EICMA 2014 Alcuni estratti delle mie foto…
(Foto personale)
Annalisa è un’insegnante di scuola media e svolge questa nobile professione in una scuola del milanese, insieme alla sua amica Lia. Non domandatemi come faccia una come lei a insegnare geografia o italiano a dei poveri studenti annoiati; so solo, (e ne sono certo) che quei preadolescenti passino il tempo a odiarla e amarla allo stesso modo. Del resto, anch’io l’avrei fatto.
Quell’anno, l’insegnante vintage/indy, s’era accaparrata le ferie per l’ambitissimo ponte dell’immacolata. Cosa che non era stato possibile per la sua collega.
Quindi, Lia, in quel momento, era bloccata a lavoro.
Guardavo Anna, mentre camminavamo nel sottopasso della stazione di Porta Venezia. Cercavo di capire a cosa pensasse quella mente incomprensibile. Di solito non ci voleva tanto. Si trattava di capire di cosa stessero discutendo gli unici due neuroni che aveva.
– Anna… che facciamo? – le chiesi.
Anna si fermò. Si guardò intorno. Cacciò il telefono dalla borsa e compose un numero.
Iniziò a squillare. Me lo porse…
– Tieni… sto chiamando la segreteria della scuola. Inventati qualcosa per far uscire Lia. –
– Anna! Ma sei seria? Anna no! Cazz… Pronto è la scuola media *******? Salve. Avrei bisogno di parlare con la signorina Lia ****** è una emergenza. Grazie. –
“Attenda un attimo”
– Anna ma sei pazza! – dissi sottovoce alla mia amica, gesticolando come un babbuino.
– Shhh che ti sentono! – rispose
“Pronto chi è? Che è successo?”
Al telefono si sentì una voce femminile. Era Lia. Anna prese il telefono e lo portò al suo orecchio.
– We, Lia. Ciao. Tranquilla non è successo niente! – rise.
– Non ancora… forse un omicidio tra poco! – aggiunsi
– Senti, ti ho preso il biglietto per scendere. Partiamo tra un’ora. –
“Tu cosa? Anna io sono a scuola!”
– Su esci! Inventati qualcosa! Dai! Ti aspettiamo all’uscita del passante di Porta Venezia, tra un quarto d’ora! –
click
Annalisa ripose il telefono in borsa con estrema calma e mi guardò.
– Secondo te ce la farà? – mi chiese dubbiosa.
Non risposi. Le presi una ciocca di capelli e iniziai a tirarla.
Poco dopo ci raggiunse Lia. La scuola non era lontana da dove ci trovavamo. La vidi arrivare tutta concitata. Affannata. Chissà cosa si era inventata per uscire. Non volevo saperlo. Non volevo altre grane quel giorno. Volevo tornarmene a casa e cercare di recuperare qualche ora di sonno in un comodo letto. Ero distrutto. Avevo un aspetto orribile. Annalisa aspettava di fianco a me. Guardavamo Lia raggiungerci. Notai però, qualcosa di strano nel volto di Lia. Qualcosa che mi diceva che quella giornata non sarebbe finita lì.
– Ciao ragazzi! – ci salutò Lia.
– Ciao tesoro! – rispose Annalisa con un bacio.
La salutai anch’io. Mi sentivo un tappo tra di loro nonostante il mio metro e ottanta. Entrambe erano alte e slanciate. Lia, dopo aver scambiato i soliti convenevoli con Annalisa, abbassò lo sguardo infilando la mano nella borsa.
– Anna, sono uscita da scuola con una scusa orribile che nemmeno ti spiego! Ma… – disse Lia.
– Ma?! – dissi in sincrono con Anna.
– Beh… mi ero dimenticata che, nell’ora precedente, avevo sequestrato due cellulari ai miei alunni… e… non posso portarli con me! E non posso nemmeno tornare a scuola! Come facciamo? –
– Neanche io posso tornare a scuola! Ho inventato una scusa peggiore della tua per uscire! – rispose Anna.
A quel punto, prevedendo già come sarebbe andata a finire la cosa, feci un paio di passi indietro, come chi cerca di fuggire da un animale pericoloso senza farsi sentire.
Le ragazze, dopo essersi guardate negli occhi per un paio di secondi, si ricordarono della mia presenza e si voltarono all’unisono verso di me.
Spaventato come se la mia finta fuga fosse stata scoperta, alzai le mani in segno di resa dicendo:
– No, Ragazze! Non ci pensate nemmeno! Io non ci vado in quella scuola! –
continua…
Ansie, paure, pensieri… tutti lì fuori ad aspettarmi
– Tu mi vuoi far morireeeee! – gridò Gianni dal sedile passeggero della mia Ford fiesta.
