Frammenti di vita #8

Fiat Croma

–       Cazzo non entra la prima! –
Gianni cercava, a forza di spintoni, pugni e tirate, di far spostare la leva del cambio verso l’alto.
– Ciro, smettila di giocare con quei pulsanti e prova tu, intanto metto a posto la frizione! –
Il pedale dalla frizione non ne voleva proprio sapere di ritornare su, una volta schiacciato. Gianni quindi, scalciava come un cavallo impazzito sulla base del terzo pedale.
La vecchia Croma del 92’ era ormai un rottame. Una foresta di ragnatele popolava i sedili posteriori. Sul parabrezza, tre grossi tagli rovinavano la vista all’eventuale conducente. Di spie funzionanti nemmeno a sentirne parlare.
–       Mi sa che dovremo fare a meno della prima… e forse anche della seconda… – dissi.
–       La terza? –
Sbam Sbam Sbam
–       E’ entrata! –

All’epoca, la Fiat Croma era l’auto ammiraglia della casa. Stabile, sicura, lussuosa. Soprattutto con i sedili in pelle e tutti gli optional montati. Nel presente attuale invece, mi sentivo più insicuro di una verginella al primo appuntamento.
La macchina fortunatamente partì grazie alle nostre preghiere e alla terza che era entrata.
Gianni notò subito la scarsa presa dei freni ma, nel compenso, i 100 cavalli sotto l’acceleratore sembravano ancora giovani e pimpanti.
–       Che macchinone eh?! Altro che Bmw! Questa è una vera macchina da uomini! – dissi, ironizzando sul suo recente acquisto.
–       Smettila di scherzare che abbiamo un problema! –
–       Quale? –
–       Quello è un incrocio! –
–       Quindi? –
–       Lo sai, vero, che non possiamo scalare le marce? –
Presi la cintura di sicurezza e lentamente la infilai. Click
–       Prega che non passi nessuno! –
Il vecchio catorcio traballava. Gianni cercò di tenere la velocità al minimo ma, al tempo stesso, di non far morire la macchina al centro dell’incrocio. Nonostante ciò, la velocità era comunque alta per una svolta a sinistra senza potersi fermare. Vidi in lontananza, sbucare da una curva più avanti, un’Audi grigia che puntava diritto nella nostra direzione. Sgranammo gli occhi alla vista di quell’auto e dei suoi fari abbagliati che ci segnalavano di toglierci di mezzo, poiché il conducente stava correndo come un dannato.
Gianni fu costretto a usare l’unico pedale perfettamente funzionante: l’acceleratore. I 100 cavalli della Croma si svegliarono tutti in un colpo solo e m’inchiodarono al sedile.
Ci togliemmo dall’incrocio e sentimmo l’aria sprigionata dal passaggio dell’Audi, sfiorarci il culo.
Tirammo un sospiro di sollievo, io, Gianni… e anche la Croma che si spense di colpo.
–       Figlia di puttana! – disse, poi prese il cellulare e chiamò il padre. Quest’ultimo, faceva il meccanico e lo aveva mandato a ritirare quel catorcio.
–       Papà! Che ti ho fatto di male? Se mi volevi morto, bastava dirlo! –

Dopo la telefonata familiare. Riprendemmo, con fatica il cammino verso casa.
–       Dobbiamo fare 30 chilometri… – disse Gianni.
–       Quanti incroci potrebbero esserci in 30 chilometri? –
–       Beh… il primo è andato… –

Una storia disonesta.. (TorreSuda ’09) (I)

