Storia di una casa (#37)

Storia di una casa 37 blog

2007/2008

– 37 –

Nell’aria volteggiava qualcosa di strano. Frammenti di destino sembravano volersi ricomporsi davanti a me. In realtà, era banale pulviscolo che rifletteva i raggi del sole, ma, in quel momento, sembrava qualcosa di magico. La telefonata di quella ragazza mi aveva riacceso l’animo. La sua determinazione si era trasferita da lei a me. Avevo ripreso le speranze di adempiere al mio obiettivo… e non era ancora detta l’ultima parola.
“Com’è che si chiamava?”
Cercai di ricordare il suo nome ma la memoria faticava a ricapitolare tutta la chiamata. “Prima o poi dovrò far qualcosa per questo problema con i nomi!”
Tornai nella mia stanza per cambiarmi d’abito. Non potevo presentarmi in uno stato casalingo a una ragazza sconosciuta. Mentre infilavo i calzini, con la maestria di uno scimpanzé, mi cadde l’occhio sulla foto della mia ragazza sull’ultimo ripiano della libreria.
“ah… giusto…”
La piccola amnesia sulla mia situazione sentimentale era venuta alla luce proprio in quel momento. La mia ragazza non avrebbe di certo visto di buon occhio una convivenza mista in questo appartamento. Mi rinfacciava ancora il giorno in cui vennero a trovarmi i miei amici, tra i quali, due di sesso femminile.
E stettero solo pochi giorni! Pensa a dover vivere un anno intero insieme con una ragazza che nemmeno conosco!
“Me lo rinfaccerà a vita!” dissi, prendendo in mano la foto di Francesca.
Quella foto la ritraeva su una terrazza che affacciava su piazza duomo, a Milano. Gliela scattai nei primi mesi della nostra storia. Quando era tutto idilliaco e intatto e una semplice foto poteva riassumere un’intensa storia.
“Tanto non l’affitterà… tranquilla… sarà un altro buco nell’acqua!” dissi alla foto che sembrava aver mutato il suo sguardo da amorevole a minaccioso.

Guardai l’orologio. Mancava meno di mezz’ora all’appuntamento. Decisi di prepararmi un té. Riempii una tazza d’acqua e l’infilai nel forno a microonde. Mi sedetti al tavolo della cucina in attesa che il timer squillasse. Ma a squillare fu il cellulare.
– Pronto… –
– Ciao Ciro come va? –
La voce della proprietaria mi mandò in ansia.
– Bene… –
– Con l’affitto come siamo messi? –
– Beh… non male… ho un appuntamento tra poco… – risposi tentennando.
– Speriamo bene… tra poco inizia ottobre e non vorrei che la casa resti mezza sfitta. –
– Certo… non si preoccupi! Troverò qualcuno! –
– Va bene! Sono nelle tue mani! Aspetto tuoi aggiornamenti! Buona serata. –
– Anche a lei… –
Chiusi il telefono lentamente. Feci misero sospiro di sollievo come quando al liceo la professoressa di filosofia mi poneva domande sulla metafisica ed io rispondevo con una serie infinita di frasi inventate. Volsi lo sguardo al cielo chiedendo aiuto a chissà chi.
Intanto il microonde squillò presi la mia tazza di tè bollente e avvicinai le labbra per soffiare e gustarmi l’aroma dolce del Twinings alla vaniglia.

continua…

Il Miky’s pub… (Livigno 2010 parte IV)

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Nuvole di fumo volteggiavano nell’aria. La luce sul soffitto evidenziava il tutto. Aprii la finestra quel tanto che bastava per respirare un po’, cercando di non far entrare troppo freddo. A volte il fumo mi dà fastidio, a volte invece me lo vado a cercare. I ragazzi stavano buttati sui due letti accostati della camera. Luca e Ciro stavano giocando a Street fighter con il mio pc, mentre Enzo li osservava seduto da un lato. Me ne stavo in piedi con le spalle volte alla finestra e il culo sul calorifero.

