Seicentoventi (IV)

Aci Pra foto

Tii Tiii Tiii

La sveglia suonò tentando di svegliare un cuore già sveglio.
I miei occhi fissavano il vuoto già da un po’. Guardai il mio Casio al polso e mi alzai all’istante. Mi cambiai mentre mangiavo qualcosa. Poi afferrai ogni documento utile e lo infilai nel borsello. Feci tutto di corsa, ma quando fui davanti alla porta d’ingresso, mi voltai indietro a guardare la stanza, sospirai pensando a ciò che stavo per combinare. Timidamente qualche senso di colpa si fece sentire. Poi subentrò l’istinto che, con una mazzata, uccise ogni cosa, e i miei occhi tornarono a scintillare.

Mezz’ora dopo ero in una parte imprecisata di Milano. Guardavo con ansia l’orologio. Alle dieci avevo l’appuntamento con Massimo. Dovevo portargli i soldi per la moto, che, al momento, non avevo. Attendevo la persona che doveva occuparsi di ciò.

–       Alla buon ora! – dissi.
–       Senti! Già è tanto che ti faccio questo piacere! Non ti lamentare! – sorrise.
–       Allora! Li hai portati? – dissi, sentendomi un tossico in crisi d’astinenza.
–       Certo! E’ tutto in questa busta! –
Afferrai la busta e scambiai un’occhiata seria. – Ci sono tutti? –
–       Sì, ci sono tutti… –

Trenta secondi dopo ero in metro. L’adrenalina saliva. Avevo un borsello pieno di soldi e documenti. Mi sentivo diverso dal normale, come se avessi avuto gli occhi di tutti puntati addosso. Dopo qualche fermata uscii e, a passo svelto, mi diressi verso casa. Il luogo dell’incontro era proprio lì.

Massimo non c’era ancora. La strada era piena di vita come tutte le mattine milanesi che si rispettino. Mi fermai davanti casa. La portinaia mi salutò con un sorriso. Avrei voluto prendere un caffè da Rocco, ma avevo paura ad allontanarmi e non incrociare Massimo.
Tutto questo per lei… quella fantastica Ducati Monster 620.
Sospirai e udii un rombo di marmitte provenire da lontano. Aguzzai lo sguardo e sorrisi.
Massimo arrivò, fermandosi davanti a me. Scese e, togliendosi il casco, mi mostro la sua folta chioma bianca. Subito il mio sguardo ricadde sulla moto e il mio cuore mi confermò che non era stato un colpo di fulmine di una sera, ma amore puro. Infatti, la voglia di averla crebbe ancora di più.
–       Ciao Ciro! –
–       Salve signor Massimo. –
Scambiammo i soliti convenevoli e andammo al PRA di Milano. Firmai un mucchio di fogli che non avevo mai visto in vita mia. Gli diedi la somma pattuita e lui le chiavi. Infine ci salutammo.

Tornai da solo a casa. La moto era ancora lì ad aspettarmi. In una mano avevo le chiavi e nell’altra l’atto di proprietà ma non avevo ancora realizzato che quella moto fosse mia. La vedevo come una ragazza sconosciuta di cui sapevo solo il nome. Mi sentivo in dovere di prendere confidenza con lei.

Scese la notte e Milano si addormento.
Tutti eccetto me. Andai da lei, giù al palazzo. Con una mano sfiorai il serbatoio. Toccai una manopola e poi la sella. “Pensa! Non le sono ancora montato su!”
In realtà avevo paura. Era la mia prima volta (tanto per fare una scontata similitudine)
La moto era sul cavalletto. Alzai una gamba e salii. Impugnai le manopole.
“Wow”
Respirai a pieni polmoni quella sensazione di libertà.
Girai la chiave e con ansia l’accesi.
Misi a folle e lasciai lentamente la frizione. La moto era ferma ma accesa. Produceva un rumore bellissimo.
Era fantastica.
Accarezzai il serbatoio.
“Faremo grandi cose insieme… ma prima… dovrò imparare a guidarti!”
 

 

 

 

 

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FINE

(continua…   Parte V)

Seicentoventi (III)

Libretto Ducati monster 620

3.