Erano le sette del mattino e mi trovavo davanti casa di Luca. Bussavo al citofono nell’attesa che qualcuno mi aprisse. Speravo che Luca si fosse alzato presto quella mattina. Non avevo voglia dei soliti ritardi e delle continue lamentele. Intanto mi godevo involontariamente la dolce aria del mattino. Limpida e fresca… totalmente diversa da quella che ero costretto a sentire a Milano. Respiravo a pieni polmoni e iniziavo a sentire anche un po’ freddo. Un ossimoro per il caldo agosto.
M’ero dimenticato cosa volesse dire svegliarsi così presto. In estate, le parole svegliarsi e presto scomparivano dalla mia mente. Vengono rimandate a settembre, come uno studente che non ha studiato.
E quel giorno ero lì a rispolverare quelle parole, davanti a un cancello, appena dopo l’alba. Finalmente arrivò Luca. Vestito come il giorno prima. Chissà se aveva dormito o no. Mi aprì il cancello e mi fece entrare senza fare troppo casino. Stava finendo di preparare le cose da portare. E mentre rovistava sulla scrivania perennemente in disordine gli chiesi:
– Allora? Preparato tutto? – chiesi.
– Si certo… controllo le ultime cose..  – rispose Luca distrattamente.
– Ho detto.. pre-pa-ra-to tutto? – dissi rimarcando la frase.
– Certo Ciro! Senza la benzina non si parte! –
– Ok… dov’è? –
– E’ in quella busta insieme alle cose da mangiare… –
– Bene… la mia busta è fuori insieme al borsone. Cerchiamo di sistemarle nella macchina prima che arrivi qualcuno a dar fastidio. –
Lasciato Luca alle sue ultime cose, uscii dalla porta d’ingresso e puntuale come un orologio svizzero mi ritrovai davanti il padre di Luca.
– Buongiorno… – dissi educatamente, mascherando un po’ di timore.
– Siamo in partenza? –
– Si… –
Involontariamente cercavo di evitare il suo sguardo. Come se avessi qualcosa da nascondere. Il che, in fondo poteva pur esser vero, ma di solito la mia coscienza se ne infischiava abbastanza.
Restai davanti alla macchina ad osservare i miei bagagli. Fremevo nell’attesa di metterli nel bagagliaio. Temevo che qualcuno potesse guardare in qualche busta e consigliarmi di non portare qualcosa dall’apparenza inutile.
Intanto rispondevo alle domande del padre di Luca cercando di non essere troppo sovrappensiero.
Dove andate… che strada fate… com’è la casa… chi deve venire… chiamate quando arrivate…
Delle sue domande quasi non ne potevo più. Così inventai una scusa e tornai dentro da Luca.
– …Dov’è il mio marsupio blu! – disse Luca disperato.
– Luca… datti una mossa! Tuo padre è lì fuori a rompere i coglioni! Se si mette a frugare nei bagagli è la fine! –
– Tienilo a bada! –
– E’ una parola… continua a fare domande! Dammi le chiavi della macchina. Che sistemo la roba. –
Sistemai il mio borsone nella macchina alla meglio. Nel frattempo arrivò Luca.
Il padre ci guardava poco distante.
– Luca mi raccomando… dovete andare piano… le ruote sono lisce. –
– Non ti preoccupare… andremo sugli ottanta all’ora. –
Non so perché ma quell’affermazione non mi convinceva molto. Dovevamo fare molta strada e se avessimo tenuto quella velocità non saremo mai arrivati. Sicuramente lo sapeva anche Luca e quella era una chiara menzogna per mitigare l’apprensione del padre.
Certamente, un po’ di timore di finire contro il guardrail in una curva un po’ troppo stretta, cominciava a salirmi. Luca non era di certo un ottimo guidatore. Ma tenni i miei pensieri per me perché finalmente salimmo in macchina.
Passammo a prendere Armando e c’incontrammo con l’altra macchina in cui c’erano Gabriele, Enzo, Francesca e Martina. Il viaggio poteva cominciare e con esso la nostra vacanza.
L’aria fresca mattutina stava svanendo. Il sole stava facendo il suo dovere. E dato che la macchina non aveva l’aria condizionata, i finestrini erano costantemente abbassati. Mi voltai dietro a vedere Armando. Era immerso nelle valigie.
– Armaaaa! tutto a posto? – disse Luca.
– Bene… se si potesse cambià musica. –
– Non ti preoccupà che verso le 10 e mezza inizia il festino anni ottanta. –
– Non vedo l’ora! –
Bob Dylan e la sua armonica, però, non erano male. Ci dava quel tocco di tranquillità che alla mattina, quando la mente è ancora per metà addormentata, serviva. Ci rilassava. Luca però di tranquillità ne aveva fin troppo.  Guidava la macchina come uno che stava giocando alla playstation. Ossia… senza molta cura per ciò che faceva.  Tanto nei videogiochi male che va si ricomincia.