Erano le nove e mezza passate. La notte era scesa prima del previsto, segno che le giornate si stavano accorciando. Guidavo o qualcosa di simile. Tenevo il volante bloccato con un ginocchio mentre finivo di scrivere una mail sulla querty del mio cellulare.
– Stai andando addosso a quel ciclista!! – urlò.
– Si l’ho visto! –
– Quello è un camion!! –
– Cavolo da dove è sbucato? – dissi evitandolo per un soffio.
– Basta! Dammi quel cellulare!! –
– No aspetta! Ho quasi finito! –
Gianni mi strappò il cellulare di mano. Cercai di riprendermelo mentre lui lo teneva sospeso lontano da me, proprio come si faceva alle elementari per prendere in giro gli altri ragazzini. – Ridammelo! – gli intimai, girato nella sua direzione. – No! –
Peeeee Peeeeee
Il suono di un clacson strombazzante ci fece girare entrambi verso la strada. Una panda blu guidata da un’ingenua e impaurita ragazza ci stava venendo addosso. In realtà eravamo noi ad andare addosso a lei, visto che eravamo dalla parte sbagliata della strada. Afferrai il volante e la scansai con una rapida manovra. La ragazza, con qualche anno di vita in meno, continuò a strombazzare anche dopo averci superati o sfiorati, per definire meglio la cosa.
Tornai a guardare Gianni. – Ridammelo! – gli dissi. Lui mi guardò e impugnò, minaccioso, la leva del freno a mano.
– Ciro, fermati e fammi guidare! Voglio vivere ancora un po’ io! – disse, mentre minacciava di tirare quella leva per bloccare la macchina.
Per evitare grane con Gianni, alzai le mani e accostai. Subito si mise alla guida e il viaggio continuò più tranquillamente. Tirai fuori dalla borsa la mia fotocamera. Montai un obbiettivo adatto e iniziai a fare qualche foto alle macchine.
Il buio, le luci dei lampioni, i fari e la striscia di mezzeria davanti a noi contribuivano ad alimentare quella strana e bella sensazione che invase il mio cuore.
Dietro di noi non c’era una strada… ma i miei pensieri. Fuggivamo da quelli. Fuggivamo dalla realtà. Per un attimo mi girai indietro sperando che fosse davvero così. Sarebbe stato troppo facile. E infatti, dietro, attraverso il lunotto posteriore vedevo solo macchine e strada, fari e lampioni. Le stesse cose che avevo davanti.
Maledizione… ci sarà una cura? Spero che questa fuga serva a qualcosa…
Il piano di quella sottospecie di vacanza era semplice. In barba ad ogni progetto che la mia mente ansiogena cercava di sprigionare, mi limitai a un semplice “Partiamo!”. Spiazzai la maggior parte degli organi rimasti che si riunirono in un assemblea condominiale. Il cuore chiese alla mente se fosse entrata in ferie in quel periodo visto che la dose di razionalità era brutalmente calata. La mente rispose con un secco “fatti i cazzi tuoi!” e tutti gli altri, stomaco, fegato e polmoni iniziarono ad applaudire con un conseguente boato. I polmoni, contenti del risultato, mi permisero di respirare aria dal dolce sapore di libertà.
Gianni colse al volo il mio invito e saltò a bordo della mia macchina in un batter d’occhio.
Direzione sud, Palinuro, a circa 200 chilometri da casa.
La più vicina patria del divertimento!
In brutti periodi di droga…
Il mio istinto di sopravvivenza era in totale allarme. Avevo paura… una paura folle. Erano le due di notte ed ero a bordo di un Audi a3 sportback.
– Ti piace questa macchina Ciro?-
– Certo, è stupenda… ma rallenta! -
Mi tenevo al bracciolo dello sportello. La velocità era alta; e se lo dicevo io, era alta davvero. Per fortuna il mio cuore teneva ancora, anche se batteva all’impazzata.
– E’ 2000 a benzina… e ha 170 cavalli… non la ferma nessuno!-
– Ci credo… la curva! Quella è una dannata curvaa! -
Onorio prese la curva a pelo a circa 180 chilometri l’ora. Fortunatamente a quest’ora in città non c’erano molte macchine ma quella velocità era folle anche avendo a disposizione entrambe le corsie. Follia pura.
Guardai Onorio.