Tornai in casa con un unico pensiero: ottenere quella moto!
Il problema era racimolare i soldi necessari in contanti per il giorno dopo.
Erano le 22 di un venerdì…

Mi fiondai sulla poltroncina e accesi il pc. Aprii tutti i siti delle banche in cui avevo un conto. Sapevo già che molti di loro erano praticamente vuoti, ma non si sa mai…
– Vuoto… Vuoto… Uh! 100€ fantastico! Vuoto… vuoto… –
Chiusi tutto demoralizzato. Il sogno si stava lentamente allontanando da me.
Guardai un grafico ancora attaccato al muro e ricordai che avevo da parte delle azioni in un conto investimento. Non erano molte, ma forse, spremendole come delle arance, poteva uscire qualcosa. Guardai il calendario che, attentamente mi ricordava che il giorno successivo era un sabato.
–       Merda… la borsa è chiusa di sabato! –
Avrei dovuto attendere Lunedì per sbloccare quei soldi. Ma lunedì sarebbe stato troppo tardi e quella moto sarebbe finita chissà dove. Non dovevo permetterlo. Certo… avrei potuto trovare altre moto… magari più belle. Ma quella lì, non so per quale strana ragione mi aveva colpito. Ero rimasto estasiato e affascinato da quel non so cosa di misterioso. Si vedeva che era una moto che aveva vissuto parecchio. Una vera dura che aveva visto più strade di me. Aveva vissuto chissà quante storie… e le storie, si sa, che mi piacciono un sacco.
“Cosa posso fare?” mi chiesi riguardando la foto che le avevo scattato.
Mi buttai sul letto distrutto. Il mio sogno, piano piano, sembrava dileguarsi sopra di me mentre il gin mi faceva compagnia.

mezzanotte

Aprii gli occhi di colpo. La testa mi girava da un po’. Guadai il cellulare distratto e uscii sul balcone a prendere un po’ d’aria. Era notte e in strada alcuni ragazzi facevano baccano visibilmente ubriachi. Sorrisi e subito dopo mi venne in mente un’idea.
Afferrai il cellulare e composi un numero. Mentre bussava, cercavo le parole giuste da dire.
–       Pronto Ciro! –
–       ****** dove cavolo sei?! C’è una musica assordante! –
–       Cosa? Ah sì! Sono a un concerto! –
–       Sì, chissenefrega… ascolta, mi serve un favore importante… anzi! Importantissimo! –
–       Vita o morte? –
–       Più o meno… mi servono 1800€… –
–       ahahhahhahhahahhaha –
–       Suuu non ridere! Sono serio! –
–       Mannaggia a te! A cosa ti servono! Anzi no! Non lo voglio sapere! –
–       Meglio! Altrimenti non me li daresti! –
–       E chi ti dice che te li do! –
–       Poche storie! Mi servono domattina… in contanti… prima delle dieci! –
–       Tu… non… stai… bene! –
–       Era un sì? –
–       Ahhhh…. Vai a dormire Ciro… ci vediamo domani… –

 

 continua…

Soldi… e il resto, è solo conversazione (parte V)

Soldi%2521Il%2520resto..

Tick Tack..

L’orario si avvicinava. Non riuscivo a guardare l’orologio. Presi un antistress e iniziai a passeggiare nervosamente per la stanza. In testa avevo mille ragionamenti, seguiti da mille ripensamenti e mille schiaffi mentali sulle mie insicurezze. Non si deve mai perdere la fiducia! Cambiare idea in borsa spesso non è sintomo d’intelligenza. Perché quella decisione che hai preso è frutto di mille riflessioni, studi e sacrifici. Quindi, solo altri mille studi, riflessioni e sacrifici possono mettere in crisi quella decisione. Cambiare idea con uno schiocco di dita, spinto magari da paura e incertezza, è sbagliato. “Un Trader domina i suoi sentimenti!” c’era scritto i uno dei tanti libri che avevo letto.