– Ma guarda questi davanti se si muovono! Stanno andando pianissimo! Non ci riesco ad andare così piano… dammi il cellulare! – disse Luca, inveendo contro la macchina dei nostri amici davanti a noi.
Presi il cellulare e lo passai a Luca che, con violenza, lo prese e cercò il numero di Gabriele.
– Dammi qua! Ora li chiamo e gli dico che devono andare più veloce! –
Ma, proprio mentre Luca trafficava col cellulare distogliendo pericolosamente gli occhi dalla guida, sgranai gli occhi terrorizzato. Vidi dal suo finestrino un poliziotto in moto che aveva osservato tutta la scena. Avevo il cuore in gola.
– Luca… – dissi sottovoce.
– Aspetta… non trovo il numero! –
– LUCAA. – urlai.
– Che c’è! –
Luca guardò fuori e vide il poliziotto che proseguiva in moto a fianco a noi. Mi passò lentamente il cellulare e si mise a guidare come un guidatore qualunque. Mani alle dieci e dieci, occhi sulla strada… Osservavamo il poliziotto e ci accorgemmo che non era solo. Dietro di noi ce n’era un altro. Anch’egli in moto. Stava succedendo qualcosa. Avevo il cuore a tremila. Lo sentivo distintamente. Cercavo di non pensarci e di rimanere razionale. Attendevamo le mosse dei poliziotti come in una partita a scacchi in cui l’avversario ti mette in difficoltà. Eravamo in trappola. Se così si può definire. Avevamo un poliziotto dietro e uno davanti. Si stavano parlando con la radio. Chissà cosa si dicevano. Noi eravamo in silenzio. Luca aveva spento anche la radio. In ballo non c’era solo la solita multa ed io e Luca lo sapevamo bene. Armando invece non sospettava di niente e per questo se ne restava dietro tranquillamente tra valigie e buste varie. Quegli attimi sembravano infiniti.
Improvvisamente l’altro poliziotto si affiancò. Sbirciò dentro anche lui e diede un colpo di clacson. Quel rumore risuonò dentro di me come un colpo di pistola. Ormai avevo perso le speranze. Ma il poliziotto invece di fermarci accelerò e scomparve via con il suo collega.
Tirammo un sospiro di sollievo. Luca tornò nella sua posizione originale e accese la radio e la sigaretta. Cercai di far rallentare il mio cuore…
Il telefono squillò…
Risposi. Erano i nostri amici che avevano visto tutto dall’altra macchina.

– …Vi siete cagati sotto eh?! –
– Gabriele Vaffanculo! –

Anche perché… forse qualcosa poteva cambiare…

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10 e mezza… mattina
Il sole era già alto nel cielo e la sua luce si diffondeva in tutta la stanza. La mia gentile madre si era presa l’accortezza di aprire le tapparelle prima di uscire per farmi svegliare. Dovrei ringraziarla qualche volta.
Mi alzai.
Era il giorno di pasqua e non c’era un’anima viva in tutta la casa. Wow… un silenzio mai udito: niente fratelli che si litigavano i vestiti, niente mamme che urlavano “È tardi!” e niente padri che ti svegliavano dandoti una pacca sulla fronte…
“Dio hai esaudito il mio desiderio… grazie” pensai mentre cercavo di infilare l’altra gamba nei miei jeans.
Capitava molto raramente che non ci fosse nessuno in casa e nella mia testa formicolavano pensieri di “mega party a sorpresa”.
“Se solo non fosse Pasqua!” pensai.
Ma riflettendoci, se non fosse stata Pasqua, avrei avuto nella casa la solita routine giornaliera.
Infatti quella mattina, la mia famiglia s’era alzata di buon ora per andare a casa dei nonni a Benevento. Lì, ogni anno e ogni pasqua, facevamo il solito pranzo di famiglia. Scusate, ho dimenticato di mettere l’aggettivo “noioso”. Perché l’idea di passare una giornata in compagnia dei miei parenti e dei miei cuginetti dispettosi non era delle più eccitanti. Meno male che c’era qualche zio che alzava un po’ la media con il suo sarcasmo d’altri tempi.