Guidava con una mano sola, mentre con l’altra si tastava le tasche cercando qualcosa.
- Ciro, vedi se trovi un accendino… –
– Non dirmi che vorresti accenderti una sigaretta ora? –
– Certo…-
– Fammi guidare a me e tu fumi… – gli implorai fissando la strada.
– No, tranquillo, sto bene! –
– Comunque, qui l’accendino non c’è. La curvaaaa! Usa l’accendisigari e cristo rallenta! –
– E’ rotto! –
– Madò… non funziona niente in questa macchina! Secondo me, i miei 10000 euro li dovresti accettare per questo catorcio! –
– Chèè? Catorcio? Guarda qua! -
Onorio spinse l’acceleratore a tavoletta. Restai incollato al sediolino per una decina di secondi e lì capii che dovevo starmene zitto. La strada non riuscivo più a vederla. Vedevo solo cose sfrecciare velocissime.
Onorio a guardarlo sembrava calmo e tranquillo. Come se tutto questo fosse normale routine per lui. O per dir meglio, quello non era ancora il suo limite, mentre il mio era già stato superato alla grande.
Tum tum tum..
. Tum tum tum..
. Curva a destra, curva a sinistra… rotonda. La macchina sembrava pendere dal mio lato ma teneva bene la strada. A un certo punto Onorio iniziò a smanettare con lo stereo. Mise un pezzo di Ligabue per farmi contento. Poi abbassò la mano e girò al massimo la manopola dell’aria calda. Non capivo il perché (in pieno agosto). Il mio cuore batteva così forte che avevo un tremore che si diffondeva per tutto il corpo. Alzò la musica. Urlando contro il cielo. la più bella… e forse la più adatta. Non cantavo… non riuscivo a seguire le parole. La mia mente era uno scorrere continuo di pensieri, ansie e paure. Ogni incrocio, ogni rosso, ogni stop non rispettato, ogni sorpasso, ero lì con le unghie piantate nel sediolino.
Veloce..
. Tum tum..
. Sempre di più..
. Tum tum..
. Un rettilineo. Sapevo che lì Onorio avrebbe dato il meglio di se. Lungo il bordo strada c’erano i pali dei lampioni che si susseguivano a oltranza, oltre a un basso muretto. Non c’era nessuna macchina. Niente, solo noi e la strada. Lunga e diritta sotto di noi. Onorio oltrepassò i 200, il suo contachilometri scintillante era stupendo. Avrei voluto avere anch’io una macchina così. Lo guardai.
Lo guardai e stranamente mi fidavo di lui. Sbagliando…
TUM TUM…
TUM TUM…
Onorio si avvicinò sempre di più al bordo della strada dalla mia parte. Sembrava una cosa calcolata al millimetro. Vedevo il bordo sempre più vicino, i lampioni sfrecciarmi accanto, uno dopo l’altro, in rapida successione… sempre più vicino… e…
– Oooooo atteen… -
SPAAAAAAKKKKKK
Mi abbassai dal lato di Onorio. I miei riflessi erano ancora vivi nonostante l’alcol trangugiato quella sera.
Mi alzai. Onorio continuava a correre come se niente fosse successo. Guardai fuori dal finestrino. Lo specchietto dell’Audi sportback era completamente disintegrato. Distrutto. Una cosa inguardabile. Era rimasta solo la povera freccia penzolante appesa a un filo. Avevo gli occhi sgranati. Lo specchietto aveva preso in pieno un lampione e non ne era rimasto più niente. Guardai il finestrino e ringraziai il cielo di averlo chiuso, altrimenti quello specchietto mi sarebbe schizzato in faccia.
– Ciro, ma ho per caso rotto lo specchietto? – disse Onorio, con la tranquillità di uno che chiede se ha vinto o no il Napoli la domenica precedente.
– Nooo… Non è che l’hai rotto… L’hai completamente polverizzato! Non c’è più niente! –
– Davvero Ci? –
– Rallenta un po’ e dai un’occhiata tu! –
– Aèè, sai quanto costa quello specchietto? –
– Spara! –
– 400 euro! –
– Azz, complimenti allora! Onorio, io te lo dico, pigliati sti 10000 euro per questa macchina! –
– No, ma che! Lunedì la porto ad aggiustare!-
– Tu si che stai bene! –
Finalmente arrivammo a destinazione. Ci fermammo un po’. Lo stereo e l’aria calda continuavano a girare. Guardai Onorio con aria interrogativa e gli domandai:
– Onorio, spiegami una cosa… perché hai acceso l’aria calda? –
– Che ne so Cì… sto ubriaco! Spegnila pure! – disse sorridendo,
lasciandomi per un istante senza parole. Non perché guidasse ubriaco… capita spesso, ma questa cosa dell’aria calda a manetta il 21 di agosto, mi lasciò ammutolito.