Pensavo…

Pensavo che quella era una scena che avevo visto già altre volte. Come quando eravamo a Rimini e dormivamo tra bottiglie di alcol e tabacco. Oppure quando avevamo ancora il nostro circolo e accostavamo i divani per dormire quando era troppo tardi per tornare a casa. Erano tutti nelle stesse, identiche posizioni… sembrava proprio che gli anni non fossero mai passati.  

 

– Dai che ti batto! Sei mio! Vieni qua! –

– No, cazzo! Ciro, come si fa la super mossa? –

– Ragazzi… davvero volete passare la serata ad abboffarvi di mazzate virtuali? – chiesi, pur conoscendo già la risposta.

– Si! –

– Dai ragazzi… ho voglia di uscire! –

– Ma fuori fa un freddo cane! –

 

I ragazzi non erano molto intenzionati ad uscire quindi chiusi il pc davanti ai loro occhi.

– Nooo… –

– Usciamo, punto. –

 

Fuori si respirava un freddo gelido. Un freddo secco e buono che ci gelava i polmoni.

E nella notte 4 ragazzi si muovevano nel vuoto. Facendo il loro dovuto porco casino. Il paese sembrava deserto. Forse tutte le brave persone erano a dormire. Il giorno dopo si sciava e il corpo doveva essere riposato e sereno, quasi come se fosse una giornata di lavoro. Così la pensavano alcuni… tra cui i nostri genitori.

– Chi lo sa come fa la gente a vivere qui? –

– C’è abituata. –

– Abituata a ‘sta madonna di freddo? –

– Sì… avranno i loro metodi… le loro abitudini… –

– Ah… tipo quella di non uscire la sera alle 10 come noi? –

– Beh… forse non usciranno tanto spesso… –

 

Un brivido mi scosse tutto. Forse il mio giubbotto imbottito non era abbastanza. Quel freddo pungente mi era penetrato dentro. Un po’ mi piaceva. Quel freddo scuoteva il mio corpo e non mi faceva pensare ad altro. Mi distraeva con il suo temperamento irruente e invisibile. Camminavamo alla ricerca di questo ipotetico pub dove divertirci un po’. Eravamo già un po’ brilli. Nostro zio aveva stappato la bottiglia di grappa a tavola, oltre alle bottiglie di vino che avevano già contornato la cena. Quest’anno l’aveva comprata al miele. Tutti gli anni che siamo stati in settimana bianca se n’è sempre uscito con un gusto nuovo. Mi ricordo che un anno la comprò alla rucola. Quest’anno con il miele non è che sia stata una gran cosa… ma l’abbiamo bevuta lo stesso. Dopotutto non è che il gusto della grappa si senta molto. Più che altro, si sentono tutti i suoi tosti 40 gradi.  

Eravamo arrivati quasi ai confini della cittadina. Ogni tanto passava qualche macchina. I ragazzi volevano tornare indietro, ma li convinsi a continuare. A un certo punto, sulla destra.. c’era una baita in legno di discrete dimensioni. Su una facciata risplendeva alla luce della luna la scritta dorata dell’insegna.

– Ragazzi… Perché non ci fermiamo qui? –

E fu così che varcammo la soglia… del Miky’s pub…

Il negozio di Ralph Lauren (Livigno 2010 parte I)

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Ti ti ti ti ti ti.. ti ti ti ti..