Spuuut!

Sputai nel lavandino il collutorio dopo aver finito di lavare i denti. Mi guardai allo specchio e dissi a me stesso: “in fin dei conti… oggi fai meno schifo del solito… naaa… è che non ho acceso la luce!”
Scesi e entrai nel mio “studio”, anche se questa parola è una delle meno adatte a descriverlo.
Giubbotto di pelle…
Telefonino…
Portafoglio…
Anello…
Ipod mini…

Uscii fuori. “Credo di aver preso tutto… Cazzo! Le chiavi di casa!!
Non per discolparmi ma le avevo dimenticate perché di solito non le usavo mai. Non chiudevo mai la porta di casa. Era sempre la mia attenta mammina a farlo.
Presi le chiavi e m’infilai in macchina. Attaccai il mio Ipod allo stereo e misi la casualità su qualche canzone di Ligabue. Iniziai a canticchiare qualcosa mentre guidavo verso Benevento.

In un quarto d’ora arrivai.
– No Ciro, mettila là la macchina… – mi disse mio nonno appena varcai il suo cancello.
– Ok nonno, va bene qui? –
– Si si… lasciala lì –
Scesi, entrai in cucina e feci il giro di auguri a tutti i parenti.
– Finalmente sei arrivato! – disse mia mamma appena mi vide.
– Mamma… mi sono svegliato subito dopo di voi… ma c’era un traffico incredibile che mi ha fatto fare tardi! – e tutti si misero a ridere sapendo che a pasqua, di norma, non c’è un anima viva in strada

– Che casino! Nonna… quando si mangia? –
-Né… Ciro, sei venuto qua solo per mangiare? – disse mia nonna facendo la finta arrabbiata incrociando le braccia sul petto.
– No, nonna, ma per chi mi hai preso! Non solo per mangiare, soprattutto per i regali! – dissi sorridendo maliziosamente alle zie.
Mio zio era intento a leggere il giornale. Vi giuro… che in vita mia non l’ho mai visto senza. Diceva tutte le volte che gli piaceva essere informato.
– We Cirùùù! – disse appena mi vide, – A 17 anni già tieni la patente? Con che l’hai presa, con i punti del latte? –
– Zio, sei rimasto un po’ indietro… la patente l’ho presa quando tu avevi ancora i capelli! –
– Ciro, quando zio aveva i capelli tu non ancora eri nato! – disse la zia che stava sciacquando l’insalata.

La cucina era un via vai di persone. C’era mia nonna, mia mamma e due zie che stavano preparando il pranzo per tutti. Il nonno invece, aiutato da mio cugino, stava sistemando la tavola e le sedie nel grande salone. Osservavo divertito quelle donne intente a cucinare.
La nonna era il capocuoco della situazione. Era lei a dirigere i lavori e a dare ordini su cosa fare.
– Ermì! basta con il sugo! Ne hai messo troppo! –
– Mà, lascia fare a me! Che viene buono! – disse mia madre.
– No, nonna non glielo permettere! Altrimenti dobbiamo buttare tutto e mangiarci pasta in bianco! – intervenni conoscendo le doti culinarie di mia madre.
– Dai che tua mamma sa cucinare! – la difese mia zia.
– Si, zia, il sabato sera, quando non gliene tiene e compriamo le pizze! –
– Come sei cattivo! La tratti sempre male a tua mamma! –
– No, zia! L’ho trattata fin troppo bene, certe volte quando porta le pizze a casa fa anche schiacciare il cartone! –
– Ciro smettila! – intervenne mia mamma irritata mentre girava la pasta.
Sorrisi e mi misi a sedere mettendo da parte il veleno per mia madre.
Finalmente ci mettemmo a tavola.
Avevo da una parte mio nonno e dall’altra mio zio. In fondo alla tavola c’erano tutti i cuginetti che stavano iniziando a litigarsi la bottiglia di Coca Cola.
S’iniziò quindi a mangiare e a chiacchierare cadendo sempre nei soliti discorsi. Guarda caso la scuola.
– Allora Ciro, dove te ne vai l’anno prossimo? –
– Beh, zio, sono ancora indeciso… ma credo sicuramente che me ne andrò via da questo posto… mi piacerebbe andare a studiare a Roma… o meglio a Milano. –
– Speriamo che vada tutto bene… e che riesci a prenderti questo pezzo di carta! –
– Zio… non serve nemmeno sperare! – risposi sicuro di me.
Dopo che tutti finirono il primo piatto la nonna servì il secondo e mio nonno, che aveva già avuto la sua porzione, disse:
– Marì… vedi che Ciro ne vuole ancora! – disse nonostante non avessi pronunciato parola e il mio piatto fosse ancora pieno. Quindi guardai in faccia mio nonno e capii dal suo occhiolino che il bis non era diretto a me ma a lui.
Sorrisi pensando alla nonna che cercava sempre di mantenere il nonno entro certi limiti a tavola.
– No no, non mi freghi ‘sta volta! – disse mia nonna che aveva capito tutto.
Sorrisi a mio nonno e continuai a mangiare.
Intanto il telegiornale alla tv spiegava l’esito delle ultime elezioni. Come al solito, zio seguiva attentamente le notizie cercando di far tacere tutti e alzando il volume della tv.