Spensi l’aria. Guardai Onorio e gli dissi.
– Al ritorno guido io… –
– Non esiste proprio! Guido io! E ora sbrighiamoci! Che il tizio ci sta aspettando! –
E solo Dio sa quanto può far male..
Quando il cuore batte per conto suo. Quando se ne frega della vita e lascia stare i pensieri. Non posso far nulla per contrastarlo. Sono giorni difficili. Sono stanco e incapace di resistere. E’ una guerra già persa, quella con me stesso. Mi conosco troppo bene da saper di essere più forte.. anche quando dall’altra parte della barricata ci sono io.
E tutto è cambiato, non è più come prima..
La scenografia della mia terra è cambiata. La mia casa non sembra quasi più la stessa. Fatico anche a riconoscerla. E non perché sia ubriaco.
Eccola li… ma non mi fermo.
Voglio fare un altro giro. Un’altra folle corsa su questa strada.
E chi lo sa.. magari potrebbe essere l’ultima.
Tutti questi cambiamenti mi fanno pensare..
E se fossi cambiato anche io?
Se non ci fosse più quel Ciro di sempre che mi seguiva nelle imprese assurde.
Forse l’altra sera è stato solo un assaggio di pazzia, dettata da qualche regola ignota. Chissà a cosa pensavo mentre iniziavo quella corsa clandestina con Luca come mio avversario:
Gianni ed Enzo erano con me e si coprivano gli occhi mentre saltavo qualche semaforo o mi affiancavo a Luca in una strada a doppio senso.
Lo riconosco. Con il suo sguardo beffardo e la sua mentalità sconosciuta, Luca.. è più pazzo di me. Ma a me manca poco. Un solo soffio e diventerò peggio di lui. Basta solo che il mio cuore batta un altro colpo fuori posto e il gioco sarà completo. Il mio quadro ben disegnato verrà macchiato e reso irriconoscibile. Così potrò buttar via la mia fredda razionalità per dar posto alla calda follia.
-No Ciro no!- Urlò Gianni..
Stavo per imboccare uno svincolo contro mano. Volevo superare Luca il prima possibile. Per fortuna non veniva nessuno. Questa notte poteva essere l’ultima per un bel po’ di persone.
.. e lo superai.. ma la soddisfazione non era abbastanza.
La corsa continuò..
Mai mettere due cuori irrequieti al comando di due macchine. Si sa già che poi va a finire così.
Ed ora come ora.. non riesco più ad affrontare i miei sensi di colpa. Sono tutti li a guardarmi e ridere di me. Devo scrollarmeli di dosso il prima possibile. Non posso continuare a far finta di niente e a mentire alla gente con un triste sorriso. E’ dura a volte non poter raccontare. Non poter dire di essere così fragile sotto questa corazza strafottente.
Cosa vuoi.. O mio cuore?
Invoco la tua calma..
Voglio la mia sicurezza.
Non voglio patire..
È così facile mettere a posto la mente e la coscienza non pensando.
Ma con te non ci riesco.
Cos’è?.. Che cos’hai?
Sono domande a cui so che non mi darai risposte..
Trattengo il respiro..
I tuoi battiti si fanno più intensi. Li sento e contandoli cerco di capire come sia fatto questo piccolo organo malinconico.
Tum tum..
Tum tum..
Sembra aver smesso.. Respiro..
E seduto su questa comoda poltrona batto le mie ultime parole di questa notte.. prima di affondare i miei occhi nella calda e tranquilla Combray.. dove Proust si dilettava a descrivere il suo piccolo mondo…
Alla prossima.. Lo spero..
Appena il sole tramontava, le luci del villaggio si accendevano man mano. Era uno spettacolo vedere tutti i vialettini illuminati. Si creava un’atmosfera confortevole.. a tratti romantica. Tutto curato e perfetto. Il verde.. gli alberi.. gli ulivi.. le siepi.. gli oleandri.. le aiuole.. l’erbetta.. Così perfetto da sembrare casuale.. e così casuale da rendere il tutto affascinante..
