpo. Intanto mi dedicai ai miei grafici cercando una possibile via d’uscita dal guaio finanziario in cui mi ero cacciato. Bevvi un altro bicchiere e finii una lattina. Guardai l’orologio, erano le due del pomeriggio. Attendevo con ansia l’apertura di Wall Street. La borsa più importante del mondo. Perché è in quella strada, tra quei palazzoni, che avvengono i colpi di mano più importanti nella finanza.
Avevo ancora un po’ di stanchezza addosso. Aprii un’altra lattina e la bevvi all’istante e dopo 10 minuti ne avevo già in mano un’altra. L’ora dell’apertura si stava avvicinando. Guardavo l’orologio digitale come un corridore pronto alla partenza. Il mio cuore batteva. Bevvi un’altra lattina. Tutti i mercati erano stabili. Anche loro attendevano l’apertura di New York. Aprii sullo schermo tutti i grafici che m’interessavano e posizionai le finestre in modo da poterli vedere tutti contemporaneamente. Controllai il calendario economico per conoscere i dati che sarebbero stati svelati all’apertura. Vendita di case… Interesse dei consumatori… Mercato automobilistico… niente di rilevante fino a quando non scorsi nell’elenco il famoso No-farm pay roll.
– Porca putt… –
Quel dato era uno dei principali dell’economia Americana. Sostanzialmente indica la percentuale di occupazione. Ossia, lavoratori e disoccupati. Un dato che di per se sembrerebbe, in via ipotetica, non influire molto su azioni, futures o derivati. E invece, quel solo dato, può avere effetti anche devastanti nel mondo finanziario.

– Ci sarà da ballare… – pensai sorridendo, mentre mi aprivo un’altra lattina.

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