– Ciro… hai visto che roba? – disse zio riferendosi al minimo scarto di voti tra destra e sinistra.
– Per un paio di voti… al governo salirà quel deficiente che non si cambia un paio di occhiali da ottant’anni! –
– Zio, fosse solo questo… ho visto un’intervista in cui una giornalista gli chiedeva quanto pagasse di Ici sulla sua casa e lui non lo sapeva! –
– Chissà che villa tiene sto mangia soldi a tradimento… fa tanto il comunista ma sotto sotto ha più soldi di Berlusconi! –
– Ciruu… tu per chi hai votato? –
-Beh zio… lo sai che il voto è segreto! Comunque ti dico solo che ho cercato di evitare che l’Italia venisse governata da un gruppo incoerente di partiti che non riescono nemmeno a mettersi d’accordo tra di loro! –
Mio zio sorrise capendo almeno da quale parte fossi politicamente.
– Che schifo queste elezioni! Per 25 mila voti avremo 5 anni di confusione al governo! Non riusciranno a combinare niente! –
– 5 anni Zio? Secondo me tra un anno, un anno e mezzo andremo di nuovo a votare! Lo scarto è minimo e l’unione, per quanto possa chiamarsi così non è unita… prendi per esempio Bertinotti… e ho detto tutto… –
Continuammo a discutere di politica per una buona mezz’ora fino a quando non arrivò il dolce e il pranzo finì .

La tavola era sparecchiata e lo zio stava sfogliando un giornale di macchine mentre gli altri parlavano del più e del meno.
– Ciro, quale macchina ti vuoi comprare? –
– Non saprei… ma una bella Audi sarebbe l’ideale… –
– L’ideale per correre! Già con la Punto chissà come corri! – disse guardandomi con uno sguardo di rimprovero.
– Non sempre… – dissi sapendo che se avessi detto di si lui si sarebbe arrabbiato mentre se avessi detto di no, non ci avrebbe creduto, quindi quella risposta mi sembrava la più azzeccata.
Mio zio conosceva bene la mia macchina. Un tempo era sua. Poi la vendette a mio padre un paio di anni fa. Quindi sapeva bene fino a che limite poteva arrivare, ma non sapeva, che da quando era finita nelle mie mani, quali strane imprese ha dovuto affrontare. Già quando mio padre la portò dal gommista un po’ di tempo fa, quest’ultimo gli disse: – Ma che ci fate con sta macchina, le corse di rally?! Non ho mai visto delle gomme così usurate! – E poi il meccanico quando mi cambiò i braccetti: – Se questa macchina continuava a camminare in questo stato se ne sarebbe partita una ruota alla prima curva! – E poi il carrozziere quando mi aggiustò il paraurti: – Come cavolo hai fatto a sfondare il fendinebbia? Hai investito qualcuno? –
Per non parlare dell’elettrauto e di quello che mi ha sostituito il radiatore…
Ma queste sono tutt’altre storie… per fortuna passate… e chissà quante, ne verranno ancora…

Alla prossima..

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