Frammenti di vita #6

Carte da gioco

Foto: Le famose carte del nonno Ciro

Stanco e annoiato dal solito giro di amici, chiesi a Gianni di portarmi in un posto tranquillo dove bere una birra. Mi portò nel ritrovo della feccia più nera del nostro paese.

– Non è che mi uccidono? – chiesi sottovoce.
– No… ma che! Sono tutti bravi ragazzi! –

Qualche minuto dopo, ero al tavolo a giocare a carte con: Tinuccio o’ jaguaro, Mimmetto dell’autolavaggio e Sergio o’ pazz.

Constatai che il mio quoziente intellettivo stenta a salire quando serve, ma quando deve scendere per livellarsi a quello degli altri, va giù che è una meraviglia!

Il Vecchio Bisbetico (strane storie estive I)

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Il torrido caldo non tormentava solo noi ma anche il motore dalla vecchia Alfa 156 di Gianni. Ero seduto di fianco a lui, a parlare del più e del meno. Ero tornato da Milano il giorno prima in tarda serata e quella mattina mi venne a prendere per un caffè. All’appello del caffè delle 11 però, mancava Enzo. Purtroppo era in una fugace vacanza interculturale a Salerno. Beato lui.

Gianni era rimasto uguale a come l’avevo lasciato un mese prima. Stessa pettinatura, stessi occhiali, stessa borsa porta-tutto e stessa pancetta, oggetto delle mie continue prese in giro.

Adoro quando le cose restano uguali, quando ritorno dai miei lunghi periodi di assenza. Come la sua Alfa bianca o le case e i palazzi che sfrecciavano di fianco a noi. Il paesaggio casereccio era sempre lo stesso, fatta eccezione per un grosso cavalcavia distrutto, poco lontano da casa mia. Era un grande e grosso pezzo di storia, ormai finito in macerie. Non potevo più dire: “Abito dopo il ponte”, ma dovevo iniziare ad abituarmi al: “Abito dopo la rotonda”. Sempre che abbiano intenzione di costruirla! C’erano solo pietre frantumate e cartelli segnaletici provvisori. Chissà come sarà il paesaggio una volta finito. Anche se non credo che riuscirò a vederlo prima della fine dell’estate, quando ripartirò per Milano.

Tornando al racconto, dicevo, eravamo in macchina alla ricerca di un bar decente, dove prendere un buon caffè alla giusta quantità di denari. Ma trovare un caffè buono era già di per se un’impresa difficile, figuriamoci poterlo pagare poco. Quindi, optammo per la tradizione. Il solito bar di sempre:

