Peeeeeeeeeeeeeeee
– Dannazione! –
– Da qua… ora tocca a me. –
L’orologio, appeso in alto sulla parete destra della casa, segnava le due e mezza di notte. La lancetta dei secondi scandiva ogni piccolo scatto, lungo il suo interminabile percorso. Eravamo tutti e tre seduti attorno ad una tavola di legno. La luce elettrica illuminava artificialmente i nostri volti presi e concentrati sul gioco. Eravamo io, Enzo e Mario. Compagni inseparabili di questo viaggio senza mete precise. E proprio questo viaggio indefinito, ci aveva portato fin qui. Eravamo a Torino… ospiti di un nostro amico che gentilmente aveva aperto le porte di casa a questi tre scapestrati.
Peeeeeeeeeeeeee
– No… un’altra volta! Cavolo… –
– Dai pesca una carta… –
Il nostro amico aveva preso una casa in affitto nella periferia sud di Torino. Abitava lì da poco tempo, tanto che la proprietaria aveva lasciato tutte le proprie cose dov’erano, per poi tornare a prenderle e spostarle nella nuova casa. Infatti, sui mobili della credenza erano disposte varie fotografie che raffiguravano una giovane donna dai capelli castani. Una piccola foto raffigurava invece, il volto di una bambina che giocava con un palloncino rosso. Aveva i tratti molto simili alla donna delle altre foto e ipotizzai che fosse sua figlia. Alcuni libri erano disposti ordinatamente su un ripiano. Trattavano tutti temi religiosi come: “ritrovare la fede in se stessi” o “credere aiuta l’anima”. E ce n’erano abbastanza da capire che quella donna era una “brava” cattolica.
– Enzo fai piano… dai che ce la puoi fare! –
– Shhhh… mi fai deconcentrare! –
Enzo aveva lo sguardo fisso sul gioco. Cercava di non far tremare le mani perché al minimo urto avrebbe perso. Mario lo osservava silenzioso trattenendo a volte il respiro per non disturbare. Io percorrevo con gli occhi i bordi della scatola. Guardavo le figure colorate e le grandi scritte. E nell’angolo in basso mi colpì una dicitura. Enzo stava quasi per estrarre il pezzo con la massima calma…
– Ragazzi… ma qua c’è scritto da 6 a 12 anni! –
Peeeeeeeeeeeeeee
Scoppiammo a ridere mentre il naso dell’allegro chirurgo s’illuminava. Enzo era stato distratto dalle nostre risate e aveva toccato con le pinzette i bordi metallici del gioco.
Eravamo tre ventenni che stavano giocando a un gioco per bambini trovato in una delle stanze della casa. Precisamente era la stanza dove dormivo io che un tempo doveva essere la cameretta di una certa Manuela. Conoscevo il suo nome perché aveva scritto il suo nome un po’ dappertutto con lettere adesive.
Il gioco continuò indisturbato fino a quando il Dottor Ciro non riuscì a mettere a posto il tendine del tallone, l’ultimo e più difficile pezzo del gioco.
Ci abbandonammo sulle sedie con un bel respiro profondo. Guardavo il soffitto che a poco a poco si faceva più lontano per la crescente stanchezza. Enzo e Mario erano pensierosi. I loro sguardi erano distratti e vaghi. Sicuramente stavano pensando al prossimo passatempo per ammazzare la noia. Le loro menti, però, faticavano a generare idee a quest’ora .
Passarono una decina di minuti e una voce tediosa interruppe il favoloso silenzio.
– Ciro… – mi chiamò Mario… – Che si fa? –
Non seppi rispondergli subito. Il mio sguardo s’era soffermato sulla grande cassettiera alle sue spalle. Doveva per forza contenere qualcosa. E la mia anima curiosa che sempre mi accompagnava, mi spingeva a volerne scoprire il contenuto.
– A cosa giocare non lo so… intanto che ci pensiamo, vediamo cosa c’è in quella cassettiera. –
Ci avvicinammo tutti e tre al mobile. Aveva sei o sette cassetti abbastanza ampi disposti uno sopra l’altro. Aprimmo il primo e le nostre teste quasi si scontrarono nell’involontaria gara a “voler vedere per primo”.
Il cassetto era semi pieno e conteneva una po’ di tutto. C’erano lampadine… penne biro… fogli con appunti… e un orologio.
– Caspita! Questo è un Rolex! –
– Non credo… se fosse stato un Rolex non stava buttato in un cassetto insieme con una lente d’ingrandimento e un cacciavite! –
– Mio! –
– No… Enzo posalo dai. –
– No! Questo va diretto su Ebay… –
Enzo cominciò ad atteggiarsi per la stanza con al polso quel simil-Rolex. Mario lo seguiva cercando di capire se fosse autentico. Ma il fortunato possessore alzava il polso per non farselo afferrare.
E mentre loro bisticciavano per l’orologio, aprii il secondo cassetto. Questo conteneva un mucchio di fogli sparsi di vario genere. C’erano bollette del gas… della luce… estratti conti… versamenti… bollettini in bianco.
Mi girai verso Enzo e Mario che si contendevano quell’aggeggio.
– E’ mio! –
– No! È mio… l’ho trovato prima io! –
– Ehi ragazzi smettetela! Venite a vedere. –
I ragazzi si avvicinarono al cassetto. Ad una ad una presero in rassegna le varie bollette. Tra le varie cose scorsi un piccolo quadernetto. La copertina era un po’ ingiallita, segno che aveva passato un bel po’ di tempo chiuso lì. Lo presi e lo aprii. Su alcune pagine c’erano degli appunti di calcoli. Per lo più spese monetarie. Molto vecchie dato che le cifre erano in lire. In particolare mi colpii la dicitura “spese di avvocato” accanto ad una cifra. Subito pensai che quando si trattava di avvocati sorgevano i problemi. Chissà quale sarà stato il suo. Magari qualcosa di grave… magari aveva ucciso qualcuno che aveva curiosato tra le sue cose. Sorrisi…
– Ehi Ciro… guarda un po’ qui! Un estratto conto! –
Posai il quadernetto attirato da qualcosa di nuovo.