 

La sveglia del mio cellulare suonò. Ero nel letto e mi rigiravo, mentre il sole che penetrava dalla finestra appannata mi batteva sugli occhi. Erano le otto ed ero a chilometri da casa. Erano le otto ed ero da solo.
Mi sentivo come nel film Mamma ho perso l’aereo. Avete presente la scena in cui il bambino si sveglia in casa e non trova nessuno? Beh, quello ero io…
In quella casa regnava il silenzio. In quella settimana la parola silenzio non l’avevo mai sentita nominare. Tra mia madre che preparava la colazione, papà che sbraitava perché c’eravamo alzati troppo tardi e i miei fratelli che litigavano per chi doveva andare prima in bagno, la mattinata era sempre un po’ movimentata.
Forse quel silenzio mi avrebbe fatto bene, era rilassante. Ma a chi volevo darla a bere… adoravo quell’irritante casino.
Mi sgranchii un po’… Sentivo i muscoli ancora indolenziti e il polso mi faceva ancora un po’ male. Mi alzai e preparai la valigia. Sembrava ieri di averla riempita per la prima volta ed ora mi trovavo qui.. a sistemare pantaloni e magliette come se un’altra vacanza stesse per iniziare. Purtroppo prima o poi si deve ritornare a casa.
Feci un giro per le stanze vuote. Tutta la combriccola era già partita col furgone verso il Sud. A me invece toccava tornare a Milano tra i libri.
Arrivai nella cucina dove c’era il divano rosso e le sedie gialle. Dove cenavamo tutti insieme. Dove giocavamo a carte e dove la sera cominciavano discorsi di politica e di attualità per finire fino a tardi. Tornai indietro nel corridoio e passai in rassegna tutte le camere da letto.
La camera di Luca… La camera di Enzo… La camera dei miei genitori… La camera dei miei fratelli…
E poi veniva la mia camera…
Mi soffermai sulla porta…
Vorrei dormire qui ancora una volta…
Vorrei stare qui e fregarmene di tutto…
Vorrei patire il freddo di questo luogo piuttosto dei problemi di altre “calde” città…
Vorrei star fermo per un momento e non pensare a niente…
Vorrei

Freddo… Faceva tanto freddo quella mattina…
Il mio trolley traballava sui ciottoli di quella piccola città. Livigno.
Nevicava leggermente e qualche fiocco mi finì in faccia. Sentivo il freddo sulla mia pelle che penetrava fino al cuore. Ero solo in quel momento… Fui l’ultimo a dover lasciare quel posto. Solo qualche giorno prima avevo percorso quella stessa strada con i miei cugini. E allora il peso del freddo non lo sentivo affatto. Chissà dove erano ora. Passai davanti al Miky’s pub e sorrisi. Pensai a tutto quello che gli avevamo fatto passare, a quel povero locale. Magari il barista era lì alla finestra e mi stava fissando. Forse sarebbe voluto uscire a rimproverami ancora per l’altra sera. Sorrisi. Un po’ di malinconia scivolò via. In fondo in fondo non volevo andarmene da lì… Quei giorni erano volati in un baleno ed ora dovevo tornare alla mia Milano.
Arrivai alla fermata. Lì vicino c’era un bar.

– Un cappuccino per piacere… –
La ragazza piccoletta dietro il bancone mi osservò un istante e subito si mise all’opera. Sentii un piacevole odore di brioches che si espandeva nell’aria.
– Scusa… mi sapresti dare un’informazione? – Chiesi alla barista.
– Certo. –
– Mi sapresti dire a che ora è il prossimo pullman per Tirano?-
– Alle 9.45… –
– Grazie… Intanto mi posso accomodare?-
– Ma certo… –
Entrai nella sala e mi sedetti al primo tavolino che trovai. Guardai l’orologio… mancava un’ora. La nordica morettina mi portò il cappuccino al tavolo. Le sorrisi per ringraziarla. Mentre mescolavo lo zucchero, mi guardai intorno. C’era un gruppetto di tedeschi seduto al tavolo a fianco che chiacchierava allegramente. Non capivo una parola…
Tirai fuori dalla borsa il mio portatile bianco e lo accesi…
Avevo giusto il tempo per far ciò che amavo di più…

Mentre dalla vetrina si vedeva l’insegna blu del negozio
di Ralph Lauren…

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