Il Carmelo Café

Gianni mise la freccia alzando la levetta con il mignolo. Entrò nel grosso parcheggio. Osservammo per un istante le altre macchine parcheggiate e sprigionammo commenti sul lusso di alcuni modelli, e l’estrema povertà di altri. Come bersaglio delle nostre battute, avevamo preso di mira una piccola macchinetta. Uno strano mezzo a tre ruote. Un cubicolo verde, con l’alloggiamento passeggero per una sola persona. Strano… sporco… deteriorato. Ci voleva del coraggio per girare con quel coso.
– Secondo te quel trabiccolo ha il motore o i pedali? –
– Non so… ma io ci metterei un super motore e ci farei le gare! –
– Si già… sai che tenuta di strada che avrà con tre ruote?! –
Scendemmo e ci avvicinammo a piedi verso l’entrata del bar. Fuori c’era un grosso tendone sotto il quale erano disposti vari tavolini. Alcune persone erano sedute ma non conoscevamo nessuno.
– Che ci prendiamo? Caffè o crema di Caffè? –
– Bo… non so… vediamo… –
– Giovanotti! Dove andate? –
Una voce proveniente da destra interruppe il filo dei nostri discorsi. Gianni ed io ci girammo negli occhi per un istante. Una persona anziana, stempiata con due grandi occhi grigi ci stava osservando.
-Venite qua… avvicinatevi un momento. –
Un po’ titubanti ci avvicinammo alla sedia, dove sedeva il vecchio signore .
– Che fate da queste parti? – disse.
– Siamo venuti a prendere un caffè… – rispose Gianni
Alche, il vecchio ci squadrò da capo a piedi. La sua espressione fu un’incognita. Non sapevo se star lì o ignorarlo ed entrare dentro.
– Bei giovani che siete. Sapete… ai miei tempi le cose erano diverse! non come ora… ora hanno tutti paura! E scappano. Nessuno più ha il coraggio di dire le cose in faccia! –
– Avete ragione… – dissi incuriosito dalle sue parole.
– Ai miei tempi, le cose erano molto semplici e soprattutto, se ti dovevano sparare… lo faceva di fronte a te! Quelli si che erano veri uomini! Non come quelli di adesso che ti sparano alle spalle e poi scappano… –
Lo sguardo del vecchio si era fatto molto serio e nonostante tutto il nostro coraggio, un po’ di timore si cominciava a sentire tra me e Gianni.
E il vecchio continuò: -Vedete? – impugnò il suo bastone nero e con la punta si picchiò sulla scarpa sinistra. Al suono tonfo mi accorsi che qualcosa non andava. Il suo piede era strano. La scarpa era un po’ sformata. Più grossa dell’altra. Pensai che sotto il calzino ci fosse una grossa fasciatura. Il vecchio si guardò le gambe…
– Ormai queste sono la mia rovina! Il medico dice che posso riprendermi… con un altro po’ di fisioterapia e le cure giuste. Ma io non ci credo. Ormai, a settant’anni, cosa vuoi più sperare.-
La sua faccia afflitta e la strana storia contribuirono ad accrescere la pena dentro di noi per quel povero cristo. Tutto a un tratto però, il suo volto si alzò nella nostra direzione e con fare energico ci rivolse una domanda:
– Sapete cosa fa grande un uomo?-
– I soldi? – disse Gianni
Il vecchio scosse la testa e si batté il pugno sul petto.
– L’anima! Quella non potranno mai strappartela via. Un grande uomo si vede dalla sua anima…-
-Avete ragione… –
– Io sono qui seduto per colpa di uomini senz’anima! Questa è la vita! Cosa vuoi farci. Sapete… il problema sta nel midollo! Una volta colpito quello… non si può far niente. Per fortuna un po’ me la son cavata. Una fortuna nella sfortuna. Sono rimasto semi-paralizzato. Ovvero, qualcosa sento. Non sapete quanta gente c’è, che si ucciderebbe per sentire qualcosa! Io almeno se faccio così col bastone… toc… toc… qualcosa, non molto, riesco a sentirla… –
Gianni ed io, stranamente eravamo sempre più incantati dalle parole del vecchio e, ammutoliti, ascoltavamo il suo lungo monologo sulla sua vita. Mentre le sue dure parole scorrevano gli dedicai una lunga osservata. Aveva un lungo calzone nero un po’ consumato e sporco, da cui facevano capolino le due scarpe nere di diverse dimensioni, ovviamente molto consumate. Non aveva solo il bastone nero con sé. Alla sua destra ce n’era un altro, diverso, proprio come quelli che si vedono negli ospedali. Intuii che doveva usarli entrambi per potersi muovere. Dalla cintola in su, era vestito con un piccolo gilet nero sbottonato e sotto una canottiera color carne. Un po’ squallido direi… ma dopotutto cosa potevo pretendere da un tipo così?
– Ragazzi, sapete cosa dovete fare? –
Gianni ed io scuotemmo la testa.
– Dovete godervi la vita finché potete! Sempre! Prima che venga qualcuno e vi spari alle spalle! E soprattutto, non dovete farvi fottere! Sapete cosa può fottervi? –
Ovviamente la risposta non la conoscevamo.
Le femmine! Quelle sono tutte stronze e puttane! Non vi fidate mai! Se una femmina riesce a rubarvi l’anima… è finita! Non ci sta più niente da fare! Sarete in mano sua! E soffrirete sempre… sempre! Questa è la cosa più brutta che possa succedervi… Ci siamo intesi bene?? – disse accigliando un occhio verso di noi, quasi come farebbe un padre con il proprio figlio.
Non saprei dire, forse in cuor suo voleva insegnarci qualcosa. Forse voleva che il racconto della sua vita e i suoi sacrifici non fossero stati vani. Quindi, raccontando in giro i propri errori ai passanti, poteva fare del bene. Soprattutto a due giovani irresponsabili come noi. Confesso che un po’ mi fece riflettere. Voglio davvero ridurmi anch’io così? Sicuramente continuando il mio rischioso stile di vita qualche ammaccatura la prenderò. Il più tardi possibile, si spera.
Però, di una cosa sono certo: Anch’io, nel bene o nel male, su una sedia o su una tastiera, continuerò a raccontare le mie storie. Proprio come questo strano vecchio seduto all’ingresso del Carmelo caffè…

– Ecco… ora potete andarvi a prendere il vostro caffè… – ci disse.
Entrammo lentamente e Gianni avvicinandosi al mio orecchio, disse:
– Dì quello che vuoi… ma qua non ci veniamo più! –

..giornata tipo..

Una%2520giornata%2520tipo.