– Vediamo vediamo! –
Scorrevano sotto i nostri occhi cifre di vario genere. Leggemmo distrattamente quel foglio interessandoci solo alla parte finale dove c’era l’importo totale del conto.
I miei amici iniziarono a fare commenti spropositati e da lì iniziai a comprendere che ciò che stavamo facendo non era molto giusto nei riguardi della padrona di casa del nostro amico. D’altro canto, se lei aveva lasciato lì tutti quei documenti, un po’ se ne infischiava della propria privacy. Dovrebbe saperlo che l’uomo è l’essere più curioso dell’universo e la tendenza a farsi i cazzi propri è molto bassa. Soprattutto se in casa aveva dei ventenni annoiati che non avevano voglia di andare a letto.
I ragazzi mi passarono il foglio. Ormai per loro non aveva più nessuna importanza. Lo lessi più attentamente. C’erano alcune cifre che non mi erano chiare. Per lo più si ripetevano sempre uguali nel corso dei mesi. Vidi meglio, erano dei versamenti fatti con una cadenza regolare e sempre dello stesso importo. Feci notare la cosa ai miei amici… e subito iniziarono a partire le ipotesi..
– Sarà un mutuo…-
– No… è troppo poco… sarà una finanziaria.-
– No… vedi… in un mese ha versato anche più di una volta.-
– Bo… il mistero si sta infittendo! Apriamo un altro cassetto! –
Aprimmo il terzo cassetto che non conteneva nulla d’interessante. Robaccia di ogni tipo. Cose rotte, matite spezzate, cancelleria di vario genere. Solo Mario trovò qualcosa che gli piaceva. Un vecchio paio di occhiali da sole molto rovinati. Se li mise e aprimmo il prossimo cassetto. C’erano alcune decorazioni di natale e ricordai che nella camera dove quella sera avrei dovuto dormire, c’era un piccolo alberello vicino alla finestra. Presi alcune decorazioni e dissi ironicamente:
– Wow… posso addobbare l’albero che c’è in camera mia! –
Così andai di là da solo. Misi alcuni nastri e un paio di palline sull’alberello e mi sedetti sul letto a osservarlo. La mia mente s’isolò per qualche istante. Avevo uno sguardo assente come di chi osserva senza riflettere. Guardavo la stanza. Aveva qualcosa di mistico e spirituale. Il tempo sembrava essersi bloccato. C’era quell’albero di natale, pur essendo appena iniziato agosto. Mi sentivo come imprigionato in una foto in cui tutte le cose erano nel proprio giusto ordine. Tutti i peluche e i giocattolini erano disposti sulle mensole. Orsacchiotti, bambole e piccoli pupazzetti. Di fronte al letto c’era la scrivania. Sopra, in un angolo, erano ancora riposti i colori che la bambina usava per disegnare. E la perfezione dei dettagli creava questa strana illusione nella mia mente. La notte era inoltrata e gli occhi erano stanchi. Iniziai a immaginare la bambina seduta su quella poltroncina rossa che, con la lingua in un angolo della bocca, disegnava il suo sogno più misterioso. Una visione… una visione immateriale di una persona a me sconosciuta. E pure era lì e ora s’era alzata per riporre i suoi disegni in un cassetto… lo richiuse.. mi sorrise.. e sparì.
– Cirooo! Corri di qua! Ci sono novità! – Enzo mi chiamò distogliendomi dalle mie visioni. Scossi un po’ la testa e ripresi conoscenza.
– Arrivo arrivo… che c’è? –
– Guarda qui! Foto! –
I ragazzi avevano aperto l’ultimo cassetto del mobile. Era pieno di fotografie, piccoli raccoglitori e molti negativi. Sfogliammo distrattamente tutte le foto. Ognuno di noi aveva un bel malloppo in mano e ci scambiavamo quelle più interessanti senza trattenerci dalle battute più inopportune.
– Ciro, guarda questa, sembra tua mamma! –
– Fa vedere. Ma dai! Non è vero… scemo! Su… posiamo tutto… s’è fatto tardi… io sono stanchissimo! –
– No! Dobbiamo ancora finire di vedere! –
– Vabbè… fate un po’ come volete… io me ne vado a nanna! –
E tornai nell’altra stanza. Chiusi la porta e mi buttai sul letto. Cercai di dormire ma i miei occhi non avevano voglia di chiudersi nonostante la stanchezza. La curiosità mi stava invadendo. Non potevo lasciare i miei amici di là a scoprire chissà cosa senza di me. Mi girai su un lato. “Tanto tra poco andranno a dormire anche loro” pensai. Ma dalla porta a vetri della mia camera non vedevo spegnersi la luce. Anzi, sentivo ancora rumori di spostamenti e di borbottii. “Quelle due teste matte… fammi andare a vedere che cosa stanno combinando” pensai, ma in fondo in fondo era solo un pretesto per tornare curiosare in giro per quella casa misteriosa.
Riaprii la porta e vidi Enzo e Mario seduti al tavolo che sfogliavano un album.
Mi guardarono.
– Allora… che avete scoperto? –
– Allora… che avete scoperto? –
chiesi rimettendomi in gioco.
