Ho quasi diciassette anni. Diciassette anni e già il peso della valigia si fa sentire. La valigia dei pensieri, delle preoccupazioni e dei disegni del futuro. Mi sento già oppresso da tutto ciò. Per fortuna che la scuola è finita e ho tirato un bel sospiro di sollievo alla vista della mia pagella. Ma i giorni di questa estate corrono veloci. E mentre assaggio la mia fetta di libertà è già arrivato agosto e si sente il profumo dei banchi di scuola di settembre. Non voglio tornare a scuola.. voglio la mia parte di vita. Voglio chiudere gli occhi e non pensare a niente. Voglio respirare mentre canto che Questa è la mia vita. Voglio che la mia Vespa corra di più per arrivare in paese perché i ragazzi sono in giro. Non voglio più amare.. perché ho scoperto che amare fa male.. come il fuoco a chi non lo sa usare. E sono sopravvissuto.. e sopravvivo sapendo di poter dimenticare.. di poter riiniziare..
Come io vorrei..
Voglio il mio bel 10..
E se il mio futuro è da 4 o da 9 poco importa..
Perché domani vado a Rimini..
Un treno espresso viaggiava nella notte. A bordo, oltre a un migliaio di persone, c’eravamo noi. Stipati come solo Dio può saperlo. Erano le due della notte ed eravamo stesi per terra. Tra le due carrozze. Avevamo bloccato le porte “automatiche” con una valigia e allungato i piedi nello spazio di interconnessione dei vagoni. Il treno era affollatissimo. E si potevano ammirare le scene più bizzarre che avessi mai visto in vita mia. Per esempio c’era una persona che dormiva per il lungo sul porta-valigie su in alto. Lo guardavamo con tantissima ammirazione cercando di capire come avesse fatto a salire fin lassù. C’era un signore di mezza età che dormiva seduto per terra nella carrozza affianco. Aveva la bocca aperta da circa 2 ore e noi li a ridere cercando di buttargli dentro qualcosa. Era diventato il nostro mito. Poi vedemmo il controllore che rincorreva due stranieri. Vedemmo i due stranieri tornare e cambiarsi le magliette proprio davanti a noi. E mentre il controllore tornava.. loro facevano finta di niente. Non furono riconosciuti grazie ai colori nettamente diversi da quelli che avevano prima. Da li capii che il biglietto del treno poteva anche non essere pagato. Che furbata.
La notte era ancora lunga davanti a noi. E nonostante la stanchezza non riuscivo a dormire. Mi succede spesso quando sono in viaggio. Difficilmente prendo sonno. Ero impaziente di arrivare e tentavo d’immaginare le mille avventure che mi stavano aspettando. Era la prima volta che mi spingevo così tanto lontano da casa. I miei amici qui per terra erano tutti più grandi di me. E potevano permettersi di fare certe cose senza litigare con i propri genitori. E io guardavo il cellulare cercando di non pensare a quanto insistetti per andare a quella vacanza. Per fortuna che nella dura lotta con mio padre l’avevo spuntata.
Il dondolio del treno mi stava cullando. Un occhio stava per cedere alle insistenze di morfeo. Guardavo i miei amici. Sembravano profughi in cerca di fortuna. Mario aveva da poco fatto i capelli stile rasta e li teneva raccolti sul capo con una fascia nera. Luca indossava una maglietta dei Pantera che non cambiava da almeno tre giorni e a guardarlo sembrava che sognasse di bucare chissà quale server di mirc. Enzo dormiva abbracciato alla sua chitarra.. la musica è la sua passione. Pasquale invece.. era famoso per dormire nei modi più strani possibili!
Mi sistemai il cappello sulla testa. Mi alzai.. e andai al finestrino. Il paesaggio era fantastico. Era mattina.. e il mare s’intravedeva da lontano. Sorridevo..
Eravamo arrivati a Rimini.