 

Il cellulare sul comodino suonava come un forsennato la melodia della sveglia. “Dovrei cambiarla” pensai mentre con la mano cercavo di stopparlo alla ceca. Restai ancora un po’ nel letto. Oziavo… Mi piaceva oziare. Un altro giorno era cominciato… e speravo che non fosse stato uguale a tutti gli altri…
Dalla finestra entrava un po’ di luce ma a guardar meglio il cielo era nuvoloso. Sentivo qualche goccia cadere… riuscivo quasi a percepire l’odore della pioggia attraverso i vetri. Quell’odore intenso e sottile di strade bagnate.
Godetti un altro po’ del caldo tepore del letto. Guardai il soffitto e pensai che era l’ora di alzarmi..
Spostai le coperte e poggiai i piedi sul freddo pavimento. Alzai le tapparelle facendomi ammirare dai vicini in tutto il mio splendore mattutino. Chissà se mi odiano per questo? Io non mi sarei odiato. Anzi… sarei stato divertito dalla cosa.. e forse mi sarei anche preso un po’ in giro.
 
Splashh
L’acqua freddain faccia mi mostrò un po’ di sana e vera realtà. Purtroppo non era servita a contrastare la crescente sonnolenza che si abbatteva sui miei occhi.
Mi vestii…
Preparai i libri… il notebook. Presi l’ombrello…
Uscii.
Il senso d’attenzione e i riflessi erano in modalità minima. Vi siete mai trovati nello stato in cui il corpo sembra sveglio ma il cervello no? Lo stato in cui gli arti viaggiano per inerzia, i sensi ammutoliti e le azioni copiate da anni di ripetitività?
Ecco… quello ero io… in un ascensore con una spalla poggiata alla parete mentre i piani scorrevano sopra di me. Piano terra.
Salutai la portinaia con un gesto della mano aspettandomi che mi consegnasse la solita posta pubblicitaria. Niente… neanche la pubblicità mi calcolava più.
Aprii il portone e maledissi Milano e le ore di punta. Un fiume di persone davanti a me viaggiava in senso contrario. Ed io, come un pesce che tenta di risalire la corrente, schivavo i passanti cercando un varco per entrare nella metro.
 
 
La metro..
Questo strano essere dalla forma squadrata. Dal colore univoco deciso in partenza. Dalle finestre chiuse e dall’aria viziata. Dalle strisce gialle e passeggeri impazienti. Dalle voci incomprensibili e i cartelli minatori. Dalle scale mobili a ciclo continuo e i varchi frettolosi. Dai murales colorati e i cartelloni pubblicati.
Questa è la vita metropolitana…
Sembrava un altro mondo. Un mondo in un mondo. A volte pensavo che ci si potrebbe vivere qui sotto senza mai uscire. E forse gli autisti facevano così… si nutrivano del cibo delle macchinettee dormivano nei gabbiotti di controllo. La mattina prendevano il caffè e leggevano il city per sapere del mondo esterno. Chiacchieravano con i controllori e gli addetti alle pulizie. Non fumavano.. a parte quando dovevano farsi la doccia. Allora lì, accendevano una sigaretta e facevano scattare l’allarme antincendio. E quando finivano di lavarsi si asciugavano con i grandi ventilatori del ricircolo dell’aria.
Che storia che m’ero fatto in testa mentre stavo stipato insieme a un centinaio di persone su un vagone malconcio. Per fortuna che il tragitto durava poco. Dovevo scendere e cambiare metro. Questa volta rossa. Questa volta meno persone.
Mi sedetti… e mi addormentai…
 
Una signora fece cadere l’ombrello a terra. Il rumore non fu forte ma l’impatto mi svegliò. Per fortuna direi. Mancava poco all’arrivo. Cominciai ad alzarmi ed andare verso le porte. La metro si fermò. Scesi e andai al solito bar.
Entrai quasi per istinto seguendo quel bisogno primario di caffeina mattutina. E il barista colse al volo il mio bisogno d’aiuto, comprendendo subito la mia voglia di caffè.  Intanto presi una brioche dalla vetrinetta sul bancone. La solita brioche ai frutti di bosco. La mangiavo mentre disegnavo strane forme con il cucchiaino nel caffè. Alzai la tazzina per il piccolo manico in ceramica. Feci scendere lentamente il liquido scuro cercando di immaginare il sapore di un buon caffè. Pagai il mio solito euro e mezzo e saltai fuori da questo mondo sotterraneo.
Sarebbe stato bello se il viaggio mattutino fosse finito lì ma un tram mi aspettava. Il tram sette..
Aspettai alla fermata aprendo il mio sole24ore. E mentre leggevo qualche notizia pensando al solito capitalismo corrotto, arrivò il tram.
Presi posto tra la folla di studenti e osservavo, da spettatore distratto, lo svolgimento di questa giornata tipo…
 
 
 

 

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