Mi avvicinavo al ristorante con mio fratello. Parlavamo del più e del meno. Scuola, ragazze e videogiochi si alternavano nelle nostre parole a ritmi cadenzati. Più gli parlavo e più vedevo in lui una mia fotocopia spiccicata. Più gli parlavo e più capivo quanto fosse brutto vederlo crescere a “tratti”. Purtroppo la mia vita fuori casa questo mi permetteva… e le vacanze erano l’unico periodo in cui potevo stare un po’ di più con la mia famiglia. Per questo ne approfittavo per sapere come se la passava il mio fratellino.
Arrivammo al tavolo. Mio fratello piombò subito al bancone del buffet senza nemmeno aspettare che gli altri componenti della famiglia arrivassero. “Egoista ed egocentrico” pensai.. “proprio come il fratello.. e guai a chi gli tocca le sue patatine!”.
Mentre osservavo mio fratello che si riempiva il piatto di contorni, si avvicinò al tavolo la cameriera. Curata e impeccabile come tutte le sere.
– Buonasera… –
– Buonasera –
– Grazie per… –
– Shhhhhh!!… – la interruppi e mi voltai indietro per vedere quanto erano distanti i miei genitori. E dopo essermi assicurato che mio padre non fosse a portata di orecchio, le dissi: – Tranquilla… solo… teniamo questa cosa tra di noi… – e le sorrisi… forse aveva inteso o forse no. Ma speravo che non avrebbe creato casini.
– Allora porto l’acqua? –
-Sisi… e anche un quarto di vino bianco per mio padre. –
– Ok –
– Grazie Elena. –
E proprio quando la cameriera se ne andò, arrivarono al tavolo i miei genitori e l’altro mio fratello. Subito mio padre, che forse aveva osservato tutta la scena da lontano, mi chiese: – Che voleva la cameriera? –
– Solite cose papà… mi chiedeva le bevande che doveva portare… –
– Hai ordinato il vino? –
– Certo papà! –
Mi girai per vedere quante persone erano al buffet e qualcosa mi tirava nella tasca. Era la mia pallina rossa che avevo dimenticato di posare in camera. Ed era qui con me che mi faceva compagnia. “Quante ne ha passate in questi giorni… e dire che non ricordo nemmeno il nome di quel ragazzino!”
Ora…
– Ehi piccoletto… ho saputo che domani parti..-
– Già… –
– Allora ci salutiamo… –
– Si… –
Mi guardò per qualche secondo. Il desiderio di restare ancora, gli si dipingeva in volto con un velo di tristezza. Purtroppo non poteva, la sua vacanza era giunta al termine. Il bambino corse via disperdendosi tra le persone.
Il piccolo anfiteatro era gremito di gente. Alcuni ballavano i balli di gruppo vicino al palco, altri chiacchieravano sulle panchine. Molti si salutavano, di lì a poco avrebbero lasciato tutto questo. Ed io ero lì ad osservarli, seduto comodamente su una delle panchine. Come se in scena si svolgesse l’ultimo atto di quella vacanza. L’ultimo per gli altri, il giro di boa per me. Un’altra settimana mi attendeva…
E chissà come sarebbe andata…
Qualche giorno prima…
Camminavo lungo un sentiero asfaltato in direzione della piscina. Sentivo uno strano odore di pittura confondersi a quello degli oleandri e degli ulivi. L’inserviente del villaggio stava dipingendo il cartello che indicava la direzione per il bar e il ristorante. Gli passai di fianco per andare in piscina. Mi sorrise come per strappare un attimo di pausa al duro lavoro. Gli sorrisi anche io, mi dispiaceva sapere che lui era lì a lavorare ed io qui a rilassarmi.
Da lontano si sentivano le urla dei bambini che scendevano sull’acquascivolo e si scaraventavano nella piscina. Sembrava divertente guardarli. Non ricordavo nemmeno l’ultima volta che andai su un acquascivolo. Era stato un bel po’ di tempo fa… un bel po’ di anni fa. A quei tempi sì che correvo sulle scale per salire su quegli aggeggi… e dovevano tirami con forza per farmi tornare a casa. Proprio come ora facevano questi bambini davanti a me.
Scelsi una sdraio. C’era molta gente. Mi stesi… mi misi al sole. Avevo bisogno di rinvigorire la mia abbronzatura.
Guardavo le persone… chi si tuffava.. chi schizzava.
Arrivò mio fratello che poggiò l’asciugamano a fianco al mio. M’invitò a fare un bagno ma non ne avevo voglia. Si allontanò.