Biiiiip Biiiiip Biiiiip

Partiti. Ore 14 e 30. Uscirono i dati sull’occupazione. Negativi! Il cuore a mille… le quotazioni iniziarono a schizzare all’impazzata. Afferrai una lattina e la finii. La tenni in mano vicino alla bocca a mo’ di microfono di un telecronista calcistico.
– Fischio d’inizio… e la partita è aperta! Il Dollaro perde terreno mentre l’euro segna goal a raffica. L’oro salta in vantaggio guadagnando terreno come una Ferrari in un campionato di minimoto. Il petrolio segue a ruota ma non sembra molto motivato oggi, la mamma gli ha negato la merendina. L’S&P invece ha imboccato un’unica direzione, il profondo abisso, oggi immersione tra i coralli. Sembra voler sfondare lo schermo tanto che va giù! Il resto del fronte valutario sventola bandiera bianca e si arrende alla imprescindibile forza di gravità. Giù, giù e ancora giù! Tutto giù!! La parola di oggi è Giù… seguita da porcaputtana! –
La mia telecronaca improvvisata continuò per almeno un paio di ore. I miei occhi si stavano asciugando. Erano incollati allo schermo per non perdere il minimo movimento. Il mio cervello sembrava impazzito. Ragionavo, calcolavo, prevedevo. Mi mordevo le mano per non agire impulsivamente. Le cose si stavano mettendo male.
– La calcolatrice… dove cazzo è quella maledetta calcolatrice! – Dissi nervosamente buttando all’aria lattine vuote e cartacce appallottolate. Le mie tempie pulsavano all’inverosimile… la testa sembrava scoppiarmi. Volevo urlare e prendere a pugni qualcuno. Stringevo l’antistress fino a quasi romperlo. Stavo perdendo la sfida. Cercavo i miei errori e non trovandoli mi arrabbiavo ancora di più.
Poi improvvisamente il mercato si girò come una mandria di gazzelle che incontra sulla strada una tigre. Iniziò a correre nell’altro senso, dirigendosi in pratica verso i miei guadagni. Respiravo. Il mercato mi stava dando una boccata (economica) d’ossigeno. Mi stavo aggrappando alla speranza. La speranza che quel movimento incerto di prima fosse dettato dall’enfasi della notizia. Accade spesso che i trader o le grandi banche speculino in modo aggressivo in momenti come questo. Ma tutto deve tornare per forza alla normalità. Un po’ come quando si butta un sasso in un fiume.
“Sarà così?” mi chiedevo mentre, in piedi, guardavo lo schermo. In finanza c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde. Nessuno può sottrarsi a questa inesorabile ruota. Ed io da che parte stavo? Vincitori o perdenti? Che fine avrebbero fatto i miei soldi? Mi diedi un pugno in testa perché mi stavo facendo troppe domande inutili. C’era il mercato da seguire. Non dovevo perdere il minimo movimento.
Mi sedetti e restai incollato a guardare quelle quotazioni salire e scendere… salire e scendere.
Vuotai un’altra lattina e non contento ne vuotai ancora un’altra. Il mio corpo era un fascio di nervi in tensione. Aspettavo la mossa giusta. Aspettavo come un pescatore paziente che aspetta il suo galleggiante andar giù… però con la carica di un pugile all’ultima ripresa.
I minuti si sommavano generando ore. Il tempo lì fuori cedeva all’oscurità…
Avevo perso la cognizione del tempo. Chissà da quanto ero incollato a guardare quel monitor. Ero ipnotizzato. Fissavo da ore una linea che saliva e scendeva. I miei occhi non ne potevano più… il mio cervello chissà dov’era andato a finire. Ero in trance… letteralmente in trance. Immobile. Con una miriade di grafici lampeggianti che ormai non avevano più nome. Non m’importava più come si chiamassero. Volevo solo che l’andamento imboccasse la direzione giusta oltrepassando quella maledetta linea verde che segnava la mia posizione. Mi alzai in piedi e bevvi un’altra lattina…
La guardai… qualcosa non andava… i miei muscoli tremarono e sentii la terra cedermi sotto i piedi…
Il mio corpo non ne voleva più sapere di me… si stava ribellando. La testa mi girava. Barcollavo per la stanza come in una delle mie migliori sbornie. Ma non ero ubriaco. Mi appoggiai alla libreria. Qualche libro cadde a terra. Non ci stavo più. Il mio equilibrio era fottuto. Picchiai con un ginocchio contro il tavolino e un bicchiere pieno d’acqua rovinò a terra frantumandosi in mille pezzi… Mi avvicinai al letto e ci crollai su…

Svenni…

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