Il mio fratellino. E’ più piccolo di me di età… ma fisicamente quasi mi batteva. Era cresciuto in altezza e aveva messo su un bella massa muscolare. A volte le persone ci scambiavano per gemelli… ma pronunciando le nostre età restavano allibiti. Il dubbio era: ero io che sembravo più piccolo o lui che sembrava più grande? Di certo un po’ d’invidia ce l’avevo… avessi ancora 17 anni. Non so cosa farei… ma di certo sentirei meno il peso degli anni, come in quel momento…
In passato non avrei mai detto di no a un tuffo. Sarei stato io a chiederlo a lui. E se avesse risposto di no, lo avrei gettato in acqua con tutto lo sdraio. E poi mi sarei gettato anche io… e tra gare di nuoto e lotta in acqua… tra corse e tuffi, le lancette degli orologi ci correvano dietro… e una vita ci bastava e come… ma la mattinata no di certo.
Comunque vada, gli anni passano… sta solo a noi cercare di goderceli.
La pallina rossa sbucò dalla mia borsa, come un essere vivente che vorrebbe vedere la luce ogni tanto. Presi gli occhiali da sole, le cuffie e non seppi dire di no anche a lei.
Mi sdraiai di più… Mi godevo il sole che batteva sulla mia pelle. Osservavo la mia abbronzatura. Intanto giocavo con la pallina facendola passare tra le dita… e la musica correva…
Do you know what’s worth fighting for,
When it’s not worth dying for?
Does it take your breath away
And you feel yourself suffocating?
Does the pain weigh out the pride?
And you look for a place to hide?
Did someone break your heart inside?
You’re in ruins
One, 21 guns
Lay down your arms
Give up the fight
One, 21 guns
Throw up your arms into the sky,
You and I
I Green Day suonavano la loro musica. Quella canzone la amavo. Sembrava seguire attentamente i battiti del mio cuore. La pallina, intanto, continuava a girare tra le mie dita. Bella amica di sempre… la mia rossa sfera gommosa. Sembrava non staccarsi mai… anche se a volte vacillava, riuscivo comunque a recuperarla. Non la guardavo neanche più… solo sentirla tra le mani mi faceva stare bene.
Un signore con gli occhiali da sole stava facendo un video alla propria figlia. Lei era in acqua che schizzava alcuni compagni. Si stavano divertendo. Dall’altro lato della piscina, l’animatore faceva strane smorfie a dei bambini. All’improvviso, una ragazza in bikini mi passò davanti. Aveva un fisico longilineo interrotto a tratti da un costume azzurro. Continuavo a guardarla voltando la faccia da una lato e questa invitante distrazione mi fece perdere la concentrazione sulla pallina che cadde rotolando verso il bordo della piscina. Mi alzai lentamente come se non fosse successo niente. Velocemente un bambino uscì dall’acqua. Sicuramente aveva osservato tutta la scena e soprattutto la mia pallina rossa. Me ne preoccupai poco, ma quando lo vidi afferrare la pallina e scappare via, sgranai gli occhi:
– EHI! TORNA QUI!! Quella è mia!! –
Il bambino si girò indietro mi guardò e sorrise. Voleva che io stessi al suo gioco. Forse nemmeno immaginava quanto tenevo a quella cosa. Forse pensava che era una semplice e stupida pallina rossa. Un oggetto per giocare. No! Quella era la mia pallina rossa! Dovevo riaverla.
Cominciai a correre dietro al bambino, evitando persone, saltando tra le sdraio cercando di non scivolare. Insomma, un vero e proprio inseguimento rocambolesco tra un ventenne e un tredicenne. Cercavo di non immaginare l’ilarità che provocavo nella gente che mi guardava, mentre tentavo come un disperato di acciuffare quel ragazzo.
– Ehi! Ridammela! –
– No! Questa viene via con me! –
Dannazione! Quel bambino era fermamente ostinato a non cedere. Per certi versi mi ricordava qualcuno, ma non c’era tempo per pensare. Il piccoletto voltò in un vicolo dietro la piscina. Lo seguii…
– Sono qui! Non mi prendi! – e corse su per delle scale di ferro.
Ed io gli andai dietro.
Gradino dopo gradino fui in cima. In pratica era la torretta da dove partivano gli acquascivoli che finivano in piscina. Era abbastanza alta da vedere quasi tutto il villaggio. Era abbastanza alta da poter buttar giù una pallina e non ritrovarla mai più. Un brivido mi scosse, al solo pensiero.
Cercai il bambino tra le persone che aspettavano di scendere. Eccolo.. era in piedi vicino all’acquascivolo blu e mi faceva le smorfie.
– Se ti prendo… –
Cercai di andargli vicino ma una mano mi bloccò. Era il bagnino che mi fece segno di aspettare il mio turno. Il bambino l’aveva ancora vinta. E mentre aspettavo, fremendo per l’impazienza. Il piccoletto non si tuffava ancora. Sembrava volermi aspettare e quando il bagnino mi diede l’ok, lui subito si gettò dentro l’acquascivolo blu. Gli piombai dietro ma non feci in tempo ad acciuffarlo che scese giù. Ed ora toccava a me. Scendere o non scendere… buttarmi o non buttarmi… la mia pallina rossa era con lui. Le persone dietro aspettavano.. il bagnino mi face un fischio col fischietto. Mi buttai…
Ciro… sull’acquascivolo.. questa era proprio da non perdere…
Mattina…
La macchina correva, la strada era libera. Dovevo passare a prendere i miei amici, per poi partire. La meta era ancora ipotetica. Proprio come piaceva a me… senza vincoli ne barriere, si partiva e via.
Le curve scorrevano veloci, il sole era già alto. Era un po’ tardi per partire per il mare, ma a noi non importava. L’importante, in fondo in fondo, era stare insieme e questo lo sapevamo tutti. Era una di quelle regole non dette che c’erano tra gli amici, contenuto in quel codice segreto che sembrava dar senso alla vita.
Stavo correndo troppo e non solo con i pensieri. Mi fermai. Feci passare un netturbino che sembrava non essersi nemmeno accorto di me. Ingranai la marcia e ripresi la corsa. Sfrecciai davanti a una persona che sembrava Gabriele.
– OOOOOO! Dove cazzo vai!??!? – sentii urlare.
Era Gabriele. Frenai e misi la retro. Salì in macchina.
– Dove vai a quest’ora, Cì? –
– Al mare! Vieni pure tu! –
– No… sono troppo stanco… sono tornato ora dal lavoro.-
– Vabbè.. tranquillo… sarà per la prossima volta! –
Lo accompagnai a fino a casa sua e prima di scendere mi diede due baci.
– Auguri Cì… –
Lo guardai scendere. Avrei voluto tanto che fosse venuto con me. Gli volevo fottutamente bene a quel ragazzo. Anche se a volte mi faceva andare su di giri. Come quella volta che mi spruzzò il profumo negli occhi o quando mi ustionò le mani con la brace del fuoco. Quante litigate che c’eravamo fatti. Finite tutte con il solito giro di scuse ed io che non riuscivo mai a non perdonarlo. Mi odiavo. Certe volte avrei voluto proprio non parlagli più… certe volte, invece, avrei voluto che restasse ancora un altro minuto sulla panchina a raccontare qualche storia assurda per farmi dimenticare dei miei pensieri. Ero un debole… per gli amici avrei fatto di tutto e un loro tradimento mi avrebbe ucciso il cuore peggio di qualsiasi altra cosa. Ripartii.
Altri amici mi attendevano.
Passai a prendere Gianni.
– Dove si va? – gli chiesi
– Non so… –
– Visto che è tardi… solita meta! –
– Campomarino. –
E presa la decisione, passammo a prendere Enzo e gli comunicammo la meta. Lui non fece una piega. Stava bene anche a lui. Campomarino era una decisione jolly. In mancanza d’altro, era sempre un ottima meta. E poi… la strada per arrivarci era una favola. Si correva da Dio! Chissà perché mi piaceva sempre sfidar la sorte su quel manto d’asfalto. Era un’eccitazione strana. Quasi meglio di qualche droga.
Scalo di marcia…
Sorpasso.
La macchina rispondeva bene ai comandi.
Accelerai
BEEEP
Avevo superato i 110. Quello era il bip dell’allarme della velocità. Quanto adoravo quel suono. Era come avere un battito di cuore in più. Dato che la mia norma, era averne uno in meno.
– Ciro rallenta… – mi fece Enzo.
C’era una curva molto stretta. Sterzai ma la macchina non riuscì a girare bene. Invasi l’altra corsia e cercai di rallentare nel modo più dolce possibile. Finita la curva… tornai sulla retta via.
Terza… quarta… beeep… quinta.
E si ricominciava.
120… 130… 140…
La lancetta del tachimetro non voleva fermarsi mentre quella dei giri del motore sembrava soffrire quando superava i 5000.
– Ciro… se continui così, un pieno di diesel non ci basta per arrivare! –
– Non vi preoccupate ragazzi… ditemi solo dove svoltare che non mi ricordo… –
– Tanto devi andare sempre diritto. –
– Aspetta un momento… non ricordo che la strada fosse così! –
– Cosi come? –
– Beh… così ben fatta! –
– Già anche io ho dei dubbi… Enzo accendi il navigatore. –
– Ok… CAVOLO! siamo fuori di 90 chilometri! –
– Cioè abbiamo sbagliato strada?!?! –
– Si! –
– Dannazione!! –
Accostai, feci inversione e ripartii.
Pensai. Possibile sbagliare strada così? Campomarino era un po’ la nostra seconda casa… e scordarsi la via di casa non era una buona cosa. Sarà stata la velocità… la distrazione… o che cavolo ne so! Fatto era, che dovevamo recuperare.
Mi concentrai sulla guida. I ragazzi intanto cantavano le canzoni che passava la radio. Sorrisi… nel frattempo feci un paio di sorpassi azzardati insieme ad una Fiat Bravo davanti a me, che mi faceva da apripista. Ormai era diventata quasi una sfida. Lui staccava la freccia… ed io pure… Sorpassava e aspettavo che mi facesse spazio. Ad un certo punto lui sorpassò in una curva ed io lo seguii.
– Ciro quello è un camion! –
– Lo vedo… – dissi con calma.
Ero a fianco alla macchina che stavo sorpassando. Dovevo decidere quale pedale schiacciare. Se rallentare… o accelerare. La Bravo era ormai lontana. Il camion si faceva sempre più vicino e mi lampeggiava. Rallentai… e tornai dietro alla Punto bianca. Questa volta aveva vinto il camion rosso… anche se dubitavo che avrebbe perso nel caso di un incidente. Sorrisi. Eravamo quasi arrivati. Vedevo già il mare alla mia destra. E il profumo di brezza marina si faceva sentire.
Lo sapevamo che Campomarino non era un posto d’élite. Se tutti noi non ci avessimo passato l’infanzia, non lo conosceremmo nemmeno. Di spiagge belle ne esistono e come… con mari più puliti e divertimenti più vari. Ma questo posto non lo abbandonerò mai… è una scatola di ricordi.
– Guarda Enzo… la piazzetta! Ti ricordi quando la sera andavamo a giocare alla sala giochi? E quando tutte le mattine facevamo quel pezzo di strada per andare a lido Mare Chiaro… Mamma quanto è cambiato. Di anno in anno si è accaparrato un pezzo di spiaggia libera. Quindici anni fa, aveva solo pochi ombrelloni, ed era anche il lido più piccolo. Ed ora c’è addirittura il bagnino stile baywatch… quante cose che sono cambiate! –
E’ già… il tempo passa anche qui… e persone e cose si trasformano. Ma ero curioso di vedere una cosa..
– Ciro perché giri di qua?.. ah.. ho capito! vuoi vedere la vecchia casa… –
Esatto… Enzo mi aveva capito al volo. La vecchia casa in cui trascorsi la mia infanzia.
La casa che affittavamo d’estate per passare le vacanze. Sempre lì…
Mi fermai.
Quanta malinconia sprigionava quel luogo. E come era cambiato. Il piccolo giardino era stato tutto cementato. Erano sparite le aiuole dove giocavo dopo mangiato in mancanza della sabbia marina. Il cancello aveva cambiato colore e sopra avevano messo un arco con l’edera rampicante. Purtroppo, l’interno della casa non riuscivo a vederlo anche se la porta era semiaperta. Ero proprio curioso di sapere se esistevano ancora quei divani richiudibili dove io e mio cugino giocavamo sempre. Quante storie c’inventavamo prima di andare a dormire. Quanti bei ricordi…
E pensare che allora, piccolo com’ero, avevo difficoltà ad aprire la porta di quel cancello in ferro… ed ora invece, mi basterebbe una mano. Caspita… ho ventidue anni. Ed ero lì da solo… senza mia madre che mi urlava dietro perché non dovevo uscire in strada. Ricordavo che con le manine mi appoggiavo alle sbarre del cancello e guardavo fuori. Guardavo esattamente nel punto in cui in quel momento ero con la mia macchina. Guardavo e sognavo. Giocavo a fare il grande. Perché un po’ mi sentivo grande. E guardavo mia madre con gli occhi dolci sperando che mi facesse uscire per andare al mare. Ed ora ho ventidue anni… e non mi serve più chiedere niente…
– Ciro… su… andiamo… –
I ragazzi mi chiamavano…
Guardai un ultima volta quel cancello…
salutai me stesso da piccolo…
sperando di rivederlo nel prossimo giro…